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PIETRO IN DIRETTA

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Academic year: 2022

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Matteo B. Bianchi

PIETRO IN DIRETTA

n. 11

DISABILITÀ

DIRITTI SENZA ROVESCI Sicurezza e tutele: contro le discriminazioni

per una cultura etica del lavoro

2008

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IL PROGETTO

“Diritti senza rovesci” è una campagna di comunicazione sociale di Inail.

“Diritti senza rovesci” è un modo per parlare a tutti dei problemi del lavoro e diffondere la cultura della sicurezza e della non discriminazione nei contesti professionali.

“Diritti senza rovesci” sono dodici racconti d’autore ispirati da storie vere di malolavoro. Sono storie che servono per conoscere e per comprendere.

Sono storie che servono per cambiare.

Perché la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro e nessuno dovrebbe essere discriminato, subire infortuni, contrarre malattie, morire mentre sta lavorando.

senza

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C

hi sta dicendo la verità, signora? La numero uno, la due o la tre? Ride sempre Ambra, anche quan- do parla al telefono con le gente da casa. È bella e simpatica. La signora dice la due e indovina. Ambra urla Brava, signora! e tutte le ragazze applaudono e parte la musichetta e cominciano a ballare. La telecamera si mette a volteggiare sullo studio, passa sopra le teste delle ballerine come un uccello in volo che gira e gira prima di tornare a inquadrare la conduttrice in primo piano. A quel punto Ambra mi guarda e dice Pietro, è ora di andare a lavorare.

Ma io non ho voglia di andarci. Voglio restare qui con lei e le ragazze e vederle ballare Please don’t go e ascoltare le altre telefonate. Non voglio, dico.

Dai, fai il bravo, fallo per me, dice Ambra.

Come faccio a rifiutarmi quando mi guarda così? E va bene, dico, ci vado.

Lei sorride e dice Bravo Pietro, un bell’applauso, e le ra- gazze mi battono le mani. Poi lei dice Passiamo a un’altra telefonata. Da dove chiama signora?

Ormai me la cavo bene, riesco a fare tutto da solo. La tazza per la colazione e la moka li preparo la sera pri- ma. Preparo anche i vestiti, li appoggio sulla sedia della

Matteo B. Bianchi

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camera, così la mattina l’unica cosa che mi resta da fare è andare in bagno e lavarmi. Il pulmino della Regione passa a prendermi verso le otto, anche alle otto e dieci se c’è traffico, e quando arriva devo essere già pronto.

Cesare, l’autista, è un tipo di poche parole. Certe volte parliamo un po’ nel viaggio d’andata, perché siamo soli io e lui, ma sempre poche frasi. Al ritorno invece non dice mai niente. Ci sono due malati d’Alzheimer, sono due anziani che preleviamo in ospedale, così chiacchiero con loro, mentre lui è concentrato e guarda la strada.

Anche stamattina mi sembra che non sia in vena di gran- di discorsi. Apre le porte e aspetta che mi sistemi con la carrozzella. Devo bloccare le ruote e fissarla ai sostegni. I primi tempi mi aiutava lui, ma ora sono capace.

A posto?, chiede.

A posto, dico e lui mette in moto.

Guardo dal finestrino il cielo: è pieno di nuvole scure.

Mi sa che viene a piovere, dico.

Cesare dice speriamo di no. Ma non aggiunge altro.

Se ultimamente non ho più voglia di andare al negozio non è perché non mi piaccia lavorare, al contrario, mi piace tanto. Sono io che l’ho cercato: dopo che ho finito le scuole medie ho passato anni chiuso in casa, stavo solo con mia mamma e mia nonna, non vedevo nessun altro, non avevo niente fa fare. Quando ho compiuto diciotto anni ho chiamato l’assistente sociale perché mi aiutasse a trovare un lavoro. Mi hanno fatto seguire dei corsi pro- fessionali per la ristorazione e sono stato inserito come stagista in diverse ditte alimentari, e poi una pasticceria industriale mi ha assunto.

Ricordo ancora com’ero contento di avere trovato un po- sto mio, con degli orari da seguire, delle responsabilità. Il

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mio compito era di confezionare le torte e attaccare gli indirizzi per le consegne. Non hanno voluto mettermi ai macchinari per l’impasto perché potevano essere perico- losi, ma a me andava bene così, che inscatolare, ricoprire con la carta e mettere le etichette è un lavoro anche di pazienza e importante.

È la risposta giusta? La accendiamo? mi chiede Gerry Scotti mentre gli racconto queste cose sul pulmino.

No, Gerry, gli dico, non è la risposta giusta. O almeno, era giusta all’inizio, ma poi è diventata tutta sbagliata.

Con i miei colleghi del laboratorio non mi trovavo male.

Non dico che eravamo amici, ma lavoravamo insieme, tranquilli, senza che nessuno disturbasse l’altro. Poi una di loro, Alba, quella coi capelli tinti e i vestitini corti, che stava in negozio, ha cominciato a prendermi in giro, a mettere in giro cose false e cattive, davanti a tutti. Diceva:

Lavati, che puzzi. Oppure: Cambia il cuscino di questa carrozzella che fa schifo. Oppure: Cambiati la maglietta, che sei sudato, si sente anche dall’altra stanza.

Non era vero, io lo sapevo, lo sapevano tutti, però intanto lei diceva queste cattiverie e gli altri giù a ridere.

Sono Pietro, chiamo dalla provincia di Brescia, la ragaz- za che dice il falso è la due, quella coi capelli tinti e il vestitino corto.

Quando entro in negozio Alba e Sonia girano appena la testa. Ormai non ci salutiamo neanche più. Purtroppo siamo costretti a lavorare insieme e questo è il motivo per cui ho perso tutta la voglia di venire qui la mattina.

Mi avvicino al computer, lo accendo e aspetto che si illu- mini lo schermo. Adesso che mi hanno trasferito di qua, in negozio, i miei compiti sono tutti diversi. Devo tenere

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in ordine le bolle degli ordini, cercare gli indirizzi dei for- nitori, rispondere al telefono. Devo anche parlare con la gente che entra. Ma soprattutto devo avere a che fare con loro due.

Quando stavo in laboratorio potevo anche fare finta di niente, ma adesso qui, nella stessa stanza, è impossibile.

Alba certe volte mi mette in ridicolo anche con i clienti presenti. Dice cos’è questo odore? E poi, ah, sei tu. Non puoi andare a cambiarti? E ridono, lei e Sonia, mi guar- dano e ridono. Due cretine.

Quando succede ci sono clienti che allontanano lo sguar- do da me, imbarazzati. Si fissano la punta delle scarpe o fingono di guardare i pasticcini nelle vetrinette. Altri si mettono a ridere anche loro. Per imitazione.

Anche se le commesse dicono il contrario, io sono un tipo pulito. Mi lavo sempre a casa e mi cambio tutte le mattine prima di passare in negozio. Per farle stare zitte un po’ di tempo fa ho anche cominciato a mettermi un profumo, ma non è cambiato niente. Alba diceva, che puzza ‘sto profumo, era meglio prima.

Cercano solo delle scuse per insultarmi.

Stamattina non passa più. Guardo l’orologio sulla parete in fondo e ho l’impressione che segni sempre la stessa ora.

Ho risposto a tre telefonate di gente che voleva sapere se le loro ordinazioni erano pronte e ho dovuto cercare i numeri di alcuni fornitori nuovi per Franco. Sul compu- ter mi hanno messo un programma apposta, così posso tenere in ordine tutti i nomi dei fornitori, i numeri, gli indirizzi.

Quando finalmente le lancette segnano l’una mi sembra un miracolo. Mi spingo fuori dal negozio e sulla porta

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urlo ciao. Lo grido forte perché le due streghe capiscano che non sto salutando loro ma i ragazzi dietro. Però non risponde nessuno, forse non hanno sentito.

Io non lo so chi l’abbia inventato il pavé, però di sicuro so che non stava su una sedia a rotelle, altrimenti avrebbe capito subito che si trattava di una pessima idea. Le ruote rimangono continuamente incastrate fra una mattonella e l’altra e si fa una fatica terribile anche a percorrere po- chi metri. Così per pranzo non posso allontanarmi trop- po, devo restare in zona. C’è una pizzeria in fondo alla via, ma ha due gradini all’ingresso. C’è un altro ristoran- te in piazza, ma ha la porta troppo stretta e la carrozzella non ci passa. Rimane solo la paninoteca Benny’s, con le porte a vetri automatiche e a livello stradale, che per me è perfetto. Però uno si stanca anche di mangiare panini tutti i santi giorni.

Sono Pietro, vengo dalla provincia di Brescia, ho la schie- na bifida e l’idrocefalo. Sono nato con l’invalidità totale alle gambe e sono qui a Mi manda RAI Tre per dire che nel quartiere dove lavoro non so dove andare a mangia- re perché c’è il pavé per terra e le rotelle si incastrano dappertutto, tutti i bar e i ristoranti del quartiere hanno delle barriere che non posso superare con la carrozzina.

Ho scritto anche al comune per lamentarmi, ma non mi hanno neanche risposto.

Io non ho molti amici. Mia mamma è scomparsa nel ‘

e mia nonna l’anno scorso. Adesso vivo da solo. Della mia famiglia restano mia sorella e i miei zii, che vengono a darmi una mano ogni tanto.

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Le cameriere di Benny’s mi conoscono, sono simpatiche con me, mi dicono ciao Pietro come va oggi? o cosa ti porto bello? e sorridono sempre. Mi piacerebbe se potes- sero fermarsi al tavolo e mangiare un panino con me, ma devono lavorare e non possono. Una volta l’ho chiesto a quella coi capelli rossi corti e lei mi ha detto tesoro, non posso, sto lavorando. Mi ha chiamato tesoro quella volta lì.

Oggi la ragazza coi capelli rossi non c’è, è il suo turno di riposo il martedì. Mi serve quell’altra, la mora. Non mi porta il menù perché tanto i nomi dei panini li so a me- moria. Cosa vuoi oggi? chiede. Io ordino un Pirata, senza la maionese, e una coca. Lei scrive Pirata senza maionese sul blocchetto e va a portarlo al bancone.

Mentre aspetto il panino entra Maria De Filippi con tutti i suoi Amici. I ragazzi della scuola si siedono al tavolo con me, devono aggiungere delle sedie perché sono tanti. Ma- ria dice cantiamo qualcosa per Pietro e mi domanda che squadra scegli? Io scelgo la squadra bianca. E chi vuoi sentire? chiede Maria. Ci penso un po’ su. Li guardo uno per uno, i ragazzi aspettano che io prenda una decisione.

La mia preferita però è Roberta e scelgo sempre lei.

Mentre mangio il panino ascolto Roberta che canta tutta per me.

In negozio prima le commesse erano tre, c’era anche Marialuisa, però poi si è licenziata e Franco ha deciso di mettere me al suo posto. A me spiaceva lasciare il labo- ratorio, e gliel’ho detto. Ormai avevo imparato bene a posizionare le torte senza farle cadere e a metterle bene al centro della scatola, così che non si rovinassero nel tra- sporto. Ero diventato veloce. Andare in negozio voleva dire cominciare di nuovo e ricoprire mansioni tutte di-

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verse. E poi non sopportavo l’idea di dover stare a con- tatto di Alba tutto il tempo. Quando Franco è venuto a comunicarmi che mi trasferivano di là ho detto subito che non mi piaceva l’idea, che volevo stare lì. Ho un bel caratterino io, lo so, e se penso una cosa la dico, ma lui è il capo, ha detto che erano esigenze della ditta e che an- che lui vorrebbe poter fare solo le cose che gli piacciono, ma sul lavoro si è costretti a fare dei sacrifici e accettare i compiti che ci vengono dati. Gli ho spiegato che non era solo per il lavoro, ma anche per via di Alba, delle cattive- rie che dice su di me. Lui ha sorriso e ha detto, ma dai, sta solo scherzando.

Franco è il fidanzato di Alba.

La cosa brutta è che quando qualcuno comincia a trattar- ti in un certo modo, allora anche agli altri viene da fare lo stesso. Se prima era solo lei a prendermi in giro, adesso sono in quattro o cinque, anche del laboratorio.

Quando rientro dalla pausa pranzo mi accorgo che sul mio armadietto c’è attaccato un foglio con lo scotch. Mi avvicino per vedere che cos’è ed è una foto tagliata da un giornale. Si vede un bambino obeso e sopra qualcuno ha scritto “Pietro in miniatura”. Non è la calligrafia di Alba, la conosco bene per gli ordini che scrive in negozio. È di qualcun altro.

Strappo il foglietto e mi metto a cercare Franco. Lo trovo alla macchinetta del caffè che parla con uno dei pasticce- ri. Gli mostro il foglio e dico questa storia deve finire.

Lui e l’altro guardano la foto e scoppiano a ridere.

Avanti, Pietro, è solo uno scherzo. Non puoi prenderla sempre così male, dice Franco.

Uno scherzo è bello finché è corto, ma qui la storia va

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avanti da anni. E poi mi spieghi perché gli scherzi sono sempre e solo su di me? urlo.

Non urlare, dice lui, che non è il caso. E riprende a sor- seggiare il suo caffè.

Torno di là in negozio col mal di stomaco.

Le cretine quando mi vedono entrare si scambiano e uno sguardo e un sorrisino dei loro. Non gli do neanche la soddisfazione di guardarle, mi metto subito al computer come se avessi del lavoro urgente da fare.

Se va avanti così mi viene l’ulcera allo stomaco. Ho avuto un’ulcera al piede tempo fa, ho preso antibiotici per quat- tro anni, poi me l’hanno dovuto amputare. Devo anche pensare alla salute, non solo ai soldi. Sto cominciando a considerare di licenziarmi. Quando l’ho detto a mia zia una sera a cena a casa sua lei mi ha detto che non dovevo assolutamente farlo, che un posto fisso è importante e di questi tempi ancora di più.

Negli anni che sono rimasto chiuso in casa e non vedevo nessuno, restavo in camera a guardare la tv tutto il gior- no. Televisione e basta. Così, dopo un po’, mi è sembrato che loro, i conduttori della tv, fossero i miei veri amici.

E infatti ancora adesso è così. Sono molto meglio della gente che ho intorno.

Nel pomeriggio cerco di concentrarmi sulle telefonate che devo fare. Rileggo i registri per vedere se sono in ordine.

Faccio finta di dimenticare anche la storia del bambino obeso, e quasi ci riesco.

A un certo punto succede una cosa strana. Entra in ne- gozio un uomo in divisa. Da noi viene gente di tutti i tipi,

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ma forze dell’ordine mai. Sarà successo qualcosa?

Sonia gli va incontro per vedere cosa ha bisogno e l’uomo chiede di me. Sonia gli indica la mia postazione, dietro il computer, e poi dice Pietro, ti cercano.

Il poliziotto si avvicina. Possiamo uscire un attimo? dice.

Devo farle alcune domande.

Cosa vorrà da me?, penso. Comincio a spingermi fuori, ma senza guardare mai nella direzione di quelle due vipere.

L’uomo dice di essere della Digos. Mi fa alcune domande semplici tipo dove abito, con cosa vengo al lavoro. Poi mi chiede se conosco la scuola Diaz. Gli dico di sì, che la conosco, è una scuola media vicino a casa mia.

È lì che vai a spacciare? mi chiede all’improvviso, con tono brusco.

Rimango senza parole. A spacciare? Io?

Lo sappiamo che spacci davanti alle scuole, dice lui.

Lo guardo allibito.

Sappiamo anche chi sono i tuoi complici, aggiunge.

Droga? Complici? Ma cosa sta dicendo?

Il poliziotto dice che mi hanno tenuto d’occhio. Che mi hanno visto più volte confabulare con due sospetti all’in- gresso dell’istituto Diaz.

Adesso capisco. Sono i due ragazzi peruviani che stan- no sempre al cancello della scuola. Ogni tanto quando li incontro mi fermo a parlare con loro. Sono gentili con me, mi raccontano certe cose della loro terra. Dicono che gli manca tanto e che se non fossero così poveri torne- rebbero subito invece stanno qui in Italia perché devono lavorare.

Sono solo due ragazzi con cui parlo ogni tanto, dico al- l’ufficiale. Lo vede in che condizioni sono? Le sembra che potrei fare lo spacciatore? Siete pazzi.

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E poi sono io quello che ha guardato troppa tv.

Quando rientro le mie colleghe mi squadrano con uno sguardo di soddisfazione, come se fossi colpevole di qual- cosa e loro l’avessero sempre saputo.

Sono quasi le cinque. Tra due ore finalmente potrò an- darmene, via da questo posto, via da questa giornata in- finita e terribile.

Per cambiarmi devo usare il bagno delle donne. Quello degli uomini è al primo piano e ha un gradino che non posso superare con la carrozzina. Per legge sarebbero ob- bligati a metterlo a norma, ma non l’hanno ancora fatto.

Sono già passati cinque anni, ormai lo so che non lo siste- meranno mai. Mi devo arrangiare.

Quando entro lascio la carrozzina sulla porta, per fare capire che adesso è occupato. Prendo il tappetino che tengo sotto la sedia e lo strotolo. Poi scivolo a terra e co- mincio a spogliarmi.

È difficile farlo da soli, sul pavimento e con l’odore del bagno che anche se è delle donne non è così pulito come dicono.

Quando ho finito e torno verso la carrozzina vedo che c’è un uomo con me dentro il bagno e non me ne ero accorto prima. Ma non può essere, è vietato entrare qui ai maschi, escluso me. Alzo gli occhi e scopro che è Mike Bongiorno. Cosa ci fai qui, Mike?

Lui si guarda intorno, guarda il bagno stretto, la mia car- rozzina e guarda me che sono per terra e mi sto trasci- nando verso l’uscita e dice Allegria, Pietro. Allegria.

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Matteo B. Bianchi ha pubblicato i romanzi, Generations of love (1), Fermati tanto così (2002) ed Esperimenti di felicità provvisoria (200), tutti per Baldini Castoldi Dalai editore.

Ha pubblicato inoltre il memoriale Mi ricordo (2004) per Fernandel e la favola Tu Cher dalle stelle (200) per Play- ground. Nel 200 ha curato, insieme a Giorgio Vasta, il Dizionario Affettivo della Lingua Italiana (Fandango). Per sette anni è stato autore del programma quotidiano “Dispen- ser” di Radio Due RAI. Attualmente è uno degli autori degli show televisivi di MTV Very Victoria e Stasera niente MTV. Scrive su Linus e D di Repubblica. Cura on line sul sito www.matteobb.com la sua personale rivista di narra- tiva ‘tina e scrive sul blog www.matteobblog.splinder.com

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Postfazione

Le storie siamo noi

Ragioni e obiettivi della campagna di comunicazione “Diritti senza rovesci”

“Diritti senza rovesci” è una campagna di comunicazione sociale promossa da Inail il cui sottotitolo esplicativo recita: “Sicurezza e tutele: contro le discriminazioni per una cultura etica del lavoro”. Si chiarisce, in questa semplice frase, l’obiettivo generale di una serie di azioni comunicative, di linguaggi, di iniziative messe in campo per contribuire alla creazione di una cultura, condivisa collettivamente, che metta al centro dell’attenzione e della quotidianità dell’esperienza lavorativa la sicurezza sul lavoro e i principi di non discriminazione.

L’idea di “Diritti senza rovesci” nasce in Valle d’Aosta, dall’amicizia di due donne, impegnate in due contesti tradizionalmente lontani:

Elvira Goglia, dirigente di Inail e Viviana Rosi, dell’Associazione culturale Solal.

Lo scopo è ambizioso e non si limita a richiamare il rispetto di nor- me fondamentali che salvaguardano la salute psicofi sica dei lavora- tori. Per sollecitare la rifl essione, per lasciare traccia nelle coscienze e nelle consuetudini, per indurre una maggiore consapevolezza dei diritti fondamentali nei lavoratori e nei datori di lavoro, si ricorre al linguaggio letterario e a quello del teatro di strada. Vengono coinvol- ti attrici e attori di grande bravura, realizzate videoinstallazioni e so- prattutto vengono raccolte storie di disagio lavorativo e di ingiustizia patita dalla viva voce di lavoratori e lavoratrici, con la convinzione che proprio da lì, dalle tante vicende di “malolavoro” che ancora si verifi cano nel nostro paese, sia necessario partire per costruire una cultura, una mentalità eticamente responsabile.

Nel 2007 la campagna di “Diritti senza rovesci” muove i primi passi nella piccola Valle d’Aosta, con il sostegno di numerosi attori sociali (Assessorato Attività Produttive e Politiche del Lavoro della Regione Autonoma Valle d’Aosta, Consigliera di Parità, Direzione Regionale del Lavoro, Cgil, Cisl, Uil, Savt, Confi ndustria Valle d’Aosta, Con- fartigianato, CNA, Associazione Artigiani Valle d’Aosta) e subito si

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avvale dell’adesione convinta al progetto di scrittori e scrittrici (Giu- liana Olivero, Carmen Covito, Andrea Bajani, Viviana Rosi, Gior- gio Falco, Barbara Garlaschelli) impegnati a portare la realtà nella costruzione narrativa. Le storie di vita lavorativa raccolte grazie alla disponibilità e alla voglia di raccontarsi di lavoratori vittime di discri- minazioni, precarietà, mobbing, i referti stilati in occasione di una tra le troppe morti sul lavoro diventano racconti da distribuire per strada, da leggere ad alta voce a passanti apparentemente distratti, da fare ascoltare a centinaia di giovani accorsi a visitare il percor- so multimediale allestito a Torino negli spazi, che ancora trasudano memoria industriale, dell’associazione Libera di don Ciotti. È for- te la convinzione – espressa con passione militante da Lella Costa, in occasione della presentazione della campagna (Aosta, 27 luglio 2007) – che il grande valore delle storie di vita vissuta stia nel fatto che parlano “alla pancia” di chi le sta a sentire, che la letteratura, quando coglie il valore e il senso dell’esperienza umana, diventa uno strumento straordinario per smuovere le coscienze e convincere del- la necessità di un cambiamento per costruire una società che sia più equa e migliore per tutti.

Con un simile presupposto, proseguire nel lavoro avviato nel 2007 è stato inevitabile.

Nel 2008 vedono la luce altre sei narrazioni, altre sei storie “vere”:

le vite precarie che minacciano, il futuro delle nuove generazioni; le discriminazioni che colpiscono anche chi occupa posti dirigenziali quando la malattia irrompe nel quotidiano; la vita spesso aspra e solitaria delle donne straniere che vivono nelle nostre case, che ac- cudiscono i nostri anziani; l’isolamento e l’incomprensione che cir- condano i lavoratori diversamente abili; la fi ne prossima ventura del lavoro autonomo qualora non si sappia dare valore alla laboriosità di chi ancora crede al “saper fare” con la testa e con le mani.

Altri scrittori e scrittrici (Dacia Maraini, Tullio Avoledo, Michela Murgia, Grazia Verasani, Matteo B. Bianchi, Antonio Pascale) met- tono a disposizione la loro penna, il loro talento, la loro sensibilità per commentare le testimonianze e trasformarle in storie, rifl essioni, puntuali descrizioni di contesti lavorativi “diffi cili”. Come nel 2007, quando la vicenda di un giovane precario è diventata una graphic

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novel illustrata da Alessandro Viale, per parlare ai ragazzi e alle ra- gazze con un linguaggio più vicino a loro, così in questa nuova serie di pubblicazioni le peripezie lavorative di una tra le tante lavoratrici ventenni a tempo determinato sono raccontate anche attraverso le belle illustrazioni di un disegnatore, Luca Galvani, coetaneo della protagonista della storia.

Ai giovani, del resto, guarda con particolare attenzione il progetto di

“Diritti senza rovesci” perché la cultura della sicurezza e della non discriminazione – lo sa bene Inail che da anni si occupa di questo – si costruisce, si diffonde, si innerva nel tessuto economico del nostro paese anche e soprattutto attraverso le nuove generazioni di lavora- tori, anche grazie ad una rinnovata concezione del lavoro che può venire a mano a mano coltivata e sostenuta a partire dai banchi di scuola e dalle aule dell’università.

In senso più generale, avvicinare il mondo della cultura a quello del lavoro, affi ancare i linguaggi, quello delle cifre, che spietatamente dichiarano quanti infortuni, quante malattie professionali colpisco- no i lavoratori italiani, e quello del cinema, del teatro, della musica, della letteratura è ciò che da anni Inail sta facendo ad un unico sco- po: «Uscire dal luogo comune, autoassolvente, che gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali siano un problema fuori di noi: un problema degli “altri”, dei datori di lavoro e dei lavoratori. Come se ciascuno di noi non appartenesse a una delle due categorie (o quan- tomeno aspirasse ad appartenervi) e quindi non fosse inevitabilmen- te parte del problema. E soprattutto, vogliamo sperarlo, parte della soluzione» (Marco Stancati, Responsabile Comunicazione di Inail e docente alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma).

Un obiettivo questo che la campagna di comunicazione “Diritti sen- za rovesci” condivide e fa proprio, grazie all’impegno civile di artisti e di semplici cittadini che leggono e sanno che ciascuna delle storie che andiamo raccogliendo riguarda ciascuno di noi e il nostro modo di vivere e pensare il lavoro in quanto parte rilevante della nostra vicenda esistenziale.

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1. MOBBING - Giuliana Olivero, Sottigliezze

2. DISCRIMINAZIONE - Carmen Covito, Tempo parziale 3. MORTIBIANCHE - Andrea Bajani, Tanto si doveva 4. PRECARIATO - Viviana Rosi e Alessandro Viale, Vogliono te. Storia di un ragazzo interinale 5. IMMIGRAZIONE - Giorgio Falco,

Liberazione di una superfi cie 6. DISABILITÀ - Barbara Garlaschelli,

Luce nella battaglia. La storia di Matilde

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7. LAVOROAUTONOMO - Tullio Avoledo,

Il pesce grande mangia il pesce piccolo

8. IMMIGRAZIONE - Dacia Maraini presenta Nadja 9. DISCRIMINAZIONE - Michela Murgia, Alla pari 10. PRECARIATO - Grazia Verasani, Agata Illustrazioni di Luca Galvani

11. DISABILITÀ - Matteo B. Bianchi, Pietro in diretta 12. MORTIBIANCHE - Antonio Pascale,

Trasformare il trauma in dolore

I titoli della collana 2008

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Matteo B. Bianchi PIETRO IN DIRETTA

© 2008 Matteo B. Bianchi.Tutti i diritti riservati. Pubblicato in accordo con l’Autore tramite Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency

Grafi ca e impaginazione di Francesca Schiavon Stampa: Tipolitografi a INAIL - Milano - gennaio 2009

Pubblicazione non destinata alla vendita INAIL - DIREZIONE CENTRALE COMUNICAZIONE

Piazzale Giulio Pastore, 6 - 00144 Roma dccomunicazione@inail.it

www.inail.it

“Diritti senza rovesci” è un progetto INAIL ideato dall’associazione Solal-progetti culturali.

Diritti di pubblicazione e d’uso per tre anni

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