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personalità di Alberto Giacometti in qualità d’artista, nonché di uomo. A

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6. DALLA BIOGRAFIA DI J. LORD: ANALISI DELLE PERSONALITÀ FEMMINILI INTORNO ALLA FIGURA DI ALBERTO GIACOMETTI, SOTTO IL PROFILO DELLA CONSEGUENTE FORMAZIONE DEL SUO ESSERE E DEL SUO APPROCCIARSI ALLE DONNE.

Giunti a questo punto riteniamo interessante soffermarci

dettagliatamente su ogni figura femminile che abbia rappresentato una fase

importante per lo sviluppo di quella che osserviamo essere la complicata

personalità di Alberto Giacometti in qualità d’artista, nonché di uomo. A

siffatto scopo ci avverremo di uno strumento utilissimo, ovvero la biografia

di Alberto Giacometti realizzata da James Lord, che, per il taglio

strettamente intimo, offre al lettore una lettura stimolante e avvincente e, a

dispetto della mole, permette un profondo avvicinamento alla persona, da

intendersi nel senso più ampio del termine, di Alberto Giacometti. Di questi

emerge un forte connotato di contraddizione che permea l’intera esistenza

dell’artista in maniera indistinguibile come abbiamo avuto modo di

sottolineare più volte nel corso della corrente trattazione. Tutto questo al

fine di offrire un quadro quanto più esaustivo possibile di un personaggio

storico e artistico il cui profilo risulta impossibile da delineare in maniera

esatta e univoca proprio per il dato ineludibile che la contraddizione fa parte

in maniera imprescindibile della personalità di Giacometti e, come vedremo

in modo più specifico, ebbe un’importanza fondamentale in tutti, o quasi,

quelli che furono i rapporti di Alberto con le donne della sua vita. Il «quasi»

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summenzionato non è certo casuale: nello specifico, esso allude all’eccezionalità che il rapporto dell’artista con la madre rappresentava nello scenario dei rapporti che Alberto Giacometti intrattenne con le donne da lui incontrate, che si contraddistinsero sempre e costantemente per la presenza di elementi ambigui o contraddittori. Vedremo qui di seguito come, al contrario, la contraddizione che caratterizzava Giacometti venne in certo qual modo repressa e accantonata in maniera premeditata da parte dell’artista, il quale tentò di celare in diversi modi possibili la propria incoerenza adottando, almeno fino a un certo momento, una sorta di atteggiamento protettivo, per non dire reverenziale, verso la madre alla quale egli desiderava comunicare solo ed esclusivamente ciò che della sua vita egli riteneva regolare e non contraddittorio. Passiamo ora, dunque, in rassegna le singole personalità femminili importanti nella vita dell’artista che, ognuna con un contributo personale, hanno concorso a caratterizzare la singolare natura di Giacometti.

6.1. Annette Stampa Giacometti: la madre

Sin dalle primissime battute Alberto ebbe modo di sperimentare il forte temperamento della madre che, suo malgrado, alla nascita del secondogenito svezzò immediatamente Alberto, il primogenito, interrompendone l’allattamento. Come osserva Lord

1

, l’interruzione a sei mesi dell’allattamento può ingenerare nel neonato la perdita di fiducia e sicurezza che il bambino generalmente prova a contatto con il seno materno. Maggiormente significativo ai fini di delineare il profilo di

1 Cfr. J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit., p. 16.

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Annette Stampa, nonché il suo rapporto con Alberto Giacometti, risulta, tuttavia, il primissimo ricordo dell’artista, allora di neanche un anno, in merito alla propria infanzia che veniva proprio a coincidere con un’immagine della madre all’età di trentadue anni:

La lunga veste nera che sfiorava il pavimento mi turbava con il suo mistero;

essa mi appariva come una parte del suo corpo, e ciò suscitava in me una sensazione di paura e di confusione; tutto il resto svaniva, sfuggiva alla mia attenzione2.

Sentimenti quali paura e confusione non sono solitamente ricorrenti nei ricordi di un bambino, il quale il più delle volte è portato a elaborare nella propria mente pensieri positivi, specie se essi pertengono al ricordo della madre. «La forza centripeta che teneva tutti saldamente uniti proveniva da Annetta Giacometti: la sua determinazione e la sua intraprendenza facevano di tutti una cosa sola»

3

: tale descrizione di Lord lascia emergere come, all’interno della famiglia, Annette rappresentasse un punto di riferimento essenziale, se non addirittura l’elemento portante nelle cui mani si concentrava l’amministrazione, pratica e spirituale, di casa Giacometti. Si evince, dunque, la configurazione di una donna caparbiamente forte, la cui influenza su Alberto assunse delle forme affettive e opprimenti al tempo stesso. Ella, di indole allegra e ludica, incarnava perfettamente il ruolo della mater familiae, premurosa e dispensatrice di un bene smisurato, inoltre, la

«benefica e invulnerabile dea madre»

4

pretendeva di essere corrisposta in pari misura, esigendo dagli altri un atteggiamento pressoché reverenziale.

Annette Giacometti vestiva i panni della donna perfetta, completa in ogni

2 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit.

3Ibidem, p. 21.

4 Ibidem.

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Figura 39 La famiglia Giacometti in vacanza a Castasegna, 5 agosto 1909

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aspetto della propria vita: moglie devota e madre amorevole. L’idillio familiare, cui contribuiva l’armonia tra i genitori e quella tra i figli, sembrava derivare dalla forte personalità della donna autorevole la quale, con la propria determinazione, era riuscita a creare intorno a sé un ambiente privo di contrasti. In maniera compensatoria, osserviamo come la vita di Giacometti si delineasse all’insegna dei contrasti, interiori ed esteriori, e delle contraddizioni. In questo caso, quello che fu il retroterra familiare di Alberto non contribuì a far nascere un altrettanto pacifico ambiente familiare per l’artista; ciò nondimeno, a dispetto della sregolatezza della vita di Giacometti, egli mantenne costantemente viva l’influenza della madre nella propria vita, in una sorta di precario equilibrio tra partecipazione e allontanamento. Con ciò intendiamo affermare che la madre fu nella vita di Alberto Giacometti costantemente presente, tuttavia, non lo fu necessariamente sempre in maniera positiva: la mente dell’artista oscillava costantemente tra l’affetto disinteressato e una strana forma di ossequio verso una figura, sua madre, alle volte inquietante, come possiamo evincere dal ricordo della donna nella veste nera. Di contro, per quanto pertiene la sfera strettamente familiare, la figura paterna, incarnata dal celebre pittore svizzero post-impressionista Giovanni Giacometti, rimase oscurata al cospetto di una donna tanto imponente. Ulteriore conferma di una simile caratterizzazione di Annette Giacometti proviene da un’immagine – in particolare, si tratta di una fotografia (Fig. 39) scattata il 5 agosto 1909, in occasione del trentottesimo compleanno della madre di Alberto – che riecheggia la gita intrapresa dall’intera famiglia per festeggiare l’evento presso la cittadina di Castasegna. Annette, come osserva Lord

5

, vestita di nero con una camicetta a fiori, appare la figura

5 Cfr. ibidem, p. 26.

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maggiormente imponente. Ella intrattiene con il figlio maggiore, che è seduto sul lato opposto e con il quale condivide una forte rassomiglianza, una reciprocità di sguardi altamente intensi ed espressivi. E, se Giacometti elaborerò nel corso della propria esistenza una concezione di forte subordinazione della donna rispetto all’uomo, nell’unico caso della madre egli mostrò come la parte maschile rimanesse schiacciata dallo sguardo ammaliante, dal fascino, nonché dal mistero della figura femminile, senza che ne derivasse l’elaborazione, come avvenne per le altre donne della sua vita, di negatività, quanto meno essa non sembrò emergere in maniera manifesta, sotto forma di aperto scontro. La percezione di negatività nei riguardi della madre probabilmente affiorò soltanto a livello inconscio, come possiamo dedurre dai pensieri ossessivi ricorrenti che Alberto elaborava da bambino dando sfogo a una sua peculiare fantasticheria.

Datane l’importanza citiamo per intero il racconto che l’artista riferisce nel suo testo fortemente autobiografico Hiers, sables mouvants in merito a questa ossessione:

Non potevo andare a letto alla sera senza aver prima immaginato che, all’imbrunire, avevo attraversato una fitta foresta ed ero giunto a un castello grigio che stava nella parte più nascosta e misteriosa di quella foresta. Qui ammazzavo due uomini prima che potessero difendersi. Uno aveva circa diciassette anni e appariva sempre pallido e sgomento. L’altro indossava un’armatura sul cui fianco sinistro qualcosa luccicava come l’oro. Violentavo due donne, dopo aver strappato loro le vesti; una aveva trentadue anni, era tutta vestita di nero e aveva un volto che sembrava d’alabastro6, l’altra era una giovinetta attorno alla quale fluttuavano dei veli bianchi. Tutta la foresta risuonava dei loro urli e dei loro gemiti. Uccidevo anch’esse, ma molto lentamente (era ormai notte), spesso vicino a una pozza d’acqua verde

6 Sottolineatura mia.

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stagnante dinanzi al castello, ogni volta con lievi varianti. Poi davo fuoco al castello e andavo a dormire, felice7.

Il «sorriso enigmatico»

8

colto in quella foto da Lord sul volto della madre sembra carico di risvolti tutt’altro che innocenti: pare che dietro il tenero sorriso della madre si celi una perversa consapevolezza di possessione, la sensazione da parte della donna di esercitare sul figlio un’influenza che supera i confini dell’affetto per sfociare in una vera e propria dipendenza.

Singolarmente interessante per descrivere l’evoluzione nell’arte di Giacometti risulta la vicenda attorno alla creazione del primo busto della madre risalente al 1916. Esso, avendo non a caso come soggetto la madre, si distingue in maniera macroscopica dal precedente avente per soggetto il fratello Diego. In quest’ultimo, come osserva Lord

9

, l’atto artistico passa in second’ordine rispetto alla presenza del modello; al contrario, nel busto della madre, osservando l’utilizzo del materiale scultoreo e la grana della superficie, è percepibile l’atto creatore dell’artista che dà vita all’opera d’arte. Forte doveva essere l’influenza di Auguste Rodin, l’artista per il quale Giacometti nutriva una sviscerata passione, documentata dall’acquisto in quel periodo di un volume di riproduzioni dell’artista ancora in vita, considerato, per altro, all’unanimità lo scultore più grandioso secondo soltanto a Michelangelo, e al quale Giacometti sembrava particolarmente affezionato. La prima affermazione del «proprio dominio sulla materia come individualità creatrice»

10

è palesata non a caso in un ritratto della madre la quale, come testimoniato dalla lunghissima serie di

7 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit., p. 23.

8 Ibidem, p. 26.

9 Cfr. ibidem, p. 33.

10 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit.

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epistole rivolte dall’artista ad Annette Stampa nell’arco dell’intera sua esistenza, venne costantemente tenuta al corrente dei progressi della carriera artistica del figlio maggiore e ne rappresentò un fulcro importante.

A tal riguardo, nonché a onor del vero, Giacometti non sempre mise al corrente la madre della reale situazione che si trovava a vivere, non sicuramente per mancanza di onestà, tuttavia, voleva coinvolgere la madre nella sua vita a proprio modo. Mirava infatti a ricevere le sue attenzioni, tuttavia, – probabilmente per una sorta di consapevolezza interiore che gli permetteva di prevedere una reazione di disapprovazione della donna rispetto a una sua eventuale confessione in merito ad alcune sue scelte di vita (prima fra tutte, a titolo esemplificativo, la frequentazione del mondo sconvenientemente amorale della prostituzione) – decideva di raccontarle la sua vita saldamente correlata alla sua arte nel modo più confacente a soddisfare le aspettative di una madre verso il figlio. Osservando accuratamente il busto in questione si avverte, inoltre, come emerga qui per la prima volta, per divenire in seguito un modo di concepire la rappresentazione tipico di Giacometti, l’importante nozione di distanza.

Avevamo già precedentemente fatto riferimento all’attenzione posta dall’artista nel ricercare il giusto distanziamento nel momento dell’esecuzione di un ritratto. Qui in maniera più palese rispetto al busto di Diego, nel quale era percepibile una presenza, inizia a prender corpo il concetto ancora immaturo dell’essenza della rappresentazione, rafforzato dall’espressione degli occhi che sembra riecheggiare quella percezione di ambigua complicità di sguardi della foto della famiglia al completo in gita a Castasegna nel 1909.

Un atteggiamento fortemente protettivo da parte della madre verso

Alberto Giacometti è documentato dall’apprensione che Annette Stampa

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nutriva rispetto alla possibilità che la carriera artistica del figlio potesse passare in secondo piano a causa della professione di artista di successo del padre. E anche a tal proposito, Lord

11

mette in luce come tale premura sfociasse alle volte in oppressione. «Per Alberto» infatti «Stampa significava la presenza vivificante, ma anche esigente, della madre»

12

.

Ancora, dopo l’insediamento a Parigi nel 1922, non si era affezionato a nessuna ragazza in particolare e, nonostante corteggiasse diverse donne spesso nell’ambito dell’accademia, assumeva un atteggiamento sfuggente allorché percepiva che qualcuna gli si stava attaccando, definendo la donna, in maniera ricorrente nel corso degli anni, «appiccicaticcia»

13

. Dunque, l’unica figura femminile a contare nella vita di Giacometti continuava a essere la madre.

La complessità dei rapporti con Annette Stampa è ravvisabile anche nella vicenda attorno all’esecuzione del ritratto della madre che Giacometti si accinse a dipingere nell’estate del 1925. Ne emerse per l’artista l’elaborazione di una crisi ben più profonda rispetto alla precedente esperita nel 1921 in occasione dell’esecuzione del busto di Bianca. Sembrava in quel momento maturarsi nell’artista la consapevolezza della difficoltà, o meglio la presa di coscienza della propria impossibilità di riprodurre ciò che vedeva come lo vedeva. Egli stesso affermò:

[…] nel 1925 mi persuasi della totale impossibilità di comunicare, anche solo in maniera approssimativa l’impressione che ricavavo dalla testa, così desistetti dall’impresa, e per sempre, pensai14.

11 Cfr. ibidem, p. 42.

12 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit.

13 Ibidem, p. 74.

14 Ibidem, p. 80.

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Tutto ciò attesta il progressivo allontanamento di Giacometti da un tipo di rappresentazione figurativa la quale, tuttavia, non fu mai abbandonata del tutto come comprovano talune sculture, dipinti, nonché disegni, e l’approdo a un linguaggio artistico versatile che ben si confaceva all’atmosfera innovativa e vivace della Parigi degli anni Venti. E, ancora una volta, era la madre a essere la donna più vicina all’artista in quel importante passaggio profetico di conseguenze future.

In merito alle cure possessive rivolte dalla madre al figlio primogenito siamo a conoscenza del fatto che ella non approvava la pseudorelazione di Giacometti con Bianca, come in seguito non avrebbe visto di buon grado neanche l’unione con la futura moglie Annette, in quanto valutava che la moglie di un artista dovesse avere doti particolari che, tuttavia, non riusciva a vedere in nessuna donna. Conosceva il carattere esigente del figlio e, con molta probabilità, lo sfruttò per protrarre sino all’età adulta quella sorta di protezione morbosa che egoisticamente le permetteva di mantenere inalterato un forte senso di controllo sul figlio maggiore, facendo per altro crogiolare quest’ultimo nella bambagia, che lo autorizzava a eludere qualsiasi presa di responsabilità, soprattutto nei riguardi di una donna.

Dal punto di vista dell’esecuzione artistica ravvisiamo in uno dei noti ritratti «piatti» di Annette Stampa una sorta di risoluzione rispetto alla difficoltà incontrata nel 1925, allorché Giacometti si accingeva a ritrarre la madre. Infatti, pur mantenendo vivo un senso di forte veridicità, lo stile, ormai connotato in maniera del tutto personale, non rivelava tracce di una ricerca di riproduzione naturalistica e, come osserva Lord, «Da allora ritrarre la madre non rappresentò più un problema per lui»

15

.

15 Ibidem, p. 96.

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Figura 40 La pomme sur le buffet

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A distanza di circa tre anni dal suo allontanamento dal movimento surrealista, in corrispondenza con l’avvio della vera amicizia tra lui e Picasso all’epoca dell’esecuzione di Guernica nel 1937, Giacometti si ritrovò a meditare sulla propria opera, scoprendo costantemente il fallimento. Egli esperiva un senso di insoddisfazione perenne e l’impotenza rappresentava in quel periodo il comune denominatore tra vita privata e quella artistica. L’ansia che lo pervadeva era ben evidente alla madre che era diventata ancor più angosciata, tuttavia, coerentemente con il rapporto esistente tra loro votato alla reciproca protezione, Giacometti tentò più volte di rassicurarla dicendole che conosceva esattamente lo scopo che stava perseguendo e che il tempo per giungerci non era fondamentale. La prova tangibile che Giacometti fosse realmente conscio di ciò che stava facendo provenne dallo stesso artista che volle dimostrare, in particolare ad Annette Stampa, la propria autodeterminazione dipingendo un ritratto della madre dal titolo La mère de l’artiste (Fig. 10), nel 1937. Esso, assieme alla coeva La pomme sur le buffet (Fig. 40), rappresenta una svolta sul piano della soluzione estetica. Eseguito secondo un linguaggio figurativo rinnovato, il dipinto si configura come vero e proprio capolavoro, in quanto Giacometti seppe come nessun altro, dai tempi di Cézanne, ridare slancio al linguaggio figurativo, la cui tradizione sembrava esaurita in quanto disprezzata da un’intera generazione, e «infondere la rinnovata vitalità di una visione originale»

16

. Il potere matriarcale è reso in tutto il suo splendore dalla posizione ieratica della donna volta frontalmente verso lo spettatore e risulta ulteriormente enfatizzata dalle dimensioni imponenti più grandi del reale. Tipicamente avvolta nella veste nera che, nell’immaginario dell’artista, era venuta connotandosi pressoché come una seconda pelle

16 Ibidem, p. 161.

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della madre, la donna sprigiona un senso di quiete. Inoltre, la forza e il perno del dipinto risiedono nello sguardo della donna che appare tanto più espressivo se riflettiamo sul fatto che esso si compone di linee a un primo impatto quasi casuali le quali, tuttavia, a ben guardare, conferiscono estrema vitalità all’intera figura. Probabilmente, pur non rappresentando un’immagine del tutto veritiera della madre, osservata in tutta la sua imponenza, tale era la raffigurazione che l’artista aveva di lei. Ciò risulta tanto più significativo se ci soffermiamo un istante a ripercorrere mentalmente il rapporto tra Giacometti e Annette Stampa. La dipendenza reciproca, che per tutta la vita aveva rappresentato un punto essenziale per entrambi, in quel particolare momento veniva accresciuta sotto il profilo strettamente materiale. La donna, infatti, in seguito alla morte del marito, si ritrovò in condizioni di agiatezza, in quanto, in mancanza di un testamento, ella si era ritrovata ad amministrare tutta la proprietà. Dunque, l’aiuto economico che la madre offrì nel corso degli anni al figlio maggiore andava ad aggiungersi alle già numerose premure materne allorché se ne presentava l’occasione. Come ricorda Lord

17

, la madre spesso gli lavava i capelli, gli spazzolava gli abiti o gli rammendava le calze esortandolo a essere più ordinato e a condurre una vita più regolare, tanto che all’ora dei pasti frequenti erano i richiami «Alberto, vieni a mangiare», «Vieni a mangiare, Alberto»

18

.

17 Cfr. ibidem, pp. 163–164.

18 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit., p. 64.

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6.2. Bianca

«Fu il primo amore dichiarato e infelice della sua vita di adulto»

19

: questo il lapidario resoconto di Lord, già ricordato nel capitolo precedente, per descrivere quella che fu l’esperienza amorosa con la cugina Bianca che forgiò fortemente e in maniera indelebile Giacometti nel suo personale approccio alle donne. Fin dalle prime battute la donna viene descritta da Lord

20

come assai opportunista ed egoista, capace di sfruttare ogni situazione pur di appagare il proprio ego. In rapporto a Giacometti, sin dai primi incontri si venne formando una sorta di squilibrio nella relazione tra i due, all’interno della quale ella rappresentava la parte più forte: «Alberto divenne lo schiavo di Bianca»

21

. Si connotò immediatamente come un amore non corrisposto, nel quale sentimenti di frustrazione e infelicità governavano il cuore dell’artista. Probabilmente vedremo un Giacometti ancora ingenuamente succube unicamente in questo rapporto, o meglio nella prima fase di tale relazione, in quanto l’artista nel corso delle sue storie future andò elaborando una concezione sempre più negativa nella percezione delle donne, collocandosi nella posizione di dominatore e, in maniera ben evidente, osserviamo come lo spunto per siffatta elaborazione di pensieri connotati al negativo prendesse origine proprio a partire dalla relazione «platonica» con Bianca.

Veniamo adesso ad analizzare il ritratto di Bianca che Giacometti eseguì nel 1921. Esso riveste un’importanza fondamentale, in quanto, oltre a mettere in luce l’infelicità di Giacometti in merito alla relazione con la

19 Ibidem, p. 49.

20 Cfr. ibidem.

21 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit.

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LXXX

cugina, offre un taglio diverso all’interpretazione del comportamento dell’artista con le donne. Emerge qui l’esordio, seppur lievemente accennato, di quel atteggiamento summenzionato di predominanza di Giacometti sulle donne. Nel ruolo del ritrattista lo vediamo esercitare una sorta di rivendicazione rispetto al ruolo di subordinazione che lo vedeva sprofondare di fronte alla forza di Bianca. Con un’inversione di ruoli, almeno nella mente dell’artista, infatti, Giacometti «esigeva che [Bianca] si sottomettesse a un regime di assoluta immobilità»

22

. Tuttavia, l’intolleranza dimostrata da Bianca di fronte a un simile imperativo conferiva alla resa del ritratto un’aura di inattuabilità, come altresì inattuabile sembrava rivelarsi il loro rapporto. La difficoltà risultava logorante per l’artista tanto che, in seguito, affermò: «Era la prima volta che non riuscivo a trovare la strada»,

«Incominciavo a sentirmi perduto, tutto mi sfuggiva»

23

. Dunque, impotenza e frustrazione si unirono alla caparbietà dell’artista che si cimentò incessantemente per mesi in quell’assurda impresa. Tuttavia, tale atteggiamento caratterizzò costantemente la carriera artistica di Giacometti, il quale deliberatamente intraprese sempre ciò che nella sua mente si connotava per lui come l’impresa maggiormente irta di ostacoli. Va da sé che l’insoddisfazione, nonché la percezione di frustrazione che scaturiva dal ritratto di Bianca rifletteva un rapporto dal quale la componente fisica era del tutto assente. Siffatta mancanza risulta tanto più importante da sottolineare, in quanto quella che avrebbe potuto dispiegarsi come la prima esperienza sessuale di Giacometti non solo si rivelò deludente poiché non reciprocamente corrisposto ma, cosa ben peggiore, risultò del tutto priva della carica emozionale che generalmente permea quel dato evento. Allora l’esperienza sessuale, come osserva Lord, era ancora vissuta da Giacometti

22 Ibidem, p. 50.

23 Ibidem.

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in stretta connessione con l’«idea dell’amore e dell’impegno personale»

24

, eppure proprio il primissimo approccio a essa, negativo in ogni suo risvolto, unitamente alle conseguenze fisiche e psichiche causate dall’attacco di orchite, rendeva il tutto estremamente più complicato. La percezione di incapacità sessuale da parte dell’artista suscitò, dunque, fin da subito una forte inibizione che si riflesse nell’elaborazione di un sentimento di vera e propria paura dell’atto. Non sembra, dunque, esser casuale che quest’ultimo si sia dispiegato per la prima volta con una prostituta, anzi tutto ciò sembra correlato alla paura che spingeva Giacometti a rifuggire quel incontro provocatore di innumerevoli ansie. Tuttavia, nel suo dispiegamento, siffatta esperienza sembrò vanificare per sempre quel legame che, nella giovane mente dell’artista, vedeva la sessualità indissolubilmente legata all’idea dell’amore summenzionata. Per ulteriore chiarezza riportiamo le parole dello stesso Giacometti descrittive dell’evento:

Portai a casa con me una prostituta per disegnarla. Poi mi coricai con lei.

Esplosi letteralmente di entusiasmo. Gridai, «Ma è una cosa fredda! È una cosa meccanica!»25.

Appunto la descrizione di Giacometti smentisce l’idea romantica dell’esperienza sessuale la quale sembra connotarsi come puro esercizio dissociato da qualsiasi sentimento. L’esperienza, tuttavia, provocando un forte cambiamento concettuale nella mente dell’artista, ebbe un effetto liberatorio rispetto alla sensazione di impotenza, nonché di sconvolgimento totale esperita precocemente da Giacometti prima ancora che egli si

24 Ibidem, p. 51.

25 Ibidem, [sottolineatura mia].

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LXXXII

avvicinasse alla sessualità. Citiamo a conferma di tali affermazioni le impressioni di Lord:

L’atto sessuale era meccanico, era freddo. Quindi non doveva, non poteva avere nulla a che fare con l’amore. Non bisognava averne paura. Non implicava alcun impegno personale. Non aveva alcuna conseguenza spaventosa. Sembra che un eccitante senso di libertà facesse seguito al cataclisma, e l’entusiasmo con cui Giacometti lo salutò si può interpretare come misura dei cattivi presagi precedenti. Non poteva […] immaginare che il trasporto con cui aveva accolto la propria liberazione fosse legata proprio alla freddezza con cui aveva abbracciato la sua liberatrice26.

Dunque, la prima esperienza sessuale sancì in Giacometti una costante di vita: la frequentazione delle prostitute appariva nell’artista la migliore soluzione al problema della sua sterilità esteso all’intera esperienza intima.

Tornando per un momento alla difficile resa del busto di Bianca occorre aggiungere che in esso si riflettevano i segni dell’avversione colta nell’espressione infelice della modella. Tale insofferenza ebbe un’applicazione pratica nella distruzione materiale da parte di Bianca del busto, che provocò forse la prima vera reazione violenta di Alberto verso la donna della quale era innamorato. Comunque, prescindendo dal lato puramente umano, l’evento ebbe un effetto risonante per l’evoluzione del percorso artistico di Giacometti. Egli stesso, infatti, affermò in seguito che tale avvenimento si configurò come la sua «cacciata dal Paradiso»

27

, dunque l’autentico esordio della sua carriera artistica. Tuttavia, il rapporto tra i due cugini continuò a connotarsi come squilibrato a discapito di Giacometti, che incarnava ancora il ruolo del soccombente.

26 Ibidem, p. 51.

27 Ibidem, p. 53.

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LXXXIII

La situazione sentimentale tra la donna e l’artista mutò con il trascorrere del tempo, in seguito al trasferimento di Giacometti a Parigi nel 1922, allorché i ritorni a Maloja erano ancora frequenti e iniziò a prender forma un corposo e intenso carteggio tra Giacometti e Bianca, la quale all’età di diciotto anni maturò di nutrire anch’ella un sentimento d’amore altrettanto forte per il cugino artista. Le emozioni provate per Bianca erano ancora vive in Giacometti, sebbene egli a Parigi avesse avuto altre donne.

A ben guardare, tuttavia, il loro rapporto subì una graduale e continuata inversione di ruoli, nel senso che l’artista andò sempre più assumendo nei riguardi di Bianca atteggiamenti arrogantemente dominatori che riecheggiavano, probabilmente a livello inconscio, lo smacco subito da parte della donna che per lungo tempo in passato l’aveva umiliato e maltrattato. Un episodio ricordato da Lord può risultare assai significativo a tal riguardo:

[…] era disposto a fare qualsiasi cosa per dimostrarle di essere il suo padrone.

Una sera in cui erano soli nella stanza di lei, egli tirò fuori di tasca un coltellino e le disse che voleva incidere le proprie iniziali sul suo braccio.

Bianca accondiscese alla sua richiesta. Alberto aprì il coltellino e incominciò a lavorare con impazienza sul suo braccio sinistro, in alto. Non dovette incidere troppo in profondità poiché, sebbene la cicatrice restasse ancora per molti anni sul braccio di Bianca, alla fine probabilmente scomparve. Eppure egli incise abbastanza profondamente da farla sanguinare, e Bianca dovette sentire del dolore che sopportò con calma, forse persino con piacere. Egli incise una piccola A maiuscola. Era eccitato e fiero. «Ora sei la mia vitellina», le disse, fingendo che l’incidente fosse uno scherzo. Bianca era contenta perché vedeva Alberto contento. Ma non si era trattato di uno scherzo28.

28 Ibidem, pp. 90–91.

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LXXXIV

L’immediata sottomissione fisica di Bianca adesso contrasta apertamente con la passata resistenza mostrata dalla donna, allorché si opponeva a posare per l’artista caparbiamente ostinato a riprodurne il busto.

Nel 1933, tuttavia, nonostante il forte attaccamento a Giacometti e di fronte l’impossibilità di concretizzare la storia tra loro per i vincoli posti dall’artista, Bianca sposò tale Mario Galante, sostenitore di Mussolini.

6.3. Flora Lewis Mayo

L’incontro tra la ricca giovane donna di Denver, Flora Lewis Mayo, e Giacometti avvenne a Parigi all’Académie de la Grande-Chaumière. Ella, dopo essersi lasciata dietro le spalle un passato alquanto movimentato che l’aveva vista sposata con un giovane condiscendente di nome Mayo – con il quale si era unita in matrimonio per pure ragioni di convenienza sociale, in quanto Flora era assai chiacchierata per il temperamento esuberante che la induceva a comportarsi in modo eccessivamente disponibile con i numerosi uomini che la corteggiavano – dal quale era poi fuggita per recarsi a New York in compagnia del suo amante, che non intendeva comunque intrattenere una salda relazione con la donna, deliberò di trasferirsi a Parigi, la «città peccaminosa»

29

per eccellenza, che si confaceva alle sue propensioni artistiche, nonché al suo temperamento socievole. Tuttavia, anche nella capitale francese i pettegolezzi in merito a presunti comportamenti sconsiderati da parte di Flora non mancarono, dunque, temendo di non riuscire in alcun modo a iniziare una nuova vita, principiò a bere assiduamente. Ella incarnava l’ideale di donna irriverente verso

29 Ibidem, p. 84.

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LXXXV

qualunque convenzione sociale, dunque, apparve agli occhi di Giacometti assai più interessante, in quanto appariva ben lontana dal tipo di ragazza

«appiccicaticcia» che egli tanto ansiosamente rifuggiva. Nacque un forte sentimento sincero come confermano le affermazioni di Lord:

Un giorno […] Alberto andò a trovarla in rue Boissonade [dove ella abitava].

Si mise a sedere ai piedi del letto e la guardò, a lei parve, con così grande pietà, che essa gli tese le braccia. Ed egli si buttò fra quelle braccia. Non fu un abbraccio lascivo: rimasero stretti l’uno all’altra quasi a esprimere un’illimitata fiducia reciproca. Fu l’inizio di un amore. Un amore felicissimo, per un certo periodo30.

Quella tra Giacometti e Flora sembrava connotarsi come una relazione di stampo romantico, fatta di numerose passeggiate mano nella mano durante le quali di sovente disquisivano d’arte e d’amore, tuttavia, come apprendiamo da Lord

31

, l’artista non rivelò mai alla donna i suoi problemi di sterilità, né venne mai affrontato l’argomento matrimonio. Quindi, nell’apparente semplicità ed equilibrio del rapporto, sebbene in maniera non violenta, fu Giacometti a dettare tacitamente le regole del loro rapporto, in quanto Flora sembrava desiderare il matrimonio.

A testimonianza del forte vincolo esistevano, tuttavia, un ritratto della donna che Giacometti scolpì ed espose al Salon des Tuileries e un busto che la donna eseguì per l’artista. Inoltre, particolarmente suggestiva ma

30 Ibidem, pp. 84–85.

31 Cfr. ibidem, p. 89.

(21)

Figura 41 Alberto Giacometti e Flora di fianco al ritratto dell’artista eseguito dalla donna

(22)

LXXXVI

alquanto enigmatica risulta una fotografia (Fig. 41) (osservabile all’interno del volume di Lord cui facciamo riferito nel corrente capitolo) che ritrae i due artisti ognuno di fianco al ritratto di Alberto eseguito da Flora. Lo sguardo di Giacometti rivela una forte consapevolezza e fierezza di sé, rendendo testimonianza di ciò che accennavamo precedentemente, ovvero il senso di dominio da parte di Giacometti in merito alla gestione del rapporto.

Dal felice volto dell’artista, soltanto in apparenza rassicurante, affiora una sensazione di forte incertezza, allusiva certamente della mancata volontà di impegno costante che la scelta del matrimonio avrebbe portato con sé. La donna, di contro, nello sguardo apparentemente sereno, lascia trasparire un senso di preoccupazione unito a una tacita rassegnazione relativa alla consapevolezza che ella desiderava qualcosa, il matrimonio, che l’artista non voleva. E, come osserva Lord

32

, il ritratto di Giacometti che si erge tra loro sembra profondere, attraverso la lettura dei tratti fisionomici, il modello idealizzato dell’uomo forte e risoluto che Flora avrebbe desiderato accanto a sé. Dunque, conformemente alle regole dell’intera vita di Giacometti, l’uomo domina, mentre la donna, apparentemente forte e detentrice del potere, paradossalmente e in virtù di ciò, soccombe. Inoltre, la reiterata ricerca di certezze e sicurezze che provenissero da Giacometti era tanto più anelata da Flora in virtù del fatto che la donna era di per sé precariamente stabile e l’atteggiamento indifferente di Giacometti sembrava preannunciare involontariamente e sempre più velocemente l’epilogo della loro storia. Contribuivano a rendere ancora più difficile la situazione episodi di impotenza da parte dell’artista. Esisteva un forte legame di fondo, tuttavia, il fallimento era alle porte e sembrava riflettersi con maggiore insistenza su Flora per la quale la storia con Giacometti fu l’ultima

32 Ibidem, p. 90.

(23)

LXXXVII

relazione appassionata, mentre per l’artista essa si rivelò come «la prima esperienza completa di un amore romantico»

33

. Restava viva la gestione del rapporto da parte dell’artista che non volle mai far conoscere alla madre, della quale percepiva la disapprovazione, una donna che egli sapeva incarnare il ripudio delle norme sociali. Dunque, è ravvisabile ancora una volta in Giacometti un senso di contraddizione e forte ambiguità tra ciò che voleva mostrare di sé, in particolar modo alla madre, e quella che era, tuttavia solo in parte, la sua vera essenza. Regnava lo sforzo perenne da parte di Giacometti di lasciar fuori da Maloja e dalla presenza vigilante della madre il suo lato più anticonformista e irrequieto che, tuttavia, con ogni probabilità, Annette Stampa intuiva, anche se sicuramente non nei suoi risvolti più profondi. Percepiamo in tutto ciò un senso di assoggettamento soltanto nei riguardi della madre, le cui attese Giacometti provvide a non deludere mai, assai contrastante con la sua presa di posizione verso le donne alquanto maschilista. Quest’ultima, nella sua ottica, lo giustificava ad assumere atteggiamenti ambigui che, coerentemente alla morale comune, se assunti da una donna, sarebbero stati interpretati come sconvenienti.

Gestiva parallelamente due relazioni, Flora a Parigi e Bianca a Maloja, seppur di tipo platonico in quest’ultimo caso, sotto il comune dominatore del suo controllo.

La relazione con Flora lasciava trapelare che la crisi era ormai irreversibile. Agli occhi di Giacometti la donna si stava facendo sempre più opprimente come confermano le stesse affermazioni dell’artista: «Con lei avevo l’impressione di star soffocando […] speravo che si trovasse un altro»

34

. Giunse il giorno in cui Flora, sempre più in preda alla propria

33 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit.

34 Ibidem, p. 99.

(24)

LXXXVIII

disperazione e alle proprie debolezze affogate nell’alcool, ebbe un’avventura con un giovane polacco. Tormentata, meditò che la giusta risoluzione fosse confessare il tradimento, alla qual cosa, tuttavia, conseguì una turbolenta reazione da parte di Giacometti. L’artista, in quella violenta reazione, si appellava a un ideale idilliaco di coppia che era incarnato dai suoi genitori e, nella sua mente, si sentiva tanto più ferito in quanto era stato colpito nella sua emotività. Inoltre, coerentemente con le proprie contraddizioni, vedeva soltanto il tradimento di Flora, mentre la sua abituale frequentazione delle prostitute, di cui per altro la donna era all’oscuro, non rappresentava un atteggiamento irrispettoso, in quanto «Con esse l’amore puro non veniva tradito»

35

. Era avvenuta una rottura tra loro, come conferma lo stesso Giacometti

36

, tuttavia, essa non impedì che i due si vedessero occasionalmente e che la gelosia dell’artista si mantenesse sempre viva. Fu un sentimento sofferto, all’insegna della perenne contraddizione e lunghe lettere di Giacometti cariche di sentimento non furono mai spedite alla giovane donna. Tutto ciò spinse Giacometti a elaborare una sorta di avversione, stavolta irreversibile come vedremo nelle storie che egli intrattenne con altre donne, verso «una relazione tanto apertamente e irrealisticamente romantica»

37

, rappresentando un’evoluzione importante nella concezione amorosa dell’artista. E, in linea con tale elaborazione, fu nel 1929 che nell’opera di Giacometti venne espresso esplicitamente il tema della crudeltà sessuale e della violenza verso la donna.

Infine, a suggello della disfatta, dopo che Flora era nuovamente caduta in miseria rivolgendosi poi a Giacometti, esiste la prova tangibile di cui

35 Ibidem, p. 100.

36 Cfr. ibidem.

37 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit.

(25)

LXXXIX

riferisce Lord

38

della distruzione da parte della donna, prima del suo definitivo ritorno negli Stati Uniti, di tutte le sculture prodotte durante la sua permanenza in Europa, a cui non fece eccezione il busto di Alberto che possiamo ammirare nella foto summenzionata.

6.4. Denise

La figura di Denise tra le donne che ebbero fondamentale importanza nella vita di Giacometti sembra l’unica a essere avvolta nel mistero.

L’incontro tra l’artista e tale Denise risale al 1930 a Montparnasse. Le uniche notizie di cui siamo al corrente

39

sono che ella aveva un temperamento violento e che, parallelamente alla storia con Giacometti, aveva un altro amante. La relazione con questa donna appare particolarmente interessante, in quanto rivela nella pratica lo scarto significativo tra la concezione dell’amore per così dire romantica, seppur sempre con la figura maschile in prua, e quella che andava elaborando Giacometti con l’approdo a esperienze estreme, come rivela il menage à trois che alle volte vedeva come protagonisti Giacometti, Denise e l’amante

di quest’ultima. La connotazione violenta del rapporto è riflesso anche nelle sculture di quel periodo che erano il risultato della coeva affiliazione di Giacometti al movimento surrealista. Tuttavia, è possibile dedurre dalle stesse affermazioni successive di Giacometti che in tutta quell’insistenza su aspetti di violenza e sadismo sessuale si celasse anche una forzatura esterna, derivata dall’esser parte attiva di un movimento, quale quello surrealista, che faceva di siffatti elementi una poetica artistica:

38 Cfr. ibidem, p. 120.

39 Ibidem, p. 115.

(26)

XC

Indubbiamente ero sotto l’influsso dell’atmosfera surrealista … volevo che le mie sculture fossero interessanti, che significassero qualche cosa per gli altri.

Avevo questo bisogno degli altri, e sentivo benissimo se entravo o meno in contatto con loro40.

La storia con Denise aveva ormai definitivamente scacciato dalla mente di Giacometti qualsiasi ideale di amore sereno e reciprocamente fedele. Egli frequentava altre donne nel contempo ed ella ne era al corrente.

Diversamente dai rapporti precedenti, in particolare quello con Flora, emerge nella storia con Denise un connotato in più. Sebbene la donna occupi sempre una posizione subordinata, nel caso di Denise si tratta di un tipo di sottomissione consapevole, in quanto, differentemente da Flora, ella sapeva della presenza di altre donne nella vita di Giacometti.

Approfondendo ulteriormente la questione, ci accorgiamo di quanto l’interpretazione della donna possa esser colta da un’angolatura assai più complessa. Infatti, se da una parte si protrae la sottomissione della donna, dall’altra emerge, nel caso di Denise, il prototipo di donna scaltra che esercita una sorta di passività attiva. Le motivazioni più profonde naturalmente pertengono all’anima di ciascun individuo che neppure lo studio più approfondito può rivelare. L’agitazione interiore di Giacometti non permette di redigere un’analisi lineare dei suoi rapporti e, consapevoli che la contraddizione si configura come la caratteristica maggiormente indiscernibile dalla persona di Alberto Giacometti, ne proponiamo un resoconto che metta in luce il costante tormento dell’artista. Le parole di Lord si rivelano chiarificatrici in tal senso:

40 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit. p. 116.

(27)

XCI

Egli non considerava la fedeltà come una delle responsabilità del maschio.

Sebbene suscettibile ai tormenti della gelosia, condannava questa emozione come degradante. Era, per natura, un po’ perverso; cercava di vincersi, ma, di tutte le battaglie della sua vita, questa era perduta in partenza41.

6.5. Isabel Nicholas

Giunta a Parigi nel 1934, la giovane donna notevolmente attraente divenne presto la moglie del noto corrispondente dall’estero dell’«Express»

di Londra Sefton Delmer. A Isabel, dotata di un temperamento esuberante e fascinoso, piaceva condividere la vita frenetica che suo marito, in quanto inviato, conduceva e di sovente lo accompagnava nei suoi viaggi aiutandolo per quelli che erano gli aspetti concernenti le relazioni sociali. La donna nutriva altresì un forte interesse per l’arte, testimoniato dal fatto che ella in passato aveva posato per una scultura di Epstein, Isabel, la quale appunto ne portava il nome. Dunque, anche a Parigi cercò un suo studio e prese a frequentare corsi alla Grande-Chaumière, nonché il quartiere di Montparnasse nel quale pittori, poeti, nonché musicisti l’ammiravano per le sue doti di gran fascino. Il temperamento brioso di Isabel suscitò fin da subito in Giacometti pensieri contrastanti, desiderio e, al contempo, intimidimento. Fin dai primi istanti sembra che il rapporto tra i due si sia connotato all’insegna della distanza, si trattava di una conoscenza distaccata. L’interessante descrizione che Lord ci offre di Isabel sembra testimoniare il profilo di una donna assai forte:

41 Ibidem, p. 120.

(28)

XCII

La sua vita adulta era incominciata sotto l’influsso attivo di un artista [Epstein], e da allora essa si sarebbe spesso trovata intimamente coinvolta con degli uomini creativi. Però non si lasciò mai dominare da loro. Se c’era qualcuno che dominava, quel qualcuno era lei. … Alcuni … sospettavano che il maggior fascino che l’intimità esercitava su di lei consistesse nella possibilità di dimostrare una volta di più, ma mai troppo spesso, la sua capacità di attirare gli uomini a sé e di far di loro ciò che ad essa piaceva.

Forse fu ciò a renderla tanto attraente agli occhi di Alberto ma, anche se lo

attrasse irresistibilmente a lei, lo indusse all’inizio a essere tanto cauto42.

Osserviamo ancora come costante di vita l’incontenibile attrattiva che esercitava su Giacometti una figura femminile dominante, la quale era da lontano assai attraente ma, se avvicinata, innescava nell’artista una sensazione di repellenza, richiamando un confronto che egli costantemente tendeva a rifuggire.

Come altre donne della vita di Giacometti, Isabel aveva un temperamento vivace e assai socievole e, in linea con la frequenza dei caffè di Montparnasse, alimentava il suo innato brio con l’alcool. Aveva numerosi ammiratori e, durante le frequenti assenze del marito, ella organizzava feste alle quali prendeva parte di sovente anche Giacometti che si distingueva per il temperamento assai incline all’ilarità.

Giacometti, come osserva Lord

43

, percepiva Isabel come il giusto compromesso tra la donna tangibile da toccare concretamente e l’idolo da adorare di lontano. Lo attirava, inoltre, la percezione di costrizione da parte della donna, contrariamente alla definizione passata di «appiccicaticcia», dal momento che era un tipo di dominio che, in quanto pertinente all’intima natura della donna, Giacometti avvertiva come non coercitivo, suscitando

42 Ibidem, p. 147.

43 Cfr. ibidem, p. 155.

(29)

XCIII

dunque in lui un naturale impulso a lasciarsi andare. Isabel era in quel particolare momento la donna più importante per Giacometti, tuttavia, tutto ciò era la somma di numerose sensazioni cui non era mai stata data una forma più precisa che avesse i connotati esatti di quale fosse il loro impegno reciproco o, quanto meno, la posizione dell’artista verso la donna.

L’attrazione per Isabel era assai forte, tuttavia, erano due temperamenti molto simili, probabilmente fin troppo. Ognuno proseguiva per la propria strada conducendo la propria vita. «Si fece un punto d’onore di far sapere a Isabel che aveva altre donne, sebbene sostenesse che altro non erano che delle ‹ombre› »

44

. Così la distanza divenne il connotato distintivo della loro relazione. Quest’ultima, tuttavia, produsse dei risultati sul piano scultoreo:

due ritratti di Isabel, uno del 1936, l’altro del 1938. Come noto, già dal 1934, in seguito alla rottura con i surrealisti, Giacometti si era nuovamente volto alla riproduzione dal vero. Entrambi non sopravvissuti, sembrano, tuttavia, interessanti dal punto di vista dell’evoluzione del credo artistico di Giacometti. Il primo, denominato alle volte L’égyptienne per la forte rassomiglianza con la ritrattistica egizia, appare eseguito con spontanea naturalezza. L’altro, per i connotati anche meno definiti, sembra mettere in luce in modo più manifesto un momento di crisi da parte dell’artista, il quale si sentiva insoddisfatto di fronte alla propria incapacità di rendere sul piano scultoreo ciò che vedeva. Tutto ciò lo portò, suo malgrado, nel corso del tempo a produrre figure sempre più piccole che sembravano sgretolarsi tra le mani. Tuttavia, solo in quelle ridottissime dimensioni riusciva, seppur mai completamente, a creare ciò che vedeva, l’essenza di una figura. Erano della grandezza di uno spillo e apparivano tanto più piccole in quanto collocate sopra immensi piedistalli.

44 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit.

(30)

XCIV

Allorché si avvicinava il secondo conflitto mondiale gli incarichi di Sefton Delmer lo costringeva sempre più a lunghe assenze da Parigi, dunque, per ragioni di ordine pratico e non solo, decise di trasferirsi a Londra con la moglie Isabel. Quest’ultima, tuttavia, non volendo rinunciare alla sua vita parigina, soggiornava di frequente nella capitale francese. La relazione con Giacometti procedeva ma, a parità dell’inefficacia della sua produzione artistica di allora, si rivelava inconcludente, sebbene per Giacometti ella rappresentasse la donna con la quale nessun’altra delle sue frequentatrici poteva reggere il paragone. Resta il fatto che, trascorso diverso tempo, l’inconsistenza del loro rapporto era sempre più manifesta:

Egli non sapeva ancora a che punto era arrivato, con lei. La loro relazione durava da quasi tre anni, e non era accaduto nulla. Egli l’amava, ma non erano amanti. A dire il vero era colpa soprattutto di Alberto, che non riusciva a indursi a manifestare i propri sentimenti né a fare delle promesse45.

La titubanza continuava a essere una costante di Giacometti: meditava spesso di lasciar perdere la storia con Isabel senza tuttavia riuscirci e, ancor peggio, senza riuscir a compiere il passo che avrebbe dato una svolta al loro statico rapporto.

Una sera sembrò preannunciarsi una svolta decisiva che avrebbe determinato un cambiamento sia per quanto concerne la relazione con Isabel, sia soprattutto per quanto riguarda la sua concezione artistica. Infatti, dopo aver accompagnato la donna al suo albergo, indugiando se dirle o meno della rottura che vedeva inevitabile e che, tuttavia, non riusciva ad attuare, Giacometti venne travolto da un’auto in corsa nei pressi di Place des Pyramides. L’incidente, a dispetto della menomazione del piede,

45 Ibidem, p. 171.

(31)

XCV

paradossalmente potrebbe esser definibile «salvifico» per l’importanza attribuitagli dallo stesso Giacometti, agli occhi del quale sembrò possedere un potere risolutivo che gli permise di elaborare una visione di speranza rispetto a Isabel e alla sua arte. Al di là della strana situazione che si venne a creare nel tragitto verso l’ospedale durante il quale Giacometti si trovò di fronte alla donna che lo avrebbe investito – che egli pensò fosse una prostituita dato che gli chiese una sigaretta – dalla quale per un istante si sentì fortemente attratto come se stesse innamorandosene, l’episodio risulta tanto più enigmatico se pensiamo che provocò nell’artista una vera e propria trasformazione. Come afferma Lord

46

, Alberto non provò più alcun assillo per l’inconcludenza della relazione che lo legava a Isabel, né fu più turbato dall’aspetto sfuggente e sinistro della donna, la quale andò a trovarlo ogni giorno alla clinica nella quale era ricoverato, ridendo e trascorrendo momenti spensierati insieme. La positività associata all’episodio venne ostentatamente sottolineata dallo stesso Giacometti che affermò: «Sto meglio ora che prima di questa avventura»

47

.

6.6. Alberto Giacometti

Quel che occorre dire avanti tutto è che il rapporto di Giacometti con le donne si connotò, sin dal principio, come un interesse assai intenso.

L’attrazione per una donna lo induceva, come fa notare Lord

48

, a posare fissamente e intensamente lo sguardo su di essa tanto da assumere un totale irrigidimento, comprovato dalla posizione delle braccia inflessibilmente

46 Cfr. ibidem, p. 173.

47 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit., p. 174.

48 Cfr. ibidem, p. 74.

(32)

XCVI

tese lungo i fianchi e dai pugni chiusi. Siffatto atteggiamento non veniva assunto unicamente nei riguardi delle donne ma verso qualsiasi persona destasse l’attenzione dell’artista, tuttavia, i sentimenti di Giacometti per le donne erano costantemente permeati di aspetti ambivalenti. Lord

49

, che ha esaminato con particolare attenzione la componente sessuale con i suoi complicati risvolti nella vita di Giacometti, mette in luce come l’artista percepisse le donne in qualità di dee da adorare, tuttavia di lontano, facendo, al contempo, proprie fantasie, pur mai concepite per essere attuate, di violenza carnale e assassinio, come emergeva dal suo ricorrente sogno di stupro di ragazzino. Aveva la propensione a credere che la sua impotenza potesse esser arginata tramite la violenza. Quest’ultima, sin dai pensieri di fanciullo, rivolta esclusivamente verso la donna:

Credevo che fra l’uomo ela donna potessero esistere soltanto incompatibilità, guerra, violenza. La donna non si sarebbe sottomessa se non dopo l’esaurimento delle sue forze fisiche; l’uomo la violentava50.

L’impotenza sessuale rappresentava, senz’altro, la componente principale alla base di siffatta elaborazione di violenza. E la ragione per cui l’aggressione fosse concepita verso la donna sembra rintracciabile nel fatto che egli, osservandosi in qualità di uomo dal punto di vista della potenziale incarnazione di virilità, non si sentisse all’altezza del proprio ruolo di maschio. È lui stesso a riferire la propria debolezza: «Mi sentivo sempre sessualmente manchevole»

51

.

49 Ibidem, p. 75.

50 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit.

51 Ibidem.

(33)

XCVII

6.6.1. La fuga nella prostituzione

Le puttane sono le ragazze più oneste … Ti presentano subito il conto. Le altre ti si appiccicano e non ti lasciano più andare. Quando si convive con problemi d’impotenza, la prostituta è l’ideale. Tu paghi, e che tu fallisca o meno non ha importanza alcuna. A lei non gliene importa nulla52.

In quest’ottica appaiono evidentemente chiare talune affermazioni dello stesso Giacometti, quale per esempio: «Per me era il posto [il bordello parigino Sphinx] più meraviglioso di tutti»

53

. Tuttavia, la scelta del confronto con una prostituta sembra poter esser interpretata non soltanto come la possibilità di ridurre il disagio legato all’impotenza, ma come una vera e propria via di fuga dalla realtà, laddove il confronto diretto nella battaglia tra uomo e donna avrebbe costretto Giacometti a misurarsi sempre con quella conflittualità oscillante di attrazione e repulsione verso la donna.

La risoluzione dell’artista, invece, ben si accordava con la concezione da lui maturata secondo la quale il ruolo della donna era di completa sottomissione all’uomo e, in modo più strettamente circoscritto alla sua persona, gli permetteva di non affrontare a viso aperto la battaglia, bensì di eluderla, preferendo percorrere una strada alternativa che ai suoi occhi appariva quella più semplice, o forse lo era. Tuttavia, lo fosse o meno, non sembra a nostro parere questo il punto, in quanto un temperamento tanto complesso e incline alla perenne oscillazione non potrà mai godere a pieno dei benefici delle cosiddette «scelte facili», semplicemente perché il termine facile non appartiene al suo vocabolario e ciò appare evidente in maniera lampante nel caso di Giacometti.

52 Ibidem.

53 Ibidem.

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