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Discrimen » Danno da perdita di chance nella responsabilità medica

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Academic year: 2022

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JusQuid

sezione scientifica

Nella Sezione scientifica della Collana IusQuid sono pubblicate opere sottoposte a revisione valutativa con il procedimento in «doppio cieco» (double blind peer review process), nel rispetto dell’anonimato dell’autore e dei due revisori.

I revisori sono professori di provata esperienza scientifica, italiani o stranieri, o ricercatori di istituti di ricerca notoriamente affidabili. Il revisore che accetti l’inca- rico di valutazione, formula il suo giudizio tramite applicazione di punteggio da 1 a 10 (sufficienza: 6 punti) in relazione ad ognuno dei seguenti profili: struttura (coe- renza e chiarezza dell’impianto logico, metodologia); riferimenti normativi, dottri- nali e giurisprudenziali; correttezza espositiva; argomentazione critica e propositiva;

bibliografia; rilevanza scientifica nel panorama nazionale (e internazionale, se ricorre l’esigenza relativa a questo profilo). Precisa se l’opera sia pubblicabile senza modifiche o previo apporto di modifiche, o se sia da rivedere, oppure da rigettare, e comunque dà opportune indicazioni.

Nel caso di giudizio discordante fra i due revisori, la decisione finale sarà assunta dal direttore responsabile della Collana e dal comitato scientifico, salvo casi particola- ri in cui il direttore medesimo provvederà a nominare un terzo revisore cui rimettere la valutazione dell’elaborato. Le valutazioni sono trasmesse, rispettando l’anonimato del revisore, all’autore dell’opera. L’elenco dei revisori e le schede di valutazione sono conservati presso la sede della Collana, a cura del direttore.

Il termine per lo svolgimento dell’incarico di valutazione accettato è di venti giorni, salvo espressa proroga, decorsi i quali, previa sollecitazione e in assenza di osservazioni negative entro dieci giorni, il direttore della Collana e il comitato scien- tifico, qualora ritengano l’opera meritevole, considerano approvata la proposta. Sono escluse dalla valutazione opere di componenti del comitato scientifico e del direttore responsabile. A discrezione del direttore responsabile e del comitato scientifico sono escluse dalla valutazione opere di indubbia meritevolezza o comunque di contenuto da ritenersi già adeguatamente valutato in sede accademica con esito positivo, per esempio scritti pubblicati su invito o di autori di prestigio, atti di particolari conve- gni, opere collettive di provenienza accademica.

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JusQuid

sezione scientifica

Comitato scientifico

Paolo Benciolini, Lorenza Carlassare, Marcello M. Fracanzani, Manuela Mantovani, Francesco Moschetti, Elisabetta Palermo Fabris, Paolo Patrono, Silvio Riondato, Rino Rumiati, Daniele Rodriguez, John A. E. Vervaele, Paolo Zatti

Direttore responsabile Silvio Riondato

• E. Pavanello, La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, 2012 (e-book).

• S. Riondato (a cura di), Dallo Stato Costituzionale Democratico di Diritto allo Stato di Polizia? Attualità del "Problema penale". Nel trentesimo dall'Ultima Lezione di Giuseppe Bettiol, 2012.

• L. Pasculli, Le misure di prevenzione del terrorismo e dei traffici criminosi internazionali, 2012.

• S. Riondato, R. Alagna (a cura di), Diritto penale della Repubblica di Turchia. Criminal Law of the Republic of Turkey, 2012.

• R. Borsari, Reati contro la Pubblica Amministrazione e discrezionalità amministrativa. Dai casi in materia di pubblici appalti, 2012.

• C. Sarra, D. Velo Dalbrenta (a cura di), Res iudicata. Figure della positività giuridica nell’esperienza contemporanea, 2013.

• R. Alagna, S. Riondato (a cura di), Studi sulla riforma penale post-socialista. Studies on the Criminal Law Reform in the Post-Soviet Countries, 2013.

• R. Borsari (a cura di), Profili critici del diritto penale tributario, 2013.

• R. Borsari, Diritto penale, creatività e co-disciplinarità. Banchi di prova dell’esperienza giudiziale, 2013.

• S. Riondato, Cornici di «famiglia» nel diritto penale italiano, 2014.

• I.G. Antonini, La duplice natura della società pubblica: tra garanzia della concorrenza e alternativa all’appalto, 2014.

• D. Provolo, S. Riondato, F. Yenisey (eds.), Genetics, Robotics, Law, Punishment, 2014.

• A. Aprile, A. Fabris, D. Rodriguez, Danno da perdita di chance nella responsabilità medica, 2014.

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Prima edizione 2014, Padova University Press

Titolo originale Danno da perdita di chance nella responsabilità medica

© 2014 Padova University Press Università degli Studi di Padova via 8 Febbraio 2, Padova www.padovauniversitypress.it Redazione

Francesca Moro Progetto grafico Padova University Press

Immagine di copertina

"Collegio dei dottori giuristi padovani che rende parere al Doge". Dall'affresco di Gino Severini nella Sala della Facoltà di Giurisprudenza − Palazzo del Bo, Padova.

ISBN 978-88-6938-021-1

Stampato per conto della casa editrice dell’Università degli Studi di Padova − Padova University Press nel mese di aprile 2015.

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.

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Anna Aprile − Ambra Fabris − Daniele Rodriguez

Danno da perdita di chance nella responsabilità medica

PADOVA UNIVERSITY PRESS

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Indice  

Introduzione p. 9

CAPITOLO PRIMO

Il nesso di causalità p. 11

1.1 La causalità in ambito civile p. 11

1.2 La causalità in ambito penale p. 18

1.3 La causalità nell’illecito omissivo p. 26

1.4 Causalità penale e civile: credibilità razionale e regola del «più probabile

che non» p. 30

CAPITOLO SECONDO

Dal nesso di causalità al danno da perdita di chance p. 39 CAPITOLO TERZO

Il danno da perdita di chance p. 43

3.1 Le origini p. 43

3.2 La natura giuridica del danno da perdita di chance p. 46 3.2.1 Danno da perdita di chance: danno emergente o lucro cessante? p. 49 3.2.2 Danno da perdita di chance: la tesi (eziologica) del lucro cessante p. 50 3.2.3 Danno da perdita di chance: la tesi (ontologica) del danno

emergente p. 52

3.2.4 Danno da perdita di chance: natura contrattuale o extracontrattuale p. 55 3.2.5 Danno patrimoniale e danno non patrimoniale da perdita di chance p. 58 3.3 Alcune fattispecie tipiche di danno da perdita di chance p. 60

CAPITOLO QUARTO

Il danno da perdita di chance nella responsabilità medica p. 63

4.1 Considerazioni preliminari p. 63

4.2 La sentenza Cassazione civile, sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400 p. 65 4.3 La sentenza Cassazione civile, sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619 p. 73 4.4 La sentenza Cassazione civile, sez. III, 18 settembre 2008, n. 23846 p. 79 4.5 La sentenza Cassazione civile, sez. III, 14 giugno 2011, n. 12961 p. 84 4.6 Alcune riflessioni sulle sentenze della Corte di Cassazione p. 88

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CAPITOLO QUINTO

La quantificazione del danno da perdita di chance p. 91 CAPITOLO SESTO

La consulenza tecnica medico-legale p. 95

6.1 Premessa p. 95

6.2 Il primo caso p. 95

6.2.1 Storia clinica p. 96

6.2.2 Sulla causa di morte p. 96

6.2.3 Sulla condotta dei professionisti sanitari intervenuti p. 97 6.2.4 Sul nesso di causalità tra condotta inadeguata e morte p. 97

6.2.5 Sul danno risarcibile p. 98

6.2.6 Commenti p. 99

6.3 Il secondo caso p. 100

6.3.1 Storia clinica p. 100

6.3.2 Sulla causa di morte p. 101

6.3.3 Sulla condotta dei professionisti sanitari intervenuti p. 101 6.3.4 Sul nesso di causalità tra condotta inadeguata e morte p. 102

6.3.5 Sul danno risarcibile p. 104

6.3.6 Commenti p. 104

CAPITOLO SETTIMO

Valutazioni conclusive p. 107

Bibliografia p. 115

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Introduzione

Il danno da perdita di chance costituisce una «categoria» di danno di recente introduzione nel nostro ordinamento giuridico.

Il termine francese «chance» deriva dall’espressione latina cadentia, che indica il rotolare dei dadi e significa «possibilità di riuscita».1

La figura della perdita di chance fu elaborata dalla dottrina francese ed applicata già alla fine del XIX secolo. Nell’esperienza giuridica francese essa viene unanima- mente considerata quale «perdita della possibilità di realizzare un guadagno o di evitare una perdita».2

Nel nostro ordinamento l’introduzione del danno da perdita di chance è stata a lungo osteggiata dalla dottrina e la giurisprudenza ha iniziato a risarcire tale categoria di danno circa un secolo dopo le prime pronunce francesi. In particolare la Corte di Cassazione ha riconosciuto, per la prima volta esplicitamente, il danno da perdita di chance nella sentenza Cass. civ., sez. lav., 19 novembre 1983 n. 6906 vertente sul caso di alcuni lavoratori ai quali era stata impedita la partecipazione a prove concor- suali, il cui superamento era necessario per il perfezionamento della procedura di assunzione. La giurisprudenza ha ammesso, poi, la risarcibilità del danno da perdita di chance in ambiti sempre più ampi, tra i quali quello della responsabilità medica.

Nel presente lavoro, dopo aver enucleato le principali questioni che concernono la natura di questa nuova categoria di danno, si intende porre l’attenzione al danno da perdita di chance nella responsabilità medica. In particolare si considerano le più significative pronunce della Corte di Cassazione, a partire dalla prima in cui tale danno è apparso in ambito medico, ossia la sentenza 4 marzo 2004, n. 4400, per concludere, poi, con gli aspetti più rilevanti riguardo la sua liquidazione.

La trattazione ha inizio con una breve disamina sui principali aspetti del nesso di causalità, in quanto la perdita di chance nasce, quale categoria di danno, dall’esigenza sentita dalla giurisprudenza di superare il difficile problema dell’accertamento del rapporto causale.

Le difficoltà incontrate dalla scienza nel fornire dati certi ed oggettivi, dai quali dedurre che da una data causa consegue un determinato evento, non possono lasciare il diritto privo di una risposta.

Il superamento di una concezione del nesso eziologico quale relazione monocau-

1 Locatelli L., Le chance di risarcibilità delle chance perdute, in Resp. civ. e prev., 2011, 4, pp. 904-917.

2 Si veda Viney G. et Jourdain P., Les conditions de la responsabilité, in Ghestin J. (direzione di) Traité de droit civil, Paris, LGDJ, 1998, p. 72.

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sale e deterministica ha inoltre posto in crisi la natura giuridica del concetto.3 Tuttavia, l’esigenza di non lasciare privo di tutela un interesse protetto dall’or- dinamento, anche qualora possa risultare arduo fornire la prova dell’esistenza di una relazione di causalità tra condotta ed evento, è alla base della teoria della responsabi- lità da perdita di chance in cui il problema dell’accertamento del nesso causale è stato trasposto sul piano del danno risarcibile.4

In particolare si illustrano alcuni aspetti problematici della perdita di chance dovuti al suo essere una figura che nasce nell’ambito dell’accertamento del nesso di causalità e condotta poi sul piano del danno risarcibile.

3 Pucella R., La causalità «incerta», Torino, Giappichelli, 2007, p. 87.

4 Montinaro R., Dubbio scientifico e responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 2012, p. 96.

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Capitolo primo

Il nesso di causalità

1.1. La causalità in ambito civile

Il nesso di causalità è il rapporto tra la causa e l’effetto e in ambito giuridico costituisce il fattore determinante con cui si collega ad una condotta umana un fatto dannoso.1

Nel codice civile manca una vera e propria definizione di nesso di causalità;

molte disposizioni fanno un implicito riferimento al nesso causale, richiedendo l’esi- stenza dello stesso quale elemento della fattispecie, senza però disciplinarne in alcun modo le modalità di accertamento. Nell’ambito delle regole dedicate alla responsa- bilità civile, infatti, il codice presuppone che l’interprete conosca la nozione di cau- salità quando impiega i termini «cagiona», «cagionato», «compiuto», «commesso»,

«arrecato», «prodotto», «derivato» agli artt. 2043-2053 c.c. e rinvia agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c. per il risarcimento del danno, in cui, peraltro, si ritiene già risolto il problema della individuazione del responsabile.2

Si può inoltre rilevare, come sostiene Cass. civ., sez. III,16 ottobre 2007 n. 21619, che «ogni scritto sul tema della causalità anela all’accertamento del nesso causale, muovendo così, del tutto inconsapevolmente su di un terreno già assai scivoloso, se lo stesso sintagma “accertamento del nesso causale” cela una prima latente insidia lessicale, dacché ogni “accertamento” postula e tende ad una operazione logico- deduttiva o logico-induttiva che conduca ad una conclusione, appunto “certa”;

mentre un’indagine, per quanto rigorosa, funzionale a predicarne l’esistenza sul piano del diritto, si arresta sovente, quantomeno in sede civile, sulle soglie del giudizio

1 Bordon R., Rossi S. e Tramontano R., La nuova responsabilità civile, Torino, Utet, 2010, p. 28.

2 Alpa G., (a cura di), La responsabilità civile. Parte generale, Torino, Utet, 2010, p. 316; Capecchi M., Il nesso di causalità. Da elemento della fattispecie “fatto illecito” a criterio di limitazione del risarcimento del danno, Padova, Cedam, 2005, p. 6. Si veda inoltre Baudi A., Considerazioni sul rapporto di causalità giuridica, in Giur. merito 2011, 9, pp. 2042-2061.

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probabilistico».

Le norme in materia di causa e di rapporto di causalità si limitano, dunque, ad implicare o a menzionare espressamente il requisito, rimettendo così ogni problema concettuale e definitorio all’interprete.

Innanzitutto viene in evidenza l’art.1223 c.c., che può essere considerato come la norma fondamentale della causalità in ambito civile,3 per cui «il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta». Questa disposizione è stata oggetto di diverse interpretazioni, in parti- colare per alcuni si applicherebbe, oltre che all’accertamento del nesso di causalità giuridica, anche alla verifica del nesso di causalità materiale, per altri si tratterebbe di una regola volta alla sola selezione delle conseguenze dannose risarcibili e per altri ancora in nessun modo potrebbe essere intesa come regola causale.4

Dottrina e giurisprudenza prevalenti5 distinguono, infatti, causalità materiale, naturale o in fatto e causalità giuridica.6 Il nesso di causalità avrebbe, dunque, due diverse funzioni: non solo serve a ricostruire gli eventi ed a imputare un fatto ad un soggetto, ma anche a stabilire l’entità delle conseguenze risarcibili del fatto illecito. In effetti, anche da una lettura delle norme del codice civile, si può evincere che «il legi- slatore opera una netta separazione tra il momento (prodromico) dell’accertamento della responsabilità e quello (succedaneo) della estensione della stessa».7

La causalità materiale è «il legame di tipo naturalistico che unisce fatto ad evento ed il cui accertamento è presupposto per l’imputazione della responsabilità».8

La causalità giuridica «avrebbe invece ad oggetto il distinto profilo della selezione delle conseguenze risarcibili nell’ambito di quelle che rappresentano un effetto del fatto illecito».9 Risolta l’indagine sull’imputazione del fatto, essa ha ad oggetto il nesso tra l’evento di danno e le sue conseguenze patrimoniali.

Tuttavia, anche se la distinzione tra le due principali funzioni del nesso di cau- salità può dirsi ormai assodata, non mancano coloro che esprimono dubbi su siffatta duplicazione del rapporto causale, che non recherebbe alcuna utilità effettiva né sa- rebbe d’ausilio ad una precisa ricostruzione della fattispecie.10

3 Bordon R., Rossi S. e Tramontano R., op. cit., p. 32.

4 Per questo indirizzo interpretativo si veda Castronovo C., Il risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., 2006, 6, pp. 81-97.

5 Le origini di questo orientamento risalgono a Gorla G., Sulla cosiddetta causalità giuridica: «fatto dan- noso e conseguenze», in Riv. dir. comm., 1951, I, 405-421.

6 Alpa G., La responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 1999, p. 326, ha osservato come questa distinzione non sia rinvenibile né in Francia né in Common law, mentre Rossello C., Il danno evitabile, Padova, Cedam, 1990, p. 14 ha rilevato la sua esistenza nell’ambito della dottrina tedesca.

7 Carbone V., Il rapporto di causalità, in Alpa G. e Bessone M., (direzione di), La responsabilità civile- Aggiornamento 1988-1996, Torino, Utet, 1997, p. 65.

8 Pucella R., op. cit., p. 217.

9 Pucella R., op. cit., p. 217.

10 Carbone V., op. cit., p. 65.

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Altri autori11 ritengono, inoltre, che il ruolo della causalità sia quello di accertare il collegamento tra eventi, mentre il quantum del danno risarcibile non vedrebbe implicato alcun problema causale. Non viene negata, dunque, la validità della di- stinzione tra i due momenti dell’accertamento e dell’estensione della responsabilità, ma si sostiene che le questioni relative a questo secondo aspetto non abbiano natura causale.

Secondo altra parte della dottrina, la distinzione tra causalità giuridica e ma- teriale tenderebbe a venir meno nel caso in cui l’imputazione della responsabilità non derivi automaticamente dall’accertamento della relazione naturalistica tra fatto ed evento e, cioè, laddove il rapporto tra causa ed effetto sia più complesso. In que- sta ipotesi, l’individuazione del responsabile sarà inevitabilmente condizionata dal- la risoluzione preliminare della questione concernente la delimitazione dell’ambito di estensione della responsabilità, cioè dall’indicazione delle condizioni in base alle quali si possa essere ritenuti autori, e dunque responsabili, dell’illecito.12 La distinzio- ne tra causalità materiale e causalità giuridica sarebbe, secondo quest’orientamento, ragionevole solo nella misura in cui la selezione dei pregiudizi risarcibili riguardi la conseguenza della lesione di uno stesso interesse protetto, mentre lo sarebbe «meno laddove il fatto illecito sia il prodromo di distinte lesioni di interessi protetti: qui causalità materiale e causalità giuridica si sovrappongono in un rapporto di reciproco condizionamento. Il rapporto tra causalità in fatto e causalità giuridica si rivela, dun- que, meno definito di quanto sembri».13

L’opinione favorevole alla distinzione tra le diverse funzioni del nesso di causalità rimane, comunque, la più ragionevole,14 oltre che essere quella adottata dalla giuri- sprudenza.15

11 Belvedere A., Causalità giuridica?, in Riv. dir. civ., 2006, 1, pp. 7-27; Realmonte F., Il problema del rapporto di causalità nel risarcimento del danno, Milano, Giuffrè, 1967, p. 80 ss. Secondo Carbone V., op. cit., p. 68, «il combinato disposto degli artt. 1223 ss. e 2056 c.c. detta regole attraverso le quali il legislatore, presupponendo già risolto il problema dell’imputazione e quindi, accertata l’esistenza della responsabilità, si preoccupa soltanto di “determinare” l’estensione della stessa, risolvendo, così, un pro- blema che non è più di causalità, ma di danno risarcibile».

12 Pucella R., op. cit., p. 218.

13 Pucella R., op. cit., p. 219. L’autore porta come esempio la vicenda (Cass. civ., 7 febbraio1996, n.

969) in cui ad un sinistro stradale sia conseguito il suicidio del danneggiato resosi conto dell’avvenuto sfracellamento della propria gamba. «Chiarire se l’investitore debba rispondere del suicidio del dan- neggiato non è, a ben vedere, problema di quantum, cioè di selezione del danno risarcibile; è piuttosto problema, giuridico, di delimitazione dell’ambito di responsabilità soggettiva, idoneo a condizionare la successiva individuazione del responsabile». Questa impostazione non è ritenuta condivisibile per ragioni sia di carattere teorico sia processuale da Travaglino G., La questione dei nessi di causa, Assago, Ipsoa, 2012, pp. 147-151.

14 Bordon R., Rossi S. e Tramontano R., op. cit., p. 34. Si veda in tal senso Travaglino G., op.cit., p.

152.15 Si veda Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619, per cui «da una lettura sistematica delle norme del codice civile vigente dettate in tema di risarcimento del danno, sembra emergere un plesso operativo razionale e coerente, articolato secondo un criterio di consequenzialità in virtù del quale il legislatore

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Riprendendo a considerare l’art. 1223 c.c., è bene evidenziare che esso si applica sia nell’ambito della responsabilità contrattuale16 che in quello della responsabilità extracontrattuale,17 per espresso richiamo dell’art. 2056 c.c.

Il legislatore ha inteso in questo modo unificare la disciplina del risarcimento del danno qualunque sia il titolo della responsabilità.

Per quanto concerne la prima, è necessario procedere innanzitutto all’accerta- mento dell’an debeatur, verificando l’inadempimento della prestazione o l’impossibi- lità della stessa per causa non imputabile al debitore e poi alla valutazione del quan- tum debeatur. L’art. 1223 c.c. si applica proprio in questo secondo momento, poiché prevede che il risarcimento dovuto sia limitato ai soli danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o del ritardo.

Il rapporto di causalità materiale acquista rilevanza nella responsabilità contrat- tuale solo nei casi in cui l’inadempimento è distinto dall’evento di danno. Ad esem- pio, nelle ipotesi di infortuni sul lavoro o di errore professionale, l’inadempimento contrattuale del datore di lavoro o del professionista determina una situazione di fatto da cui deriva il danno e sorge dunque la necessità di verificare l’esistenza di un nesso tra l’inadempimento e l’evento.18

Nel caso in cui, invece, l’inadempimento coincida con l’evento e sia causa diretta del danno, si pone solo un problema di causalità giuridica, per cui, accertato l’ina- dempimento, si deve procedere alla quantificazione dei danni.

Nella responsabilità contrattuale, comunque, di regola, il soggetto responsabile è il contraente rimasto inadempiente o il debitore che non ha effettuato la prestazione dovuta, perciò, tranne i casi nei quali l’inadempimento dell’obbligazione è imputa- bile al fatto illecito del terzo, non sussiste un problema di imputazione dell’evento e ciò, senza dubbio, semplifica l’accertamento del rapporto di causalità materiale.19 Tuttavia, il problema della imputazione del fatto dannoso non può ritenersi risolto con l’individuazione del soggetto responsabile, dovendosi in certe situazioni, come negli esempi sopra indicati,20 procedere ad accertare il nesso di causalità materiale, anche se questo sarà meno stringente.

opera una netta separazione tra il momento (strutturale) dell’accertamento della responsabilità e quello (funzionale) del contenuto della stessa». Si veda, inoltre, Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581.

Peraltro la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza 14 luglio 1986, n. 184, aveva già rilevato la ne- cessità della distinzione.

16 La norma fondamentale in materia è dettata all’art. 1218 c.c.: «Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

17 La norma fondamentale in materia è dettata all’art. 2043 c.c.: «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno».

18 Bordon R., Rossi S. e Tramontano R., op. cit., p. 228.

19 Bordon R., Rossi S. e Tramontano R., op. cit., p. 229. Baudi A., op. cit., p. 2053, per il quale l’unico profilo dedicato al nesso eziologico è previsto dall’art. 2043 c.c.

20 Bordon R., Rossi S. e Tramontano R., op. cit., p. 230. Il datore di lavoro può non aver adempiuto ai suoi obblighi contrattuali di tutela del lavoratore contro le malattie professionali, ma non è responsabile

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Nella responsabilità extracontrattuale, la causalità di fatto e quella giuridica ope- rano entrambe. Infatti, accertato l’an debeatur, sussistendo l’elemento soggettivo e un rapporto di causalità tra fatto e danno ingiusto, si procede alla selezione delle conseguenze risarcibili ex art. 2056 c.c., che rinvia agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.

per la quantificazione del risarcimento. La causalità nel sistema della responsabilità extracontrattuale costituisce, perciò, sia criterio di imputazione del fatto illecito sia regola per l’accertamento successivo dell’entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto che si traducono in danno risarcibile. «In altri termini vi sono due rapporti causali: uno interno al fatto illecito e l’altro tra il fatto illecito e le conseguenze che da questo discendono».21

L’art. 1223 sembra, perciò, regolare la causalità giuridica ed essere inapplicabile all’accertamento del nesso di causalità materiale. Esso «presuppone, cioè, che di un dato fatto, che comprende anche un evento (oltre la c.d. azione, se c’è), si debba rispondere in base ad altre regole che non siano quelle dello stesso art. 1223. Questo articolo si limita a considerare le conseguenze o eventi successivi a quel fatto-evento;

ma il rapporto di causalità e la ragione di responsabilità, nell’interno di questo fatto, l’art. 1223 li presuppone disciplinati da altre norme».22

Deve essere evidenziata l’opinione di alcuni autori23 che ritengono, però, che il criterio delle conseguenze immediate e dirette sia applicabile anche all’accertamento del nesso di causalità materiale. Più precisamente, muovendo dalla negazione della differenza tra danno ingiusto e danno risarcibile, e quindi dell’esistenza di un duplice nesso causale, giungono a sostenere che l’art. 1223 sia applicabile, in generale, in relazione ad ogni danno.24

In dottrina, d’altra parte, si discute se il legislatore abbia inteso, con tale articolo, porre una regola causale25 o se, invece, la funzione della norma sia solo quella di con- tenere l’estensione dell’obbligazione risarcitoria selezionando quali, tra le conseguen- ze negative dell’illecito, costituiscano oggetto di risarcimento26 e, inoltre, se alla base

per una malattia che abbia un’origine extralavorativa. Il medico può aver sbagliato l’intervento, ma non è responsabile per la morte dovuta ad una patologia preesistente.

21 Capecchi M., op. cit., p. 25.

22 Gorla G., op. cit., p. 409.

23 Si veda Bianca C. M., Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, Giuffrè, 1994, p. 624. «La norma è espressamente richiamata dalla disciplina dell’illecito civile ai fini della “determinazione” del danno.

Questa specificazione non pone alcun limite all’applicazione di una regola che concerne tutta l’area del danno risarcibile, sia che si tratti del danno che integra la lesione dell’interesse protetto sia che si tratti delle conseguenze economiche negative. A tale norma deve quindi egualmente riportarsi la rilevanza del nesso causale tra fatto e danno ingiusto e tra fatto e danno risarcibile».

24 Forchielli P., Il rapporto di causalità nell’illecito civile, Padova, Cedam, 1960, p. 25 ss.

25 Si veda Travaglino G., op. cit., p. 158, per cui «l’art. 1223 è, dunque, regola di fattispecie, e non anche (soltanto) di risarcimento. E che essa sia finalizzata a contenere l’estensione dell’obbligazione risarcitoria non significa che l’indagine sul rapporto tra l’evento di danno e le conseguenze dannose in concreto risarcibili non sia (anche) una indagine causale».

26 In tal senso si veda Castronovo C., op. cit., p. 88, per cui «l’art. 1223 in nessun modo può essere

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della causalità giuridica vi sia una valutazione fondata su un accertamento causale o un giudizio di valore puramente giuridico.

Se il riferimento ad un legame di consequenzialità immediata e diretta tra ina- dempimento o ritardo e danno viene inteso quale espressione di una regola causale, vi è chi27 osserva come il criterio debba valere per qualunque segmento della catena causale, compreso quello tra fatto ed evento dannoso, rendendo necessario superare il rigore dello stesso, come del resto la giurisprudenza tende a fare,28 per rendere la disposizione adattabile a qualunque conseguenza, ammettendo la risarcibilità anche delle conseguenze mediate e indirette, purché siano effetti normali del fatto illecito secondo il criterio di regolarità-adeguatezza causale. La giurisprudenza e la dottrina prevalenti sono, infatti, orientate a interpretare l’art. 1223 applicando i principi della regolarità causale, «secondo cui il danno è risarcibile nella misura in cui possa consi- derarsi un effetto ordinario o normale e quindi regolare del fatto del danneggiante».29 Decisamente prevalente è, comunque, la tesi per la quale l’art. 1223 c.c. costitui- sce la norma fondamentale in materia di causalità giuridica, finalizzata all’individua- zione del danno risarcibile, o meglio a contenerne l’estensione. Inoltre, prevale l’o- rientamento giurisprudenziale che interpreta il criterio delle conseguenze immediate e dirette applicando i principi della regolarità causale.30

In ogni caso tutte le diverse posizioni riconoscono come necessaria un’indagine sul rapporto di causalità naturalisticamente intesa. La sussistenza di un rapporto na- turalistico di causa ad effetto costituisce, infatti, un comune presupposto essenziale.31

inteso come regola causale».

27 Pucella R., op. cit., p. 245 ss.

28 Cass. civ., sez. III, 19 maggio 1999, n. 4852, secondo cui «il criterio in base al quale sono risarcibili i danni conseguiti dal fatto illecito (o dall’inadempimento in tema di responsabilità contrattuale), deve intendersi, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, in modo da comprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati, che si presentino come effetto normale, secondo il principio della c.d. regolarità causale». Si veda, nello stesso senso, anche Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2000, n. 5962.

29 Capecchi M., op. cit., p. 39. Secondo Castronovo C., op. cit., p. 95, in tal modo il dato testuale viene disapplicato e inoltre la stessa regola limitativa di cui all’art. 1223 c.c. potrebbe anche non esserci se il criterio delle consequenzialità immediata e diretta, che trova in esso espressione, venisse inteso nel senso che sono risarcite soltanto le conseguenze «regolari». Secondo Pucella R., op. cit., p. 248, «omettendo, infatti, la regola dell’art.1223 c.c. nulla impedirebbe alla stregua dei principi causali stabilmente accolti dall’ordinamento, di pervenire agli stessi canoni di soluzione delle controversie che i sostenitori del ruolo causale dell’art. 1223 fanno derivare dalla norma medesima». La norma dell’art.1223 porrebbe, invece, una regola più rigorosa rispetto a quella della regolarità-adeguatezza causale, anche se intesa solamente quale criterio risarcitorio. Valorizzando la necessarietà del danno rispetto all’evento, essa consente di superare il limite proprio dell’adeguatezza causale, criterio indifferente alle peculiarità della fattispecie concreta. Si veda Pucella R., op. cit., p. 262. Alcuni autori, tra cui Visintini G., Trattato breve della responsabilità civile. Fatti illeciti. Inadempimento. Danno risarcibile, Padova, Cedam, 1999, p.

592, rilevano come il criterio della regolarità causale nasca nell’ambito della problematica del concorso di cause e che vi sia una sovrapposizione tra due distinti problemi causali: la limitazione del danno risarcibile e il concorso di cause.

30 Bordon R., Rossi S. e Tramontano R., op. cit., p. 302.

31 Capecchi M., op. cit., p. 36.

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Si può concludere osservando come il legislatore non abbia fornito un modello del codice civile astratto e vincolante per l’interprete, in base al quale possa ritenersi sussistente un rapporto tra una causa e un evento. La Corte di Cassazione è ferma nel sostenere che «l’indagine sull’esistenza del nesso di causalità e sulla interruzione dello stesso è indagine tipicamente di fatto e come tale riservata alla competenza del giudici di merito e sottratta al sindacato della Corte di Cassazione». Rimesso così il problema all’interprete, «insorge il quesito − centrale − se la causalità debba essere ricostruita sulla scorta di regole − anche scientifiche-extragiuridiche, di matrice na- turalistica − oppure se l’istituto presenti connotazioni riservate, in via esclusiva o concorrente, alla scienza − umana − del diritto, con ulteriori specificità settoriali, per le quali la causalità penale sarebbe regolata da criteri diversi da quelli pertinenti alla causalità civilistica».32

Secondo un primo orientamento33, il giudizio sul nesso di causalità materiale è compiuto mediante il ricorso alle conoscenze di altre discipline scientifiche, nell’am- bito delle quali non si è giunti comunque a risultati univoci sulla questione.

Per altri autori, invece, la causalità che rileva per il diritto sarebbe un rapporto creato dal legislatore, non esistente in natura.34 Infatti, sia la responsabilità contrat- tuale sia la responsabilità extracontrattuale pongono in relazione realtà di natura non omogenea e, inoltre, mutevoli in funzione delle circostanze. D’altra parte, il diritto, al contrario della scienza, ha l’esigenza di imputare un insieme di eventi ad un sogget- to e non di accertare la successione degli stessi; quindi viene evidenziata l’autonomia del primo nei confronti della seconda.35

Comunque si può osservare, procedendo nella ricognizione degli orientamenti giurisprudenziali, come appaia assolutamente consolidata e incontrastata la massi- ma secondo la quale sono applicabili anche nel settore della responsabilità civile le norme sull’accertamento del nesso di causalità previste dal codice penale agli artt.

40 e 41.36 Quasi tutte le principali teorie sull’individuazione del nesso causale sono nate nell’ambito penalistico e solo successivamente sono state importate in quello civilistico; ciò vale soprattutto per la causalità materiale, essendo più autonomo il settore della causalità giuridica, data l’esistenza di specifiche norme all’interno del codice civile.37

32 Baudi A., op. cit., p. 2045.

33 Forchielli P., op. cit., p. 9 e Realmonte F., op. cit., p. 25.

34 Antolisei F., Il rapporto di causalità nel diritto penale, Torino, Giappichelli, 1960, p. 18.

35 Montinaro R., op. cit., p. 86.

36 Una massima ricorrente recita: «In tema di responsabilità civile per fatto illecito, ciascun antecedente che ha contribuito, sia in modo diretto che indiretto, alla verificazione dell’evento deve considerarsi causa di esso, salva sempre l’applicazione dell’art. 41 c.p., comma 2°, secondo cui il nesso eziologico vie- ne escluso quando il fatto sopravvenuto è da solo sufficiente a produrre l’evento». Si vedano, tra le altre, Cass. civ., sez. un. 26 gennaio 1971, n. 174 e la più recente Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581.

37 Artt. 1223, 1226, 1227 c.c. Si veda Bordon R., Rossi S. e Tramontano R., op. cit., p. 32.

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1.2 La causalità in ambito penale

La disciplina che il codice penale dedica alla problematica dell’accertamento del nesso di causalità si fonda sugli artt. 40 e 41.

Il primo, sotto la rubrica «Rapporto di causalità», prevede al primo comma che

«nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione».

Il secondo, sotto la rubrica «Concorso di cause» dispone al primo comma che

«il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipen- denti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento», e al secondo comma che «le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità, quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento», con la precisazione che «in tal caso, se l’azione od omissione precedente- mente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita».

L’interpretazione di queste disposizioni è oggetto di dibattito; in particolare è controversa in dottrina la relazione tra i due articoli.

Secondo la tesi tradizionale e prevalente, espressa da Antolisei,38 il legislatore avrebbe recepito all’art. 40 la teoria39 della condicio sine qua non e introdotto all’art.

41 c.2 un criterio volto a delimitare il nesso condizionalistico.

La teoria della condicio sine qua non fu elaborata nel diritto penale dal giurista Glaser e fu particolarmente sviluppata dal criminalista tedesco von Buri nella secon- da metà del XIX sec. Secondo questa teoria, deve ritenersi causa di un determinato evento ogni antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe prodotto.40 Poi- ché causa di un evento non è mai un singolo fatto, ma è l’insieme delle condizioni necessarie a produrlo e non è possibile graduare l’intensità o l’efficacia di ogni singola condizione, tutte le condizioni sono equivalenti tra loro e perciò la teoria condizio- nalistica è anche detta teoria dell’equivalenza delle cause.41

La teoria condizionalistica può essere intesa sia come una vera teoria causale che trasferisce sul piano giuridico una teoria della causalità raggiunta nella realtà naturale, sia come criterio volto all’accertamento di una certa condotta umana in

38 Antolisei F., op. cit., p. 245 ss.

39 Travaglino G., op. cit., p. 40 evidenzia che si tratta di una teoria causale e non di una regola norma- tiva, analogamente a tutte le altre teorie di struttura che nel tempo sono state elaborate.

40 Si ritiene che il presupposto teorico-filosofico posto a fondamento di tale teoria sia rinvenibile in Mill J. S., A system of logic raziocinative and inductive: being a connected view of principles of evidence and methods of scientific investigation, London, Longmans, 1898, per cui «la causa allora, filosoficamente parlando è l’insieme delle condizioni positive e negative che una volta realizzate danno luogo invariabil- mente alla conseguenza». Si veda Ronco M., Commentario sistematico al codice penale, I, Il reato, 2007, Bologna, Zanichelli, p. 167.

41 Ronco M., op. cit., p. 168.

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un processo causale attraverso il procedimento dell’eliminazione mentale secondo il giudizio controfattuale.42

La verifica del nesso di causalità, operata mediante una valutazione ex post, si arti- cola secondo la doppia formula positiva e negativa: a) la condotta umana è condizio- ne necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente, l’evento non si sarebbe prodot- to, b) la condotta non è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente, l’evento si sarebbe ugualmente verificato.43

Per stabilire cioè se una condotta attiva sia o meno condicio sine qua non di un evento, si deve eliminare mentalmente dai fatti accaduti l’azione già verificata e chie- dersi se in tal caso l’evento si sarebbe ugualmente prodotto.

Si pone però a questo punto il problema di come concretamente svolgere questo procedimento di eliminazione mentale, in quanto ne devono essere predeterminati i presupposti. La teoria della condicio sine qua non è stata sotto questo aspetto oggetto di critica da parte di Engisch.44

Più precisamente la formula condizionalistica risulta non essere in grado di co- gliere con precisione tutta la realtà, mentre è soltanto conoscendo previamente il reale concreto svolgimento degli eventi che risulta possibile ragionare in via ipotetica su cosa sarebbe accaduto se un determinato antecedente fosse mancato. Si è osser- vato che si può affermare che, eliminato mentalmente l’antecedente, il risultato si sarebbe o non si sarebbe prodotto, quando già si sappia da prima che da un determi- nato antecedente scaturisca o non scaturisca un determinato evento: «occorre prima conoscere quale sia stata la condotta, quale sia stato l’evento e come abbia funzionato in termini necessitanti il legame produttivo, per potere poi con certezza, asserire a titolo di conforto mentale che, eliminando, vale a dire supponendo irrealmente non verificata, quella specifica condotta (…) quello specifico evento non si sarebbe potu- to verificare».45 Viene dato per tacito presupposto quanto si pretende di dimostrare.

42 Ronco M., op. cit., p. 166.

43 Ciò vale per la condotta attiva. Se invece la condotta è omissiva, il giudizio ha la stessa natura e con- siste nell’accertare se l’evento si sarebbe verificato ove fosse stata posta in essere la condotta doverosa nella realtà omessa.

44 Engisch K., Die Kausalität als Merkmal der strafrechtlichen Tatbestände, Mohr, Tübingen, 1931, p.

21. L’autore ha considerato gli esempi concreti denominati della causalità addizionale o doppia causa- lità e della causalità alternativa ipotetica. Quest’ultima si manifesta quando l’evento è stato causato da una determinata condotta, ma si sarebbe ugualmente verificato anche senza quell’antecedente in circo- stanze di tempo e luogo più o meno simili. Questo ragionamento è, però, fuorviante, perché inserisce un elemento ipotetico tra gli elementi della realtà, quando il giudizio causale ha ad oggetto solo ciò che è stato. Si veda Ronco M., op. cit., p. 179. Inoltre Capecchi M., op. cit., p. 184 ha rilevato come la causalità alternativa sia solo un problema di determinazione del danno risarcibile e non un problema causale. La causalità addizionale ricorre quando lo stesso evento trova come antecedente immediato spazio-temporale due o più cause ugualmente idonee a determinarlo. Applicando il ragionamento con- trofattuale si giungerebbe ad escludere paradossalmente il nesso di causalità, quando invece è evidente che ciascuno dei due fattori è causa dell’evento.

45 Baudi A., op. cit., p. 2048.

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Engisch, evidenziando proprio tale circolo vizioso, giunge a sostenere la totale inapplicabilità della teoria della condicio sine qua non, che sostituisce con «la con- dizione conforme a legge». La sua analisi è stata, per taluni aspetti, valorizzata nella dottrina italiana soprattutto per opera di Stella. Per entrambi gli autori sarebbero infatti indispensabili leggi scientifiche per risolvere il problema dell’accertamento del nesso di causalità.46 Più precisamente per Stella, diversamente da Engisch, per il quale la condizione conforme a legge è vera nuova teoria causale, il procedimento di eliminazione mentale degli antecedenti è compiuto attraverso il ricorso all’informa- zione fornita dalla legge scientifica. Se, in base ad una legge scientifica, A determina B, allora B è stato causato da A e se elimino A, B non si produce.47

Le generalizzazioni o leggi della scienza «sono sì delle ipotesi, ma delle ipotesi fornite di un alto grado di credibilità razionale perché sottoposte al vaglio di nume- rosi ed eterogenei controlli».48 E un enunciato inerente il nesso causale può ritenersi legge scientifica se presenta tre requisiti: verificabilità empirica (possibilità di ripetere i medesimi risultati a fronte dei medesimi fatti), generalità (non coincidenza dei casi osservati con il campo di applicazione della legge) e conferma secondo un alto grado di probabilità induttiva.49

Stella, diversamente da Engisch, ritiene siano impiegabili non solo leggi univer- sali, che descrivono fenomeni che in qualunque luogo e tempo avvengono secondo quella legge, ma anche leggi di verosimiglianza statistica, per le quali i fenomeni si verificano secondo un dato svolgimento in una certa percentuale di casi50 e questo sia per la naturale incompletezza delle conoscenze circa tutte le premesse di un de- terminato evento, sia perché la maggior parte delle leggi scientifiche ha una struttura probabilistica.

Nei confronti di un ragionamento di tipo generalizzante coperto da regole scien- tifiche si sono evidenziati diversi rilievi critici. Innanzitutto questo avrebbe dovuto garantire il rispetto dei principi di certezza e di tassatività del diritto, mentre nella

46 Il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche ha trovato la sua prima enunciazione nella senten- za della Corte di Cassazione, sez. IV, 6 dicembre 1990 sul disastro di Stava del 1985. La corte ha in tal proposito affermato che secondo tale modello «un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo a patto che esso rientri nel novero di quegli antecedenti che, sulla base di una successione regolare conforme ad una legge dotata di validità scientifica − la cosiddetta legge generale di copertura

− portano ad eventi del tipo di quello verificatosi in concreto» e inoltre che le leggi generali di copertura sono sia le leggi universali che le leggi statistiche.

47 Capecchi M., op. cit., p. 196.

48 Stella F., voce “Rapporto di causalità”, in Enc. Giur., XXIX, Treccani, Roma, 1993, pp. 15-16.

49 Stella F., Leggi scientifiche e spiegazione causale in diritto penale, Milano, Giuffrè, 1975, p. 119 ss.; con richiamo a Pasquinelli A., Nuovi principi di epistemologia, Milano, 1970.

50 Capecchi M., op. cit., p. 197. Stella F., Leggi scientifiche..., cit., p. 134: «(…) quando si affronta il problema dell’imputazione oggettiva dell’evento, la contrapposizione tra spiegazioni causali e spiega- zioni statistiche deve essere abbandonata: per il diritto penale è causale anche la spiegazione basata su leggi statistiche».

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sua concreta applicazione ha condotto a individuare il nesso causale nel solo accresci- mento del rischio di verificazione dell’evento.51

Si è inoltre osservato che la teoria della sussunzione sotto leggi scientifiche ha una scarsa applicabilità pratica, in quanto sull’esistenza di leggi universali vi sono numerosi dubbi e per le leggi statistiche è necessario stabilire una soglia oltre la quale una ipotesi scientifica diventa accettabile e il giurista deve ritenere sussistente il nesso di causalità.52

Inoltre, nell’eventualità in cui manchino sia una legge universale sia una stati- stica, la creazione da parte del giudice di una legge causale ad hoc per la soluzione del singolo caso costituisce un impiego scorretto del metodo della sussunzione sotto leggi scientifiche, che impone invece al giudice di avvalersi di leggi formulate a pri- ori nel campo delle scienze naturali, proprio per limitare il suo arbitrio. «Il ricorso a generalizzazioni scientificamente valide consente, infatti, di ancorare il giudizio controfattuale, altrimenti insidiato da ampi margini di discrezionalità e indetermi- natezza, a parametri oggettivi in grado di esprimere effettive potenzialità esplicative della condizione necessaria (…)».53

Un altro aspetto della teoria che deve essere analizzato è quello della descrizione dell’evento, o meglio della ri-descrizione dell’evento, attraverso l’individuazione de- gli elementi ripetibili dell’evento concreto verificatosi al fine di procedere all’analisi scientifico-causale. Non può però non rilevarsi l’arbitrarietà di tale operazione. Il diritto positivo non indica i criteri da impiegare per la selezione degli elementi e quindi sussiste sempre il rischio di perdere ciò che ha caratterizzato la vicenda storica concreta.

Se questa tendenza riduzionistica risulta imprescindibile per le scienze della na- tura, lo scopo delle quali consiste nel raggiungere la massima certezza possibile dei fatti osservati, certezza che «è legata all’universale, non potendosi fare scienza se ci si limita al singolo oggetto reale»,54 il diritto, invece, ha come riferimento l’evento concretamente verificatosi considerato nelle sue caratteristiche peculiari.

Quindi, il riferirsi alle generalizzazioni della scienza comporta inevitabilmente la perdita degli elementi specifici e caratteristici del caso particolare e irripetibile.55

Per questo motivo, l’impiego esclusivo delle generalizzazioni tipiche delle scien- ze positive non può essere sostenuto, tenendo in considerazione anche il fatto che un’informazione completa e chiara su tutti i dati antecedenti e susseguenti è difficile da ottenere.56

51 Ronco M., op. cit., p. 185.

52 Capecchi M., op. cit., p. 203.

53 Baudi A., op. cit., p. 2049.

54 Livi A., Senso comune e logica aletica. Annuario di logica aletica, Roma, Leonardi da Vinci, 2005.

55 Ronco M., op. cit., p. 189.

56 Hart H. L. A. e Honoré T., Causation in the law, Clarendon, Oxford, 1959 hanno proposto il cri- terio delle generalizzazioni presenti nella cultura comune, che sono in grado di cogliere le relazioni tra

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Quindi il giurista, per risolvere il problema causale, cioè il problema concernente l’attribuzione di un evento ad un soggetto per le specifiche esigenze dell’ordinamento giuridico, si avvale di tutte le informazioni, non solo di quelle fornite dalla scienza, nei segmenti del processo causale suscettibili di misurazioni quantitative, ma anche di quelle provenienti dal senso comune, che non deve intendersi come «buon senso»

o «esperienza superficiale», ma come insieme di giudizi di evidenza immediata o me- diata, questi ultimi formulati dai dati della regolarità dell’esperienza.57

La Corte di Cassazione nella nota sentenza «Franzese»58 ha infatti ben distin- to certezza giuridica, di carattere logico-razionale cui il giudizio tende,59 e certezza scientifica e sottolineato il fatto che, per l’accertamento del nesso causale, valgono indizi e massime di esperienza del senso comune, cioè gli stessi criteri probatori uti- lizzabili per la determinazione di qualsiasi altro elemento della fattispecie.

La massima di esperienza costituisce un valido strumento probatorio perché contiene in se stessa l’esperienza passata collettiva di un determinato gruppo di ri- ferimento. La giurisprudenza, seguendo questa via, ha così sostenuto che l’indagine relativa al nesso causale sia esperibile secondo un parametro di credibilità raziona- le anche quando manchi una legge di copertura universale o meramente statistica e, quindi, in situazioni in cui una generalizzazione di carattere scientifico non sia possibile per l’assenza di una casistica, e ha ritenuto che possano essere impiega- te «generalizzate regole di esperienza purché anche le massime o il senso comune abbiano un solido fondamento scientifico che confermi la valutazione che ricollega la condotta all’evento».60

Nella stessa sentenza la Corte ha anche affermato che la sussistenza del nesso di causalità non è impedito dalla generalizzazione statistica contraria, perché l’ac- certamento è svolto in relazione al caso specifico individuale, anche se è comunque fondato su un ragionamento scientifico. In ogni caso, già in una sentenza anteriore,61 la Corte di Cassazione aveva ritenuto validi, in assenza di leggi scientifiche, i risul- tati di generalizzazioni del senso comune, ma poi la successiva giurisprudenza si era discostata da tale impostazione, escludendo del tutto la possibilità di avvalersi di generalizzazioni non scientifiche.

Lo studio della disciplina dedicata dal codice penale all’accertamento del nesso di causalità, dopo queste brevi considerazioni sulla teoria della condicio sine qua non, che secondo la tesi tradizionale e prevalente troverebbe espressione agli artt. 40 c.1 e 41 c.1 e c.3, deve proseguire con l’analisi del c.2 dell’art. 41, secondo il quale le cause

comportamenti individuali ed eventi individuali componenti di strutture complesse, collocati in un ben determinato campo causale. Si veda Ronco M., op. cit., p. 192.

57 Ronco M., op. cit., p. 192 ss.

58 Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002, n. 30328.

59 Ronco M., op. cit., p. 197.

60 Cass. pen., sez. IV, 15 ottobre 2002, n. 7026.

61 Cass. pen., sez. IV, 24 giugno 1986, n. 174512.

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sopravvenute escludono il rapporto di causalità tra conseguenza e fattori precedenti, solo se sono state da sole sufficienti a determinare l’evento.

Sia in dottrina sia in giurisprudenza prevale l’orientamento secondo il quale il legislatore con tale disposizione ha inteso limitare la straordinaria capacità espansiva della teoria condizionalistica,62 e circoscrivere così le risultanze del giudizio contro- fattuale per contenere la responsabilità penale quando sopravvenga un avvenimento eccezionale e imprevedibile per cui il fattore antecedente assume il ruolo di semplice occasione.63

La disposizione in questione ha, però, suscitato dubbi e perplessità sotto mol- teplici aspetti. Si è innanzitutto rilevata l’incompatibilità tra i precetti contenuti nell’art. 41 c.p.: il secondo comma appare difficilmente conciliabile con una lettura della intera disposizione fondata sul principio dell’equivalenza delle condizioni. Si ri- tiene perciò che questo sarà applicabile solo alle condizioni necessarie dotate di forza causale, alle concause, e non a quelle che, anche se necessarie, il fattore sopravvenuto ha fatto scadere al rango di mera occasione.64

Ne deriva per l’interprete il difficile problema consistente nell’individuazione dei criteri in base ai quali distinguere la causa dalla occasione. La nozione di sufficienza causale, infatti, viene dal legislatore impiegata senza tuttavia essere definita.

Autorevole dottrina65 ha qualificato «concause» i fattori preesistenti o contempo- ranei e «fattori interruttivi» quelli che sono esterni all’originario rapporto causa-effet- to e che danno vita a serie causali autonome e indipendenti. Nel caso di interruzione del nesso causale, il fattore preesistente condotta umana sarebbe esente da respon- sabilità, mentre, se costituisse concausa, la responsabilità sarebbe proporzionale alla misura dell’apporto causale alla verificazione dell’evento.

Alcuni, però, ragionevolmente dubitano del fatto che una condotta umana possa assumere il ruolo di causa concorrente o di causa esclusiva sulla base della collocazio- ne temporale della stessa rispetto alle altre condizioni necessarie dell’evento.66

Il fattore sopravvenuto, secondo l’opinione prevalente, è sufficiente solo se si inserisce eccezionalmente e imprevedibilmente nella catena causale, per cui esso non costituisce una linea di sviluppo del fattore preesistente.67

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo un orientamento risalente, ha affermato che possono ritenersi da sole sufficienti a determinare l’evento le cause del tutto indipendenti e autonome dalla condotta dell’uomo, che hanno avuto effica-

62 Geri V., Il rapporto di causalità in diritto civile, in Resp. civ. e prev. 1983, 2, p. 187 ss.

63 Stella F., Leggi scientifiche..., cit., p. 330 ss manifesta un’opinione diversa. Per lo studioso l’art. 41 c.p.

ribadirebbe in ciascuno dei suoi commi l’esigenza e la sufficienza del nesso condizionalistico.

64 Pucella R., op. cit., p. 31.

65 Antolisei F., Rapporto causale, concausa ed interruzione di causalità nel diritto penale, in Riv. dir. e proc.

pen., 1913, I, p. 86 ss.

66 Pucella R., op. cit., p. 25.

67 Pucella R., op. cit., p. 28.

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cia assorbente rispetto a quest’ultima. Questo indirizzo, in realtà, ribadisce il generale principio della condicio sine qua non: l’evento si sarebbe comunque verificato anche in mancanza della condotta umana, per il solo intervento del fattore concorrente. Si rileva, in molte sentenze, la tendenza ad accentuare i caratteri di assoluta indipen- denza, autonomia e imprevedibilità del fattore causale sopravvenuto, che sono propri del caso fortuito e che sono difficilmente conciliabili con il riconoscere al fattore in questione la natura di concausa.68

In altre sentenze, invece, si evidenzia come causa «da sola sufficiente» sia anche quella che si inserisce nella serie causale dipendente dalla condotta umana, ma che a tal punto agisce per forza propria nella determinazione dell’evento, da far svolgere al fattore precedente un ruolo meramente occasionale.

Un orientamento giurisprudenziale più recente, basandosi sul principio di utilità delle norme, per il quale l’art. 41 c.2 c.p. costituisce una deroga al generale principio dell’equivalenza delle condizioni, pone in rilievo l’assoluta eccezionalità e atipici- tà69 del fattore sopravvenuto.70 L’indipendenza, l’autonomia e l’assenza di relazione possono costituire un indice della sua attitudine ad essere causa da sola sufficiente a produrre l’evento, ma lo sviluppo causale può rivelarsi atipico anche se il fattore seguente abbia come premessa la condotta precedente.

«L’atipicità del decorso causale sembra dover essere valutata sul piano della derivazione degli effetti del fattore successivo da quello più remoto più che su quello, naturalistico, della loro consecuzione temporale».71

In questo senso, in diverse pronunce, si evidenzia la necessità che il fattore so- pravvenuto si ponga al di fuori di ogni prevedibile linea di sviluppo del processo causale innescato da quello precedente.72 Tuttavia ciò non risulta semplice da stabili- re. Si ritiene si debba valutare se il fattore sopravvenuto costituisca o meno normale evoluzione del precedente.

Risultano impropri altri criteri, come, ad esempio, quello della prevedibilità in capo all’autore della condotta precedente circa la verificazione del fattore successivo, in quanto essa rileva ai fini dell’imputazione della responsabilità.

Tornando al dibattito intorno all’interpretazione dell’art.41 c.2 c.p., la teoria prevalente ritiene che la disposizione abbia quale scopo quello di porre un limite al numero di cause di ciascun evento. Questa operazione di selezione comporta una va-

68 Pucella R., op. cit., p. 29.

69 Ronco M., op. cit., p. 233. Quando la Suprema Corte impiega i termini «eccezionalità» o «anor- malità» intende far riferimento solo in modo generico al regolare andamento delle cose secondo l’id quod plerumque accidit, perché, una volta creata una situazione di pericolo, sarebbe difficile ritenere prevedibili tutte le possibili attualizzazioni del rischio. Invece rileva il fatto che l’agente abbia con la sua condotta messo in pericolo il bene protetto, a questi andranno ricondotti causalmente tutti gli eventi attualizzazione del pericolo.

70 Ronco M., op. cit., p. 229 ss.

71 Pucella R., op. cit., p. 30.

72 Cass. pen., sez. I, 10 giugno 1998, n. 11024.

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lutazione di carattere giuridico e non logico-naturalistica e richiede l’individuazione di criteri che il legislatore non ha fornito.

La dottrina ha, invece, proposto molteplici teorie per delimitare le risultanze del giudizio controfattuale di condizionamento, tra le quali maggiormente impiegata è la teoria della causalità adeguata o regolarità causale.73 Fu proposta da von Kries verso la fine del XIX sec. come alternativa alla condicio sine qua non al fine di limitare la responsabilità del reo nelle ipotesi di responsabilità oggettiva, ma tale teorica si dif- fuse e viene attualmente intesa come correttivo dell’applicazione del metodo condi- zionalistico. Il nesso di causalità tra condotta ed evento sussiste solo quando la prima appare idonea a cagionare il secondo in base ad un certo grado di verosimiglianza.

Antolisei74 distingue tre posizioni per quanto concerne le modalità attraverso le quali compiere il giudizio di adeguatezza: per von Kries, è necessario tener conto delle leggi di natura pertinenti e dei dati che l’agente avrebbe dovuto conoscere al momento dell’azione (giudizio di prevedibilità ex ante e in concreto); per Thon, il giu- dizio va compiuto avvalendosi di tutte le circostanze che possono essere conosciute dalla generalità degli uomini; mentre Rümelin ritiene che devono essere considerate quelle in concreto esistenti al momento dell’azione, anche se conosciute successiva- mente o prevedibili in base alle conoscenze umane (teoria della prognosi successiva e oggettiva).

Von Träeger corregge i difetti delle formulazioni di von Kries e di Rümelin affer- mando che una circostanza è condizione adeguata di un evento se ha incrementato la possibilità oggettiva del verificarsi di un evento come quello effettivamente verifi- catosi e che si debba perciò tener conto di tutte le circostanze conoscibili ex ante da un osservatore avveduto quando si verifica la condizione e delle ulteriori conosciute dall’agente.75

Prevale comunque l’opinione per cui la previsione debba avvenire ex ante, al momento in cui la condotta è posta in essere, mentre è controverso se la valutazione debba essere svolta in astratto o in concreto.

La teoria della causalità adeguata è stata oggetto di diverse critiche, tra le quali quella per cui il giudizio di prevedibilità si sovrapporrebbe a quello inerente l’ele- mento soggettivo. Effettivamente una commistione tra le due valutazioni si verifica in giurisprudenza e la Corte di Cassazione solo talvolta afferma il principio per cui la valutazione della prevedibilità alla base della causalità adeguata deve essere compiuta in astratto, diversamente da quella dell’elemento soggettivo, che deve essere svolta in concreto.76

73 Si veda Fiandaca G. e Musco E., Diritto penale. Parte generale, Bologna, Zanichelli, 2009, p. 232 ss.

74 Antolisei F., Il rapporto di causalità..., cit., p. 115.

75 Capecchi M., op. cit., p. 85.

76 Capecchi M., op. cit., p. 91.

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Comunque, nonostante le critiche, questa teoria risulta essere la più applicata.

Un’altra teoria che ha avuto grande seguito nella dottrina e nella giurisprudenza italiane è stata formulata da Antolisei ed è conosciuta come teoria della causalità umana.

«Per l’esistenza del nesso di causalità nel senso del diritto occorrono due elementi:

uno positivo e uno negativo. Il positivo è che l’uomo con la sua azione abbia posto in essere una condizione dell’evento. Il negativo è che il risultato non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali».77 Questa teoria si fonda esclusivamente sull’ac- certamento dell’interferenza di fattori eccezionali, che deve essere giudicata ex ante, tenendo in considerazione le conoscenze disponibili al momento del fatto e di quelle a disposizione del soggetto agente.78

Il vantaggio dell’impiego della teoria della causalità umana consiste «nel poter addebitare eventi cagionati mediante sequenze causali anomale da parte di soggetti in grado di sfruttare dolosamente circostanze favorevoli»,79 risolvendosi così anche il problema della sovrapposizione dell’indagine sull’elemento oggettivo e sull’elemento soggettivo.

In Italia è stata inoltre recepita la dottrina dell’imputazione oggettiva, nata in Germania a partire dagli studi di Claus Roxin del 1970. In base a questa teoria è im- putabile solo l’evento determinato da una condotta umana quando questa ha messo in pericolo il bene protetto che si è realizzato nell’evento. Quindi sussiste creazione del pericolo e realizzazione del rischio.80

Le teorie della causalità adeguata, della causalità umana e dell’imputazione og- gettiva sono solo alcune delle teorie elaborate dalla dottrina, in quanto essa ha in- dividuato molteplici altri criteri che presuppongono l’applicazione della teoria della condicio sine qua non e che sono volti a limitarne le risultanze.

1.3 La causalità nell’illecito omissivo

Qualche considerazione a parte merita la problematica della causalità da condot- ta omissiva.

L’accertamento del nesso di causalità per l’ipotesi della responsabilità derivante da omissione non è disciplinato dal codice civile e perciò, analogamente alle ipotesi di causalità attiva, si ritiene applicabile l’art. 40 c.p., che al secondo comma prevede che «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». La formulazione di questa norma, ha dato origine a numerosi dibattiti interpretativi in ambito penale, ripresi poi anche dalla dottrina civilistica.

77 Antolisei F., Manuale di diritto penale, Milano, Giuffrè, 1991, p. 212.

78 Ronco M., op. cit., p. 221.

79 Capecchi M., op. cit., p. 98.

80 Capecchi M., op. cit., p. 122.

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