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(1)APPENDICE INTERVISTE RACCOLTE AD OPERA A MAGGIO 2007 INTERVISTA A LAURA Intervistatrice: “Raccontaci qual è la tua esperienza, come sei entrata in contatto col campo di Opera

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APPENDICE

INTERVISTE RACCOLTE AD OPERA A MAGGIO 2007

INTERVISTA A LAURA

Intervistatrice: “Raccontaci qual è la tua esperienza, come sei entrata in contatto col campo di Opera…..

Laura: “ Io ho lavorato al campo di Opera ma in realtà è stata una esperienza brevissima.

Praticamente io ero via, non ero nemmeno a Milano, sono tornata proprio il 21 dicembre.

Stavo disfando le valigie, mi chiama un amico alle 11,30 di sera dicendomi: “ Guarda che sta succedendo un casino. C’é della gente che ha bruciato le tende, le stanno portando al centro di Opera tipo trofei, brandelli di tende bruciate, la gente è infoiatissima. Bruciamo i Rom, bruciamo le tende, bruciamoli tutti! Io tra l’altro mi ero persa il pezzo prima. Il pezzo prima è che queste famiglie , che sono tutte di Rom Rumene e che sono poi state ospitate in quella tendopoli lì ad Opera, vivevano ormai già da tempo , io credo quasi 3 anni in via Ripamonti, che è la strada principale che da Milano arriva appunto ad Opera. Erano su questo terreno di Salvatore Ligresti con cui avevano un accordo tacito nel senso che sono famiglie con bambini, non era una situazione particolarmente complessa, i bambini andavano a scuola….

Sta di fatto che Ligresti ha chiesto ad inizio dicembre lo sgombro.

Intervistatrice: “Ma chi è Ligresti?”

Laura: “Ligresti è uno dei più grandi uomini di potere in Lombardia. Vabbè, era stato anche invischiato in storie legate al gruppo Fininvest… Ora qui diciamo che ha in mano un po’ tutta la speculazione edilizia della Lombardia , Milano in particolare. Ha richiesto questo sgombro ed esso è avvenuto immediatamente all’alba del 14 dicembre .

Intervistatrice: “C’erano stati problemi con la cittadinanza locale lì in via Ripamonti?”

Laura: “ Che io sappia non particolarmente?

Intervistatrice : “ Tu collaboravi con qualche associazione?”

Laura “ Io in realtà no, cioè per quanto riguarda questa cosa specifica dei Rom no , non ci avevo mai lavorato. Il fatto è che appunto essendo io di opera, la cosa è avvenuta proprio sul territorio, io facevo parte di un coordinamento di associazioni operesi che si chiama “festa dei popoli”. Attraverso il comune poi io sono diventata operatrice all’interno del campo e

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quindi sono potuta rimanere a contatto con la situazione sotto tutti i punti di vista. Io ero l’unica operatrice pagata dal comune, gli altri erano tutti volontari del comitato “festa dei popoli”.

Intervistatrice: “So che ci è stata a questo proposito una polemica nel blog “la Voce di Opera” il blog nel quale scrivevano anche esponenti della lega nord, proprio sul fatto che tu venivi pagata…

Laura: “si, dato che il comune voleva tranquillizzare la cittadinanza sul fatto che non avrebbe speso una lira per il campo, il mio ruolo di unica operatrice pagata poteva creare polemica…tra l’altro manco mi dessero 3500 euro al mese…io tra l’altro ero l’unica che doveva percepire dei soldi…che al momento attuale non ho ancora percepito”.

Intervistatrice: “Cosa facevi esattamente?”

Laura: “ Io dovevo essere il punto di incontro tra i Rom, il comune e la Casa della Carità…Tra l’altro la casa della carità in quel momento si è trovata anche in ballo con la questione del campo di via Triboniano che è nella zona nord di Milano, un campo che è quasi un villaggio di 800 persone, senza alcun intervento istituzionale, non c’era alcun progetto delle istituzioni per quel campo, solo associazioni che ci lavoravano: l’opera nomadi, il Naga, un’associazione che si occupa di assistenza legale agli immigrati. Il 31 dicembre dicevo, c’è stato un incendio, questa volta non doloso, solo un incidente, e quindi la casa della carità era impegnata su due fronti… la mia volontà, che era anche quella del comitato festa dei popoli, era quella, più che agire all’interno del campo (che a parte il corso di italiano non è che ci fossero delle gravi necessità interne su cui intervenire) era di creare una situazione che si opponesse a quello schifo che c’è stato nel giro… si trattava proprio di una situazione a cui io stento a credere, soprattutto perché è un paese in cui sono cresciuta, la gente la conosco e mi conosce e veramente è stata una cosa inimmaginabile. Quindi appunto abbiamo creato un corso di italiano, abbiamo organizzato dei pranzi li dentro, un concerto una sera, e poi insieme al Naga stava per partir e un progetto di sportello per l’inserimento lavorativo con due persone del Naga, una delle quali in particolare ha molta esperienza di inserimento degli immigrati all’interno del mercato del lavoro. Quindi avevamo iniziato a stendere curriculum, per cercare di capire i titoli che queste persone avevano, se potevano essere recuperate le certificazioni, oppure inserire qualcuno in corsi di formazione… cose così… essenzialmente era questo. La nostra volontà era quella di iniziare ad uscire dal campo. Perché , ognuno la pensa come vuole, ma noi come gruppo non sosteniamo la strada del campo come soluzione. E’ una cosa che non piace a nessuno, non piace a chi ci vive in primis…

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Laura: “ Anche l’autocostruzione è una buona alternativa, ormai l’interland milanese è immenso, pieno di cascine disabitate, lasciate in uno stato pietoso, che già in altre occasioni ci sono state famiglie che si sono offerte di ristrutturarle, di lavorarci e di poterci poi vivere e ci sono persone molto più preparate di me che ci lavorano da anni. Il problema è che qua a Milano la situazione abitativa è terrificante per tutti, poi a diversi livelli ci sono situazioni drammatiche. I rom e gli immigrati le rappresentano…

La sera dell’incendio vi è stato un vero e proprio pogrom, né più ne meno da Ku Klux Klan. Trecento persone ( su 15.000 abitanti di Opera ) che andavano verso il campo. Già nel pomeriggio avevano spaccato i vetri della protezione civile della Provincia di Milano che erano lì a fare i sopraluoghi e a prendere le misure per montare le tende. Il Consiglio comunale quella sera venne interrotto da questa orda di persone che avevano cercato di entrare in sala consigliare insultando il sindaco e urlando. Dopodiché al megafono qualcuno ha urlato:

“ Andiamo al campo Rom! Andiamo al campo!” E’ stato un delirio collettivo fin dall’inizio.

Gente che ci urlava dai balconi quando volantinavamo ( volantini con condanna del rogo delle tende n.d.i. ), pensando che stessimo appoggiando le azioni razziste : “ Bravi dovete bruciarli tutti!!”.

I primi giorni quando entravamo al campo “ Troia! – Merda!- Vergognati!- Portateli a casa tua!- Vai a casa!” La Lega e Alleanza Nazionale hanno gestito la cosa, ma lì in mezzo c’era gente che faceva volontariato, donne di 50-60 anni con cui quando avevo 17 anni facevo volontariato in un centro diurno per portatori di handicap ; catechiste, gente frequentatrice assidua della Parrocchia ( che infatti ha litigato pesantemente col prete Don. Renato).I primi giorni c’era gente di cui aver paura lì in mezzo; c’era gente di Forza Nuova. Addirittura alla partita dell’ Inter del 23 dicembre c’erano degli striscioni nella curva degli ultrà con scritto : “ Opera non mollare! Opera siamo con te!”. Durante la sera del concerto della Banda degli Ottoni ( dentro al campo Rom n.d.i), noi siamo costretti a rimanere dentro al campo fino alle 22,30 – 23.00 di sera, perché i presidianti hanno circondato il campo urlando dai megafoni “ Quando uscite vi spacchiamo il culo. Merde! Vergognatevi!” C’erano 80-100 persone e noi non potevamo uscire. La polizia usciva e diceva aspettate perché fuori c’è una situazione assurda. E poi quando siamo usciti ci hanno urlato qualsiasi tipo di insulto. Si erano portati trombe da stadio, fischietti etc.. Un gruppetto è stato pure rincorso mentre andava alle macchine da gente che non è stata bloccata dai carabinieri, ma è stata bloccata da altri del presidio che hanno detto “ Vabbè ragazzi stiamo esagerando fermatevi”. E noi per questa cosa abbiamo sporto denuncia firmata da 11 persone fatta protocollare e una lettera al prefetto,

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allegata alla denuncia, che il 19 dicembre abbiamo provato a consegnargli ma questi non ci ha nemmeno voluto ricevere.

Al tavolo delle trattative sono stati invitati due esponenti del presidio e i Rom no ad esempio, i rom cosa che è piuttosto assurda. A parte noi, ma almeno i rom, dato che ci devono vivere… Quello del presidio hanno incontrato per due volte il prefetto, ma questi non ci ha ricevuto e non ha dato nessuna risposta. Nella lettera si denunciava la situazione, la gente insultava i rom quando passavano e i bambini dovevano essere accompagnati dai carabinieri al pulmino della scuola. Due sere dopo il concerto a una ragazza del naga è stato intimato di cancellare le foto dalla macchina fotografica e di consegnare la macchina urlandole: “ti spacco la faccia” e anche l’ i carabinieri non sono intervenuti, se non quando gli ho detto: “ ma non vedete cosa sta accadendo?” Loro mi hanno detto che avevano disposizioni diverse, che non dovevo parlarne con loro, loro no prendevano decisioni riguardo alla gestione di quella cosa, dopo di che hanno detto a me e agli altri ragazzi: “signori volete andare? Non vedete che state creando problemi di ordine pubblico?” Questo ci è stato detto dopo che c’era gente che intimava a una ragazza “ti spacco la faccia, dammi la macchina fotografica”. E anche questa cosa l’abbiamo scritta. Altra cosa che ci sembrava strana era che quelli del presidio, piano piano, hanno costruito una casupola di legno dove vendevano cibo, bibite, cosa già di per se illegale perché devi avere dei permessi dalla asl, dalla guardia di finanza per fare queste cose, e un’autorizzazione. Questa autorizzazione no c’era, questa gente è rimasta lì 50 giorno con un tacito accordo di questura, prefettura di Milano, quando anche per fare un banchetto di raccolta firme al mercato tu devi avere nero su bianco prima l’autorizzazione di occupazione di suolo pubblico presentando quello che vuoi fare”.

Intervistatrice: “Secondo te come è possibile che si arrivi a permettere che accadano cose del genere?”

Laura: “Guarda, questo me lo sto chiedendo ancora, perché mi chiedo i bimbi come si saranno vissuti questa cosa… perché lì c’erano veramente delle mamme e dei papà, e io mi chiedevo: ma cavolo se tuo figlio dovesse essere scortato dai carabinieri, dovesse vedere quelle scene… perché anche quando io sono arrivata hanno gettato fumogeni, petardi contro autobus, e c’erano bambini che piangevano. Delle cose schifose. Quindi aldilà delle strumentalizzazioni della Lega, a queste persone ( neoconservatori xenofobi di destra e di sinistra) viene dato moltissimo spazio ( non solo a livello istituzionale, ma anche ad un livello più “informale”). Essi godono di molta più libertà di movimento e di azione di quanto non abbia magari un’altra parte della cittadinanza, che propone cose di taglio completamente

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cittadini che vanno in giro come sceriffi nel far west, e questo è permesso loro, piuttosto che l’apertura di un circolo culturale fascista “ Cuore nero” che stavano per aprire a Milano proprio vicino a Via Triboniano dove vi è il più grande insediamento Rom autorizzato di Milano.

Il discorso sull’immigrazione e ancora di più sui Rom, è strumentalizzato in questo modo, si gioca sulla paura, per far credere che queste persone siano all’origine di tutti i nostri mali a partire dal problema abitativo, al problema del lavoro. Nessuno è mai andato a bruciare le ville di Berlusconi o di quello che ha fatto fallire la Cirio. Quelli sì che hanno fregato i soldi dei loro amati concittadini… I presidianti di Opera dicevano : “ Noi non siamo razzisti!”.

Allora perché il presidio non lo spostate sotto il comune, sotto la provincia di Milano, sotto casa del sindaco ?!?! Se il problema è che le istituzioni si sono comportate male perché non spostate i presidi sotto le sedi delle istituzioni ?!”

Intervistatrice: “Nel blog “ la Voce di Opera” i presidianti operesi sono stati a volte paragonati a qualsiasi altro movimento spontaneo di tutela del proprio territorio, come i presidi dei NoTav o quelli a Vicenza contro la base nucleare.. Che ne pensi di questi accostamenti?”

Laura: “L’atteggiamento delle istituzioni è diverso : i noTav li hanno manganellati, a Vicenza hanno fatto una politica di terrore di questo movimento, che anche prima del corteo, sembrava dovessero andare là le Brigate Rosse a sparare! Invece il presidio di Opera andava bene alle istituzioni. Nessuno ha mosso un dito per fermarlo e alla fine ha ottenuto quello che voleva. La cosa peggiore è che questo fatto ha creato un gravissimo precedente ; per cui adesso in qualsiasi paese basta mettersi in 5 o 6 lì giorno e notte con i fuocherelli a fare i sit - in e i Rom vengono mandati via.

Dire come essi dicevano: “ Noi non siamo razzisti l’avremmo fatto anche se si fosse trattato di un inceneritore e/o di una discarica” mostrano a che livello può arrivare la cecità umana nel non riuscire a vedere in queste persone delle persone.

Inoltre qualche anno fa ad Opera ci fu un problema con una ditta di smaltimento di rifiuti tossici. Noi abbiamo cercato di creare un comitato sopra la sede della provincia, ma l’impegno che gli operesi misero in quella lotta, non è assolutamente paragonabile all’entusiasmo che ha trascinato la gente in questa storia dei Rom.”

Intervistatrice: “ Parlaci della gestione dei campi rom a Milano osannata dai giornali, cioè quella che Letizia Moratti ha chiamato il nuovo modello milanese” Laura: “Opera è il primo esempio fallito miseramente della gestione nuova dei campi Rom a Milano, osannata dai giornali. Questo modello è stato affidato in toto da Letizia Moratti, alla Casa della Carità,

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un ente religioso, e personalmente nelle mani di Don Virginio Colmegna ( guida spirituale di Letizia Moratti), estromettendo completamente le altre associazioni che è da anni che se ne occupano.

La Casa della Carità ha avuto l’idea insieme alle istituzioni milanesi di creare questo nuovo strumento di questa gestione milanese dei campi che è il “ Patto di socialità e legalità”.

Che è una cosa agghiacciante. Questo patto è a metà fra un regolamento di condominio che contiene indicazioni solo per i Rom. La nuova gestione implica anche un contatto giorno e notte con le forze dell’ordine che stanno all’esterno del campo e controllano chi entra e chi esce. Queste persone hanno un cartellino di riconoscimento con nome cognome e numero dei container. Chi a gennaio si rifiutò di firmare questa cosa o chiese spiegazioni è stato tacciato di essere un delinquente che non si voleva far schedare perché “ ne aveva di cose da nascondere”. Gente che viveva a Triboniano da anni è stato mandato via rompendo anche gli equilibri interni del campo. Il 28 dicembre 2006 il patto è proposto ad Opera, a gennaio è imposto in Via Triboniano. La gente che si è rifiutata ora non ha un tetto. Solamente ai Rom è stato proposto questo patto che ha un’implicazione terrificante che chiunque trasgredisca qualsiasi cosa di questo patto viene mandato via, lui e tutta la sua famiglia, fatto che lo rende anticostituzionale, perché la responsabilità è individuale e non collettiva.

Inoltre c’è già una legge per tutti. Il presupposto da cui si parte è lo stesso di quello della gente dei presidi, per i quali questi ( i Rom n.d.i) rubano e hanno l’illegalità dentro.

In Via Triboniano una famiglia aveva ospitato un famigliare senza avvisare, ma fra le regole del patto c’è anche che il numero di persone all’interno del campo non deve aumentare di un’unità. Al Parco Lambro due persone hanno avuto un litigio fra di loro, per cui sono state cacciate dal campo 24 persone fuori dal campo nel giro di due giorni, fra cui 11 bambini con meno di due anni, bambini che andavano a scuola già da anni e un uomo cardiopatico con un principio di cancrena ai piedi. Essi hanno trovato posto in un altro campo abusivo tra la zona di Chiaravalle e San. Donato in una casa sfasciata. Don. Colmegna ha dato nelle loro mani 100 euro ed ha contattato degli autisti per riportarli in Romania. Alcuni di loro sono rimasti, quattro uomini sono rimasti e gli altri sono ritornati in Romania. Si parla tanto di integrazione scolastica e poi 11 bambini che andavano a scuola da anni, vengono cacciati e tornano in Romania.

Il parco Lambro è un “villaggio solidale” della Caritas. E’ cosa a sé. Il Ceas è un villaggio che ospita persone con problemi psichici, persone con problemi di tossicodipendenze e Rom. E’ un ghetto. Qua a Milano ci sono associazioni e c’è un comitato che si batte da anni

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provincia di Milano che dice che è necessario un tavolo al quale partecipino i Rom per primi con cui collaborino tutte le associazioni che hanno lavorato coi Rom. Tuttavia questo tavolo non c’è, non esiste.”

DON MASSIMO MAPELLI DELLA CASA DELLA CARITA’

Intervistatrice: “Ci può parlare del ruolo che ha avuto la casa della carità nella vicenda di opera e nei suoi successivi sviluppi?”

Don Massimo: “Loro vivevano lì, in via Ripamonti, in una delle tante baraccopoli.

Milano ha una popolazione che vive in baraccopoli che si aggira intorno alle 5000 persone.

Sono state sgomberate il 16 dicembre, ma noi della casa della carità, li conoscevamo già, perché la prima mission della casa della carità è accogliere, la seconda è la presenza nelle baraccopoli, nelle favelas di milano. Noi avevamo già fatto per loro tutt al’iscrizione alla scuola dei bambini. Quando hanno fatto lo sgombero è chiaro che, conoscendoci, ci hanno chiamato. Anche perché siamo su tutta Milano, dove abbiamo accolto un altro gruppo sgomberato che abbiamo da due anni e stiamo facendo un percorso con loro. Loro ci hanno chiamato, noi siamo arrivati e li abbiamo tenuti a dormire la prima notte nella casa della carità. Noi avevamo già un’esperienza con l’altro col quale lavoriamo da due anni e abbiamo fatto un percorso interessante verso l’autonomia, le famiglie stanno già affittando alcune case.

Allora dopo lo sgombero, abbiamo detto al comune di Milano. “Adesso però riprendili”, il comune di Milano li riprende, ed esce un patto tra il comune di Milano, la provincia di Milano, la prefettura di Milano, nel quale esce l’idea del campo di opera, come soluzione noln definitiva ma transitoria, dove loro potevano stare ad opera fino al mese di marzo e non di più.

La Casa della Carità avrebbe gestito questo campo, viene allestito un campo con le tende,…è successo l’incredibile. Dopo un mese e mezzo siamo venuto qui, al parco Lambro”.

Intrervistatrice: “Cosa avete fatto quando il campo era ad opera per migliorare la situazione?”

Don Massimo: “ Non è stato possibile fare niente. La protesta della cittadinanza è partita con l’incendio delle tende, e una volta che è partita con l’incendio delle tende è ovvio che sono saltate le possibilità di dialogo no?! Capisco che in una situazione di emergenza, nella quale si arriva velocemente a creare un campo di ospitalità, capisco bene che questo può creare qualche paura dentro all’opinione pubblica. Allora la paura, è un conto, nel senso che

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con la paura si può dialogare, ci si trova…è anche lecita un po’ di paura di fronte a persone che sono state sgomberate, non si sa chi sono… Quando la paura si trasforma in: “tutti in corteo andiamo ad incendiare le tende” diventa un atto di violenza, razzismo, allora come dialoghi? Purtroppo c’è anche una cosa da dire: c’è stata anche una strumentalizzazione da parte delle forze politiche”.

Intervistatrice: “ Adesso che attività verranno intraprese con le persone che sono ospitate qui?

Intervistatrice: Che attività verranno intraprese con le persone che sono ospiti qui?

Don Massimo Mapelli: Allora la nostra idea è di camminare piano piano verso un cammino di autonomia. A partire da che cosa? Da una conoscenza profonda loro. Averli in casa adesso vuol dire conoscerli bene. Noi siamo andati anche in Romania, a vedere i luoghi da cui vengono, cioè la zona a sud della Romania da cui la maggior parte di loro proviene. Tra parentesi l’idea dei Rom romeni come Rom nomadi è una balla grossa come una casa, perché loro in Romania hanno la casa e sono una popolazione stanziale da 700 anni. Io che faccio il prete da 10 anni e ho cambiato tre posti sono più nomade di loro. L’autonomia vuol dire iscrizione dei bambini a scuola , più degli operatori ( pagati per il primo anno da noi della Casa della Carità), il secondo anno abbiamo fatto in modo che questo progetto fosse riconosciuto dal Ministero della Pubblica Istruzione. Questo permette alle scuole per la prima volta di ricevere un problema, ma anche le risorse. Il fatto importante non sono le risorse che sono arrivate alla scuola e non alla Casa della Carità, ma il fatto che quando gli operatori entrano a scuola non entrano come volontari che hanno il pallino delle baraccopoli, ma entrano come operatori del progetto della pubblica istruzione.

Intervistatrice: “Come è nato il patto di socialità e legalità?”.

Don Massimo M. : “ Il patto è nato dall’esperienza. Noi con il primo gruppo abbiamo fatto un patto cioè noi gli diamo un luogo sicuro dove stare, gli diamo una casa ( leggi riparo n.d.i), gli diamo la possibilità di usufruire di tutto quello che qui c’è, in cambio però chiediamo di fare un patto con voi, nel quale voi vi impegnate a mandare i bambini a scuola.

Siccome ti dico da subito che non ho intenzione di tenerti qui per tutta la vita, ti impegni anche a trovarti un lavoro. Noi ti diamo una mano ( facciamo un corso per manovali- carpentieri ad esempio ), ti diamo le possibilità e tu però ti devi impegnare. E’ chiaro che se non offro niente non posso chiedere niente, ma se offro, come qualsiasi centro di accoglienza

… Secondo, la contrattualità è anche un loro modo di relazionarsi, a loro fa piacere che io faccia patti con loro.

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Terzo, vi è un risvolto sull’opinione pubblica: cioè io non posso vivere su Marte. Cioè io non posso non pensare che sto ospitando della gente, che mi occupo di persone che il 99,9%

della gente non vuole, dobbiamo saperlo. Allora proprio perché è così, io ho bisogno di un patto che sia strumento di sfondamento verso gli altri: “ guardate che noi ci impegniamo a rispettare quelle regole che voi dite che non rispettiamo”. Non è il patto di socialità e legalità che crea l’isolamento, purtroppo c’è un’opinione pubblica intera che li considera diversi e non capaci, pericolosi e da allontanare. Io non posso non tener conto di quella roba lì e devo avere uno strumento che mi fa sfondare lì dentro, vale a dire “ guarda tu pensi così di me, io in realtà mi impegno..”

Intervistatrice: Che ne pensa della marcia della sicurezza voluta dall’amministrazione milanese?

Don Massimo M.: La marcia sulla sicurezza ha creato paradossalmente un’idea di insicurezza maggiore. Se è vero che può esistere qualche spazio di insicurezza ( ma non credo che tutta Milano sia una città insicura), anche se ciò è vero, se tu urli la cosa, aumenti l’insicurezza e non hai fatto niente. Puoi aumentare l’insicurezza urlandola, ma il problema rimane lì. Noi crediamo che i problemi si risolvono non urlando, ma lavorandoci dentro quotidianamente. Nella più grande favelas di Milano ché in Via Triboniano, noi abbiamo 6 operatori. Da dieci anni era lì abbandonata Si sono accumulate 1000 persone che vivono in baracche di legno. E’ chiaro che quello è un luogo dove accanto a gente che lavora c’è anche gente che gestisce traffici loschi. La nostra presenza quotidiana giorno per giorno, li arriva ad individuare. Quando li individuiamo noi li denunciamo. Andare lì in mezzo sporcarci le mani e costruire la legalità giorno per giorno, non sullo striscione.

Devo dire che la stessa amministrazione che ha prodotto quella roba lì della marcia della sicurezza, in parte in Via Triboniano ha messo in piedi una roba diversa. Ha detto: “ voglio affrontare questo problema che da dieci anni che si trascina e lo voglio affrontare certo facendo un presidio gestito dai vigili urbani e dalla polizia, ma ci deve essere anche un presidio sociale forte, d’accordo col presidio sulla sicurezza. Questa è una cosa che ha voluto il Comune di Milano, non da solo ma insieme alla Provincia, quindi è un segno diverso.

Il problema è quello di reggere queste cose a livello politico, voglio dire, dentro alle coalizioni politiche l’accordo non c’é. Il problema delle baraccopoli, delle favelas dei Rom non è un problema di destra o di sinistra è un problema che è delle città. Chi lo tocca in genere perde consensi, ma chi governa deve avere il coraggio di toccarlo, sennò non si risolve da solo si risolve affrontandolo. Per la prima volta dopo tanti anni le istituzioni mostrano un

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minimo di volontà nel voler risolvere il problema : paradossalmente quando le istituzioni mostrano questa volontà si spaccano al loro interno”.

Intervistatrice : “ Come sono i rapporti della Casa della Carità con le associazioni che da anni lavorano con i Rom a Milano? Ad esempio come sono i rapporti con l’Opera Nomadi?”

Don Massimo M: “ Certamente a Milano l’Opera Nomadi non ha riconosciuto per nulla questa idea del patto di socialità e legalità, ha preso le distanze. Deve però anche dirmi in una situazione come quella di Via Triboniano quale altra proposta darmi : se ce l’ha la dica. Altre proposte non ne ho sentite. Dire di no son capaci tutti. Bisogna dire però anche che cosa bisogna fare…”

Intervistatrice: “ Un’attivista mi ha riferito che qualche settimana fa in seguito a un litigio avvenuto fra due uomini sono state espulse 24 persone di cui molti bambini che frequentavano regolarmente la scuola già da tempo.

Don Massimo: “sono successe una serie di cose, sono state malmenate delle donne, c’è stato qualcuno che ha preso la moglie per i capelli e l’ha trascinata per terra. Io ho lasciato anche qui da sola la mia operatrice che è stata minacciata.”

MAURIZIO PAGANI, VICEPRESIDENTE DELL’OPERA NOMADI

Intervistatrice: “Ci parli un po’ dell’Opera Nomadi e delle attività che intraprende”

Maurizio Pagani: “L’opera nomadi è la più vecchia organizzazione che si occupa di questioni legate al rapporto con le comunità rom e sinte. Il rapporto risale a metà degli anni

’60. nel corso del tempo si sono modificati gli obiettivi e la mission; è un’associazone laica, apartitica, ma come tradisce il proprio nome ha un’origine molto legata ad un’area di matrice cattolica. Gli obiettivi sono di tracciare dei percorsi insieme alle varie comunità rom e sinte che favoriscano da un lato il loro inserimento all’interno della società, ma dall’altro riescano a sviluppare quelle potenzialità intrinseche alla propria cultura perché diventino in buona misura loro stessi protagonisti. E’ proprio questo che si è fatto negli ultimi 15 anni grazie al tenace inserimento di operatori, mediatori culturali rom all’interno di servizi pubblici delle scuole”.

Intervistatrice: “L’Opera Nomadi come cerca di affrontare la questione abitativa che riguarda Rom e Sinti?”

Maurizio Pagani: “Pensare di ridurre la questione abitativa alla ricerca di un’unica o poche soluzioni è sbagliato, perché in realtà il modo di stare insieme, di lavorare, di vivere

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delle Comunità Rom e Sinte è caratterizzato da una varietà, da un’eterogeneità, per cui si deve rifuggere dalle eccessive semplificazioni.

Dopo 20-30 anni di politiche orientate solo ed esclusivamente ai campi nomadi, credo che siamo di fronte alla necessità di una svolta culturale e politica ad ampio raggio. In realtà spesso le stesse comunità, nelle quali troviamo le famiglie allargate composte da al massimo trenta quaranta persone, dove esse hanno avuto la possibilità economica e legata ai rapporti sociali, hanno già riadattato la loro situazione abitativa, attraverso interventi di autocostruzione in contesti più o meno rurali. Io non credo però che questa possa essere l’unica soluzione. Credo che sia stata ampliamente sottovalutata la possibilità di promuovere il reale accesso all’edilizia popolare, oppure la possibilità che una famiglia possa accedere ai mutui…Cioè bisognerebbe andare incontro ad una politica dell’abitare decisamente molto più ampia.

La cosa grave è che oggi, nel 2007, le politiche pubbliche, soprattutto da parte degli enti locali, invece tornino ad investire prevalentemente, essenzialmente nella costruzione di campi nomadi e soprattutto di campi nomadi che paradossalmente hanno poco o nulla a che spartire con quei campi nomadi che 20-30 anni fa erano stati creati. Venti trent’anni fa nei campi nomadi viveva una popolazione più ridotta e più omogenea, e che viveva in un rapporto più dinamico e dialettico con la società civile. Oggi, invece, la risposta delle istituzioni tende a massificare la concentrazione delle persone ( da poche decine di persone abbiamo oggi campi con centinaia di persone), ammassati le une sulle altre, che non danno a chi ci vive speranze per il proprio futuro e creando un attrito con l’esterno”.

Intervistatrice: “Come avete reagito ai fatti di Opera del dicembre scorso, a quello che è sembrato essere un vero e proprio pogrom, una sorta di isteria collettiva, che ha coinvolto parecchie persone?

M.Pagani:” E’ facile prendere una posizione netta, contraria, rispetto a chi ha fatto delle cose terribili, forse in modo così evidente, così violento, per la prima volta, abbiamo riscontrato un odio collettivo verso i Rom.

Però questa è una parte della verità, l’altra parte è questa. Intanto chi ha provocato questa incredibile situazione, sono state le istituzioni milanesi. Questa comunità di rom rumeni è stata sgomberata, ad oggi non si sa nemmeno chi abbia dato l’ordine di sgombero, perché uno dei più famosi imprenditori, palazzinari milanesi potesse riprendersi un terreno.

A Milano, negli ultimi sei mesi del 2006, noi tutti siamo stati investiti da questa litania, da parte delle istituzioni, ovvero che il problema Rom sarebbe stato da quel momento in avanti affrontato in maniera razionale cercando le soluzioni e quindi di sgomberi non ne

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sarebbero più stati fatti, a meno che non fossero già state individuate delle soluzioni alternative. Perché allora questa cosa? Perché questo tavolo di concertazione alla prova dei fatti ha fallito?

Secondo. Noi continuiamo a dire che non è più possibile improntare le politiche pubbliche legate al fatto che la soluzione abitativa per i Rom sia quella di mettere i campi nomadi. Non va bene a loro, non va bene al resto dei cittadini. Dobbiamo prenderne atto?!

Oppure lasciamo questo spazio affinché forze politiche che in modo violento, oppure per fini propagandistici o elettorali possano facilmente continuare a cavalcare il malcontento, totalmente irrazionale, che spingono sempre più in alto i livelli dello scontro?

Cioè vogliamo portarlo su un piano, della ragione, del raziocinio amministrativo invece, trovando delle soluzioni valide dal punto di vista qualitativo? Evidentemente no. E allora, come si fa a trasferire in una terra di nessuno, una comunità senza costruire un minimo di raccordo culturale, sociale, con la comunità di Opera? Voglio dire chi ha fatto quel tipo di operazione è esattamente chi è stato eletto a Milano dicendo, gli zingari devono essere cacciati.

Poi alla prova dei fatti, come sempre avviene, gli amministratori si trovano davanti a dei problemi ai quali devono in qualche modo dare risposta. Ciò che ai seminato prima poi raccogli. Io credo poi inoltre che dopo aver portato a termine l’operazione di Via Triboniano, cioè un’operazione che per la prima volta vede nascere a Milano un grande gigantesco ghetto istituzionalizzato destinato ad accogliere 600/700 persone…”

Intervistatrice: “In che cosa consiste quest’operazione?”

M.Pagani: E’ il completamento dell’ operazione amministrativa iniziata dalla giunta precedente, destinata a pilotare l’insediamento di alcune centinaia di Rom rumeni che prima vivevano in condizioni fortemente disagiate, in un unico sito, per un totale di 600/700 persone.

Ora immaginate voi, realizzare in una città un campo rom, con tanti piccoli container ammassati uno vicino all’altro, con la luce e i bagni, però questo tipo di proporzioni è qualcosa evidentemente destinato non a favorire l’inserimento, la convivenza fra le persone, bensì la separazione, il contenimento in un luogo definito della città di centinaia di persone, che per la prima volta vengono gestite, non con delle politiche sociali attive e coinvolgenti, ma con un presidio costante di polizia di stato e locale, operazione che viene battezzata e legittimata dall’inserimento di una parte del volontariato di area cattolica di questa città, la Casa della Carità, che interviene e dice : tutto quello che è stato fatto prima, da tutti gli altri, è sbagliato, non serve a niente, adesso arriviamo noi che lavoreremo insieme ai Rom e insieme

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alle forze dell’ordine, instaureremo questo patto di legalità e socialità con le famiglie, perché finalmente si risolva questo problema”.

Intervistatrice: “Come è stato dall’inizio il vostro rapporto con le istituzioni, la Casa della Carità?”

M. Pagani: “ Noi lavoriamo con le istituzioni. Tuttavia quello che è accaduto con l’entrata in campo della Casa della Carità, è che tutto quello che è stato fatto finora viene considerato dal Comune, come qualcosa di scomodo, fastidioso e troppo critico, perché a noi preme mettere in luce alcune aspetti su cui occorrerebbe lavorare insieme.

In realtà si è saldato un matrimonio di interessi convergenti fra chi governa questa città e la governa male e chi oggi ha interesse a gestire una parte di questi interventi, ignorando tutto quello che è stato fatto prima, in particolare ignorando tutto quello che è stato fatto insieme ai Rom.

E’ scandaloso che sistematicamente, quotidianamente si intervenga ignorando la presenza di mediatrici culturali Rom, che da anni lavorano negli uffici pubblici e che quindi hanno maturato, costruito una propria professionalità; lavorano insieme agli operatori, ai consultori nelle scuole, entrano nelle famiglie, ragionando insieme a loro e avvicinando queste realtà. Ebbene, esse sono ignorate. Sono ignorate perché non interessa portare avanti un discorso culturale- sociale di emancipazione da questa condizione, di una costruzione di un futuro.

La nuova gestione dei campi a Milano è un’operazione sociale che tende a dare delle risposte di buon senso cioè miglioriamo le condizioni igenico- sanitarie, ma fortemente legate ad un problema di ordine pubblico, di controllo, di controllo però sulla vita delle persone, che è scandaloso, che è orribile. Via Triboniano è un luogo dove le persone devono temporaneamente, definitivamente ( anche perché si tratta di soluzioni residenziali senza prospettiva), avocare a te, controllore esterno, la possibilità di entrare in qualsiasi momento a controllare in qualsiasi momento la loro vita, in modo intensivo e privo di rispetto.

E’ normale che alle cinque di mattina bussano alla porta del tuo container, tu stai dormendo, magari stai facendo l’amore con tua moglie, e vengono a controllare sotto al letto se nascondi un parente? Perché questo è accaduto. Oppure che tutto quello che viene fatto venga fatto non insieme e quindi discutendo insieme, litigando, quando necessario, ma stando dall’altra parte : cioè io piloto te, guido te, insegno a te come stare al mondo. Un conto è definire delle regole comuni di buon senso come in un condominio per non mancare di rispetto all’altro, cioè per gestire al meglio una struttura, questo è sempre stato fatto. Diverso è far sottoscrivere un patto di socialità e legalità che essi non hanno la possibilità di non

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sottoscrivere, quindi che patto è? E’ un’imposizione violenta, immorale, nella quale si dice “ tu osservi categoricamente queste cose.

Alcune cose sono ingiuste da sottoscrivere perché segnano una differenza di trattamento fra i cittadini non Rom e i Rom. Ad esempio tutti noi abbiamo l’obbligo di mandare i bambini a scuola ; allora trovo inaccettabile che questa cosa venga scritta in quel patto,non perché è sbagliato che i bambini vadano a scuola, ma perché se nella Costituzione di questo Stato c’è scritto che è un diritto- dovere, non c’è scritto che per gli zingari va ribadito che c’è un ulteriore sottoscrizione di quest’obbligo. Poiché se io vado a scrivere questo si sottolinea una differenza di trattamento legislativo. Quando attraverso dei provvedimenti come il patto di socialità e legalità si fa passare all’ società l’idea che una parte della stessa va trattata in modo diverso, in quanto si imputa ad essa di essere portatrice di una serie di caratteristiche, comportamenti, pericoli eccezionali, in questo modo si apre la strada a comportamenti emotivi, irrazionali di carattere politico. Certamente vi sono coloro i quali speculano, ma se contemporaneamente si portasse avanti un altro tipo di discorso essi non avrebbero possibilità di mietere ampi consensi. La politica del patto di socialità, portata avanti dalla Casa della Carità, esclude una parte rilevante, di questa società in modo autoritario e autoreferenziale.”

HASHIMA, MEDIATRICE CULTURALE ROM BOSNIACA CHE VIVE NE CAMPO DI VIA TRIBONIANO

Hashima: “se alle persone dici che vivi in un campo nomadi si spaventano. Io sono arrivata qua nel ’92, vivevo i una baracca, e non è che si viva molto bene, come ora, che abbiamo l’acqua e abbiamo la luce. Sono arrivata qua, non conoscevo proprio nessuno, ero proprio disperata. E piano piano mi sono messa in contatto con tante persone italiane, poi ho avuto queste due bambine e le ho iscritte in una scuola materna con l’aiuto di un italiana.

All’inizio avevo tantissimi problemi con le bambine perché gli altri bambini dicevano loro

“zingari”, e gli dicevano “state attenti perché loro sono zingari e gli zingari rubano i bambini,.

Però non era vero, perché gli zingari non è che vanno a rubare i bambini degli altri, perché ce ne hanno già tanto di loro figli. Però c’è sempre questa sensazione da parte degli italiani…sempre questa paura. Dopo i bambini hanno iniziato a frequentare la scuola elementare sempre qui (io è già sette anni cha abito in questa zona qua, tutto il quartiere già mi conosce che sono una persona per bene).

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Adesso lavoro in consultori familiari, faccio la mediatrice culturale per l’etnia rom.

Svolgo questo lavoro con l’opera nomadi. Quando le donne hanno bisogno per la gravidanza per i bambini per fare le vaccinazioni, per gli adolescenti, per avere tutta l’informazione per i metodi sicuri di contraccezione. Questo lavoro lo sto facendo già da 5 anni e posso dire che è un lavoro molto molto importante per la mia comunità. Ci sono tante donne Rom che si trovano in una situazione in cui non hanno mai fatto una visita medica. Per esempio molte donne si spaventano perché non hanno la fiducia per andare in una struttura sanitaria dato che non sanno parlare italiano. Ci sono proprio tante donne che in tutta la gravidanza non sono mai andate a fare un controllo e quando devono partorire succede anche per la strada che hanno i dolori o dentro la roulotte, sono proprio distrutte.

In questa parte di campo noi siamo in tutto 50 ( di nazionalità bosniaca n.d.i). La mia famiglia, padre madre figli e nipoti siamo in Italia già dal ’92 e posso dire che ci troviamo anche bene con i cittadini italiani, non abbiamo mai avuto discussioni. Qua nel 2000 c’era già un gruppo di Rom romeni. C’era un altro gruppo però era un gruppo più piccolo, non così grande. Io lavoro con l’Opera nomadi, il contratto è con la USL e l’Opera Nomadi. Ci sono tantissimi in questo campo che lavorano e ci sono tantissimi che vorrebbero lavorare, ma hanno grosse difficoltà. Qua a Milano ci sono tanti Rom che hanno dei problemi. Sul giornale c’era che nel campo di Via Triboniano c’è prostituzione minorile che è una cosa molto, molto pericolosa. Forse c’è ma sono persone che da fuori venivano a fare queste cose qua.

Succede spesso che se una persona va a cercare lavoro e dimostra che abita proprio qui, non riesce a trovare lavoro. Poi ci sono anche le persone che non hanno voglia di lavorare che forse sono abituate ad andare chiedere l’elemosina. La Casa della Carità sta sistemando queste persone però non è che conoscono tutta la tradizione dei Rom. Ad esempio io sono una che abita qua con questa mia comunità e conosco già queste famiglie e di ognuna che problemi ha, che disagi…

Invece adesso i rumeni che hanno firmato il patto ( noi bosniaci non abbiamo firmato proprio niente). Tutti i romeni che sono stati trasferiti nella parte di campo vicino alla mia parte, l’hanno firmato. Però loro non avevano capito tanto bene cosa volesse dire quel patto;

perché se ad esempio da loro viene la madre o il padre o qualcuno della famiglia per una settimana o due settimane non li possono tenere dentro, perché hanno firmato questo patto. E ora loro stanno dicendo: “ Chi siamo? Non siamo in galera, ma dove siamo, dove ci troviamo noi che abbiamo firmato questo patto?” Tante famiglie mi hanno detto : “ Guarda noi abbiamo firmato questo patto perché non abbiamo altra scelta.” Non erano d’accordo, però erano

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costretti, perché se non lo firmavano li mandavano via. Non hanno un altro posto dove andare”.

Intervistatrice: “ Tu vorresti andare a vivere in una casa?”

Hashima: “ Guarda la casa è sempre la casa. Questo container che mi hanno dato va bene, qua non avevo neanche luce ed acqua; però la casa è sempre la casa. Io ho fatto già una domanda per la casa popolare…”

Intervistatrice: “Quante mediatrici ci sono dove lavori? Quante mediatrici ci sono in questo campo?”

Hashima: “Nel consultorio e nelle scuole siamo in tutto 15 mediatrici…Ci sono anche sinte italiane, le slave. In questo campo siamo tre mediatrici. Io vado d’accordo di più con l’etnia romena e la mia.

Noi bosniaci qui siamo tutti parenti…Siamo tutti regolari, abbiamo i documenti e ci sappiamo muovere bene. Invece molte donne romene proprio non sanno parlare l’italiano, non sanno dove devono andare per fare la tessera sanitaria, non sanno dove andare per fare un controllo, una visita. Allora loro si rivolgono a me ed io le accompagno, le do informazioni”.

Intervistatrice: “ Molte persone del paese dove abitavi hanno deciso di emigrare?”

Hashima: “ Io nel mio paese vivevo in una città piccola e là non c’erano roulottes c’erano solo le case, nostre e dei miei vicini gagi. E invece in un’altra città più piccola a 40 km dal mio paese vivevano i Rom. Quando andavo al mercato sentivo che tutti i Rom decidevano di emigrare in Italia per cercare lavoro, perché in Bosnia non avevano possibilità:

c’era tanta disoccupazione.”

RAGAZZI DI OPERA

Intervistatrice: “Quanti anni avete?”

Ragazzi: “14, tutti 14, siamo tutti di qui.”

Intervistatrice: “ Voi eravate qui anche a dicembre?Raccontateci le vostre impressioni.”

Ragazza: “ Quasi tutti quelli che coonscevamo noi non erano tanto contenti dei rom, infatti anche dei nostri compagni di classe hanno fatto delle manifestazioni e noi eravamo contenti perché si sentivano certe cose…”

Intervistatrice: “Da chi si sentivano?”

Ragazza: “Vabbè, dai telegiornali, e poi anche altri ragazzi dei paesi qui vicino dicevano che avevano combinato dei casini anche lì, nei loro paesi, tipo, tipo stuprare ragazzine, rubare

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Intervistatrice: “ Anche voi avete partecipato a queste manifestazioni?”

Ragazza: “ No, io quasi mai, sono andata solo una volta lì a picchettare…”

Intervistatrice: “Vuoi dire al presidio?”

Ragazza: “Si, sono andata solo una sera, anche con lui (indicando un ragazzo N.d.I.), ma perché lì c’era il bar, quindi…”

Intervistatrice: “Era diventato un po’ un centro di ritrovo quindi?”

Ragazza: “Si, si”

Intervistatrice: “Ti sembrava normale che ci fosse un presidio lì?”

Ragazza: “ hanno fatto tutto il giro lì, e poi hanno fatto anche un presidio davanti al comune. Infatti il sindaco si era leggermente barricato in casa o in municipio.

Intervistatrice: “ quindi molte persone erano coinvolte?”

Ragazza: “ si, si. Poi c’era opera spaccata in due poiché c’erano i pacifisti che dicevano:

“eh, si, siamo tutti uguali ecc., e la maggioranza che non era d’accordo.”

Intervistatrice:”e’ vero che quando stavate davanti al presidio se usciva qualcuno da dentro al campo, ad esempio qualche papà con suo figlio o sua figlia, veniva insultato?”

Ragazza: “ io sinceramente non lo so, perché non ci sono mai andata quando uscivano i bambini, quindi sono andata lì solo una sera che non facevano niente, stavano solo lì a chiacchierare. Però io questo non lo so perché non ci sono mai andata.”

Intervistatrice: “ c’è stato anche un concerto a gennaio organizzato da alcuni ragazzi dentro al campo che poi sono stati seguiti fino alle macchine. Ti sembrano azioni giuste?”

Ragazza: “ No, no, così si esagera un po’. Non sapevo nemmeno questo premetto. I ragazzi non facevano niente, più che altro erano i genitori che preoccupavano.”

Intervistatrice: “i tuoi genitori sono andati al presidio?”

Ragazza: “no…bèh, solo una volta mia madre poi basta”

Intervistatrice (rivolta al ragazzo di evidente origine asiatica): “tu che sei di origini asiatiche no pensi che se una cosa così è stata fatta oggi per questo gruppo di popolazioni potrebbe essere in futuro fatta per qualche altro gruppo di persone non italiane?”

Ragazzo: “Loro davano fastidio”

Intervistatrice: “Beh, in quei giorni non hanno dato fastidio… o si?”

Ragazza: “ No, anche perché avevano un po’ di paura ad uscire…”

Intervistatrice: “ Forse più che la cittadinanza ad aver paura erano loro ad aver paura…”

Ragazza: “Eh, infatti”

Intervistatrice (rivolta all’altro ragazzo): “ Per esempio i tuoi genitori sono andati mai al presidio?”

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Ragazzo: “ No, no”

Intervistatrice: “ Ma le persone che andavano al presidio lavoravano o no durante il giorno?”

Ragazza: “Infatti c’erano più che altro gli anziani che stavano lì tutto il giorno”

Intervistatrice: “Gli anziani? Ma gli anziani per esempio non avevano un altro posto dove ritrovarsi a giocare a carte?”

Ragazza: “C’è la bocciofila…”

Ragazzo: “ Il circolo…”

Intervistatrice: “Dovevano proprio andare lì?”

Ragazza: “Ah, se è per questo, erano più accaniti di noi”

Ragazzo: “Sono violenti…”

Intervistatrice: “Adesso però è tutto tranquillo qui, giusto?”

Ragazza: “ Non se ne parla quasi più. A parte che lì a scuola da noi c’è la bacheca dove hanno messo degli articoli del corriere della sera dove dicevano di vergognarci, rivolgendosi a tutti gli abitanti di opera che non erano d’accordo con il campo.”

Intervistatrice: “Ma chi è stato ad attaccarli?”

Ragazza: “ Non lo so…le prof, il preside. Siamo entrati un giorno e c’erano tutti gli articoli”

Intervistatrice: “ Tu pensi che un altro tipo di protesta sarebbe stata vista meglio?”

Ragazza: “Più che altro la cosa che ha dato più fastidio ai cittadini è stato che questi rom sono arrivati ma nessuno lo sapeva, aveva già deciso tutto il sindaco”

Ragazzo: “ Più che altro perché c’erano le case nuove vicino. Mettevi i rom vicini di casa…”

Ragazza: “Vabbè, ma a parte quello il sindaco non ha detto niente fino all’ultimo giorno, anche il consiglio comunale non lo sapeva”

Intervistatrice: “Cosa pensi personalmente dei rom? Che sono tutti dei delinquenti?”

Ragazza: “Beh, qualcuno ce n’è di sicuro”

Intervistatrice: “Sì, anche di italiani ce n’è”

Ragazza: “Si è vero però…quelle persone che non hanno un lavoro, che non hanno fissa dimora, devono trovare un modo magari per vivere e vanno a rubare. Forse anche la società che non funziona, che dovrebbe dare loro un lavoro. Però se loro si spostano…”

Intervistatrice: “ Ma lo sai che loro in Italia sarebbero quasi tutti stanziali e non è vero che si spostano. Purtroppo come in questo caso spesso vengono presi di peso e spostati da un

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Ragazza: “Forse sarà quello...”

Intervistatrice (rivolta al terzo ragazzo che non aveva mai partecipato alla discussione fino a quel momento): “ Tu cosa ne pensi?”

Ragazzo: “Penso che comunque…mah, a parte che non hanno casa, ma sentendo dal telegiornale ultimamente, sono sempre o marocchini, o albanesi, che vanno in giro e stuprano la gente, rubano…”

Intervistatrice (a mo’ di provocazione): “Marocchini, albanesi, non rom…”

Ragazzo: “Vabbè, più o meno…” (gli altri ragazzi ridacchiano)

Intervistatrice: “ Quindi per te coloro che non sono italiani sono più o meno tutti uguali, siano marocchini, albanesi..”

Ragazzo: “ Eh bèh…è difficile riconoscerli…perché comunque non sono né neri, né bianchi, sono quel colorino marroncino chiaro (risate degli altri N.d.I.) è difficile capire di che nazionalità sono…”

Intervistatrice (rivolta al secondo ragazzo): “ Tu che ne pensi dei rom?”

Secondo ragazzo: “Sentendo dal telegiornale ci sono romeni che vanno in giro a stuprare la gente, entrano nelle case”

Intervistatrice: “Ma i telegiornali hanno tutti i giorni queste notizie?”

Terzo ragazzo : “ Eh, quasi tutti i giorni. Anche sabato, domenica, che hanno preso un pullman, l’hanno bruciato vicino Vercelli”

Secondo ragazzo : “un conto se lo fanno fra di loro, se lo fanno verso di loro, ma non verso gli italiani…”

Intervistatrice: “non vi sembra che se è un cittadino italiano a commettere qualche delitto i telegiornali riportano nome e cognome di quella persona, ma se invece si tratta di un cittadino di diversa nazionalità o etnia lo si designa semplicemente col nome della propria etnia? E che i telegiornali trasmettano così l’idea nell’opinione pubblica che tutti gli appartenenti a quella nazionalità o a quella etnia siano naturalmente portati a delinquere?”

Terzo ragazzo : “Fanno così perché se parlano solo di italiani non li seguono più di tanto. Se non hanno niente da fare i giornalisti, vanno a cercare queste cose che succedono in tutto il mondo, però… il loro lavoro però è questo.”

Intervistatrice: “Quale?”

Ragazzo: “Quello di cercare disgrazie più grosse”.

SIGNORE ( seduto nel parco pubblico in centro ad Opera, con due bambini e una donna accanto).

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Intervistatrice: “Buongiorno, volevamo farle alcune domande. Lei vive qui ad Opera?”

Sig: “Sì noi viviamo qui ad Opera.”

Intervistatrice: “Che lavoro fa?”

Sig: “Io sono operaio”.

Intervistatrice: “ Come ha vissuto Lei personalmente i fatti che sono successi ad Opera fra dicembre e febbraio scorsi, come le sembra che li abbia vissuti la cittadinanza ?”

Sig. : “ Il problema è stato che il sindaco non ha avvertito la cittadinanza che dovevano arrivare 70 Rom, li ha fatti arrivare dall’oggi al domani, e questa è una cosa che alla gente ha dato fastidio…Poi magari li avremmo accettati ugualmente senza problemi, però questo fatto qua ha contribuito a scaldare la cosa…”

Intervistatrice: “Lei dice che se la cittadinanza fosse stata avvertita prima e le fosse stato chiesto un parere, con un referendum ad esempio, può darsi che i Rom sarebbero stati accettati…”

Sig.: “Sì, sì…sentendo in televisione hanno montato tantissimo la cosa…”

Intervistatrice: “Non è vero che qualcuno ha bruciato le tende?”

Sig. : “Allora, loro hanno messo le tende, non erano ancora montate, hanno messo solo i teloni di sopra, voglio dire il campo non era ancora finito, era appena iniziato. Sono partiti una sera, magari una 50 così, magari degli amici del bar, poi si è unita altra gente. Sono partiti così, tanto per, non è neanche nato tutto con lo scopo di fare una protesta, giusto per fare così, facciamoci vedere che a noi la cosa ci può dar fastidio, poi siamo andati lì, sono andati lì, ed è stata più una ragazzata che una cosa…Cioè in televisione è sembrato che la tendopoli ci fosse già, che i fossero già tante tende, che loro magari dovessero arrivare magari il giorno dopo, invece no in realtà non era così, lì c’erano solamente tre tende, messe lì così, con un bastone in mezzo. Ed è stato un po’ una ragazzata, diciamo,si sono fatti prendere un po’ dalla cosa.

Almeno che io sappia, io non ci sono andato. Hanno dato fuoco a queste due tende qua. La cosa poi è stata montata.”

Intervistatrice: “ Non è vero che hanno bruciato due tende?”

Sig. : “ Sì hanno bruciato due tende, quello è vero sì”.

Intervistatrice: “E il presidio che c’è stato?”

Sig.: “ Il presidio è servito, perché quando sono arrivati i Rom, non c’è stato nessun ostacolo: loro sono arrivati, sono scesi dal pullman, sono entrati nelle tende. Il presidio è nato dopo perché già dal giorno dopo continuavano ad arrivare Rom, mariti od amici dei Rom che c’erano già lì dentro, che non c’entravano niente, che non avrebbero dovuto essere stati qui.

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in modo che non arrivassero altri Rom che non c’entravano niente. Il Comune aveva la lista di queste 70 persone. Quindi il presidio è servito a quello, a non fare entrare altre persone. Infatti all’inizio continuavano ad arrivare macchine o camper di Rom che volevano entrare..Il presidio è servito soprattutto e solo per questo. Non è che il presidio è servito per far uscire i Rom, perché poi questi facevano quello che volevano. Entravano ed uscivano”.

Intervistatrice: “Non è vero che alcuni sono stati insultati?”

Sig: “ Ripeto, questa cosa qua non la so, perché io non sono mai andato. Io sentendo in giro la storia, so che il presidio è servito per non fare entrare altra gente”.

Intervistatrice: “ Lei personalmente ha qualcosa contro le comunità Rom? Pensa che potenzialmente erano persone che avrebbero danneggiato il paese, commesso comportamenti illegali…”

Sig.: “Che io sappia non hanno fatto niente , però cioè l’idea di Rom è un’idea che abbiamo un po’ tutti…Cioè loro cosa fanno? Come vivono? Il problema principale è quello no. E’ una cosa che si chiedono un po’ tutti: questi vanno in giro col Mercedes, con i camper , cioè li vedo andare in giro meglio di noi, ma su quale base? Quindi è la domanda che si fanno un po’ tutti”.

Intervistatrice: “Quindi le persone del presidio erano anche un po’…”

Sig. : “ ..impauriti, sì...”

Intervistatrice: “..no voglio dire le persone del presidio hanno affermato di averlo costituito come protesta contro le decisioni del sindaco, però in realtà, erano anche contro i Rom in sé..”

Sig. : “ Sì poi si sono fatti coinvolgere un po’ tutti in questa situazione qua”.

Intervistatrice: “ Grazie, arrivederci”.

INTERVISTA A DARIO, RAGAZZO DI OPERA.

Intervistatrice: “ Tu vivi ad Opera?”.

Dario.: “Da ormai 29 anni, dalla mia nascita”.

Intervistatrice: “Vuoi dirci qualcosa rispetto a quello che è successo ?”

Dario : “A prescindere da…La cosa più brutta che è successa ad Opera è che si è divisa una comunità. Nel senso che personalmente avevo amici che sono andati al presidio ( con cui sono nato e cresciuto) con cui ci sono state discussioni. Io personalmente infatti non sono mai andato al presidio, né a dare una mano al campo rom, proprio perché volevo evitare di venire

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in contrasto con quelli che sono i miei amici. Preferivo parlarne fuori, lontano dal posto, dal luogo che faceva…perché ci sono state scene, raccontate da amici tra amici, quasi di insulto fra gente che è andata a scuola dalle elementari alle medie tutti insieme. Questa è la cosa più brutta al di là dei problemi dei Rom, dell’integrazione, di tutto quello che vuoi, è che c’è stata questa spaccatura… che appena se ne sono andati, appena è andato via il campo.. un po’ ci si riallaccia, però rimane sempre…cioè vedi le persone come non te le aspetti e questa cosa ti taglia le gambe”.

Intervistatrice: “ Ma secondo te questa cosa da cosa è dipesa? Sono venute fuori delle cose che in un normale rapporto di amicizia non venivano fuori, che so delle idee politiche?”

Dario: “ Al di là delle idee politiche, ci sono le due idee che stanno alla base: nel senso.

Ci sono quelli che arrivano delle persone e c’è bisogno di aiutarle e le aiutano anche se sono Rom e quelli che invece i Rom non gli aiutano. Il pregiudizio quindi. E su questa cosa non c’era modo di ragionarci. Io personalmente sono andato contro sia quelli che erano andati ad aiutare, sia contro quelli che erano contro i Rom. Anche Laura, lei andava sempre ad aiutare…poi vabbé la cosa da un punto di vista politico è stata gestita malamente da parte dell’amministrazione, perché se facevano un po’ di informazione prima…”

Intervistatrice: “Magari non ci sarebbe stato tutto questo scatenamento di odio”.

Dario: “Sì l’informazione…si sarebbe almeno evitato il rogo delle tende, almeno quello che…quelli sono soldi che abbiamo buttato via tutti quanti, perché quelle erano tende della Protezione Civile, non erano state create per i Rom, servivano in caso di calamità…Io mi ricordo due tende portate…perché sono andato anch’io a sentire il perché e il per come…nessuno sapeva niente”.

Intervistatrice: “ Dove sei andato a sentire?”

Dario: “La sera che c’è stato il Consiglio Comunale, quello del rogo delle tende. Dopo il consiglio comunale, il capannello di persone ( ed erano tante) sono andate là ed è successo un macello, sono bruciate le tende ed una tenda è stata portata al centro del paese, bloccava la strada, è stata una scena devastante, perché il pullman non pensava e allora abbiamo spostato la tenda per far passare il pullman. E’ stata rimessa a posto, cioè in mezzo alla strada e non potevi più andare a toccarla, perché ti minacciavano, cioè ti dicevano: “ No, la tenda non si tocca!”.

Intervistatrice: “Ma dove era stata messa questa tenda che avevano bruciato?”

Dario: “Era stata presa da là ( indica l’area circense), fatto tipo corteo e l’hanno portata su questa strada, avanti 100 metri da qua, dove c’è il Comune praticamente”.

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