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Università degli studi dell Aquila dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche. Corso di laurea triennale di Scienze Motorie-L22

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Academic year: 2022

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Università degli studi dell’Aquila dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche

Corso di laurea triennale di Scienze Motorie-L22

Tesi di Laurea

“EFFETTI DELL’ESERCIZIO SULLA PRESSIONE ARTERIOSA NELLE DONNE IN FASE POST MENOPAUSA: MECCANISMI FISIOLOGICI.”

Relatore Candidata

Prof. Aldo Giovannelli Angela Ricci

Anno Accademico 2019/2020

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Sommario

Introduzione ... 5

1. Fisiologia della menopausa ... 7

1.1 Profilo endocrino ... 8

2. La pressione arteriosa ... 10

3. I regimi aerobico e anaerobico ... 14

3.1 Il ruolo delle miochine ... 18

4. L’esercizio fisico in menopausa... 21

Conclusioni ... 30

Bibliografia ... 31

Sitografia ... 32

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Introduzione

Questo lavoro prende in esame un importante periodo della vita della donna caratterizzato dall’esaurimento del periodo fertile. In questo periodo, che investe circa la metà della vita di una donna, avvengono una serie di mutamenti che riguardano il sistema endocrino e che hanno importanti effetti sistemici, effetti che possono influire su una serie di regolazioni omeostatiche, perturbandole.

In particolare, ho preso in esame ed approfondito i meccanismi che regolano la funzione cardiovascolare e come questi possono essere alterati da elementi che riguardano sia aspetti puramente fisici, sia da aspetti psicologici che intervengono nelle fasi che caratterizzano la menopausa.

Nella letteratura scientifica si riporta che alterazioni della funzionalità cardiovascolare, in particolare nei meccanismi di regolazione della pressione arteriosa, possono essere abbastanza comuni in menopausa, anche nei casi in cui i disturbi associati a questa fase della vita femminile vengono compensati parzialmente con terapie varie.

Uno dei presidi che riveste una certa importanza in questa fase riguarda l’esercizio fisico, un presidio che ormai, anche nel senso comune, costituisce un elemento estremamente utile da introdurre nello stile di vita per tutta la sua durata. Questo presidio è particolarmente efficace sia a livello preventivo sia come adiuvante terapeutico in presenza di alterazioni omeostatiche fisiologiche, come la menopausa, sia in caso di insorgenza di patologie che investono il benessere fisico o psichico. La menopausa porta con sé alterazioni del quadro ormonale che investono l’organismo in modo sistemico, compresa la sfera psichica, che investono sinergisticamente anche

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la funzionalità cardiovascolare, per la cui regolazione l’esercizio fisico rappresenta un ottimo fattore preventivo e/o terapeutico.

Esiste una molteplicità di lavori nella letteratura internazionale che si occupa di questo tema. All’interno di questo complicato arcipelago ho scelto di illustrare un lavoro di rassegna che analizza nel dettaglio il rapporto tra finzione cardiovascolare, in particolare la regolazione della pressione arteriosa, nelle fasi che precedono e seguono l’insorgenza della menopausa, focalizzandosi da una parte sulla dinamica fisiologica e dall’altra sugli effetti che l’esercizio fisico induce a livello sistemico.

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1. Fisiologia della menopausa

Dal punto di vista fisiologico, per menopausa si intende l’arresto definitivo ed irreversibile del fenomeno mestruale, quale espressione clinica dell’esaurimento funzionale dell’ovaio. L’età media di insorgenza della menopausa nel Mondo Occidentale è variabile tra i 46 ed i 52 anni. La diagnosi di menopausa si può porre unicamente in modo retrospettivo. Il criterio diagnostico di base è un periodo minimo di amenorrea di 6-12 mesi accompagnato o meno dai tipici disturbi di origine neurovegetativa. Per perimenopausa si intende l’insieme della premenopausa e della post menopausa, a cavallo della menopausa vera e propria; per climaterio un periodo più vasto, che comprende premenopausa, menopausa e post menopausa, cioè tutto l’arco di tempo da quando iniziano a quando si completano le modificazioni involutive legate al progressivo decadimento della funzione ovarica. La menopausa può essere tempestiva o precoce, spontanea (naturale) o provocata (artificiale). Se avviene prima dei 40 anni, si parla di menopausa precoce, fenomeno frequentemente legato a cause genetiche, chemioterapia, radiazioni o ad interventi chirurgici. Con la menopausa si esaurisce la fase “fertile” della vita della donna e si assiste ad un marcato mutamento dell’assetto endocrino dell’organismo, legato alla progressiva scomparsa degli ormoni ovarici (sterilità fisiologica). Durante la premenopausa iniziano a manifestarsi improvvise e poco prevedibili irregolarità mestruali: tali fenomeni sono l’espressione clinica di iniziali alterazioni della funzionalità ovarica che determinano di fatto una progressiva diminuzione della fertilità. La post menopausa segue l’evento menopausa e sfuma nella senescenza. In questa fase si completa

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l’involuzione degli organi e delle funzioni fisiche e psichiche iniziate in fase premenopausale (Sitografia, medicalsystems.it).

1.1 Profilo endocrino

Durante la fase premenopausale, si assiste ad una ampia gamma di comportamenti dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio, anche se, in genere, è già presente un iniziale aumento dell’FSH legato ad una incipiente riduzione dei livelli plasmatici di estradiolo. I cicli sono spesso anovulatori: la carenza di progesterone crea un clima di iper estrogenismo relativo capace spesso di determinare quadri di iperplasia endometriale da iperstimolazione.

Clinicamente, a causa di una accelerata fase follicolare causata dall’aumento dell’FSH, i cicli sono di durata ridotta. L’ormone FSH aumenta drasticamente raggiungendo valori pari a 10-20 volte quelli osservabili durante la fase follicolare di una donna in età fertile. L’aumento dell’LH è, invece, pari a circa 1/3 di quello subito dall’FSH. Negli anni successivi, i valori delle gonadotropine si stabilizzano su livelli più bassi. Con la riduzione della funzione ovarica, la capacità di sintesi di estrogeni e progesterone viene meno. In particolare, l’estradiolo, ormone tipico dell’età fertile, scende a livelli inferiori al 10% dei valori dell’età riproduttiva, mentre il progesterone scompare. Almeno il 40% delle donne, tuttavia, mantiene livelli di estradiolo pari a quelli osservabili in una fase follicolare precoce fino a un anno dall’ultima mestruazione. Le cellule dell’ilo ovarico, stimolate dalle alte concentrazioni di LH, incrementano la produzione di ormoni androgeni (in particolare quella di testosterone e, in misura minore, di androstenedione, che viene in massima parte prodotto dal surrene). Gli androgeni vengono successivamente trasformati in estrone a livello del

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tessuto adiposo e del fegato. L’estrone è il principale estrogeno circolante in post menopausa. Essendo dotato di una potenza biologica inferiore a quella dell’estradiolo (tra estrone ed estradiolo esiste comunque una convertibilità reciproca) non è in grado di impedire l’insorgenza dei disturbi che caratterizzano la sindrome climaterica. Nonostante in postmenopausa si assista ad una riduzione dei livelli di androstenedione (i valori ematici sono dimezzati per effetto di una cessazione dell’attività di sintesi gonadica) e di testosterone (la sintesi ovarica si triplica ma vi è un forte calo della sua produzione extragonadica), per effetto del forte ipoestrogenismo, il rapporto estrogeni/androgeni diminuisce ed il clima ormonale è di tipo androgenico. Ciò condiziona la comparsa delle prime modificazioni estetiche postmenopausali. Durante il periodo postmenopausale si riscontra con relativa frequenza un ipotiroidismo subclinico, tuttavia, l’omeostasi tiroidea influisce scarsamente sulla menopausa, ma quest’ultima può avere delle conseguenze cliniche nella patologia autoimmune della tiroide (Sitografia, medicalsystems.it).

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2. La pressione arteriosa

La pressione arteriosa è espressione della pressione propulsiva generata dall’azione di pompa del cuore. Nel circolo sistemico, la pressione misurata al livello aortico indica la pressione generata dal ventricolo sinistro e varia da un valore massimo di 120 mm Hg durante la sistole ventricolare (pressione sistolica) a un valore di 80 mm Hg durante la diastole ventricolare (pressione diastolica). La pressione arteriosa è il principale fattore che determina il flusso di sangue in circolo che procede secondo gradiente. Il flusso di sangue in entrata nell’aorta dipende dalla gittata pulsatoria del ventricolo sinistro e dalle resistenze delle arteriole (resistenze periferiche). A livello macroscopico la pressione arteriosa è direttamente proporzionale alla gittata cardiaca e alle resistenze periferiche, entrambi regolate dal sistema nervoso autonomo (SNA). Un altro elemento importante nel controllo della pressione arteriosa è la volemia, da cui dipende in modo direttamente proporzionale, e dalla rigidità dei vasi sanguigni arteriosi e venosi. (Dee Unglaub SILVERTHORN, 2013).

La regolazione fisiologica della pressione arteriosa si avvale principalmente di due meccanismi, uno a breve termine (mediato principalmente dal SNA) e l’altro a lungo termine (mediato principalmente a livello endocrino). Nella regolazione a breve termine entra un arco riflesso generato da particolari meccanocettori che si trovano a livello dei seni carotidei e dell’arco aortico, i barocettori. Questi recettori sono sensibili allo stiramento delle pareti dei vasi a cui rispondono depolarizzandosi e generando un treno di potenziali di azione la cui frequenza dipende dal grado di stiramento che a sua volta dipende dalla pressione all’interno dei vasi. I segnali vengono trasmessi tramite il nervo di Hering al glossofaringeo ed al tratto solitario del bulbo

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fino ad arrivare al centro di controllo cardiovascolare bulbare. Il centro di controllo cardiovascolare discrimina il valore della pressione arteriosa a partire dalla frequenza di scarica attraverso in confronto con un valore di riferimento per cui attiverà una vasocostrizione e aumento della gittata cardiaca se il valore della PA è basso, una vasodilatazione e diminuzione della GC se viceversa il valore della PA è elevato. Il riflesso barocettivo è particolarmente importante per il controllo di oscillazioni rapide ed improvvise della PA, per cui può considerarsi un tampone della PA.

Tuttavia, può accadere che questo sistema si adatti a valori alterati della PA, come può accadere nell’ipertensione cronica e nell’invecchiamento del sistema vascolare.

Avremo anche dei recettori localizzati al livello delle arterie polmonari, definiti da stiramento o a bassa pressione. Sono simili ai recettori analizzati in precedenza (i barocettori presenti al livello delle grandi arterie sistemiche) però, dato che il circolo polmonare è a bassa resistenza rispondono a variazioni polmonari molto basse, riducendo al minimo le variazioni della pressione, quando si verifica ipovolemia (Sitografia, unmedicopertutti.it) (Dee Unglaub SILVERTHORN, 2013).

Prendendo in esame i meccanismi a lungo termine si osserva che in tutti intervengono i reni, in quanto regolano il bilancio idrosalino.

Un primo meccanismo che si vuole descrivere interviene in casi in cui l’aumento della PA dipende da un aumento della volemia. In questo caso l’eccessivo volume ematico induce una dilatazione delle pareti atriali le cellule cardiache rispondono con il rilascio dell’ormone Peptide Natriuretico Atriale (PNA). Il PNA agisce a livello renale inibendo l’assorbimento di Na, quindi promuovendone l’eliminazione

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accompagnata dalle molecole di acqua con il risultato di una riduzione della volemia.

Il secondo meccanismo che vogliamo illustrare brevemente interviene in casi di ipotensione dovute ad esempio ad eccessive perdite di liquidi che implicano una riduzione della volemia. Questo processo è innescato dall’apparato juxtaglomerulare del rene il quale in presenza di una riduzione di flusso sanguigno a livello del nefrone secerne un enzima (la renina) che agisce promuovendo l’attivazione dell’angiotensinogeno ad angiotensina II (AT2). In particolare, la Renina agisce sull’Angiotensinogeno formando Angiotensina I, successivamente quest’ultima viene trasformata in Angiotensina II dall’enzima di conversione ACE (Dee Unglaub SILVERTHORN, 2013). La AT2 agisce direttamente come vasocostrittore ed indirettamente promuovendo il rilascio di aldosterone da parte del surrene con conseguente aumento del riassorbimento di Na a livello dei tubuli renali. Inoltre, stimola il rilascio di Vasopressina (ADH) da parte della Neuroipofisi che, attraverso le acquaporine, induce il riassorbimento di acqua a livello del dotto collettore.

Questi eventi nel loro insieme inducono aumento della volemia e, quindi, contribuiscono ad un aumento della PA (Sitografia, gianlucagalante.it).

A causa dell’importanza del mantenimento di un adeguato flusso ematico cerebrale e cardiaco, il sistema nervoso centrale coordina il controllo riflesso della pressione arteriosa. Il centro di controllo cardiovascolare bulbare, localizzato nel midollo allungato, è la prima stazione di arrivo degli impulsi afferenti dai vari recettori sensoriali periferici (barocettori e chemiocettori).

L’informazione efferente dal centro di controllo cardiovascolare viene trasportata dai neuroni autonomi. La funzionalità cardiaca è regolata da un controllo antagonista: l’aumento dell’attività simpatica aumenta il ritmo del

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nodo SA, abbrevia il tempo di conduzione nel nodo AV e aumenta la forza di contrazione del miocardio. La resistenza periferica è controllata dai neuroni simpatici: un aumento della scarica determina vasocostrizione l’aumento dell’attività parasimpatica rallenta la frequenza cardiaca, ma non ha effetti significativi sulla contrazione ventricolare. Il centro di controllo cardiovascolare è anche in comunicazione reciproca con i centri di controllo bulbari della respirazione, di conseguenza un aumento della respirazione comporta un aumento della gittata cardiaca. La pressione arteriosa è anche sottoposta a modulazione dei centri cerebrali superiori, per esempio ipotalamo e corteccia cerebrale. L’ipotalamo è responsabile delle risposte cardiovascolari che contribuiscono al mantenimento della temperatura corporea e alla risposta di fight or flight. Le risposte apprese o emotive possono originare a livello della corteccia cerebrale ed essere espresse da risposte cardiovascolari quali l’arrossire o lo svenimento. Uno di questi riflessi è la risposta vasovagale, che può essere innescata in alcune persone dalla vista del sangue o dell’ago. Questa risposta è dovuta all’aumento dell’attività parasimpatica e alla diminuzione di quella simpatica che determinano rallentamento della frequenza cardiaca e vasodilatazione diffusa, provocando un improvviso crollo della pressione arteriosa (Dee Unglaub SILVERTHORN, 2013).

Complessivamente, questo breve quadro illustra una rete di complessi meccanismi fisiologici deputati al mantenimento di una corretta regolazione della pressione arteriosa, Tuttavia, questi possono essere influenzati da una serie di patologie che possono alterarne la regolazione funzionale. Tra questi anche alterazioni dell’assetto ormonale, compreso quello che accompagna l’instaurarsi della condizione di menopausa.

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3. I regimi aerobico e anaerobico

Molte volte, si sente parlare di attività o esercizio fisico considerando i due termini sinonimi. Tra loro però c’è una differenza. L'attività fisica è infatti qualsiasi tipologia di movimento del corpo prodotto dalla contrazione muscolare che aumenti il dispendio calorico. L’esercizio fisico è una categoria all’interno dell’attività fisica, quantificata per volume, intensità e frequenza in cui i movimenti sono strutturati in maniera ripetitiva per migliorare o per mantenere una o più componenti dello stato di forma.

L'esercizio fisico può essere classificato come di endurance (aerobico) o anaerobico (Calzone, 2017).

L’esercizio di endurance o aerobico, abbraccia tutte quelle attività sportive (corsa, nuoto, camminata o pedalata) svolte a intensità costante e prolungata che implicano quale fonte energetica muscolare la combinazione dell’ossigeno con gli zuccheri e gli acidi grassi.

L’esercizio anaerobico, è caratterizzato da sforzi intensi ma brevi come, per esempio, scatti, corsa sui 100-200 metri, salti e sollevamento pesi. Questo tipo di esercizio ha bisogno di momenti di riposo prima di essere ripetuto, ed utilizza la combustione dei substrati energetici per ricavare energia (Sitografia, lifegate.it).

Attraverso il sistema circolatorio, il nostro organismo trasporta l’ossigeno in tutti i distretti corporei, dove viene utilizzato per “bruciare” i substrati energetici, ricavando in tal modo l'energia necessaria alla sintesi dell'ATP.

Il VO2max rappresenta il massimo volume di ossigeno consumato per minuto ed è dato dalla frequenza cardiaca x gittata sistolica x differenza artero-venosa di ossigeno. Si definisce una VO2max assoluta espressa in l/m

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ed una relativa espressa in ml/kg/min. Il consumo di Ossigeno a riposo è di 250 ml/m. La misurazione diretta del VO2max richiede il monitoraggio del consumo di ossigeno mediante un test metabolico durante un esercizio sotto sforzo massimale su ergometro trasportatore o il cicloergometro.

L’aumento del VO2 (consumo di O2) durante l’esercizio riflette l’efficienza della risposta adattativa integrata dell’apparato respiratorio e cardiovascolare allo sforzo e, dunque, la loro riserva funzionale. La velocità massima di consumo di ossigeno di un soggetto (VO2max) è indice dalla capacità di compiere lavoro fisico di resistenza: tanto maggiore è questo valore tanto maggiore sarà la sua capacità prevista di compiere lavoro. Il valore del VO2max dipende dal sesso (nelle donne è inferiore rispetto agli uomini), età, genetica, ed è allenabile fino al raggiungimento di un plateau specifico per ciascun individuo (Dee Unglaub SILVERTHORN, 2013). La capacità aerobica rappresenta un buon indice del funzionamento complessivo dell’apparato cardio- respiratorio. I principali substrati utilizzati a livello metabolico sono il glucosio, libero nel sangue o immagazzinato sotto forma di glicogeno nelle cellule, gli acidi grassi liberi e, in particolari condizioni, le proteine. La sintesi aerobica di ATP avviene nei mitocondri, presenti in tutte le cellule nucleate dell’organismo. Il glucosio va incontro ad una degradazione attraverso un processo definito Glicolisi; processo, che avviene nel citosol, in cui una molecola di glucosio, a 6 atomi di carbonio, è divisa in due molecole di piruvato, a 3 atomi di carbonio, con la produzione di 2 molecole di ATP. Il piruvato reagendo con il Coenzima A, da origine ad Acetil-CoA, la quale entra nel ciclo di Krebs.

La demolizione degli acidi grassi avviene all'interno del mitocondrio, dove la loro struttura viene via via accorciata dalla demolizione sequenziale di molecole di acetato. L'acetato derivato dalla demolizione delle riserve degli

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acidi grassi entra a far parte del ciclo di Krebs, in cui si verificano un insieme di reazioni biochimiche ove molecole a 2 atomi di carbonio (acetato) sono convertite in anidride carbonica e ioni idrogeno. Gli ioni Idrogeno (H+) formati dalla glicolisi e dal ciclo di Krebs vengono a creare una serie di reazioni chiamate "catena di trasporto degli elettroni" attraverso la quale l'Idrogeno si lega a due enzimi, il nicotinammide adenina dinucleotide (NAD) e il flavina adenina dinucleotide (FAD) , diventando dal legame con l’H+, rispettivamente, NADH e FADH, i quali lo trasportano verso questa catena dove si legherà con l'ossigeno (O2) per formare acqua (H2O) prevenendo l'acidificazione dell'ambiente cellulare. Al termine di questi processi, il sistema aerobico fornisce 37 molecole di ATP. All'aumentare dell'intensità di esercizio, i muscoli richiederanno quantità di ATP via via maggiori per la contrazione, con sempre più rapida degradazione e sintesi di ATP (Di Giulio, Fiorilli, Stefanelli, 2011). L’esercizio aerobico sfrutta le fibre muscolari a contrazione lenta (tipo I) le quali dipendono dalla fosforilazione ossidativa per la produzione di ATP, da cui deriva il nome di fibre ossidative. Le fibre lente hanno più mitocondri, sede degli enzimi del ciclo dell’acido citrico e della fosforilazione ossidativa, ciò determinerà una maggiore resistenza alla fatica, dovuta inoltre ad un’estesa rete di capillari che fa da supporto al loro metabolismo aerobico. Le fibre lente sono anche dette fibre “rosse” grazie alla presenza di mioglobina, una emoproteina che lega l’ossigeno conferendo loro la caratteristica colorazione. I motoneuroni che controllano le fibre a scossa lenta (che costituiscono le unità motorie di tipo I) hanno piccoli corpi cellulari ed innervano un numero di fibre muscolari che sviluppano livelli di forza inferiori rispetto alle unità motorie a contrazione rapida (Dee Unglaub SILVERTHORN, 2013). Nell’esercizio anerobico vengono utilizzate, oltre alle unità motorie di tipo I, le unità

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motorie di tipo II anaerobiche nelle cui fibre la sintesi di ATP non richiede l’intervento dell’Ossigeno. I processi metabolici coinvolti comprendono il meccanismo anaerobico lattacido o anaerobico glicolitico ed il ciclo di Cori. Nel meccanismo anaerobico lattacido avremo il Lattato come sottoprodotto, il cui accumulo nel torrente ematico concorre a determinare la fatica muscolare. I substrati utilizzati da questo sistema comprendono i carboidrati liberi ed endogeni come il glicogeno, immagazzinato nel fegato e nel muscolo scheletrico, per poi essere idrolizzato a glucosio attraverso la di glicogenolisi. Poiché il processo di sintesi di ATP avviene in assenza di ossigeno si ha formazione di piruvato poi trasformato in lattato attraverso processi biochimici nel citosol dei miociti, fornendo tre molecole di ATP per ogni molecola di glucosio.

Si definisce soglia” anaerobica” un aumento della concentrazione basale di lattato ematico che supera la deviazione standard del suo valore medio;

questo valore è indice del coinvolgimento nell’esercizio delle unità motorie anaerobiche lattacide caratterizzate da fibre muscolari di tipo II. Oltre questa soglia si osserva un aumento della frequenza ventilatoria (punto di rottura ventilatorio) dovuto ad alterazioni del pH ematico (Di Giulio, Fiorilli, Stefanelli, 2011). Il lattato prodotto dalle fibre muscolari di tipo II viene processato attraverso il ciclo di Cori nel fegato, che riossida per mezzo della L-lattato deidrogenasi il lattato a piruvato, a sua volta convertendolo in glucosio. La produzione di lattato è un meccanismo utilizzato dalle cellule muscolari, per evitare il verificarsi di un blocco sia della glicolisi in seguito ad esaurimento di O2 nei muscoli sia della riossidazione a NAD+ nella catena respiratoria del NADH + H+ (Di Giulio, Fiorilli, Stefanelli, 2011). L’esercizio anaerobico utilizza le fibre rapide o bianche (tipo II) che presentano una maggiore distribuzione dell’enzima lattato deidrogenasi

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(LDH), che favorisce la conversione di piruvato in lattato. Le fibre di tipo II producono una tensione maggiore rispetto alle fibre di tipo I, hanno una cinetica rapida dovuta ad una specifica isoforma di miosina (oltre a specifiche isoforme di altre proteine) e sono facilmente faticabili, pertanto reclutate in attività di forza (esplosiva). Vengono classificate in due sottotipi a seconda della loro suscettibilità alla fatica e processi metabolici. Le fibre rapide suscettibili alla fatica (tipo IIB) generano forza utilizzando un catabolismo anaerobico, possiedono un’elevata scorta di glicogeno che fornisce l’energia per fosforilare l’ADP, mentre il glucosio si converte in acido lattico. L’altro sottotipo di fibre a scossa rapida sono le fibre rapide resistenti alla fatica (tipo IIA) a metabolismo aerobico in grado di associare scosse rapide e velocità di contrazione relativamente elevate ad una relativa resistenza alla fatica. I motoneuroni che controllano le fibre rapide innervano molte fibre muscolari di grande diametro, che esaltano le loro capacità di produrre rapidamente elevati livelli di forza, mentre i motoneuroni che innervano le fibre rapide resistenti alla fatica (IIA) presentano dimensioni e velocità di conduzione intermedie (Kandel, Schwartz, Jessell, 2003).

3.1 Il ruolo delle miochine

Negli studi relativi all’esercizio fisico è stato scoperto che la contrazione muscolare può indurre la secrezione di una vasta famiglia di molecole, le miochine, assegnando al muscolo scheletrico una funzione endocrina. Le miochine hanno fornito una base fisiologica per la comprensione del meccanismo attraverso cui i muscoli, in funzione del loro stato di attività, comunicano con altri organi quali il tessuto adiposo, il fegato, le ossa ed il

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cervello per esercitare effetti benefici dell'esercizio a livello di tutto il corpo.

Queste molecole, la cui natura chimica varia da peptidi ad oligonucleotidi, vengono riversate nel circolo ematico fino a raggiungere il loro organo- bersaglio influenzandone l’attività. Si stima che il muscolo secerna centinaia di molecole, solo alcune note, ed ognuna presenta uno specifico organo bersaglio su cui esercita una funzione. Tra queste possiamo menzionare il fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF1), la miostatina, interleuchina-6 e l’irisina. Il fattore di crescita insulino simile (IGF-1), conosciuto anche con il nome di somatomedina, è un ormone di natura proteica con una struttura molecolare simile a quella dell'insulina. Viene prodotto soprattutto nel fegato, ma anche nei condrociti, nei fibroblasti e in altri tessuti. L'IGF-1 ha attività insulino simile e promuove la proliferazione e la differenziazione cellulare, soprattutto a livello cartilagineo e muscolare. Presenta recettori in tessuti come quello muscolare, osseo, cartilagineo, cutaneo, nervoso e renale. La miostatina è una miochina principalmente espressa e secreta dalle fibre muscolari ed il suo ruolo principale è la regolazione negativa della crescita del muscolo, ma oltre ai suoi effetti locali sull’atrofia muscolare, può anche modulare l'omeostasi metabolica attraverso la regolamentazione della funzione del tessuto adiposo. Inoltre la sua associazione con l’irisina può essere utilizzata come potenziale bersaglio terapeutico contro l'obesità attraverso l'imbrunimento degli adipociti e la successiva induzione del dispendio energetico. L’interleuchina-6 (IL-6) è nota come la miochina prototipo indotta dalla contrazione del muscolo scheletrico durante l'esercizio, aumentandone il rilascio dalle fibre muscolari fino a 100 volte in funzione della durata ed intensità dell'esercizio fisico che si sta svolgendo. Questa miochina è coinvolta nell’effetto antinfiammatorio dell'esercizio, ma esercita anche effetti benefici

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sull'omeostasi sistemica del glucosio e sul metabolismo dei lipidi. L’irisina può essere classificata sia come miochina che adipochina (sebbene in misura minore) poichè è in grado di operare il meccanismo molecolare detto

"browning", ovvero di conversione della cellula adiposa bianca in cellula adiposa bruna. Nonostante vi siano ancora controversie sui livelli di irisina circolanti indotti dall’esercizio, è confermato il suo beneficio sia nella stimolazione dell’assorbimento di glucosio sia nel metabolismo dei lipidi, attraverso l'attivazione di AMPK (sistema delle proteine chinasi AMP dipendenti). L'irisina è anche coinvolta nella crescita muscolare attraverso l'induzione di IGF-1 e la soppressione della miostatina ( Joo Young Huh, 2017).

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4. L’esercizio fisico in menopausa

lo stato di menopausa nelle donne comporta cambiamenti su più fronti, quali abbassamento dei livelli di estrogeni, cambiamenti metabolici e malattie cardiovascolari. Queste modificazioni fisiologiche hanno portato alla somministrazione di terapie ormonali (TOS) per alleviare i sintomi, tuttavia si è ricercata un’alternativa che migliorasse questa condizione senza arrecare danni collaterali, individuando nell’esercizio fisico una soluzione. Diversi studi condotti sulle donne ipertese in post menopausa di stadio 1-2, riportati nell’articolo di rassegna preso in esame (Lin et Al., 2018), si focalizzano sui benefici fisiologici indotti dall’esercizio aerobico e di resistenza, valutandone criticamente la rispettiva efficacia. Nell’articolo vengono illustrati sia dati che riguardano studi clinici che riguardano menopause fisiologiche ed indotte da trattamenti medici, sia approcci sperimentali su sistemi modello, principalmente costituiti da ratti ovariectomizzati.

In uno studio sui ratti ipertesi ovariectomizzati, mediante esercizio aerobico e di resistenza, viene osservata una riduzione della PA associata ad un aumento del tono vagale cardiaco e della sensibilità baroriflessa che viene ascritta ad una diminuzione del tono simpatico. Questi tipi di allenamento somministrati singolarmente o in combinazione producono il cosiddetto effetto ipotensione post-esercizio, che può durare fino a 22 ore dopo l’attività fisica. Secondo questo studio si avrà un'inibizione dell'attività simpatica ed una riduzione dell'angiotensina II circolante, dell'adenosina e dell'endotelina e dei loro recettori nel sistema nervoso centrale, favorendo la riduzione globale della pressione arteriosa diastolica e aumento della sensibilità baroriflessa. Ciò sottolinea l’effetto ipotensivo non farmacologico

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dell’esercizio fisico. Lo studio comunque sottolinea che gli aggiustamenti emodinamici indotti dagli esercizi di resistenza sono meno conosciuti rispetto a quelli aerobici. Una considerazione critica rispetto a quanto riportato è che in questo caso viene riportato un effetto acuto la cui efficacia nel lungo termine è discutibile, ed inoltre non viene fatta menzione della responsività dei soggetti analizzati.

Attingendo da un altro studio si osserva che i meccanismi alla base degli aggiustamenti emodinamici a seguito dell'esercizio di resistenza sono dovuti, in parte, agli aggiustamenti neurali centrali, e che il modello di variabilità della frequenza cardiaca dopo l'esercizio di resistenza è coerente con un ritiro del tono vagale cardiaco (Son, Sung, Cho, Song-Young, 2017) . Anche l'effetto vasodilatatore delle prostaglandine e dell'ossido nitrico, rilasciati durante l'esercizio, contribuisce in parte all’effetto ipotensivo. I vasi sanguigni dei ratti ipertesi ovariectomizzati, mostrano un vasorilassamento arterioso attenuato in risposta a vasodilatatori come l’acetilcolina (ACh) e la bradichinina. Studi successivi si focalizzano sull’esercizio aerobico come miglior strategia per aumentare i livelli plasmatici di ossido nitrico (NO), così come la concentrazione ciclica di guanosina monofostato (cGMP) nelle donne ipertese in postmenopausa. Un programma di otto settimane di esercizio aerobico di intensità moderata al 60-70% della frequenza cardiaca massima, ha aumentato significativamente le concentrazioni plasmatiche di nitrati / nitriti (NOx) di circa il 30,4% e ha diminuito la pressione sanguigna sistolica (SBP) di circa il 16,2%. Inoltre, dodici settimane di allenamento combinato aerobico e di resistenza possono aumentare i nitrati / nitriti (NOx) nel sangue di circa il 28% e la pressione sanguigna SBP di circa l'8% nelle donne in postmenopausa con ipertensione (Lin and Da Lee, 2018). Un tentativo di

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interpretazione degli effetti dell’esercizio precedentemente illustrato afferma che l’attività fisica determinerebbe un aumento della gittata cardiaca con innalzamento dello stress da vasodilatazione nei vasi favorendo la produzione di NO in vivo e una migliorata vascolarizzazione.

Questo studio individua nell’attività aerobica un miglior beneficio rispetto a quello di resistenza, nonostante ciò non è chiaro come l’allenamento migliori la biodisponibilità di NO nelle donne ipertese come mostrato nella figura che segue.

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L'esercizio fisico, diminuisce l'ipertrofia degli adipociti, riducendo la massa del tessuto adiposo e diminuendo il numero di cellule pro- infiammatorie. La steatosi miocardica di per sé favorisce una fibrosi cardiaca, con conseguenze sulla sua funzionalità. Inoltre l’accumulo di tessuto adiposo favorisce l’insulino-resistenza, diabete mellito di tipo II ed ipertensione, tutti fattori che aumentano il rischio cardiovascolare nelle donne ipertese in post menopausa. Si propongono due studi differenti riguardante questa tematica:

Il primo mostra come l’allenamento aerobico su tapis roulant composto da 24 sessioni, 3 volte alla settimana, con carico di lavoro al massimo stato stazionario di lattato per otto settimane, ha ridotto l’indice di massa corporea (BMI) dell’1.5%. Il secondo ha utilizzato una combinazione di esercizio aerobico e di resistenza (60 min, 3 volte alla settimana, con 40-70%

della frequenza cardiaca di riserva) non hanno modificato l’indice di massa corporea, ma il grasso corporeo è diminuito del 2,12% e la massa magra è aumentata del 0.81% nelle donne ipertese in post menopausa (Lin and Da Lee, 2018). Questo studio non è in grado di chiarire se il cambiamento della composizione corporea sia associato a cambiamenti nel tessuto adiposo viscerale e nei livelli di adiponectina, per cui occorrono ulteriori studi futuri. Inoltre, non è stato citato il ruolo delle miochine, le quali vengono prodotte durante l'esercizio per mediare i benefici per la salute. Il loro ruolo è importante, perché nello stato di vita sedentaria, il sovraccarico di nutrienti provoca l'accumulo di grasso e il conseguente disturbo del metabolismo degli adipociti, che si traduce nella secrezione di adipochine che sono principalmente citochine pro infiammatorie. Al contrario, la secrezione di miochine dai muscoli in risposta all'esercizio, ne contrasta gli effetti. Pertanto, l'omeostasi metabolica è regolata dall'equilibrio tra

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adipochine e miochine e sono fondamentali nello sviluppo di malattie metaboliche (Huh, 2018). Come gli studi sopracitati affermano, l’aumento della forza muscolare è inversamente correlata al rischio di ipertensione nelle donne anziane. La menopausa comporta un aumento della rigidità arteriosa e diminuzione della rigidità muscolare dovuta ad un calo degli estrogeni. Allontanare dalla sedentarietà, sostituendo ad una terapia ormonale degli esercizi di resistenza ad intensità moderata (rispetto ad un allenamento esclusivamente aerobico) migliorano sia la funzione arteriosa che la massa muscolare.

L’esercizio ad intensità moderata, svolto per almeno tre mesi, è ideale per migliorare le anomalie lipidiche e la funzione endoteliale. Uno studio su un gruppo di donne in post menopausa da almeno due anni, con un intervallo di pressione sanguigna di 140/ 90 - 160/100 mmHg, un intervallo di BMI di 25-31 kg/m2, e che hanno subito tre mesi di camminata aerobica su tapis roulant (30 min, 3 volte a settimana, intensità moderata, con il 60% della frequenza cardiaca massima) ha mostrato un aumento significativo dell’HDL di circa il 29,96% e una riduzione dell’LDL del -27%. Tuttavia, otto settimane di allenamento aerobico su tapis roulant e dodici settimane di allenamento aerobico in acqua, non hanno prodotto alcun cambiamento dei profili lipidi delle donne ipertese in post menopausa (Lin and Da Lee, 2018).

L’allenamento fisico (non importa se di resistenza, aerobico o combinato) è fondamentale che sia somministrato ad intensità moderata per sortire un effetto sui profili lipidici. Questi studi sono particolarmente interessanti perché tutti i partecipanti ricevevano ancora i farmaci necessari, ma è stato dimostrato che l'esercizio fisico ha un effetto sinergico se non additivo, con un maggiore aumento di HDL e una maggiore diminuzione di LDL, trigliceridi e colesterolo nel gruppo di esercizi combinati rispetto al gruppo

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di soli farmaci, indicando l’importanza di affiancare un adeguato esercizio fisico per diminuire i rischi metabolici e cardiovascolari.

Nella progressione dei disturbi cardiovascolari, è stato individuato lo stress ossidativo come caratteristica comune nella patogenesi dell’ipertensione arteriosa e della post menopausa. Diversi studi hanno dimostrato come la vasodilatazione post esercizio venga migliorata da biomarcatori antiossidanti, come l’attività della superossido dismutasi (SOD) e della catalasi. In uno studio sull’uomo svolto da Novais e colleghi, otto settimane di esercizio aerobico su tapis roulant hanno aumentato l’attività della SOD (97%) e catalasi (37%) coinvolte nella modulazione dello stress ossidativo.

L’osservazione su ratti ipertesi ovariectomizzati, ha invece mostrato come l’allenamento di resistenza e aerobico agiscano in maniera differenziale sullo stress ossidativo, con un aumento della concentrazione per la catalasi miocardica del 20% nel gruppo aerobico (Lin and Da Lee, 2018). In riferimento allo stress ossidativo, non è stato citato il ruolo dell’istamina, uno dei mediatori chimici dell'infiammazione. La formazione e rilascio all'interno del tessuto muscolare scheletrico attivo, e la successiva attivazione dei recettori dell'istamina H 1 e H 2, media la vasodilatazione post-esercizio. I meccanismi che governano questo processo non sono chiari, ma uno studio proposto da Romero e collaboratori, ha dimostrato che l'istamina è elevata tessuto muscolare scheletrico precedentemente attivo negli esseri umani. Utilizzando la microdialisi del muscolo scheletrico, i ricercatori sono stati in grado di determinare che la degranulazione dei mastociti e la formazione de novo tramite istidina decarbossilasi contribuiscono alla formazione di istamina e alla vasodilatazione post-esercizio sostenuta (Son, Sung, Cho, Song-Young, 2017).

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L'allenamento fisico contrasta meccanismi che portano all’accumulo di collagene e cadiomiociti apoptotici contrastando l’istaurarsi di fibrosi ed insufficienza cardiaca nelle donne ipertese in postmenopausa. Osservazioni condotte da Almeida e collaboratori, sui ratti ovariectomizzati dopo infarto miocardico, hanno riscontrato una diminuzione del collagene interstiziale e dell’ipertrofia dei miociti. L’allenamento fisico aerobico, mediante regolazione alterata dell’espressione genica che regola l’apoptosi e fibrosi del miocardio, fornisce effetti benefici su funzione e rimodellamento cardiaco (Lin and Da Lee, 2018). Questi studi, non sono riusciti a chiarire i meccanismi molecolari dell’allenamento combinato di resistenza e aerobico, motivo per cui quest’ultimo è favorito nel rimodellamento cardiaco.

L’esercizio combinato può essere clinicamente utile riducendo il rischio di fragilità e mortalità nelle donne ipertese in post menopausa, nonostante questi due tipi di attività fisica determinino effetti ipotensivi differenti.

L'esercizio di resistenza è dinamico, accompagnato da ampie e rapide oscillazioni della pressione arteriosa con progressivo aumento della frequenza cardiaca, al contrario, le variazioni della pressione arteriosa durante l'esercizio aerobico tendono ad essere relativamente stabili. Sarà interessante in futuro approfondire i vantaggi dell’esercizio combinato, come metodo terapeutico per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne in post menopausa con ipertensione.

Pur essendo un valido contributo ad un esame e tentativo di affrontare il problema della regolazione della pressione arteriosa in pre e post menopausa, questo lavoro presenta alcuni aspetti lacunosi, di seguito descritti.

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Nell’articolo non vi è traccia dei meccanismi di rimodellamento del miocardio di conduzione, si fa sempre riferimento ad una modulazione del SNA per quanto riguarda la funzione cardiovascolare.

I livelli di profilo lipidico sono descritti come intermedi, migliorabili attraverso l’esercizio areobico. Vengono riportati studi nei quali l’esercizio aerobico migliora il quadro lipidico rispetto al controllo, con differenze che vengono imputate al regime di esercizio. Mancano tuttavia il dati di personalizzazione complessiva, intesa come capacità dei soggetti di rispondere alla sollecitazione indotta dall’esercizio.

Viene riportato stress ossidativo in menopausa post ovariectomia. In questa situazione dati dimostrano che l’esercizio aerobico genera aumento di attività di SOD.

Vengono considerati marker infiammatori nel coinvolgimento dell’ipertensione in menopausa. Considerati: cortisolo, leptina e IL1beta , mancano invece considerazioni sulla IL6 ed Irisina. Secondo quanto riportato i tre ormoni considerati non sarebbero (o lo sarebbero marginalmente) coinvolti nell’ipertensione. Secondo la review non ci sono dati sufficienti a comprovarne coinvolgimenti.

L’articolo tratta in maniera esauriente il ruolo della funzione endoteliale, riportando che l’esercizio aerobico è più efficace del regime misto aerobico anaerobico nel trattamento dell’ipertensione e ne illustra il possibile meccanismo di azione in seguito allo stress indotto dalla vasodilatazione associata ad un aumento della gittata cardiaca nell’esercizio.

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Riguardo al rimodellamento miocardico in funzione dell’esercizio evidenzia come questo contribuisca alla riduzione dell’apoptosi dei miocardiociti e ne viene proposto un modello funzionale in figura.

L’esercizio aerobico promuoverebbe IGF1 e BCL2 nei cardiomiociti, prevenendo fibrosi cardiaca, mentre asl deprivazione di estrogeni la perseguirebbe. L’esercizio aerobico ridurrebbe la fibrosi cardiaca.

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In conclusione, questo lavoro riporta effetti benefici dell’esercizio aerobico su tutti i tipi di ipertensione post menopausa. Tuttavia, una sua limitazione consiste nel fatto che per la maggior parte, tranne i punti che riguardano funzione endoteliale e protezione da fibrosi e apoptosi cardiovascolare, resta confinato ad una osservazione clinica di tipo fenomenologico, quasi in linea con una “evidence based medicine”, che non si spinge all’interno dei meccanismi fisiologici che possono arrivare a livello biologico molecolare.

Fa tuttavia menzione di un approfondimento in tal senso, segno che ne risenta l’assoluta necessità.

Nonostante questo limite, il lavoro presenta l’utilità di dare un razionale della estrema utilità di una attività fisica regolare, compatibile coi i ritmi della vita, in una fase importante della vita delle donne.

Conclusioni

Dopo aver analizzato i cambiamenti indotti con l’insorgenza del periodo della post menopausa, è bene ribadire l’importanza dell’esercizio fisico come fonte di prevenzione non solo nella componente di gestione dei fattori di rischio, ma come strumento fondamentale nel mantenimento della salute psico-fisica del singolo individuo, riducendo così gli stati di depressione e di ansia, ben presenti durante il periodo della menopausa e fortemente correlati all’insorgenza di patologie cardiache. Perciò, è fondamentale sensibilizzare la popolazione alla prevenzione della salute, attraverso un adeguato programma di esercizio fisico, come strumento preventivo che permetta di ridurre la comparsa non solo delle malattie cardiovascolari, ma di altre malattie che si sviluppano a livello psicologico e metabolico.

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Bibliografia

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Sitografia

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