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Terapia del diabete nel paziente nefropatico

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Academic year: 2021

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RIASSUNTO

Il trattamento dell’iperglicemia nel paziente diabetico con insuffi- cienza renale è complesso, anche perché non sono ancora chia- ramente definiti gli obiettivi e i metodi per raggiungere il buon controllo glicemico. Anche se il controllo intensivo della glicemia appare in grado di rallentare la comparsa e la progressione del danno renale, se applicato nelle fasi iniziali della malattia renale, ci sono pochi dati che dimostrino l’efficacia dello stretto controllo glicemico nei pazienti con insufficienza renale severa. Inoltre, i pa- zienti diabetici con malattia renale cronica presentano spesso complicanze cardiovascolari e sono ad alto rischio di ipoglicemia, entrambi condizioni che rendono difficoltoso il trattamento del- l’iperglicemia. È essenziale una buona conoscenza della farma- cocinetica e dei possibili effetti collaterali dei farmaci in modo tale da scegliere non solo i corretti obiettivi glicemici, ma anche per in- dividuare la terapia appropriata. La metformina, seppure a do- saggio ridotto, può essere usata nei pazienti con moderata insufficienza renale. Tra gli altri farmaci orali, i più promettenti sem- brano essere i DPP-4 inibitori, soprattutto per il basso rischio di ipoglicemia associato al loro uso. Ovviamente, nell’insufficienza renale avanzata la terapia insulinica gioca il ruolo centrale nella terapia dell’iperglicemia. Un accurato monitoraggio della glicemia è indispensabile per ridurre il rischio di ipoglicemia.

SUMMARY

Treatment of diabetes in patients with kidney disease The management of hyperglycemia in patients with chronic kid- ney disease (CKD) is complex, and the goals and methods for glycemic control are not clearly defined. Although tight glycemic control seems to slow the onset and progression of renal damage in early diabetic nephropathy, data in patients with advanced CKD (including end-stage renal disease) are lacking. In addition, dia- betic patients with renal disease frequently have cardiovascular complications and are at high risk of hypoglycemic episodes, both conditions challenging their management. Thorough know - ledge of the pharmacokinetics and side effects of all hypoglyce- mic drugs is needed in order to identify not only the goals but also the most appropriate therapy. Among oral diabetic agents,

Rassegna

Terapia del diabete

nel paziente nefropatico

R. Trevisan, A.R. Dodesini, G. Lepore

USC Malattie Endocrine-Diabetologia, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo

Corrispondenza: dott. Roberto Trevisan, USC Malattie Endocrine-Diabetologia,

AO Papa Giovanni XXIII, piazza OMS 1, 24127 Bergamo e-mail: rtrevisan@hpg23.it

G It Diabetol Metab 2015;35:27-35 Pervenuto in Redazione il 18-01-2015 Accettato per la pubblicazione il 20-01-2015

Parole chiave: insufficienza renale cronica, albuminuria,

ipoglicemia, controllo glicemico, DDP-4 inibitori, insulina

Key words: chronic kidney disease, albuminuria,

hypoglycemia, glycemic control, DDP-4 inhibitors,

insulin

(2)

metformin can be safely used in patients with mild/moderate renal insufficiency, with the appropriate dosage reduction. DDP-4 inhi- bitors currently seem to be the most promising oral drug for these patients, particularly because of their low risk of hypoglycemia.

In diabetic patients with advanced CKD, insulin plays a central role but close blood glucose monitoring is essential to avoid the risk of hypoglycemia.

Le dimensioni della malattia renale cronica nei pazienti diabetici

La storia naturale della nefropatia diabetica è caratterizzata da un progressivo incremento dell’escrezione urinaria di al- bumina, che attraverso lo stadio della microalbuminuria arriva alla proteinuria clinica, da incremento dei valori pressori e da un progressivo declino del filtrato glomerulare (glomerular fil- tration rate, GFR), che può portare all’insufficienza renale ter- minale.

Nel diabete di tipo 1 la microalbuminuria compare dopo 10 an- ni di malattia e raggiunge una prevalenza circa del 50% dopo 30 anni

(1)

. Approssimativamente il 25% dei diabetici di tipo 1 sviluppa proteinuria dopo 25 anni di malattia. In presenza di proteinuria il declino del GFR, in assenza di trattamento, è di circa 12 ml/min/anno

(2)

.

La combinazione di iperglicemia e ipertensione, molto fre- quente nel diabete di tipo 2, conduce a una prevalenza di ma- lattia renale cronica (chronic kidney disease, CKD) in circa il 40% dei pazienti

(3)

. Questa condizione clinica è spesso sot- tovalutata o non diagnosticata, dal momento che i pazienti con una iniziale malattia renale cronica sono asintomatici. Dati americani su 1462 pazienti con diabete di tipo 2 che hanno partecipato al 4° National Health and Nutrition Examination Survey dal 1999 al 2004 hanno dimostrato che circa il 40%

aveva una CKD

(4)

.

Anche in Australia, dati raccolti nel 2005 in 3893 diabetici di tipo 2 che hanno aderito al National Evaluation of the Fre- quency of Renal Impairment Co-exisiting with Noninsulin De- pendent Diabetes Mellitus (NEFRON) study hanno evidenziato che circa il 23% dei soggetti aveva una velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) < 60 ml/min/1,73 m

2

, il 35% pre- sentava un’albuminuria elevata e circa il 10% mostrava en- trambe le condizioni. Gli autori concludevano che il 47% dei pazienti era da considerarsi affetto da CKD

(5)

.

Anche i dati italiani dello studio RIACE confermano questi dati:

in una coorte di 15.773 diabetici di tipo 2, il 18,7% presentava elevata microalbuminuria senza riduzione della funzione re- nale e il 18,8% presentava una eGFR < 60 ml/min/1,73 m

2

. Nei pazienti con ridotta funzione renale il 56% era normoal- buminurico, il 30,8% era microalbuminurico e il 12,6% con macroalbuminuria

(6)

. Tutti questi dati dimostrano che nel dia- bete di tipo 2 non solo la malattia renale cronica è frequente, ma spesso non è associata ad albuminuria e pertanto non presenta le classiche caratteristiche della nefropatia diabe- tica.

Oltre all’ipertensione e all’iperglicemia cronica, fattori di rischio per lo sviluppo di CKD sono l’obesità, la presenza di malattia

cardiovascolare, di dislipidemia e la familiarità per malattie re- nali.

Dai dati epidemiologici appare quindi chiaro che circa il 30- 40% dei diabetici, sia di tipo 1 sia di tipo 2, è a rischio di ne- fropatia conclamata e quindi di sviluppare una insufficienza renale progressiva. Tale condizione influenza drammatica- mente la terapia ipoglicemizzante: nel diabete di tipo 1 modi- ficando il fabbisogno insulinico, nel diabete di tipo 2 rendendo necessaria la sospensione di alcuni ipoglicemizzanti orali e l’eventuale passaggio alla terapia insulinica.

È pertanto evidente che lo screening dei pazienti con CKD è fondamentale per un efficace intervento terapeutico in grado di rallentare la velocità di progressione della malattia renale.

Tutte le evidenze confermano che l’intervento precoce è quello in grado di ottenere i risultati migliori.

Morbilità e mortalità nei diabetici con malattia renale cronica

I diabetici sono a elevato rischio di sviluppo e progressione di CKD, che a sua volta aumenta il rischio di malattia cardiova- scolare e di mortalità precoce

(7,8)

. I diabetici di tipo 2 con CKD sono destinati a una maggiore probabilità di morire di malat- tia cardiovascolare prima di raggiungere lo stadio terminale della malattia renale

(3)

. Sia la riduzione del filtrato sia l’albumi- nuria sono fattori di rischio indipendente di mortalità e morbi- lità cardiovascolare

(9)

.

Con un eGFR sotto i 60 ml/min/1,73 m

2

, il rischio di morte, di eventi cardiovascolari e di ospedalizzazione aumenta signifi- cativamente in modo esponenziale. In uno studio su più di un milione di adulti americani, il rischio di mortalità totale au- mentava progressivamente con la riduzione dell’eGFR

(10)

. I dati sono stati confermati anche in Cina in uno studio su 4421 dia- betici di tipo 2

(11)

.

Anche l’albuminuria è un marker importante di mortalità e morbilità cardiovascolare, indipendentemente da altri para- metri di funzione renale

(12)

.

Screening e determinazione della disfunzione renale nei pazienti diabetici

La consapevolezza di malattia renale cronica è generalmen- te bassa nei pazienti con diabete dal momento che la ma- lattia renale cronica non si associa a sintomi significativi.

Pertanto, questa condizione è spesso identificata solo quando i pazienti hanno già raggiunto lo stadio III, e cioè un eGFR

< 60 ml/min/1,73 m

2

. Lo screening per la determinazione della disfunzione renale dovrebbe avvenire al più presto possibile, già alla diagnosi del diabete di tipo 2. È molto importante l’identificazione della malattia renale cronica in uno stadio pre- coce in modo tale da iniziare Il trattamento in grado di ridurre il declino della funzione renale, il rischio cardiovascolare e quindi di migliorare la prognosi.

La creatinina sierica dovrebbe essere misurata almeno una

(3)

volta all’anno. Con questa determinazione è possibile calco- lare la velocità di filtrazione glomerulare mediante apposite equazioni che tengono conto dell’età del paziente, del sesso e dell’etnia. La più accurata equazione è la CKD-EPI che è attualmente consigliata dalle linee guida internazionali

(9)

. La determinazione annuale dell’eGFR permette di descrivere la velocità di progressione del danno renale e di intervenire adeguatamente in caso di rapido peggioramento della fun- zione renale.

Anche l’albuminuria dovrebbe essere misurata annualmente.

In presenza di livelli anormali, il test andrebbe ripetuto entro 2-6 mesi allo scopo di confermare la presenza di micro- o macroalbuminuria.

È fondamentale la determinazione contemporanea di eGFR e albuminuria, anche perché spesso le due alterazioni della funzione renale sono indipendenti una dall’altra.

Gli stadi della malattia renale cronica

La CKD viene attualmente classificata in 5 stadi. Recente- mente è stato deciso di dividere lo stadio 3 in 2 sottogruppi, perché si è osservato che il rischio di mortalità aumenta velo- cemente sotto i 45 ml/min/1,73 m

2(13)

. È importante ricordare che, indipendentemente dallo stadio, la presenza di albumi- nuria patologica raddoppia il rischio di eventi cardiovascolari e di mortalità (Tab. 1).

Il rischio di ipoglicemia nei diabetici con malattia renale cronica

I diabetici con disfunzione renale presentano un maggiore ri- schio di episodi ipoglicemici

(12)

. Nei pazienti con eGFR < 60 ml/min/1,73 m

2

molto spesso è necessario ridurre la dose di insulina soprattutto per la ridotta clearance renale dell’insu- lina. Va ricordato inoltre che la riduzione della funzione renale non solo si associa a una ridotta gluconeogenesi, ma anche a un prolungamento dell’emivita dei farmaci a escrezione re- nale, situazione che richiede una riduzione dei dosaggi per

evitare il rischio di episodi ipoglicemici prolungati. Le ipogli- cemie non solo influenzano la qualità di vita del paziente, ma hanno rilevanti implicazioni prognostiche negative. Il rischio di morte è aumentato in modo significativo già dopo un giorno dall’evento ipoglicemico

(14)

. Nello studio ACCORD, gli episodi ipoglicemici sono stati significativamente associati a un mag- giore rischio di mortalità cardiovascolare, soprattutto nei pa- zienti con albuminuria o ridotta funzione renale

(15)

(Tab. 2).

Appare quindi essenziale nel paziente con malattia renale cro- nica evitare il più possibile gli episodi ipoglicemici.

Il ruolo del controllo glicemico

nei pazienti con malattia renale cronica

Tutti i dati della letteratura convergono nel sostenere la cen- tralità del buon controllo glicemico nel trattamento del pa- ziente diabetico con malattia renale cronica soprattutto per la riduzione della progressione del danno renale. Le linee guida ADA/EASD affermano con chiarezza che un’emoglobina gli- cata (HbA

1c

) inferiore al 7% (53 mmol/mol) è un importante prerequisito per la riduzione dell’incidenza delle complicanze microvascolari

(16)

. Ovviamente il target di HbA

1c

deve essere individualizzato in funzione del rischio di ipoglicemia, delle complicanze cardiovascolari associate, del grado di insuffi- cienza renale cronica e della presenza di altre comorbilità

(16)

. Nel diabete di tipo 1, il DCCT e lo studio EDIC hanno dimo- strato inequivocabilmente che il buon controllo glicemico non solo è in grado di prevenire la comparsa di micro- e macroal- buminuria, ma anche di ridurre il progressivo deterioramento della funzione renale

(17)

.

Nel diabete di tipo 2, tutti gli studi (ACCORD, ADVANCE e VADT) hanno dimostrato che lo stretto controllo glicemico ha un effetto benefico sulla funzione renale

(18-20)

. In particolare, non solo il buon controllo è in grado di ridurre la comparsa di microalbuminuria, ma anche, e soprattutto, di ridurre la com- parsa di macroalbuminuria (Fig. 1). In sostanza si conferma che lo stretto controllo glicemico è in grado di ridurre il rischio di sviluppo di nefropatia diabetica manifesta. Anche se il ruolo Tabella 1 Stadi della malattia renale cronica.

Stadio Descrizione GFR

(ml/min/1,73m

2

) 1 Danno renale* con GFR ≥ 90

normale o aumentato

2 Danno renale* con GFR 60-89 lievemente ridotto

3A Moderata riduzione del GFR 45-59 3B Moderata riduzione del GFR 30-44 4 Grave riduzione del GFR 15-29 5 Insufficienza renale terminale < 15 o dialisi

*Il danno renale è definito dalla presenza di anormalità del sedimento urinario, ematochimiche o degli esami strumentali.

Tabella 2 L’effetto della funzione renale al recluta- mento sul rischio di ipoglicemia: analisi post hoc dello studio ACCORD (modificata da Miller et al.

2010)

(15)

.

Predittori di ipoglicemia severa Rapporto albumina/creatinina (mg/g)

< 30 1,0 < 0,0001

30-300 1,20 (1,02-1,44) 0,03

> 300 1,74 (1,37-2,21) < 0,0001 Creatinina sierica ( µmol/l)

< 88,4 (< 1,0 mg/dl) 1,0 0,001 88,4-114,9 1,21 (1,02-1,43) 0,03

> 114,9 (> 1,3 mg/dl) 1,66 (1,25-2,19) < 0,0001

(4)

del controllo glicemico sulla capacità di preservare la funzione renale è meno chiaro, una recente rianalisi dello studio AD- VANCE ha dimostrato come il rischio d’insufficienza renale terminale sia drasticamente ridotto dallo stretto controllo gli- cemico

(21)

.

Allo stato attuale, anche in assenza di studi eseguiti in diabe- tici con ridotta funzione renale, si può ragionevolmente affer- mare che un buon controllo glicemico appare una strategia opportuna per la riduzione del rischio di progressione del danno renale, soprattutto se si interviene precocemente.

Quale terapia nel diabetico nefropatico?

Metformina

Metformina, il farmaco di prima scelta per la terapia del dia- bete di tipo 2, è escreta immodificata a livello renale mediante ultrafiltrazione glomerulare e secrezione tubulare, con un’emi- vita compresa tra 1,5 e 9 ore

(22)

. Circa il 90% di una dose è escreto entro 12-14 ore

(23)

. Per tale motivo esiste un rischio di acidosi lattica nell’uso di metformina nei pazienti con CKD e le indicazioni tradizionali suggerivano di sospendere la terapia con metformina nei pazienti con eGFR < 60 ml/min/1,73 m

2

. Recentemente tale divieto per metformina è stato dibattuto e rivisto

(24,25)

. Sia le linee guida ADA/EASD

(16)

sia gli Standard Italiani AMD/SID per la cura del diabete mellito (disponibili consultando www.siditalia.it o www.aemmedi.it) non con- troindicano metformina nei pazienti con eGFR compreso fra 60 e 30 ml/min/1,73 m

2

. La dose però non deve essere supe- riore al grammo nei pazienti con eGFR < 45 ml/min/1,73 m

2

. È prudente controllare la funzione renale ogni 6 mesi nei pa- zienti con CKD trattati con metformina. Inoltre tutti i pazienti in terapia con metformina dovrebbero essere avvertiti di so- spendere il farmaco in situazioni che possono aumentare il ri- schio di disidratazione. Il rischio di acidosi lattica è elevato in queste situazioni, indipendentemente dai livelli basali di fun- zione renale.

È importante ricordare che metformina non causa danno re- nale diretto in alcun modo, ma solo attraverso il rischio di aci- dosi lattica.

Sulfoniluree e glinidi

Anche se le sufoniluree sono ancora usate largamente per il trattamento del diabete di tipo 2, il loro uso è associato al rischio di ipoglicemia spesso severa, correlato alla loro emivita pla- smatica. Per tale motivo è essenziale nei pazienti con ridotta funzione renale usare solo le molecole a breve durata d’azione.

Glipizide e gliclazide sono da preferire e il dosaggio deve sem- pre essere ridotto in presenza di eGFR < 60 ml/min/1,73 m

2

. Gliquidone ha un’emivita di 3-4 ore; non forma metaboliti attivi e l’eliminazione avviene per il 95% per via biliare e solo per il 5% per via renale. Per tale motivo potrebbe essere utilizzato anche nei pazienti con insufficienza renale

(26)

. Purtroppo è una molecola non facilmente reperibile in commercio.

Glibenclamide dovrebbe invece essere sempre evitata in que- sta categoria di pazienti. In qualsiasi caso con eGFR inferiore a 30 ml/min/1,73 m

2

la terapia con questa categoria di far- maci dovrebbe essere evitata, proprio per il grave rischio di episodi ipoglicemici.

In Italia è molto usata repaglinide nei pazienti con ridotta fun- zione renale, dal momento che tale farmaco è escreto preva- lentemente a livello epatico. Essa ha un’emivita di 0,6-1,8 ore ed è escreta nella bile e nelle feci. Meno del 10% di una dose compare nell’urina, ma la concentrazione del farmaco, l’area sotto la curva (AUC) e l’emivita sono incrementate nei pazienti con insufficienza renale e in dialisi

(27)

. Il rischio di ipoglicemia pertanto esiste anche con questo farmaco che va usato con molta prudenza nei pazienti con eGFR < 30 ml/min/1,73 m

2

.

Inibitori dell’ α-glucosidasi

L’utilizzo degli inibitori dell’ α-glucosidasi (acarbosio e migli- tolo) è sconsigliato nei soggetti con insufficienza renale, poi- ché entrambi i farmaci si accumulano nei soggetti con ridotta funzionalità renale

(28)

.

Pioglitazone

Pioglitazone è completamente metabolizzato a livello epatico, con formazione di numerosi metaboliti. Ha un’emivita di 3- 7 ore, forma sei metaboliti, tre dei quali sono attivi

(28)

. In caso di insufficienza renale non si ha alcun accumulo di pioglita- zone né dei suoi metaboliti attivi

(29)

. Infatti, l’AUC è ridotta nei pazienti con insufficienza renale severa, forse per ridotto le- game alle proteine. L’emodialisi non ne altera la farmacodi- namica. Pertanto non è necessario ridurre il dosaggio di tale farmaco nei pazienti con ridotto GFR

(28)

. Vanno però consi- derati gli effetti collaterali potenzialmente rischiosi in pazienti con nefropatia avanzata, in particolare l’edema e l’insufficienza cardiaca congestizia

(30)

.

DPP-4 inibitori

Attualmente sono disponibili quattro farmaci di questa classe (sitagliptin, vildagliptin, linagliptin e alogliptin, Tab. 3). I DPP-4 inibitori sono molecole per via orale, in grado di ridurre l’HbA

1c

come gli altri antidiabetici orali, che però non aumentano il

Riduzione (%)

Microalbuminuria Macroalbuminuria 0

-5 -10 -20 -25 -30 -35 -40 -45 -50

-9

-23 -26

-30

-43 -43

ADVANCE ACCORD VADT

Figura 1 Efficacia del controllo glicemico intensivo sulla com-

parsa di nuovi casi di micro- e macroalbuminuria negli studi

ADVANCE, ACCORD e VADT.

(5)

rischio di ipoglicemia a meno che non siano somministrati insieme alle sulfoniluree o all’insulina

(31)

. Per tale motivo pos- sono essere somministrati con sicurezza nei pazienti con CKD moderata o severa, con opportune riduzioni del loro dosag- gio

(32,33)

. Linagliptin è l’unica molecola di questa classe con un’escrezione prevalentemente epatica, per la quale non è necessario alcun aggiustamento del dosaggio nei pazienti con ridotta funzione renale

(33)

.

Vildagliptin è stato studiato accuratamente in coorti di pazienti con severa riduzione della funzione renale e si è dimostrato ef- ficace e sicuro anche in pazienti in dialisi

(34-36)

.

È possibile che questa classe di farmaci possieda un effetto nefroprotettivo, indipendentemente dalla loro azione sul con- trollo glicemico. Linagliptin si è, infatti, dimostrato in grado di ridurre l’albuminuria in pazienti con ridotta funzione renale in- dipendentemente dalla sua azione ipoglicemizzante

(37)

. In un gruppo di 217 diabetici di tipo 2 con albuminuria elevata, il trattamento con linagliptin si associava a una riduzione del 32% della escrezione di albumina, e questo effetto era indi- pendente dalla riduzione dell’HbA

1c

e dalla pressione arteriosa (Fig. 2). Questo dato è stato confermato anche per saxagli p - tin. Nello studio SAVOR

(38)

, nei pazienti che assumevano sa- xagliptin si è osservata non solo una modesta, ma significativa riduzione della comparsa di microalbuminuria, ma anche una maggiore probabilità di regressione della microalbuminuria, anche nei pazienti con ridotta funzione renale

(39)

.

Appare pertanto evidente come questa classe di farmaci po- trebbe svolgere un ruolo importante nel trattamento del pa- ziente diabetico con riduzione della funzione renale.

Agonisti recettoriali del GLP-1

Attualmente sono disponibili quattro farmaci di questa classe (exenatide, exenatide LAR, liraglutide e lixisenatide). Sono mo- lecole di struttura molto diversa, da iniettare sc e con notevoli differenze di farmacocinetica (exenatide e lixisenatide sono a breve durata d’azione, liraglutide ed exenatide LAR a lunga du- rata d’azione) e sono particolarmente efficaci non solo nel ri- durre l’HbA

1c

, ma anche nel ridurre il peso grazie alla loro azione sullo svuotamento gastrico e sull’appetito

(40)

. Condividono con i DPP-4 inibitori il basso rischio di ipoglicemia. I più frequenti eventi collaterali sono nausea, vomito e diarrea che tendono a Tabella 3 Confronto tra le caratteristiche farmacocinetiche dei DDP4-inibitori.

Sitagliptin Saxagliptin Vildagliptin Linagliptin Alogliptin

Dosaggio 100 mg QD 5 mg QD 50 mg BID 5 mg QD 25 mg QD

Emivita 12 ore 2 ore 3 ore > 120 ore 21 ore

Principalmente Eliminazione di Eliminazione di Enteroepatica; Principalmente

eliminato metaboliti metaboliti eliminato eliminato

Eliminazione immodificato (citocromo (no enzimi immodificato immodificato nelle urine (75%) P450 3A4/5) e citocromo 450) e nelle feci e via nelle urine (63%)

clearance renale clearance escrezione biliare

(24%) renale (23%) (85%)

Effetto su HbA

1c

Clinicamente Clinicamente Clinicamente Clinicamente Clinicamente (in monoterapia) rilevante; rilevante; rilevante; rilevante; rilevante;

fino a –0,8% fino a –0,8% fino a –0,8% fino a –0,8% fino a –0,8%

Ridurre la dose Ridurre la dose Ridurre la dose Non necessaria Ridurre la dose a 50 mg/die nella a 2,5 mg/die nella a 50 mg/die nella riduzione del a 12,5 mg/die CKD moderata CKD moderata CKD moderata dosaggio nella CKD

(CrCl da ≥ 30 (CrCl da ≥ 30 (CrCl da ≥ 30 moderata

Uso in CKD a ≤ 50 ml/min); a ≤ 50 ml/min) a ≤ 50 ml/min) (CrCl da ≥ 30

ridurre la dose e severa a ≤ 50 ml/min);

a 25 mg/die nella (CrCl < 30 ml/min) ridurre la dose

CKD severa a 6,25 mg/die

(CrCl < 30 ml/min) nella CKD severa

(CrCl < 30 ml/min)

BID: due volte al giorno; CrCl: clearance della creatinina; QD: una volta al giorno.

Riduzione di UACR dopo 12 e 24 settimane di trattamento Media geometrica (IC al 95%)

40 20 0 -20 -40 -60

12 settimane 24 settimane

*p < 0,05 vs baseline

Placebo Linaglliptin

-6 -29* -6

-32*

Figura 2 Linagliptin vs placebo, riduzione percentuale del-

l’albuminuria misurata come rapporto albuminuria/creatininu-

ria (UACR) (modificata da Groop et al. 2013)

(37)

.

(6)

diminuire però nel tempo

(41)

. Non sono consigliati al momento attuale nei pazienti con eGFR < 60 ml/min/1,73 m

2

, sia perché la loro clearance è in parte renale sia perché non ci sono suffi- cienti dati clinici disponibili. Solo nel prossimo futuro (quando saranno disponibili gli studi in corso) sarà possibile valutare il loro uso potenziale nei pazienti con moderata o severa CKD.

Inibitori del cotrasporto

sodio/glucosio (SGLT2 inibitori)

Questa nuova classe di antidiabetici orali è di prossima intro- duzione nel mercato italiano. Migliorano il controllo glicemico, similmente agli altri antidiabetici orali, inibendo a livello renale il cotrasporto sodio/glucosio e di conseguenza aumentando l’escrezione di glucosio

(42)

. I più comuni effetti collaterali sono un aumentato rischio di infezioni genitali e del tratto urinario.

I dati disponibili dimostrano una loro minore efficacia nei pa- zienti con ridotta funzione renale

(43)

. Possono essere usati con prudenza nei pazienti con eGFR tra 60 e 30 ml/min/1,73 m

2

, ma sono controindicati nei pazienti con insufficienza renale severa

(16)

. Alcuni dati preliminari mostrano un possibile effetto di riduzione dell’albuminuria con questa classe di farmaci

(44)

, ma il significato di questi dati sarà testato in trial clinici già in corso su pazienti con danno renale e albuminuria.

La figura 3 illustra schematicamente le indicazioni attuali sul- l’uso dei farmaci per il diabete nei pazienti con vari gradi di funzione renale.

Insulina

L’insulina può essere somministrata in qualsiasi stadio della malattia renale. Ovviamente si associa a rischio d’ipoglicemia e una stretta aderenza a un corretto monitoraggio delle glice- mie è essenziale per la sicurezza della terapia.

Fabbisogno insulinico nell’insufficienza renale

La sensibilità all’insulina è ridotta nei pazienti con insufficienza renale, anche nelle fasi iniziali

(45)

e la stessa insulino-resistenza è stata indicata come potenziale fattore di rischio per lo svi- luppo di nefropatia

(46)

. Nonostante questa condizione, nell’in- sufficienza renale si verifica spesso un marcato calo del fabbisogno insulinico, che in taluni casi può portare alla so- spensione del trattamento

(47,48)

. Le possibili spiegazioni sono le seguenti.

– A differenza dell’insulina endogena, che è sostanzialmente degradata dal fegato, l’insulina esogena è principalmente eliminata dal rene normale. L’insulina è liberamente filtrata a livello glomerulare e poi è estensivamente riassorbita a livello del tubulo prossimale. L’insulina filtrata passa attra- verso la membrana apicale delle cellule dell’epitelio tubu- lare prossimale ed è poi enzimaticamente degradata in frammenti peptidici di varie dimensioni, che sono poi rias- sorbiti. C’è anche un meccanismo di captazione e degra- dazione dell’insulina da parte delle cellule dell’endotelio peritubulare e dell’epitelio renale, con una clearance re- nale totale che eccede il GFR

(49)

. Mano a mano che l’in- sufficienza renale progredisce, aumenta la captazione peritubulare di insulina. Ciò compensa il declino nella de- gradazione dell’insulina filtrata fino a che il GFR si riduce a meno di 20 ml/min/1,73 m

2

. Al di sotto di questo livello la clearance dell’insulina si riduce, aumenta l’emivita del- l’insulina e si riduce il fabbisogno insulinico

(50-52)

. Quando la clearance e il catabolismo dell’insulina sono ridotti, gli effetti metabolici sia delle insuline a breve durata d’azione sia delle insuline ritardate persistono più a lungo e au- menta il rischio potenziale di ipoglicemia.

– Spesso l’uremia comporta una condizione di anoressia e perdita di peso che induce una starvation simile a quella delle diete utilizzate in era pre-insulinica.

Pioglitazone Glipizide Gliclazide Glimepiride Glibenclamide Repaglinide Acarbose Metformina Alogliptin Linagliptin Saxagliptin Vildagliptin Sitagliptin Lixisenatide Exenatide Liraglutide Insulina

> 60 60-30 < 30 Emodialisi

eGFR (ml/min/1,73 m2)

La linea tratteggiata sottolinea la necessità di ridurre i dosaggi del farmaco

Figura 3 Utilizzo degli attuali

farmaci per il trattamento del

diabete a seconda del grado di

funzione renale.

(7)

La riduzione del fabbisogno insulinico in pazienti con riduzione del GFR è risultata simile sia nel diabete di tipo 1 sia nel dia- bete di tipo 2 in uno studio retrospettivo su 40 pazienti

(51)

. Poiché nei pazienti con nefropatia il declino della funzione re- nale è progressivo, è indispensabile un accurato monitorag- gio dei livelli glicemici, al fine di modificare il regime terapeutico insulinico ed evitare episodi ipoglicemici.

Come regola grossolana è stata suggerita una riduzione del 25% del dosaggio insulinico rispetto a quello usuale alla pre- senza di eGFR compreso tra 10 e 50 ml/min/1,73 m

2

e una riduzione del 50% in presenza di GFR inferiore a 10 ml/min/

1,73 m

2(53,54)

(Fig. 4).

Dopo l’inizio della terapia emodialitica spesso il fabbisogno insulinico si riduce ulteriormente, poiché la terapia emodialitica riduce l’insulino-resistenza

(53,55)

.

Nei pazienti diabetici in trattamento con dialisi peritoneale la somministrazione intraperitoneale di insulina spesso ottiene un migliore controllo glicemico con più bassi dosaggi insuli- nici rispetto alla somministrazione sottocutanea

(55-57)

. In par- ticolare la riduzione del fabbisogno insulinico si verifica se l’insulina è instillata nella cavità peritoneale quando è vuota, mentre se l’ormone è instillato nella cavità peritoneale as- sieme al liquido di dialisi c’è una perdita di attività dovuta alla diluizione nel fluido e all’adesione alla superficie di plastica del sistema di infusione della soluzione di dialisi. La sommi- nistrazione intraperitoneale di insulina oltre a permettere un più fisiologico effetto dell’insulina sembra ridurre anche la for- mazione di anticorpi anti-insulina rispetto alla somministra- zione sottocutanea

(57)

.

Schemi di terapia insulinica nell’insufficienza renale

Ci sono pochi dati in letteratura riguardanti lo schema insuli- nico più appropriato per un paziente con insufficienza renale severa.

Sono scarsi gli studi riguardanti la farmacocinetica delle varie formulazioni di insulina in soggetti con vario grado di insuffi- cienza renale. Alcuni autori suggeriscono di evitare le formu - lazioni insuliniche a lunga durata d’azione in pazienti con

insufficienza renale avanzata

(53)

, mentre altri autori suggeriscono l’utilizzo di tali preparati

(55)

. In particolare è stata suggerita quale possibile opzione l’utilizzo di insulina glargine per fornire il fab- bisogno basale delle 24 ore associata a boli di basso dosaggio di analogo insulinico rapido (lispro o aspart)

(48)

. Non esistono però al momento studi circa l’utilizzo dell’insulina glargine nel- l’insufficienza renale di grado avanzato.

Reaven et al. hanno studiato la farmacocinetica dell’insulina regolare e dell’analogo lispro in soggetti con diabete di tipo 1:

i pazienti con nefropatia diabetica (GFR medio 54 ml/min/

1,73 m

2

) avevano una riduzione del 30-40% della clearance sia dell’insulina regolare sia della lispro rispetto ai pazienti senza nefropatia

(58)

. Paradossalmente, nonostante i più alti livelli di in- sulina circolante, sia il picco d’azione sia gli effetti metabolici dell’insulina sono risultati ridotti nei soggetti con nefropatia e perciò gli autori hanno suggerito che dovrebbe essere neces- saria l’iniezione di più alte dosi per ottenere un compenso me- tabolico comparabile a quello dei soggetti senza nefropatia. Di particolare interesse è il rilievo che l’analogo insulinico lispro presenta una farmacodinamica, valutata mediante gli effetti sul metabolismo del glucosio, simile nei pazienti senza nefropatia e in quelli con tale complicanza. Gli autori concludono, in ac- cordo con altre limitate segnalazioni

(58,59)

, che, per tali caratte- ristiche, l’analogo lispro potrebbe ridurre il rischio di ipoglicemie e migliorare il compenso metabolico nei pazienti con insuffi- cienza renale (Fig. 1). In uno studio randomizzato cross-over su pazienti con diabete di tipo 2 complicato da nefropatia con- clamata sono stati confrontati, mediante clamp euglicemico, gli effetti sul rene e sul metabolismo dell’insulina regolare e del- l’analogo lispro, somministrati prima di un pasto standard. L’in- sulina lispro previene l’iperfiltrazione glomerulare e limita gli effetti sul rene del pasto e/o dell’iperglicemia indotta dal pasto.

Gli autori ipotizzano che tali effetti siano correlati a un’azione antagonista all’IGF-1

(60)

.

Nei pazienti in emodialisi, che hanno in genere un differente fabbisogno insulinico nei giorni di dialisi rispetto agli altri giorni, è stato suggerito uno schema flessibile multiniettivo con in- suline ad azione rapida

(61)

. Un’altra possibilità è l’utilizzo della somministrazione sottocutanea continua d’insulina (CSII) me- diante microinfusore. Questa modalità terapeutica ha il dop- pio vantaggio di poter somministrare un’infusione basale programmabile a una velocità minore nei giorni di emodialisi e di poter utilizzare diversi tipi di bolo ai pasti (bolo a picco, a onda quadra, a onda doppia). È riportata una segnalazione di utilizzo della CSII in sporadici casi di pazienti in emodialisi con buoni risultati

(48)

. Non ci sono dati che dimostrino che questa modalità terapeutica sia in grado di ridurre il rischio ipoglicemico nei pazienti con CKD.

Conclusioni

Anche se è ormai ben stabilito che un buon controllo glicemico, applicato precocemente, è in grado di ridurre sia la comparsa sia la progressione del danno renale nel paziente diabetico, molto meno chiaro è il ruolo dello stretto compenso glicemico nei pazienti diabetici con insufficienza renale avanzata e in dia-

Normale

120 0

ESRD 15

pre-ESRD 30

60 120

IRC moderata IRC

iniziale 90

50% dose di insulina

25% dose di insulina

Figura 4 Istruzione schematica per la riduzione della dose di

insulina in base al filtrato glomerulare (ml/min/1,73 m

2

) (mo-

dificata da Aronoff et al., 1999)

(54)

.

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lisi. Inoltre, tali pazienti hanno frequenti crisi ipoglicemiche e pre- sentano spesso concomitanti patologie cardiovascolari, per cui è considerato accettabile il conseguimento di un moderato compenso glicemico con livelli di HbA

1c

compresi tra 7 e 8%

(53-64 mmol/mol)

(16)

. Inoltre la scelta del trattamento farmaco- logico in questi pazienti non è semplice e richiede una perfetta conoscenza della farmacocinetica dei farmaci usati e dei loro possibili effetti collaterali. Le attuali evidenze sembrano favorire, tra i farmaci orali, la metformina per i casi con insufficienza re- nale moderata e i DPP4-inibitori anche nei pazienti con severo deterioramento della funzione renale. Sicuramente la terapia in- sulinica gioca un ruolo importante nella terapia dell’iperglice- mia, ma è assolutamente necessario uno stretto monitoraggio glicemico al fine di ridurre il rischio di ipoglicemie. È auspicabile che studi clinici adeguatamente disegnati possano nel pros- simo futuro orientare meglio le nostre decisioni terapeutiche.

Conflitto di interessi

Nessuno.

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