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IL PESCE GRANDE MANGIAIL PESCE PICCOLO

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Academic year: 2022

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Tullio Avoledo

IL PESCE GRANDE MANGIA IL PESCE PICCOLO

n. 7

LAVOROAUTONOMO

DIRITTI SENZA ROVESCI Sicurezza e tutele: contro le discriminazioni

per una cultura etica del lavoro

2008

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IL PROGETTO

“Diritti senza rovesci” è una campagna di comunicazione sociale di Inail.

“Diritti senza rovesci” è un modo per parlare a tutti dei problemi del lavoro e diffondere la cultura della sicurezza e della non discriminazione nei contesti professionali.

“Diritti senza rovesci” sono dodici racconti d’autore ispirati da storie vere di malolavoro. Sono storie che servono per conoscere e per comprendere.

Sono storie che servono per cambiare.

Perché la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro e nessuno dovrebbe essere discriminato, subire infortuni, contrarre malattie, morire mentre sta lavorando.

senza

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4 giugno, 2018

V

errà il giorno in cui il lavoro come lo conosciamo sarà una cosa del passato. Una roba da musei, insomma. Uno entrerà, per dire, nel Museo dell’Automobile e vedrà come fabbricavano le auto, ai vecchi tempi. Così come adesso in certi paesi di montagna ti fanno vedere il Museo dell’Arte Fabbrile, o quello dell’Agricoltura. Tut- to passa, tutto cambia. Le fabbriche, per quella volta, magari saranno in orbita, o sulla Luna. Più probabilmente in Cina, o in un posto in cui il lavoro costerà ancora di meno. È così che ho detto a mio figlio stamatti- na, facendomi la barba in bagno, prima di uscire per l’intervista. Credo di averlo confuso. Ma va bene essere confusi, alla sua età. A diciassette anni si sentirà così pieno di certezze da risultare insopportabile. E poi le perderà, e sarà una cosa ancora più difficile da gestire.

Non so come si chiamano, i due uomini con cui ho il mio appuntamen- to. Guidando la mia vecchia Patriot del 2008 lungo le strade malandate del centro, attento a far durare il più possibile i quindici litri della ra- zione di gasolio, ho consultato in lungo e in largo il foglio di appunti, tenendolo più o meno fermo sul volante, ma i nomi non c’erano. Non ci sono mai. Trovarli sarebbe stata una sorpresa, ho pensato sospirando.

L’ossessione del passato per la privacy è una delle poche cose che ci siamo portati dietro in questo decennio ormai agli sgoccioli, e che nessuno rimpiangerà.

Sarebbe stato meglio portarci invece altre cose. Come le lamette da bar-

Tullio Avoledo

IL PESCE GRANDE MANGIA

IL PESCE PICCOLO

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ba a poco prezzo, tanto per dirne una. Ne trovavi a dozzine, di marche, negli espositori dei supermercati. Di tutti i colori, di tutte le forme. Pas- sandomi la mano sulla guancia ho avuto subito la conferma che la bar- ba non mi è venuta bene. In certi punti la pelle raspa. Dovrei cambiare la lametta, ma non è facile trovarne. Ma tanto che importa? Non vado mica a un appuntamento galante.

Parcheggio in uno spiazzo invaso dalle erbacce. Spaccano l’asfalto, cor- rompono i segni tracciati per terra con una brutta vernice gialla.

Fa caldo. Non è nemmeno metà giugno, ma già si scoppia per l’afa.

Gli oceani sono saliti di altri due centimetri nell’ultimo anno. Verrebbe voglia di prenotarsi un lotto edificabile in Tibet. Se esistesse ancora il Tibet. Maledetti Cinesi. C’entrano sempre, i Cinesi. Sono persino su Marte. Che fra parentesi ora è più abitabile del Tibet, dopo il Disastro di Chengdu del 2010.

Entro nel capannone diviso da tramezzi, benedetto dall’aria condizio- nata fornita da una batteria di vecchi condizionatori Daikin. Il Ministe- ro delle Testimonianze sul Lavoro occupa tre quarti dell’enorme am- biente, che un tempo era un hangar d’aeroporto. Mi hanno tracciato una pianta, sul retro del foglio di appunti. Corridoio G, stanza 114.

Camminando nel labirinto vengo accompagnato dalla musica casuale dei tasti di mille computer, ritmi che a volte sembrano sussurri, altre volte paiono suggerire un tema musicale.

La stanza 114 è uguale alla 113, e se è per questo, immagino, alla 115, anche se non l’ho vista. Due metri per due, completamente anonima.

Pulita fino a sembrare aliena. L’arredamento al minimo. Una scrivania, tre sedie: una per me, l’altra per i due uomini che prendono posto dal- l’altra parte dello Schermo PKD. Lo schermo è l’ultimo ritrovato del Ministero delle Testimonianze. Più probabilmente viene anche quello da qualche laboratorio in Cina. è tanto che non si inventa più niente, da queste parti. I Cinesi potranno anche starci sulle scatole, ma senza di loro saremmo già tornati a lavorare col pallottoliere e l’ascia di selce.

Lo Schermo PKD nessuno sa bene come funzioni di preciso, almeno da

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queste parti. Normalmente ti basta sapere quello che fa, come per tutte le cose: scompone e ricompone l’immagine di chi hai davanti. Ma io sono curioso per natura. E allora un maghetto della Divisione Tecnica me l’ha spiegato più o meno così: “è come se facessimo in mille pezzi l’imma- gine della persona che abbiamo davanti, e poi sostituissimo ogni pezzo - diciamo, per fare un esempio, l’angolo sinistro dell’occhio - con un pezzo corrispondente dell’imma- gine di un’altra persona, scelta a caso fra mille. Il programma che governa lo schermo pesca a caso, da uno dei mille cassetti aperti che ha davanti, e che contengono ciascuno mille pezzi di immagine, un quadratino che rappresenta l’angolo sinistro dell’occhio di un’altra persona. In pratica il volto che hai davanti è composto da frammenti di mille volti diversi. L’immagine cambia una volta al secondo.”

“Ma così non c’è il pericolo che prima o poi lo Schermo ti proponga l’immagine vera della persona che hai davanti?”

“Sì. Una volta su un miliardo, immagino. Butto lì una cifra tanto per dire. Forse più, forse meno.”

I due uomini dall’altra parte dello Schermo sono una testimonianza speciale. Sono gli ultimi di una categoria, quella dei lavoratori autono- mi, che si è praticamente estinta in questo paese dopo il Grande Crollo.

La loro testimonianza è preziosa. Le loro voci registrate, e deformate da un altro programma anonimizzatore, forse risuoneranno in una stanza dedicata alla loro categoria in un museo del prossimo futuro. Il nostro paese è già costellato di musei del genere. Come un tempo lo era di chiese, e prima ancora di tombe monumentali. Si ha comunque sempre a che fare coi morti. L’intervista che rilasceranno sarà un documento prezioso, immagino, per chi fra un secolo vorrà ricostruire il declino del- l’economia occidentale. Spero che, chiunque sia, abbia tempo e voglia a sufficienza, perché di testimonianze, solo in questo ufficio, ne abbiamo già raccolte per un totale di ottantasettemila ore di filmato. Spero anche che non capiti più quello che è successo dopo la tempesta solare del 2011 e il passaggio dei video allo standard CBB l’anno successivo. C’era anche la testimonianza di questi due, nell’archivio perduto che non po- tremo mai più consultare. Per questo è necessaria questa messinscena. I due dietro lo schermo, che ripetono quello che hanno dichiarato quasi

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dieci anni fa, cercando di far sembrare che l’intervista sia fatta adesso, in presa diretta.

Perché fate così?, potreste chiedermi.

E io vi risponderei: perché mi è stato detto di lavorare così. Perché qualcuno pagato per farlo ha pensato che era meglio fare così. Fine della storia. Il tempo è quello che è. Alcuni testimoni sono morti, o sono irreperibili, magari perché hanno cambiato identità e adesso lavorano, per dire, nei Nuovi Territori. Chi lo sa? Quello che è certo è che bisogna fare di corsa, se non vogliamo giocarci una bella fetta della nostra me- moria collettiva. E chi se ne frega se a nessuno gliene importa niente, di questa megamemoria. Mi pagano, per questo. è un motivo abbastanza buono per stare qui a guardare queste due figure che si scompongono e si ricompongono, e una volta su un miliardo, o un miliardo di miliardi, per quello che ne so, mi rimandano un’immagine vera.

Prima dell’intervista, i due mi raccomandano il totale anonimato. Come se non fossero già abbastanza garantiti dallo Schermo PKD, e dal fatto che il loro nome non appare sui miei appunti. Solo l’iniziale dei nomi di battesimo. Di quelli che una volta si chiamavano nomi di battesimo e ora si chiamamo solo così: NOME, per non offendere nessuno, di qualunque religione sia.

Le iniziali sono P. e D.

Si mostrano diffidenti, come se fossero impauriti dall’intervista. Tran- quilli, vorrei dirgli, parafrasando Kit Marlowe. è stato in un’altra città. E poi l’economia è morta.

- Allora, se siete d’accordo, se non avete niente in contrario, vi chiamerò Pi e Di.

Come Pixie e Dixie, i topi di quei vecchi cartoni animati, penso, ma senza dirlo.

- Pi è il titolare della ditta, giusto? è lei?

- Sì. Ero io.

Blocco la registrazione per un attimo. Li guardo.

- Ecco, una cosa che mi sono dimenticato di dirvi è che dovete sforzarvi di parlare al presente.

- Cioè?

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Adesso il loro sguardo è un po’ sospettoso.

- Cioè come se le cose le stessimo raccontando adesso. Come se quello che raccontate fosse una storia di adesso.

- Ah. Va bene.

- Allora. Ricominciamo. Pi è il titolare della ditta, e Di è socio al 4%, giusto?

- Sì.

- Pi, vorresti dirmi quando hai aperto la ditta, e perché hai deciso di farlo?

- L’ho aperta nel 2005. L’ho fatto perché non sopportavo più di avere un capo.

- Quali sono stati i problemi che hai affrontato quando hai aperto la ditta, se ne hai avuti? Quali erano le tue preoccupazioni?

- Di avere sempre lavoro, e che i pagamenti fossero regolari.

- Le istituzioni ti hanno dato una mano nell’aprire la ditta?

- Certamente.

- In particolare per cosa?

- Per le attrezzature.

- Vuoi dire che ti hanno fornito l’attrezzatura?

- No. Me la sono comprata, e loro mi sono venuti incontro con dei finanziamenti.

- E tu, Di, all’inizio qual era il tuo ruolo all’interno della ditta?

- Beh, il mio ruolo era di dare una mano a Pi. Siccome siamo fratelli...

Gli davo una mano, insomma.

- Così siete fratelli.

- Sì.

- E tu quand’è che sei diventato socio della ditta?

- Il 2 dicembre del 200.

Pi lo corregge. - Del 2006.

- Sì. Del 200.

- E come vi siete ripartiti la società?

- 4% io, 51% lui – risponde Di.

- Come mai?

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- Perché era... è... un’impresa famigliare, perché io non ero ancora al livello... cioè...

- Non avevi la qualifica?

- Non avevo ancora la qualifica, tante cose... Abbiamo preferito far così anche per ragioni fiscali.

Mi chiedo cosa capiranno, i visitatori del futuro, di queste cose che sen- to dire, che vengono registrate sulla memoria magnetica. è tutto così poco interessante. Probabilmente passeranno oltre, a un’altra stanza.

Andranno dove sentono urlare, o dove c’è un rumore strano di mac- chinari.

- Avete trovato duri i primi tempi? - chiedo, cercando di rianimare la testimonianza.

è Pi a rispondere, dopo averci pensato un po’ su. E lo fa bene, attento a raccontare tutto al presente.

- Forse meno nei primi tempi che adesso. C’era più lavoro, giravano più soldi... quattro anni fa... che adesso, i pagamenti erano più regolari, la legislazione era un po’ meno complicata...

- Dovete sempre aggiornarvi dal punto di vista legislativo, o c’è qualcu- no che lo fa per voi?

Pi alza le spalle. - Ci sarebbe qualcuno che dovrebbe farlo, anche perché lo paghiamo, ma non lo fa.

- In che senso? Cosa vi è capitato?

- Errori del commercialista, associazioni di artigianato, senza fare nomi, che dovrebbero tutelarci, e invece non lo fanno... Colleghi che facevano un mestiere e adesso fanno il nostro, e i requisiti sono caduti dal cielo...

- Ho capito. Parlando del vostro incidente... Cos’è successo quando ave- te avuto l’incidente con il vostro mezzo?

Di si gratta la testa. - è successo che una ci ha tagliato la strada, abbia- mo fatto l’incidente, e poi abbiamo dovuto viaggiare per un mese con le macchine nostre cariche di materiale e di attrezzature, perché, non avendo il furgone....

- Ma perché un mese?

I due si guardano. è Pi a rispondere. - La riparazione è andata per le

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lunghe... Non si trovavano i pezzi... E poi l’assicurazione ci ha dato un risarcimento minimo, anche se avevamo ragione noi.

- E quindi avete dovuto viaggiare con due macchine?

- Esatto.

Spunto una cosa che ho scritto sul mio foglio di appunti. - Incidenti sul lavoro, ne avete mai avuti?

- Fortunatamente no.

- Problemi di salute?

- Sì - sospira Di.

- Tutti e due - aggiunge suo fratello.

- Che problemi avete?

Di scuote il capo. - Io ho la schiena sbilenca, lui il ginocchio che va di qua e di là. Comunque sono problemi che ti vengono col lavoro, a sforza di sforzare e lavorare per guadagnarti qualcosa che poi lo Stato ti toglie via.

- Pagate tanto di tasse?

- Secondo noi, per la mole di lavoro che abbiamo noi, paghiamo senz’al- tro troppo.

Ecco, questo magari verrà tagliato via. Non entrerà nella colonna sonora della stanza.

Le tasse sono un argomento deprimente, di questi tempi. Meglio parlare d’altro.

- Sicché avreste bisogno di un altro mezzo per lavorare?

- Sì.

- E allora perché non lo comprate?

- Perché bisogna pagarci sopra le tasse. E poi per la mole di lavoro che abbiamo noi non ce lo possiamo permettere.

- Avete una segretaria che, non so, che vi prepara i preventivi o contatta i clienti per voi?

- No, facciamo tutto noi due.

- Che attrezzature avete per svolgere la parte burocratica?

- Un computer e una stampante.

- E una calcolatrice - aggiunge Pi.

- E basta? Tutto qui?

- Sì - sorride il fratello più anziano, con un fondo d’orgoglio.

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La lezione di parlare sempre al presente l’hanno imparata bene. Come due attori consumati. S’infervorano, scuotono la testa, fanno la voce grossa, come se le cose di cui raccontano fossero successe adesso, e non anni fa. Mi ricordano un attore che una volta ho visto recitare Shake- speare, in provincia. Era un attore vecchio, truccato e imbellettato come un ragazzino. L’avevano strizzato in un costumino da paggio, nero e sdrucito, con una calzamaglia che rivelava impietosa due gambette stor- te e magre. Recitava nel ruolo di Amleto. Mai principe di Danimarca fu più negletto di quello: dimenticava le battute, esagerava con le smorfie, e al momento in cui dovette impugnare il teschio del “povero Yorick”, dimenticò la battuta e per un lungo, impietoso minuto rimase a fissarlo come se avesse scoperto con sgomento che quel globo d’osso era la sua immagine allo specchio.

Sorrido. Tutta la vita è una recita.

- Come vi trovate con i vostri fornitori?

- Dipende. Ultimamente bisogna alzare un po’ la voce.

- Che problemi ci sono?

Le loro voci mi annoiano. Dopo un po’, se chiudo gli occhi, o anche soltanto li socchiudo, diventano praticamente indistinguibili. Blah, blah, blah...

- Beh, perché per telefono il prezzo è uno, poi al momento del ritiro del materiale il prezzo è un altro. E i tempi di consegna non vengono rispettati.

- Lo possono fare, questo?

- In teoria no, perché se ti garantiscono una data dovrebbe essere quella.

Se poi non la rispettano però sono problemi nostri, perché la faccia col cliente ce la mettiamo noi. Come l’abbiamo già messa. Abbiamo solo avuto la fortuna di avere dei clienti che capiscono.

- Non avete mai pensato di assumere un dipendente?

Uno sfarfallio di pixel segnala una contrazione del labbro di Pi. Una smorfia.

- Può darsi. Sì, ma...

Di scuote la testa: - è meglio stare così.

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- Perché?

Pi sorride. Le sue labbra formate da ritagli di altre labbra si scompongo- no e ricompongono mille volte in quel sorriso, che però potrebbe anche essere solo un’altra smorfia.

- Il lavoro ha troppi alti e bassi. Poi, come dicevo, le tasse sono troppo alte. Non puoi permettertelo.

- Generalmente, comunque, siete soddisfatti del vostro lavoro? C’è qual- cosa che cambiereste?

- Del lavoro no.

- Sono i clienti che non pagano - precisa Di.

- Sì. Generalmente siamo soddisfatti, ma non c’è coerenza nei paga- menti... E poi c’è troppa burocrazia. è giusto che ci sia, ma ormai siamo arrivati a un livello che purtroppo, o si segue la parte burocratica o si lavora. Non si possono più fare le due cose assieme.

- Quindi avreste bisogno di qualcuno che vi segua la parte burocratica?

Anche se avreste la preparazione per seguirla?

- Pi ce l’ha.

- Ma non avete il tempo.

Pi alza le spalle. Il suo vestito simulato dallo Schermo PKD è un mo- saico di mille altri vestiti, un patchwork che non puoi fissare senza farti venire il mal di testa. - O si lavora o si fanno i calcoli. Poi i preventivi...

- Quando ti fai 12, 13 ore di lavoro - interviene il fratello più giovane - e poi devi tornare a casa a farti i calcoli, pensare ai conti che hai, quello che devi dare, i preventivi...

- Poi una cosa che non va bene è la perdita di tempo nel fare i preven- tivi, e poi il lavoro non viene fatto. Stiamo seriamente pensando di farli pagare, i preventivi.

- In effetti ci sono ditte che lo fanno... - osservo.

- Esatto, ma noi, un po’ per amicizia, un po’ perché la realtà qui da noi è piccola, non lo facciamo...

- Immagino. Perché magari rischiate di avere un cliente che ti dice: “Ah, allora se il preventivo costa, non stare a farmelo”.

- Esatto, si contratta come quando si va al mercato a prendere le mele.

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- Quindi la qualità del vostro lavoro non viene riconosciuta?

- Assolutamente no.

- Guardi, quello che importa a loro è solo il prezzo finale. Non guardano che materiale metti, o come lo metti. Noi siamo abituati a lavorare con materiali di prima qualità, di serie A.

- Considerando i problemi di salute che avete, e considerando che bene o male questi problemi derivano dal vostro lavoro, avete pensato di ri- volgervi alla mutua per sapere se vi sovvenzionano qualche cura?

Pi alza ancora le spalle. Ha spesso gesti di resa, di rifiuto. Come questa cosa che fa, di alzare spesso le spalle. Di è più combattivo. Ha ancora energie da spendere. Persino i quadratini che lo simulano sembrano più vividi, più veloci. Danzano sullo schermo in modo nervoso, come una tempesta di coriandoli. Coriandoli di carne, di capelli, mossi dal vento di vecchi ricordi.

Pi, invece, Pi è l’immagine di uno che non c’è più. Lo vedi, o meglio credi di vederlo, ma lui non c’è veramente. è da qualche altra parte, con la testa. Immagino riviva quei giorni, parlandone. Mi rende triste. Non so bene perché ma mi viene da pensare a mio figlio, al mondo in cui l’ho fatto entrare senza che lui me l’abbia chiesto. E poi subito, altrettanto senza motivo, penso che Pi in questo momento vede la mia immagine altrettanto scomposta, modificata. Che il mio sorriso può sembrargli una smorfia, o viceversa.

Dalla sua parte dello schermo Pi fa una smorfia. O sorride. Non è che la differenza si noti.

- Non c’è niente. Se noi stiamo fermi, non c’è niente. A differenza di un dipendente che comunque è tutelato dall’INPS, le nostre sono tutte assicurazioni private che non risarciscono mai, o risarciscono in minima parte. Noi stiamo parlando di 25 euro al giorno di risarcimento. Con 25 euro al giorno...

- Non ci fate niente...

- Appunto.

- E se uno dei due dovesse avere un problema di salute, un problema grave voglio dire, come si risolverebbe questa situazione?

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- O si cerca la collaborazione di un altro artigiano fidato, o si diminuisce il lavoro, comunque quello che sta a casa uno stipendio deve sempre averlo, per vivere degnamente.

- Le istituzioni non tutelano chi sta a casa dei due soci - aggiunge Di.

- Sì, magari tutelano per le cure, ma se mi faccio male e devo stare un mese a casa...

- Vi risarciscono solo 25 euro...

- Esatto. E le agenzie private, mica la Regione, o lo Stato.

- Insomma dovete cavarvela da soli. Vi è mai successo di collaborare con altre ditte per fare lavori più grossi?

- Sì.

- Come vi siete trovati?

Pi riflette un po’ prima di rispondere. Sullo schermo, in alto, una mano composta da centinaia di frammenti di mani gratta il cuoio capelluto.

- Subito c’era un rapporto di amicizia, che però... è rimasto un rapporto di amicizia e non più di lavoro. La vediamo in maniere diverse...

- In che senso?

- Economicamente, ma anche come... come visione del lavoro.

- Okay. Ora vogliamo parlare un momento degli studi di settore?

Mi chiedo cosa capiranno, i visitatori dell’ipotetico museo che esibi- rà questa testimonianza, di queste tre parole: studi di settore. Non erano chiare praticamente a nessuno nemmeno quando erano qualcosa di vivo, di concreto, e non solo una roba del passato. Io stesso ho dovuto studiarmelo. La definizione più chiara che ho trovato era questa: uno strumento utilizzabile per valutare la capacità di produrre ricavi o conseguire com- pensi delle singole attività economiche. Gli studi sono realizzati tramite la raccolta sistematica di dati: sia quelli di carattere fiscale, sia anche numerosi altri elementi

“strutturali” e di tipo obiettivo che caratterizzano l’attività e il contesto economico in cui questa si svolge. Essi consentono quindi di determinare i ricavi o i compensi che con massima probabilità possono essere attribuiti al contribuente, individuandone non solo la capacità potenziale di produrre ricavi o conseguire compensi, ma anche i fattori interni ed esterni relativi all’attività che potrebbero determinare una limitazione della capacità stessa.

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Oggi, ovviamente, sono una cosa antica. Come le mappe catastali di Atlantide, o i menu del Titanic.

- Lo studio di settore, come influisce sul vostro modo di lavorare?

è sempre Pi a rispondere. - Se compriamo un’attrezzatura, a noi serve, ma su 2 giorni lavorativi che ci sono in un mese magari la usiamo 2 giorni, gli altri 24 sta in magazzino. Però lo studio di settore dice: voi l’avete comprata, quindi a fine anno il vostro fatturato deve essere molto più alto.

- E quindi non riuscite a starci dietro...

- Se avessimo lavoro per starci dietro, volentieri, ma purtroppo ci sono troppi alti e bassi.

- Di ha seguito dei corsi di formazione per mettere su l’azienda?

- Li ha seguiti da dipendente.

- Invece tu li ha seguiti?

- Sì.

- Quindi sei stato tu ad occuparti di tutta la parte amministrativa?

- Sì.

- Sono stati utili, i corsi?

- Utilissimi. Specialmente per la parte burocratica e contabile.

- E corsi per la sicurezza sul lavoro, ne avete seguiti?

- Sì. Tutti e due.

- Sono corsi a pagamento o gratuiti?

I due fratelli rispondono in modo diverso. Le voci si sovrappongono. Di risponde a pagamento. Obbligatori e a pagamento. Pi precisa: dipende in quale associazione uno si inserisce.

- Ma non comporta dei vantaggi essere soci? A voi non converrebbe?

- Ultimamente, nei giorni scorsi, abbiamo abbiamo avuto un problema di natura burocratica. Avremmo dovuto esserne informati... visto che costa iscriversi a questa associazione...

- Quanto costa?

- Circa 10 euro per l’azienda. Diciamo che gli aggiornamenti che ab- biamo sulla parte normativa del nostro lavoro, quella non burocratica, li abbiamo grazie ad una azienda che ci manda dei fascicoli con le nuove

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legislazioni in materia di installazione.

- Un’azienda privata?

- Sì.

Guardo l’orologio. Guardo Pi. L’immagine scomposta mi guarda a sua volta.

- Quali erano le tue aspettative quando hai aperto la ditta?

- Ero speranzoso, lo sono ancora adesso, non mi sono disilluso, anche perché a noi il nostro lavoro piace. Ma è il sistema che non va.

- Le tue aspettative si sono concretizzate o ti aspettavi qualcosa di me- glio per voi?

- Mi aspettavo qualcosa di meglio.

- In cosa, soprattutto?

- Economicamente, ma quello penso sia dato dalla correttezza dei paga- menti. Ma purtroppo quello dipende dalla gente.

- Ma nel momento in cui voi emettete una fattura il pagamento non deve essere fatto... per forza?

- Noi paghiamo l’IVA, anticipiamo il materiale...

- E i soldi non arrivano.

- Ho quasi perso la speranza.

Queste quattro parole potrebbero essere il titolo per l’intervista, penso.

Noi che guidiamo auto vecchie, noi che non vediamo crescere il PIL da dieci anni, possiamo capirlo. Penso a mio figlio, che non ha mai visto un giocattolo nuovo. Che mi vede farmi cento volte la barba con la stessa lametta. Abbiamo tutti perso la speranza.

Guardo Pi. - Tu che sei più vecchio, secondo te come se la caveranno le nuove generazioni, per esempio tuo fratello, che ha tanti anni in meno di te?

- Mi auguro che lui possa sempre lavorare, ma penso che il pesce grande mangia quello piccolo. Purtroppo nelle imposte e in tante altre cose, noi siamo penalizzati. Curiamo indubbiamente di più il lavoro, ma non so se riusciremo ad andare avanti. Noi puntiamo solo sulla qualità. La qualità è l’ultima arma che ci è rimasta.

- L’unica cosa che vi può differenziare dalla grande azienda che magari

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tiene in nero una certa percentuale di lavoratori....

- Sì. Non so se siano in nero o meno, è logico che il materiale costa un tot se ne prendi tanto, e a noi costa diversamente. Però noi lavoriamo solo con un certo tipo di materiale di alta qualità, e noi puntiamo su quello. La qualità. Non c’è altra speranza.

- Quante ore lavorate al giorno all’incirca?

- Dipende. La media è dalle 8 alle 10 ore, di lavoro manuale. Poi c’è tutto il lavoro contabile, i preventivi... Noi, per fare un preventivo di un’abitazione tipo, con tutto il lavoro che ci può essere, comprese, per dire, le energie alternative, ci vengono 4 o 5 ore di preventivo. E a noi chi le paga? Poi magari il lavoro non viene svolto...

- Su 10 preventivi che stampate, di quanti poi viene fatto il lavoro?

- Tre.

- E le altre sono tutte ore buttate al vento...

- Esatto.

Nessuno dice più “esatto”. è una parola del passato. Bravo, Pi, a tirarla fuori dai cassetti della memoria. O forse l’ha fatta sua, l’ha metabolizza- ta, e adesso non può farne a meno. Nessuno dice più “esatto” perché di questi tempi gli orari dei treni sono scritti a mano su fogli volanti appesi alle bacheche, lo stipendio te lo danno in contanti, banconota dopo banconota. Non c’è più niente di “esatto”, di questi tempi.

Ho fretta di finire.

- Ma insomma chi è che li vince, gli appalti?

- Chi fa il prezzo più basso in assoluto. Non viene considerata la qua- lità del materiale, o le voci di costo del preventivo. Viene considerato l’importo finale. Però noi cerchiamo di dare il lavoro chiavi in mano.

Qualcuno fa il furbo. A fine lavori la differenza è molto alta.

- Vi è mai capitato di lavorare nei festivi?

- Sì. Come no. Tipo per delle emergenze.

- E siete stati pagati adeguatamente?

- No. A volte anche non pagati.

- Come, non pagati?

- Non pagati. “Ma sì, poi aggiustiamo quando avete tutto finito, alla

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fine”. Poi alla fine “ah ma sai, io pensavo di spendere meno, ho avuto altre spese...”

- Comunque pensate di continuare con questa ditta, non volete mollare...

- Certamente continueremo.

- Se tu dovessi tornare indietro rifaresti tutto quello che hai fatto?

- Indubbiamente.

- Quindi tutto sommato sei in pace con te stesso...

- A livello economico no, perché per le ore che facciamo per la respon- sabilità che abbiamo, guadagniamo meno di un operaio che si fa le sue 8 ore al giorno e ha i festivi. Noi siamo sempre sul chi va là e poi magari non veniamo nemmeno pagati... comunque lo rifarei, è una soddisfa- zione personale.

Ho il dito sul pulsante del registratore. Per me l’intervista potrebbe già finire così. Sono stanco. Mi passo lentamente la mano nella stoppia gri- giastra che ho sul mento, sulle guance. Se c’erano sempre lamette nuove era per merito di questi due e di quelli come loro, mi dico.

Ma la guerra l’avete persa - vorrei gridargli. - L’abbiamo tutti persa. Perché non lo dite? Perché non lo ammettete, che tutti i vostri sforzi sono stati nulla?

Consulto le ultime righe del brogliaccio che ho davanti. C’è ancora una domanda, da fare, prima che l’intervista possa dirsi finita.

- Lavorate sempre in condizioni di sicurezza ottimali?

- Sì, sempre. Se il cantiere è nostro sì, se non è nostro e non è in sicurez- za contattiamo il capo cantiere o il committente e lo facciamo mettere in sicurezza. Alla fin fine, la vita è una sola, no?

- Va bene Pi, penso possa bastare.

E poi, premendo il pulsante, gli chiedo, chiedo ai due fratelli: puoi toglier- ti, potete togliervi la maschera? Posso vedervi come siete?

Sembrano sconvolti dalla mia richiesta. Non capiscono, immagino. Non sanno cosa dire. Cosa fare. Pi infine fa segno di sì con la testa.

Alzo la faccia verso un angolo della stanza. Chiedo al tecnico: - Puoi darmi le immagini vere? Puoi togliere questo cazzo di filtro? Puoi far- meli vedere?

Immagino ci siano consultazioni, che non posso sentire, nella saletta di

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controllo. Telefonate, ordini di servizio. Alla fine sento un brusio, e lo schermo PKD si spegne.

Guardo i due uomini oltre il vetro. Senza più la maschera.

Non li conosco. Non che mi aspettassi di conoscerli. Potrebbero essere chiunque. Due volti così comuni. Sembrano imbarazzati. Forse anche loro mi vedono per la prima volta. Forse anche per loro, sino a questo momento, sono stato solo un mosaico di immagini composite. Un nulla circostanziato. Un vuoto intorno a cui si raccolgono falene di immagini, detriti come dopo un naufragio, nel vortice lasciato dalla nave affondata.

Ci guardiamo a lungo, e le parole che ho sentito sinora, quelle parole adesso, vedendoli, mi sembrano diverse. Passa fra noi uno sguardo di ri- conoscimento, di reciproco interesse. Lo stesso interesse, la stessa atten- zione con cui un tempo questi due devono aver redatto un preventivo, devono avere immaginato la gioia, l’orgoglio del lavoro che li attendeva.

Oggi nessuno è orgoglioso di quello che fa. è un lavoro e basta.

Vorrei mostrarli a mio figlio, questi due uomini.

Vorrei chiedere loro guardate questa barba, venuta così male. Avete idea di come sistemarla? Avete idea di come sistemare il mondo? Possiamo tornare indietro, prima che sia troppo tardi? Possiamo tornare indietro?

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Nato a Valvasone, in Friuli, nel 15. Laureato in giuri- sprudenza, lavora presso l’ufficio legale di una banca di Pordenone.

Con il suo romanzo d’esordio, L’elenco telefonico di Atlantide, pubblicato da Sironi nel gennaio del 2003, ha ottenuto un lusinghiero successo di critica e di pubblico, tanto da venir definito “caso letterario dell’anno”, e ha vinto il premio Forte Village Montblanc - Scrittore emergente dell’anno.

Nel 2003 ha pubblicato il suo secondo romanzo, Mare di Bering (Sironi) e nel 2005 Lo stato dell’unione e Tre sono le cose misteriose (Premio SuperGrinzane 200).

Nel marzo del 200 è uscito Breve storia di lunghi tradimenti (Einaudi), Premio Letterario Castiglioncello-Costa degli Etruschi e Premio “Latisana per il Nord-Est”.

Suoi racconti appaiono in antologie pubblicate da Guanda

e da Mondadori. Il suo sesto romanzo, La ragazza di Vajont,

è uscito per Einaudi a giugno di quest’anno, mentre a set-

tembre è stato pubblicato nella collana “VerdeNero” delle

edizioni Ambiente il romanzo breve L’ultimo giorno felice.

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Le storie siamo noi

Ragioni e obiettivi della campagna di comunicazione “Diritti senza rovesci”

“Diritti senza rovesci” è una campagna di comunicazione sociale promossa da Inail il cui sottotitolo esplicativo recita: “Sicurezza e tutele: contro le discriminazioni per una cultura etica del lavoro”. Si chiarisce, in questa semplice frase, l’obiettivo generale di una serie di azioni comunicative, di linguaggi, di iniziative messe in campo per contribuire alla creazione di una cultura, condivisa collettivamente, che metta al centro dell’attenzione e della quotidianità dell’esperienza lavorativa la sicurezza sul lavoro e i principi di non discriminazione.

L’idea di “Diritti senza rovesci” nasce in Valle d’Aosta, dall’amicizia di due donne, impegnate in due contesti tradizionalmente lontani:

Elvira Goglia, dirigente di Inail e Viviana Rosi, dell’Associazione culturale Solal.

Lo scopo è ambizioso e non si limita a richiamare il rispetto di nor- me fondamentali che salvaguardano la salute psicofi sica dei lavora- tori. Per sollecitare la rifl essione, per lasciare traccia nelle coscienze e nelle consuetudini, per indurre una maggiore consapevolezza dei diritti fondamentali nei lavoratori e nei datori di lavoro, si ricorre al linguaggio letterario e a quello del teatro di strada. Vengono coinvol- ti attrici e attori di grande bravura, realizzate videoinstallazioni e so- prattutto vengono raccolte storie di disagio lavorativo e di ingiustizia patita dalla viva voce di lavoratori e lavoratrici, con la convinzione che proprio da lì, dalle tante vicende di “malolavoro” che ancora si verifi cano nel nostro paese, sia necessario partire per costruire una cultura, una mentalità eticamente responsabile.

Nel 2007 la campagna di “Diritti senza rovesci” muove i primi passi nella piccola Valle d’Aosta, con il sostegno di numerosi attori sociali (Assessorato Attività Produttive e Politiche del Lavoro della Regione Autonoma Valle d’Aosta, Consigliera di Parità, Direzione Regionale del Lavoro, Cgil, Cisl, Uil, Savt, Confi ndustria Valle d’Aosta, Con- fartigianato, CNA, Associazione Artigiani Valle d’Aosta) e subito si

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avvale dell’adesione convinta al progetto di scrittori e scrittrici (Giu- liana Olivero, Carmen Covito, Andrea Bajani, Viviana Rosi, Gior- gio Falco, Barbara Garlaschelli) impegnati a portare la realtà nella costruzione narrativa. Le storie di vita lavorativa raccolte grazie alla disponibilità e alla voglia di raccontarsi di lavoratori vittime di discri- minazioni, precarietà, mobbing, i referti stilati in occasione di una tra le troppe morti sul lavoro diventano racconti da distribuire per strada, da leggere ad alta voce a passanti apparentemente distratti, da fare ascoltare a centinaia di giovani accorsi a visitare il percor- so multimediale allestito a Torino negli spazi, che ancora trasudano memoria industriale, dell’associazione Libera di don Ciotti. È for- te la convinzione – espressa con passione militante da Lella Costa, in occasione della presentazione della campagna (Aosta, 27 luglio 2007) – che il grande valore delle storie di vita vissuta stia nel fatto che parlano “alla pancia” di chi le sta a sentire, che la letteratura, quando coglie il valore e il senso dell’esperienza umana, diventa uno strumento straordinario per smuovere le coscienze e convincere del- la necessità di un cambiamento per costruire una società che sia più equa e migliore per tutti.

Con un simile presupposto, proseguire nel lavoro avviato nel 2007 è stato inevitabile.

Nel 2008 vedono la luce altre sei narrazioni, altre sei storie “vere”:

le vite precarie che minacciano, il futuro delle nuove generazioni; le discriminazioni che colpiscono anche chi occupa posti dirigenziali quando la malattia irrompe nel quotidiano; la vita spesso aspra e solitaria delle donne straniere che vivono nelle nostre case, che ac- cudiscono i nostri anziani; l’isolamento e l’incomprensione che cir- condano i lavoratori diversamente abili; la fi ne prossima ventura del lavoro autonomo qualora non si sappia dare valore alla laboriosità di chi ancora crede al “saper fare” con la testa e con le mani.

Altri scrittori e scrittrici (Dacia Maraini, Tullio Avoledo, Michela Murgia, Grazia Verasani, Matteo B. Bianchi, Antonio Pascale) met- tono a disposizione la loro penna, il loro talento, la loro sensibilità per commentare le testimonianze e trasformarle in storie, rifl essioni, puntuali descrizioni di contesti lavorativi “diffi cili”. Come nel 2007, quando la vicenda di un giovane precario è diventata una graphic

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novel illustrata da Alessandro Viale, per parlare ai ragazzi e alle ra- gazze con un linguaggio più vicino a loro, così in questa nuova serie di pubblicazioni le peripezie lavorative di una tra le tante lavoratrici ventenni a tempo determinato sono raccontate anche attraverso le belle illustrazioni di un disegnatore, Luca Galvani, coetaneo della protagonista della storia.

Ai giovani, del resto, guarda con particolare attenzione il progetto di

“Diritti senza rovesci” perché la cultura della sicurezza e della non discriminazione – lo sa bene Inail che da anni si occupa di questo – si costruisce, si diffonde, si innerva nel tessuto economico del nostro paese anche e soprattutto attraverso le nuove generazioni di lavora- tori, anche grazie ad una rinnovata concezione del lavoro che può venire a mano a mano coltivata e sostenuta a partire dai banchi di scuola e dalle aule dell’università.

In senso più generale, avvicinare il mondo della cultura a quello del lavoro, affi ancare i linguaggi, quello delle cifre, che spietatamente dichiarano quanti infortuni, quante malattie professionali colpisco- no i lavoratori italiani, e quello del cinema, del teatro, della musica, della letteratura è ciò che da anni Inail sta facendo ad un unico sco- po: «Uscire dal luogo comune, autoassolvente, che gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali siano un problema fuori di noi: un problema degli “altri”, dei datori di lavoro e dei lavoratori. Come se ciascuno di noi non appartenesse a una delle due categorie (o quan- tomeno aspirasse ad appartenervi) e quindi non fosse inevitabilmen- te parte del problema. E soprattutto, vogliamo sperarlo, parte della soluzione» (Marco Stancati, Responsabile Comunicazione di Inail e docente alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma).

Un obiettivo questo che la campagna di comunicazione “Diritti sen- za rovesci” condivide e fa proprio, grazie all’impegno civile di artisti e di semplici cittadini che leggono e sanno che ciascuna delle storie che andiamo raccogliendo riguarda ciascuno di noi e il nostro modo di vivere e pensare il lavoro in quanto parte rilevante della nostra vicenda esistenziale.

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1. M

OBBING

- Giuliana Olivero, Sottigliezze

2. D

ISCRIMINAZIONE

- Carmen Covito, Tempo parziale 3. M

ORTIBIANCHE

- Andrea Bajani, Tanto si doveva 4. P

RECARIATO

- Viviana Rosi e Alessandro Viale, Vogliono te. Storia di un ragazzo interinale 5. I

MMIGRAZIONE

- Giorgio Falco,

Liberazione di una superfi cie 6. D

ISABILITÀ

- Barbara Garlaschelli,

Luce nella battaglia. La storia di Matilde

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7. L

AVOROAUTONOMO

- Tullio Avoledo,

Il pesce grande mangia il pesce piccolo

8. I

MMIGRAZIONE

- Dacia Maraini presenta Nadja 9. D

ISCRIMINAZIONE

- Michela Murgia, Alla pari 10. P

RECARIATO

- Grazia Verasani, Agata Illustrazioni di Luca Galvani

11. D

ISABILITÀ

- Matteo B. Bianchi, Pietro in diretta 12. M

ORTIBIANCHE

- Antonio Pascale,

Trasformare il trauma in dolore

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Tullio Avoledo

IL PESCE GRANDE MANGIA IL PESCE PICCOLO

© 2008 Tullio Avoledo Tutti i diritti riservati

Grafi ca e impaginazione di Francesca Schiavon Stampa: Tipolitografi a INAIL - Milano - gennaio 2009

INAIL - DIREZIONE CENTRALE COMUNICAZIONE

Piazzale Giulio Pastore, 6 - 00144 Roma dccomunicazione@inail.it

www.inail.it

“Diritti senza rovesci” è un progetto INAIL ideato dall’associazione Solal-progetti culturali.

Diritti di pubblicazione e d’uso per tre anni

Pubblicazione non destinata alla vendita

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