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2.1. I tratti caratteristici dell’azienda agricola – 2.1.1. La dimensione

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CAPITOLO 2:

PROFILI ECONOMICO AZIENDALI

2.1. I tratti caratteristici dell’azienda agricola – 2.1.1. La dimensione

organizzativa e la componente di rischio economico – 2.1.2. La

dimensione sociale ed ambientale – 2.1.3. La dimensione economico-

finanziaria relativa all’evoluzione delle fasi del processo biologico-

produttivo – 2.1.4. Il meccanismo della rigenerazione dei cicli

biologici – 2.2. Problematiche riguardanti la redazione del bilancio

dell’azienda agricola – 2.2.1. Premessa – 2.2.2. La data di chiusura

del bilancio – 2.2.3. Migliorie fondiarie e culturali – 2.2.4. Il fattore

terreno – 2.2.5. Le piantagioni – 2.2.6. Il bestiame – 2.3. Lo IAS 41 –

2.3.1. Ambito di applicazione – 2.3.2. I criteri di valutazione delle

attività biologiche e dei prodotti agricoli – 2.3.3. La natura dei

proventi e oneri derivanti dalla valutazione al fair value – 2.3.4. I

contributi pubblici e le informazioni integrative – 2.3.5. Analisi critica

dell’utilizzo del fair value per le aziende agrarie.

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2.1. I TRATTI CARATTERISTICI DELL’AZIENDA AGRICOLA

L’oggetto delle aziende

1

agricole consiste in una particolare attività economica diretta all’ottenimento di prodotti agricoli attraverso la coltivazione del suolo e/o l’allevamento del bestiame. Con l’attività agricola si attua un complesso processo di trasformazione biologica che patisce l’effetto di variabili che in larga parte sfuggono al controllo dell’uomo (per esempio gli agenti atmosferici, ecc.), esponendo l’attività a forme di rischio più marcate rispetto alla media delle attività a carattere industriale.

In merito all’inquadramento disciplinare, si osserva che la presenza di alcuni profili caratteristici inerenti le diverse fasi processuali ed organizzative non affranca l’azienda agraria dai paradigmi teorici della economia delle aziende unitariamente analizzate nell’ambito delle loro fondamentali condizioni di sopravvivenza e di sviluppo

2

.

I consolidati principi aziendali incardinati su logiche di efficace azione combinatoria

3

delle risorse umane e tecniche, di consolidamento di posizioni di equilibrio economico e di perdurabilità amministrativa, formano, secondo l’orientamento prevalente, la cornice teorica di riferimento che accomuna qualsivoglia unità economica, indipendentemente dallo specifico settore di riferimento e dalla peculiarità di alcune dinamiche produttive.

Tuttavia sono evidenti certe specificità che contraddistinguono sensibilmente le vicende che coinvolgono l’assetto strutturale e dinamico dell’azienda agraria. Tali specificità, che forniscono una rapida introduzione per una successiva e più incisiva

1 “L’azienda può essere intesa come una unità elementare dell’ordine economico-generale, dotata di vita propria e riflessa, costituita da un sistema di operazioni, promanante dalla combinazione di particolari fattori e dalla composizione di forze interne ed esterne, nel quale i fenomeni della produzione, della distribuzione e del consumo vengono predisposti per il conseguimento di un determinato equilibrio economico a valere nel tempo, suscettibile di offrire una remunerazione adeguata ai fattori utilizzati e un compenso, proporzionale ai risultati raggiunti, al soggetto economico per conto del quale l’attività si svolge.” E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale, con particolare riferimento alle aziende agricole, Pacini, Pisa, 1979, pp. 10-11.

2 “Pur non disconoscendo l’esistenza di peculiarità del processo economico, proprie dell’attività agraria, va però detto che essa, sostanzialmente, non si differenzia da altre attività produttive. Anch’essa, invero, combina fattori produttivi, svolge un processo lavorativo, ottiene e colloca prodotti, come ogni altra attività produttiva, industriale o commerciale che sia.” P.E. CASSANDRO, Le aziende agrarie:

caratteristiche organizzative e di gestione, in “Quaderno n. 5, Serie Studi e Ricerche”, Carducci, Bari, 1970.

3 Il Giannessi individua tre tipi di ordine, la cui esistenza è indispensabile per la vita dell’azienda: l’

ordine combinatorio, sistematico e di composizione. Si veda E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale, op. cit., p. 15.

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articolazione delle sue rappresentazioni contabili e valutative, posso essere suddivise in quattro classi:

-

la dimensione organizzativa e la componente di rischio economico;

- la dimensione sociale ed ambientale;

- la dimensione economico-finanziaria connessa all’evoluzione delle fasi del processo biologico-produttivo;

- il meccanismo della rigenerazione dei cicli biologici;

2.1.1. La dimensione organizzativa e la componente di rischio economico

Da un punto di vista organizzativo, le evidenze empiriche dimostrano che, a livello nazionale, le attività in campo agricolo trovano normale dimora in aziende di piccole dimensioni, nelle quali è prevalente lo sforzo lavorativo del soggetto proprietario e della sua famiglia

4

.

Gli elementi che condizionano, sotto il profilo organizzativo, la scelta degli ordinamenti produttivi potenzialmente attuabili dall’imprenditore agricolo, si connettono soprattutto alle caratteristiche biologiche, morfologiche e climatiche della porzione di terra adibita ad uso produttivo e preposta ad accogliere le tipiche operazioni aziendali. Differentemente dalle tradizionali imprese industriali, nelle aziende agrarie il fattore terra non è neutrale rispetto al perseguimento di obiettivi di efficienza ed efficacia produttiva, ma al tempo stesso costituisce un vero e proprio fattore di rigidità che può concretamente influenzare l’entità e la qualità della produzione vegetale e animale.

Malgrado tale vincolo, non si deve disconoscere, tuttavia, l’importanza delle nuove opportunità sviluppatesi anche in questo comparto grazie ai progressi operati nel campo della meccanizzazione e della biologia. L’intervento dell’uomo nei sistemi agricoli è in un certo qual modo servito a modificare le condizioni generali del fondo, migliorandone peraltro la fertilità e l’equilibrio di composizione attraverso l’impiego di tecniche e prodotti destinati specificamente a tale scopo (somministrazione di concimi, coltivazione di piante che forniscono gli elementi per altre colture, avvicendamento e combinazione delle stesse, opere di regolazione delle acque ecc…).

4 Il censimento ISTAT nel 2000 dimostra che ben il 44,9% delle aziende agricole nazionali presenta un’estensione di superficie agricola utilizzabile compresa tra 1 e 11 ettari. Inoltre la forma di conduzione diretta si riscontra nel 94,8% delle imprese, di cui solo nel 4% il contributo lavorativo della manodopera extrafamiliare supera quello familiare.

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A fronte di siffatti vantaggi, l’attività agraria sconta l’incombenza assidua di diverse fattispecie di rischio

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che sfuggono al totale governo dell’uomo, ovvero:

- i rischi climatici, che possono compromettere il rendimento e il raccolto dei prodotti vegetali, atteso che l’opera conservatrice dell’uomo può solo limitare (realizzazione di serre, capannoni per il ricovero dei mezzi meccanici, innesti ecc..), ma mai eliminare completamente i probabili effetti negativi prodotti dall’avverarsi di eventi naturali avversi (grandinate, eccessive piogge, gelate ecc…);

- i rischi biologici, derivanti dalla concreta minaccia che la vegetazione e il bestiame siano attaccati da agenti parassitari portatori di malattie; ciononostante, è bene sottolineare che rispetto a questi fenomeni patologici, lo sviluppo scientifico in campo biologico ha reso possibile una valida azione di contrasto mediante la somministrazione di trattamenti fitofarmaci.

È evidente che nelle aziende agrarie, a causa della sovrapposizione delle diverse forme di rischio, la capacità di generare periodicamente un flusso di ricavi idoneo a consentire la congrua remunerazione dei fattori produttivi è condizionato non solo da aspetti legati alla combinazione delle risorse secondo parametri di economicità, ma anche da fattori esterni, nella maggior parte dei casi, ingovernabili e accidentali.

Quindi, rispetto ad altre realtà aziendali operanti in ambienti più stabili, nelle unità economiche agrarie l’elevata esposizione ai condizionamenti climatici e naturali può ingenerare significative riserve in merito alla validità e alla attendibilità delle ipotesi previsionali elaborate in sede di pianificazione e di programmazione strategica del governo aziendale; la proiezione delle manifestazioni future dell’azienda agraria si articola lungo condizioni operative tendenzialmente incerte che contribuiscono ad accrescere il grado di aleatorietà degli equilibri economici prospettici.

2.1.2. La dimensione sociale ed ambientale

Nel panorama dei moderni sistemi produttivi finalizzati al soddisfacimento di bisogni sempre più sofisticati, le aziende agrarie accusano con frequenza gli effetti di

5 Per maggiori approfondimenti riguardo al concetto di rischio economico aziendale si veda: S. SASSI, Il sistema dei rischi di impresa, Casa editrice Dott. Francesco Vallardi, Milano, 1940; C. CARAMIELLO, Note su rischio di impresa, in «Rivista Italiana di Ragioneria», gennaio – febbraio 1959; U. BERTINI, Introduzione allo studio dei rischi nell’economia aziendale, Giuffré, Milano, 1969.

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un’eccessiva pervasività di retaggi culturali che, in diversi casi, finiscono col rappresentare il principale ostacolo alle prospettive di crescita aziendale.

Il fenomeno della dissociazione spaziale della sfera produttiva da quella consumistica, puntellata dalla crescente applicazione nei processi aziendali del principio della divisione scientifica del lavoro e dal progresso scientifico e tecnologico, ha interessato solo moderatamente il comparto dell’agricoltura, la quale risulta abbondantemente ancorata ad una visione di stampo tradizionalistico del suo modello produttivo.

Il peso della dimensione sociale nell’azienda agraria, in contrapposizione a logiche di puro economicismo, affiora soprattutto quando si analizzano le principali motivazioni personali che possono sottendere la scelta di intraprendere o dare prosecuzione ad un’attività profondamente legata alla natura e, in ragione di ciò, evocatrice di stili e comportamenti di vita la cui variabile economica è relegata quasi ai margini.

Lo spirito con cui l’imprenditore agricolo si accosta allo sfruttamento del fattore terra esula, sovente, da finalità puramente economiche, risultando invece animato da retaggi culturali, dalla necessità di dare continuità lavorativa alla propria famiglia o dalla brama di trascorrere un’esistenza più tranquilla lontano dal disordine e dall’inquinamento cittadino.

Il perseguimento di generali condizioni di economicità può risultare influenzato proprio da tali ordini di fattori.

Inoltre, l’apertura totale verso il mercato di scambio rimane ancora troppo spesso prerogativa di una circoscritta cerchia di imprenditori agricoli che scorgono nella possibilità di impiantare una struttura aziendale complessa e sufficientemente proattiva alle sollecitazioni ambientali, la convenienza ad investire risorse finanziarie allo scopo di valorizzare durevolmente l’impianto produttivo.

In ultima analisi occorre tenere presente che negli ultimi anni si è assistito ad

una maggiore presa di coscienza, da parte della platea dei consumatori e delle

organizzazioni associative a tutela delle loro istanze, della necessità di un’alimentazione

sana e genuina e non contaminata da eccessivi impieghi di sostanze nocive per la salute

dell’uomo; sul terreno di queste argomentazioni, è divenuta più presente la domanda di

un’agricoltura biologica, che non abusi dell’impiego irrazionale di sostanze chimiche di

sintesi (pesticidi, insetticidi, diserbanti ecc..), ma che accolga, invece, processi di

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produzione basati su tecniche di coltivazione e di allevamento a basso impatto ambientale.

2.1.3. La dimensione economico-finanziaria relativa all’evoluzione delle fasi del processo biologico-produttivo

Sebbene le motivazioni che sottendono alla costituzione di nuove aziende in campo agricolo siano difficilmente riconducibili a sole esigenze economiche, non si deve rinunciare alla possibilità di gestire tali complessi produttivi in base a presidi razionali finalizzati alla reiterazione dei cicli biologici secondo parametri di economicità

6

. Si procederà dunque col delineare i più importanti profili economici e finanziari che caratterizzano i processi delle unità agrarie, con l’avvertenza che tale analisi è fondamentale per il successivo approfondimento delle connesse rilevanze contabili.

La dinamica gestionale delle aziende agrarie è caratterizzata dalla ricorrenza di innegabili profili di atipicità che si dispiegano lungo l’intero processo di produzione e che determinano importanti riflessi a livello di misurazione e formazione delle determinazioni quantitative.

Si deve subito osservare che i cicli delle aziende agrarie si connotano per un marcato fenomeno di comunanza dei costi di produzione. La pratica dell’impiego congiunto di risorse per l’ottenimento di prodotti diversificati si desume dall’alta probabilità che i mezzi meccanici vengano impiegati per una pluralità di processi biologici. Tale consuetudine è ancor più evidente per il fattore lavoro, il quale è

6 Una qualsiasi attività di produzione può essere analizzata secondo prospettive diverse che riguardano l’aspetto tecnico, l’aspetto economico e l’aspetto gestionale. Nell’aspetto tecnico, la produzione viene osservata come un processo di trasformazione fisica e/o di attività attraverso le quali è possibile ottenere un prodotto o un servizio per il cliente finale, secondo certe regole di combinazione dei fattori produttivi (risorse) che consentono di pervenire al risultato prefissato. Nell’aspetto economico la prospettiva si allarga al fine di comprendere l’economia delle trasformazioni, ossia la combinazione più conveniente degli elementi che concorrono alla produzione compatibilmente con le caratteristiche richieste dal prodotto o servizio. Rispetto all’aspetto tecnico, quello economico mette in risalto l’esigenza di un giudizio di convenienza rispetto alla decisione di produzione. Infine l’aspetto gestionale è relativo alla gestione delle risorse impiegate nel processo di produzione dei beni o servizi, al fine del controllo di efficacia e di efficienza delle operazioni svolte e da svolgere. L. CINQUINI, La combinazione dei fattori ed i processi di produzione, in L. MARCHI (a cura di), Introduzione all’economia aziendale, il sistema delle operazioni e le condizioni di equilibrio aziendale, III edizione, Giappichelli Editore, Torino, 2000.

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solitamente sottoposto all’espletamento di compiti che coinvolgono tutte le produzioni avviate

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.

L’ampiezza di questi vincoli di comunione economica rappresenta un’importante opportunità per razionalizzare e migliorare il trend economico della gestione, ma, in termini diametralmente opposti, contribuisce ad elevare il grado di complessità e di soggettività del calcolo di determinazione dei costi di produzione; la quantificazione di tali costi a livello di singole tipologie produttive, infatti, soggiace ad elementi di sindacabile attendibilità, in quanto la ripartizione della massa dei costi indiretti (lavoro, ammortamenti, servizi, ecc…) impone un esteso ricorso a valutazioni discrezionali. Queste considerazioni hanno fornito ad alcuni studiosi le motivazioni per avanzare rilevanti riserve circa la possibilità di realizzare in agricoltura un efficace sistema di contabilità fondato sullo strumento dei “conti colturali”, i quali permetterebbero di cristallizzare aggregati di costi a livello appunto di singole colture

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.

La gestione dei processi biologici rileva anche in considerazione dell’esteso periodo di produzione riferibile ad alcune tipologie di colture, segnatamente quelle arboree (alberi da frutto, da legna), il cui raccolto, a differenza delle colture erbacee (foraggere, leguminose, cereali ecc…), può essere differito perfino di alcuni decenni dall’epoca dell’impianto. Questo sensibile gap temporale tra la realizzazione dei ricavi e il sostenimento iniziale, ma anche periodico, dei costi necessari per l’innesto e la crescita delle piante vegetali, deve indurre ad una saggia e ponderata amministrazione della finanza aziendale allo scopo di scongiurare il rischio di tensioni finanziarie durante tutto il tempo di attesa della completa maturazione. I processi in agricoltura,

7 Si veda: R. POLIDORI, Aspetti tecnici nell’organizzazione dei processi produttivi agricoli, in A.

ROMAGNOLI (a cura di), Teoria dei processi produttivi. Uno studio sull’unità tecnica di produzione, Giappichelli, Torino, 1996, p. 143: “La divisione del lavoro in agricoltura è stata oggetto di analisi con il principale scopo di sottolineare le differenze con il settore industriale. La divisione tecnica del lavoro, intesa come scomposizione del processo produttivo in tante operazioni ognuna delle quali affidata ad un lavoratore diverso, non è di effettiva realizzazione in agricoltura. Le caratteristiche naturali delle produzioni agricole (la stretta dipendenza dalle condizioni climatiche e stagionali, i ritmi biologici delle colture, la sequenza dei lavori nei processi produttivi) e la ridotta dimensione delle unità di produzione ne rendono impossibile l’introduzione”.

8 Sulla applicazione dei “conti colturali” in agricoltura, si veda in particolare l’analisi dottrinale sviluppata in G. CAPODAGLIO – I. TOZZI, Determinazioni di costo nell’azienda agricola. Schemi a confronto, Clueb, Bologna, 1995, p. 34: “Il problema del calcolo dei costi di prodotto nelle discipline agrarie è stato oggetto di notevoli dispute dottrinali, che hanno visto opporsi due concezioni, l’una favorevole, l’altra apertamente ostile, allo strumento dei conti colturali. Gli autori favorevoli all’attuazione di tale tecnica ne sostenevano la necessità ai fini della conoscenza della gestione, ad esempio, per l’esame della convenienza delle colture e della loro sostituzione in rapporto ai prezzi formatesi sul mercato. Di contro, gli oppositori di tale tecnica, tra i quali, autorevolissimo, il Serpieri, ma anche l’Armuzzi, un allievo diretto di Fabio Besta, criticavano l’affidabilità dei conti colturali proprio rispetto alla loro funzione di supporto alla gestione: si riteneva che le difficoltà, peraltro innegabili, del calcolo non consentissero l’ottenimento di dati sufficientemente attendibili ed utili per l’assunzione delle decisioni.”

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rigorosamente legati al ritmo di crescita biologica delle cellule vegetali e animali, non si connotano inoltre per la medesima durata del ciclo di trasformazione.

A ben vedere, nelle aziende agrarie il rischio finanziario incombe sulla gestione come una costante minaccia, amplificata, peraltro, da condizioni strutturali spesso molto carenti: modesta entità dei conferimenti investiti in azienda a titolo di capitale di rischio, pressoché totale assenza di relazioni con i mercati finanziari per l’incetta di nuovo capitale, limitata propensione a trattenere in impresa quote soddisfacenti di profitto per il reinvestimento nel complesso aziendale, incertezza del conseguimento dei risultati attesi soggetti all’alea del fattore climatico e biologico, difficoltà di accesso alle tradizionali fonti di finanziamento a causa della richiesta di garanzie personali, ecc..

Un valido deterrente al problema della copertura del fabbisogno finanziario

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potrebbe consistere, oltre che in un sempre auspicabile allargamento della base capitalistica di provenienza endogena, anche nella possibilità di rendere più fluido l’accesso ai finanziamenti del credito agrario. La durata e l’entità di tali finanziamenti, invero, si relazionano secondo parametri di consonanza al tipo di investimento che l’imprenditore agrario intende realizzare con l’impiego di tali disponibilità (crediti di dotazione per l’acquisto di mezzi tecnici durevolmente impiegati, crediti di miglioramento per il finanziamento delle opere di miglioria del fondo e degli ordinamenti colturali, mutui fondiari per l’acquisizione di terreni rustici, crediti di conduzione per la copertura delle spese correnti), generando risvolti positivi sotto il profilo della conveniente composizione fonti/impieghi.

In modo sostanzialmente dissimile dalla semplice raccolta di risorse finanziarie generiche variamente impiegabili in azienda (in assenza di una precisa destinazione), nel credito agrario la logica correlativa fonti/impieghi è connaturata alle condizioni proprie di tali finanziamenti. Questi, fungendo da mezzo di sostegno con destinazioni produttive predefinite, riducono gli effetti indesiderati conseguenti ad uno sfasamento temporale tra la durata dei finanziamenti e quella degli investimenti.

9 L’azienda deve disporre in ogni momento della propria esistenza di una massa di finanziamenti sufficiente a coprire gli investimenti richiesti dalla gestione, dovendo sempre essere verificata l’uguaglianza fonti-impieghi. Le fonti di finanziamento si possono distinguere in interne e esterne. Le prime sono rappresentate dai ricavi di vendita della produzione ottenuta, le seconde sono rappresentate da quegli afflussi di risorse non determinati dalle vendite ma provenienti dall’esterno e fornite da diversi soggetti (proprietari dell’azienda o altri soggetti). Vedi A. QUAGLI in L. MARCHI (a cura di), Introduzione all’economia aziendale, op. cit., pp. 177-184.

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La caratteristica fondante della dinamica finanziaria dell’azienda agraria si ravvisa quindi nella diversa velocità di rotazione del capitale investito nelle coltivazioni insistenti sul fondo.

L’intervallo temporale che intercorre tra l’epoca dell’impiego finanziario iniziale (e periodico per la difesa delle colture e il mantenimento della fertilità) e il ritorno delle risorse attraverso i ricavi delle vendite, si presenta con particolare estensione soprattutto per i prodotti delle coltivazioni arboree a causa del lungo processo di evoluzione biologica che le contraddistingue.

Va precisato, peraltro, che gli effetti sugli squilibri aziendali di un recupero finanziario notevolmente dilazionato, devono essere giudicati in funzione delle diverse modalità con cui le colture arboree risultano combinate nel tempo e nello spazio. Tale fattore di dipendenza è rilevante in quanto l’analisi del ciclo monetario di ogni singola varietà colturale non ha in genere grande significato se si considera l’opportunità di poter operare specifiche compensazioni con i flussi finanziari provenienti da altre forme produttive.

A livello di analisi complessiva, è il caso di osservare che il problema del prolungato rientro degli investimenti iniziali origina allorquando le coltivazioni arboree vengano considerate in maniera distinta e separata dalle altre forme di produzione vegetale (prodotti erbacei) e animale e, ad un tempo, si è in presenza di una pluralità di colture arboree coetanee aventi tutte la medesima durata produttiva.

Diversamente, le colture arboree poliennali organizzate in modo tale che annualmente si proceda alla sostituzione di un numero costante di piante rimpiazzate con un ugual numero di piante giovani consentono, alla stregua delle altre colture a ciclo annuale, il reintegro periodico dei mezzi finanziari, ma anche il perseguimento di una tendenziale perequazione dei risultati economici lungo i diversi periodi amministrativi.

In conclusione, la pianificazione del fabbisogno finanziario dell’azienda agraria e la capacità di gestirne con zelo e accuratezza gli aspetti evolutivi, rilevano caratteri di spiccata indeterminatezza, perché a fronte dell’impiego di investimenti di risorse necessarie alla preparazione, innesto e difesa delle colture, i tempi di realizzo dei prodotti agricoli sono variamente distribuiti secondo la natura delle coltivazioni.

Ne discende che la logica che deve animare l’imprenditore nelle scelte connesse

all’efficiente uso delle risorse aziendali, non può rivelarsi adeguata se circoscritta nel

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breve periodo. Il soggetto agrario deve porsi in un ottica decisionale di lungo periodo, ragionare nella prospettiva di governare con razionalità le fluttuanti congiunture legate alle influenze stagionali, mostrare abilità e competenze per la copertura del fabbisogno finanziario d’esercizio nell’attesa che le produzioni di lungo periodo giungano a conclusione.

2.1.4. Il meccanismo della rigenerazione dei cicli biologici

Il concetto di autorigenerazione

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fa riferimento al meccanismo grazie al quale il dispiegarsi delle operazioni aziendali consente la produzione autonoma di risorse atte alla reiterazione degli stessi cicli, tutto ciò, inquadrato nell’ambito di una politica gestionale di continuità tendenzialmente permanente.

In economia aziendale, il principio in oggetto viene sovente ricondotto nel novero delle possibili soluzioni che orbitano attorno alle più generali politiche di autofinanziamento che consistono nell’approfondimento di tutti quei fenomeni processuali e contabili che hanno come base comune l’endogena produzione di risorse capaci di garantire la continuità aziendale, nel tentativo di contrarre al minimo il ricorso a terze economie

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. Si può osservare, tuttavia, che mentre alcune interpretazioni dottrinali focalizzano l’analisi solo sugli impatti che tale processo genera sulle dinamiche puramente finanziarie della gestione (in particolare gli studi di finanza aziendale orientati alla quantificazione dei flussi di cassa), altre si sono sviluppate secondo logiche strettamente economiche ponendo l’accento sul carattere della rigenerazione e dell’auto-potenziamento del capitale nell’ottica del perseguimento di condizioni prospettiche di economicità. L’autofinanziamento, invero, finisce spesso con l’enfatizzare l’aspetto della rigenerazione dei mezzi investiti (pur non disconoscendo lo stretto legame esistente con la dinamica dei flussi finanziari) e, a ragion veduta, si

10 Per maggior dettaglio in ordine alle modalità di attuazione del processo di autogenerazione dei cicli produttivi nelle aziende, cfr.: G. PAOLONE – L. D’AMICO, l’economia aziendale nei suoi principi parametrici e modelli applicativi, Giappichelli, Torino, 1994, p. 200: “Tale principio consiste nella possibilità di rigenerare investimenti di risorse in nuove risorse da investire. L’impresa, una volta raccolte le risorse produttive, dovrà opportunamente combinarle nei processi di trasformazione, al fine di conseguire il ritorno dei valori utilizzati per essere in grado di attivare nuovi processi; i nuovi volumi di produzione saranno condizionati dalla rigenerazione dei precedenti processi produttivi e potranno ripresentarsi in entità pari a quelle già definite, ovvero incrementate se il ritorno è superiore all’investimento precedente e se i valori aggiunti non vengono erogati”.

11 “L’autofinanziamento è un fenomeno che trova origine nell’aspetto economico della gestione. In effetti con tale espressione si intende indicare la capacità dell’azienda di soddisfare il proprio fabbisogno finanziario mediante le risorse provenienti dal funzionamento del proprio processo produttivo”. N. DI CAGNO – S. ADAMO – F. GIACCARI, Lezioni di economia aziendale, Cacucci, Bari, 2003, p. 227.

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sostiene che tale processo può attivarsi anche se l’impresa non ha generato, nel periodo osservato, risorse monetarie in eccedenza.

Comunque inteso, l’autofinanziamento trova il suo naturale presupposto nel conseguimento di condizioni di equilibrio economico dinamico e durevole dell’impresa operante.

Ne consegue che la ritenzione di profitti è da considerarsi presidio indispensabile allo scopo di esorcizzare il rischio di una completa dispersione della ricchezza fuori dal contesto aziendale. Essa diviene operazione necessaria al profilarsi di progetti di ammodernamento, ristrutturazione e riqualificazione produttiva che costituiscono esigenze comunemente avvertite da quelle organizzazioni imprenditoriali che vogliono confrontarsi dinamicamente con un ambiente che impone modelli produttivi e comportamenti innovativi.

Tutto ciò considerato, l’aspetto sul quale occorre ora soffermarsi rimanda alla capacità rigenerativa che l’azienda agricola è in grado di esprimere attraverso l’espletarsi dei cicli biologici.

Lo sfruttamento endogeno delle proprietà organiche di alcuni prodotti finiti (come ad esempio letame, foraggio ecc..) impiegati in successione per l’avvio di nuove produzioni, a rigore, pur non generando alcun elemento temporaneo di liquidità per la materiale assenza dell’atto di vendita, consente, parimenti, l’attivazione di un virtuoso processo di rigenerazione dei cicli economici. I prodotti potenzialmente collocabili sul mercato finale ma impiegati concretamente per uso interno, denotano semplicemente il raggiro della rotazione finanziaria, senza in concreto danneggiare le potenzialità di rinnovo delle vicende produttive. Detto in altri termini, qualora motivi di convenienza economica nella scelta strategica tra make or buy, facciano propendere per l’internalizzazione di queste produzioni e il successivo reimpiego, è possibile sottrarsi a quegli stadi della produzione che vedono l’impresa relazionarsi con gli attori posti a valle e a monte del processo produttivo: vendita del fattore/prodotto, successiva monetizzazione e reimpiego dei fondi per la sua acquisizione sul mercato d’approvvigionamento.

Anche da un punto di vista contabile, l’omessa rilevazione della destinazione del

prodotto aziendale per esigenze di reimpiego non inficia la quantificazione del reddito

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d’esercizio, a condizione, tuttavia, che il fenomeno abbia ad oggetto la specie dei fattori a fecondità semplice

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.

Anche quando il risultato agrario assume la designazione di compenso in natura per l’attività prestata dai lavoratori

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, il processo di rigenerazione dei cicli aziendali viene oggettivamente preservato per le stesse motivazioni addotte in precedenza, sempreché il valore della produzione assegnata ai dipendenti remuneri congruamente l’utilità consumata per le prestazioni di lavorative erogate.

2.2. PROBLEMATICHE RIGUARDO ALLA REDAZIONE DEL BILANCIO DELL’AZIENDA AGRICOLA

2.2.1 Premessa

Il sistema delle rilevazioni contabili costituisce il principale strumento di supporto alla conoscenza dell’andamento gestionale di un’azienda analizzata sotto il profilo finanziario, economico e patrimoniale e, quindi, il necessario presupposto affinché le strategie vengano sfruttate con elevato grado di consapevolezza e sulla base di precisi orientamenti logico-razionali.

Le finalità generalmente riconosciute alle rilevazioni contabili e soprattutto al bilancio di esercizio trovano adeguate argomentazioni anche in realtà economiche di piccole dimensioni come generalmente lo sono quelle agrarie, sebbene, per queste ultime, non sia sempre agevole esprimere un giudizio unidirezionale circa l’utilità che le stesse informazioni contabili possono rivelare per esigenze di controllo interno.

Dobbiamo comunque tenere distinti due aspetti: uno che riguarda l’indiscussa utilità che il bilancio assume come strumento di supporto nella gestione e di verifica della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’azienda; l’altro che riguarda

12 Un fattore a fecondità semplice esaurisce la propria utilità economica in un unico ciclo produttivo; il recupero della ricchezza investita in esso avviene attraverso i ricavi della vendita dei prodotti ottenuti con la sua utilizzazione. Un fattore a fecondità ripetuta, invece, cede la sua utilità economica in più cicli produttivi, ai quali partecipa mantenendo inalterate le sue caratteristiche tecniche. Ogni fattore a fecondità ripetuta è legato a tutti i prodotti che si possono ottenere per mezzo della sua utilizzazione; il recupero della ricchezza investita in esso avviene attraverso i ricavi provenienti dalla vendita di tutti i beni prodotti nell’arco di tempo nel quale il fattore cede la sua utilità.

13 F. Besta, La ragioneria, Vallardi, Milano, 1932, Vol. II, p. 246: “Le imprese agricole, per quanto hanno indole affatto simile a quelle manifatturiere, hanno alcune particolari funzioni di gestione che si riscontrano in modo caratteristico. La retribuzione della mano d’opera si dà talvolta in prodotti ottenuti oppure in generi di consumo, anziché in denaro, e tal’altra in parte in generi o prodotti ed in parte in denaro”.

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invece i vari obblighi documentali e di pubblicità che la legge impone e che variano a seconda della veste giuridica assunta dall’azienda.

I concetti di “redazione” e “pubblicazione” sono differenti tra loro. Le società di capitali (s.r.l. e s.p.a.), le società cooperative e i consorzi, infatti, sono obbligati alla pubblicazione nel Registro delle Imprese dei vari documenti che compongono il bilancio. In questo caso la società è obbligata a redigere il bilancio ai sensi degli art.

2424 e seguenti del Codice Civile indipendentemente dal tipo di attività svolta.

Le società di persone (s.n.c. e s.a.s.) invece non sono obbligate alla pubblicazione del bilancio come le società di capitali, tuttavia, la redazione dello stesso è strumentale ai fini della predisposizione della dichiarazione dei redditi (e imputazione del reddito pro-quota ai soci), che la società è comunque tenuta a presentare, ed inoltre può derivare fisiologicamente a seguito degli obblighi contabili previsti

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. Dunque anche se la pubblicazione del bilancio non è imposta da nessuna norma, la redazione di stato patrimoniale e conto economico si rende comunque necessaria. Inoltre è da tenere presente che una situazione patrimoniale ed economica della società è comunque richiesta, indipendentemente dalla veste giuridica assunta dall’attività, da qualsiasi istituto di credito a fronte dell’accensione di finanziamenti di vario genere.

L’unico caso in cui, in parte, si potrebbe mettere in dubbio la necessità di redazione del bilancio è quello in cui la società di persone, qualificata come “agricola”, opti per la determinazione del reddito su base catastale

15

. In questo caso anche la tassazione prescinde dalla predisposizione di una situazione patrimoniale ed economica della società in quanto avviene, appunto, su base catastale. Tuttavia anche qualora la società opti per la determinazione catastale del reddito è comunque sottoposta ai vari obblighi contabili.

14 Le società di persone e le imprese individuali possono appartenere al regime ordinario o a quello semplificato a seconda dell’ammontare dei loro ricavi. Il regime ordinario si applica nei casi di società di persone e imprese individuali che, nell’anno solare precedente hanno conseguito ricavi pari o superiori a:

- 400.000,00 euro per le imprese aventi ad oggetto la prestazione di servizi;

- 700.000,00 euro per le imprese aventi ad oggetto attività diverse dalla prestazione di servizi.

I contribuenti in contabilità ordinaria hanno l’obbligo di tenere i seguenti registri: registri IVA, registro dei beni ammortizzabili, libro giornale, libro degli inventari, libro mastro. Le imprese in contabilità, invece, semplificata devono tenere: i registri IVA, il registro dei beni ammortizzabili (per le imprese in semplificata tale registro può essere omesso se le relative annotazioni sono effettuate sul registro IVA acquisti). Dunque le imprese in contabilità semplificata possono prescindere dalla redazione di un vero e proprio stato patrimoniale e conto economico.

Lo stesso discorso vale anche per le società semplici, utilizzabili solo per l’esercizio di attività non di tipo commerciale.

15 Tale opzione, ai sensi dell’art. 32 del TUIR, è esercitabile anche da s.r.l. e società cooperative aventi qualifica di società agricola, tuttavia per tali tipologie di società, anche se la determinazione del reddito avviene su base catastale, la pubblicazione del bilancio è comunque necessaria.

(14)

44

I casi in cui si può prescindere da qualsiasi obbligo di tipo documentale e contabile sono estremamente limitati e riguardano realtà di piccolissime dimensioni (ad esempio vedi il regime di esonero previsto per gli imprenditori agricoli con volume d’affari inferiore a euro 7.000,00).

Comunque, a prescindere dall’ampiezza della diffusione nel contesto agricolo nazionale delle differenti forme giuridiche di conduzione, ci concentreremo su un’impostazione di carattere sostanziale, riferendoci alla disciplina più evoluta in materia di bilancio ovvero a quella dettata per le società di capitali.

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, sono molte e di natura variegata le problematiche di carattere economico, organizzativo e sociale che l’impresa agraria deve ripetutamente fronteggiare durante la sua esistenza, molte delle quali richiedono conoscenze e specializzazioni poliedriche.

Fino ad ora si sono voluti evidenziare i principali tratti che caratterizzano i processi di produzione in agricoltura ma adesso passiamo ad analizzarne i principali aspetti contabili, esaminando più da vicino le logiche di rappresentazione e di valutazione di bilancio.

Di seguito abbiamo proposto uno schema di bilancio e di conto economico adattato alla gestione agraria per poi passare ad analizzare alcune delle voci più caratteristiche che lo compongono evidenziando eventuali criticità in relazione al trattamento contabile e alla collocazione in bilancio. Questo perché non essendoci delle disposizioni applicabili esclusivamente a tale tipologia di attività si dovranno applicare i generali principi che guidano la redazione del bilancio di una qualsiasi attività economica.

Esempio di Stato Patrimoniale:

S.P.

Attivo Passivo

A) Crediti verso soci A) Patrimonio netto

B) Immobilizzazioni Capitale, riserve e utile (perdita) d’esercizio e portati a nuovo

I – immateriali B) Fondo rischi e oneri

Diritti fondiari, costi di impianto e ampliamento, costi di pubblicità, licenze, marchi e diritti simili, avviamento, ecc..

Fondi per rinnovo colture, per migliorie,

trasformazioni, ecc..

(15)

45

II – materiali C) TFR

D) Debiti Terreni, trasformazioni, migliorie del

fondo e colturali, fabbricati, piantagioni (da frutto, boschi), bestiame da lavoro, per la riproduzione e da latte, mezzi meccanici di proprietà (trebbiatrici, mietitrici, trattori, aratri, ecc…)

Crediti di conduzione, di miglioramento, di dotazione, mutuo fondiario, fondi strutturali per l’agricoltura, altri finanziamenti agevolati, ecc..

III – finanziarie E) Ratei e risconti

Partecipazioni in altre società e crediti immobilizzati

C) attivo circolante I – rimanenze

• Rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo

Sementi, mangimi e foraggi, fertilizzanti, fitofarmaci

• Prodotti in corso di lavorazione e semilavorati

Bestiame da carne in corso di accrescimento, prodotti in corso di maturazione, anticipazioni colturali

• Prodotti finiti e merci

Bestiame da carne, prodotti vegetali di specie erbacea, prodotti vegetali di specie arborea, prodotti derivati zootecnici (lane, latte, uova, ecc..)

II – crediti

III – attività finanziarie non immobilizzate

Partecipazioni in altre società destinate ad essere vendute

IV – disponibilità liquide

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46

Depositi bancari e postali, assegni, denaro e valori in cassa

D) Ratei e risconti

Esempio di Conto Economico:

C.E. A VALORE AGGIUNTO A) Valore della produzione ottenuta e vendibile

Ricavi netti di vendita prodotti erbacei, arborei, animali e per servizi (noleggi attivi di macchinari)

+/- variazione rimanenze prodotti finiti (erbacei, arborei, animali da carne) e prodotti in corso di formazione (anticipazioni colturali, bestiame da carne in corso di accrescimento, prodotti in corso di maturazione)

+ variazioni per produzioni in economia (piantagioni in corso di accrescimento, bestiame da lavoro, per la riproduzione e da latte in corso di accrescimento, incremento di capitale fondiario)

+ valore dei prodotti destinati al consumo interno, ai lavoratori + contributi in corso esercizio

B) Costi operativi esterni

+ costo d’acquisto di fattori materiali correnti (semi, mangimi, fertilizzanti, fitofarmaci, bestiame da carne)

+/- variazioni rimanenze materie prime, sussidiarie e di consumo e bestiame da carne + Costi per servizi (assicurazioni, consulenze professionali, manutenzione ordinaria e sorveglianza)

+ costi per godimento beni di terzi (noleggi passivi di macchinari agricoli, canone affitto fondiario)

+ altri costi industriali caratteristici A – B = C) Valore aggiunto - costi per il personale dipendente D) Margine operativo lordo

- ammortamento immobilizzazioni per bestiame (da latte, lavoro, riproduzione), mezzi meccanici, diritti fondiari, piantagioni ecc..

- accantonamento a fondi rischi e oneri (per trasformazioni e migliorie)

C – D = E) Risultato operativo gestione caratteristica

(17)

47

F) +/- saldo gestione accessoria

G) +/- saldo gestione finanziaria H) +/- saldo gestione straordinaria I) imposte sul reddito

E +/- F +/- G +/- H +/- I = Risultato netto d’esercizio

2.2.2. La data di chiusura del bilancio

In dottrina, un elemento di discussione legato alle manifestazioni contabili delle aziende agrarie riguarda l’epoca in cui il bilancio periodico della stessa deve ritenersi chiuso. Il riferimento all’anno solare e quindi al 31 dicembre come data di predisposizione del bilancio solleva importanti riserve circa la possibilità di giungere ad una esaustiva e attendibile rappresentazione del capitale di funzionamento e del reddito d’esercizio. Va osservato, infatti, che la data di fine anno solare non coincide con la conclusione del ciclo naturale della produzione agricola (esercizio annuale agrario) che invece risulta anticipato di alcuni mesi (periodo autunnale). Riferire all’epoca di formazione del bilancio al 31 dicembre significherebbe mettere in conto una maggiore dose di soggettività nella valutazione delle rimanenze finali che, a tale data, risultano più significative per aver dato da poco avvio a processi che giungeranno a compimento dopo diverso tempo.

A fronte di tali osservazioni, decisamente apprezzabili sotto il profilo della maggiore verificabilità dei dati aziendali, va detto, tuttavia, che il tradizionale anno solare deve considerarsi la scelta più opportuna in virtù dei minori ostacoli di ordine formale e sostanziale che ne derivano. Infatti, le imprese agrarie, normalmente, avviano nel medesimo periodo temporale plurimi cicli produttivi di diversa durata, per cui la fissazione di una certa data d’inventariazione che coincide con la conclusione dei cicli darebbe luogo all’individuazione di epoche disomogenee, pregiudicando la confrontabilità delle misurazioni aziendali nel tempo e nello spazio. Nell’auspicio che anche le aziende agrarie acquisiscano, attraverso virtuosi processi di accumulazione di competenze e abilità, una maggiore vitalità che le permetta di rimediare ad una

“condizione di isolamento economico e sociale” quasi strutturale, il carattere della

comparabilità delle quantità aziendali deve porsi come finalità informativa da preservare

anche per tali aziende.

(18)

48

Ne discende che la preferenza verso il tradizionale periodo amministrativo coincidente con l’anno solare anche in campo agricolo deve giustificarsi, oltre che nell’opportunità di esercitare un’efficace e periodica attività di controllo concomitante e susseguente, soprattutto con l’esigenza di fissare parametri omogenei per consentire l’apprezzamento critico della condotta gestionale da parte di tutti i soggetti che ne rivelano un interesse specifico.

2.2.3. Migliorie fondiarie e colturali

L’impresa agricola nel tentativo di migliorare la qualità della produzione o aumentare la funzionalità del complesso produttivo esistente, può intraprendere opere destinate a migliorie, correttivi, ammendamenti. Tali investimenti potranno trovare giustificazione in esigenze di migliore fruibilità del fondo (costruzione di impianti irrigui, di ricerca, provvista e utilizzazione delle acque a scopo agricolo, drenaggio delle stesse acque per evitare il ristagno, costruzione di strade poderali, ecc..) oppure scaturire da esigenze di “ordinamento colturale” (sistemazione delle coltivazioni, terrazzamenti ecc…).

Questi esempi sono a testimonianza della grande varietà di opere migliorative che possono rendersi necessarie nei sistemi aziendali agrari, a volte per ripristinare semplicemente la funzionalità della terra, altre volte per accrescerne i benefici economici. Evidentemente, la nozione di miglioria a cui si fa riferimento in questa sede si connette alle opere destinate ad incrementare la funzionalità della terra e dotate di una precisa autonomia valutativa.

Sotto il profilo della rappresentazione e della valutazione di bilancio è necessario indagare sulle diverse modalità con cui tali opere sono accolte nella sfera dell’operatività aziendale.

Se è stato l’attuale imprenditore a realizzare siffatte opere, da un punto di vista

contabile, l’operazione assume i connotati tipici delle costruzioni realizzate in

economia. La base valutativa suggerita dai principi contabili nazionali si estrinseca nel

costo di produzione, il quale “deve comprendere tutti i costi direttamente imputabili al

prodotto e può comprendere anche altri costi per la quota ragionevolmente imputabile al

prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può

(19)

49

essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi”.

Il conto generico “migliorie” deve essere impiegato transitoriamente accogliendo i costi diretti (materie, lavoro diretto, ammortamenti specifici ecc….) e quelli indiretti (manodopera indiretta, impianti generici ecc…) sostenuti fino a quando le opere non siano state ultimate. Quando l’opera è volta al termine, si procederà a rettificare il conto “migliorie” e addebitare i conti intestati ai singoli beni generati; si conviene, quindi, di sostituire alla voce generica “migliorie” quelle delle singole opere concluse, con l’evidente vantaggio di poter risaltare l’incidenza dell’uso di tali fattori, supposta la possibilità di costruire individuali piani di ammortamento

16

.

La procedura poc’anzi richiamata in realtà non è esente da possibili complicazioni quando applicata a dinamiche gestionali caratterizzate da un’ampia commistione di costi che abbraccia l’intero processo di fabbricazione endogena. Nelle aziende agrarie, la difficoltà di ripartire i costi indiretti di produzione (soprattutto relativi al lavoro e ai fattori a logorio parziale) per singola tipologia di opera realizzata, conduce all’evidenza che la capitalizzazione dei costi che incorporano utilità pluriennale risulta essere spesso operazione disattesa. Di contro, è ampiamente diffusa la tendenza a considerare il consumo di ogni fattore come costo dell’esercizio, anche quando è chiara la funzione incrementativa delle spese sostenute.

In realtà secondo me tali opere non sempre assumono i connotati delle costruzioni in economia. Non ci sono dubbi nel caso che si tratti di beni ad uso durevole che possiedono una propria autonomia patrimoniale, e che al termine della loro

“costruzione” saranno autonomamente iscritti in bilancio, mentre, se si tratta di beni non dotati di tale caratteristica, sembrerebbe più opportuno parlare di costi di ampliamento o oneri pluriennali (immobilizzazioni immateriali) o ancora, di manutenzioni straordinarie.

Con l’espressione “costi di impianto e ampliamento” l’OIC 24 indica alcuni oneri che vengono sostenuti in modo non ricorrente dall’azienda in precisi e caratteristici momenti della vita dell’impresa, quali la fase pre-operativa o quella di accrescimento della capacità operativa esistente.

Tali costi comprendono oltre a quelli per la costituzione della società, quelli sostenuti per disegnare e rendere operativa la struttura aziendale iniziale, o le spese

16 Per maggiori approfondimenti si veda: Le aziende agrarie. Logiche valutative e problemi applicativi dello IAS 41, G. DI LAURO, Cacucci, Bari, 2006.

(20)

50

sostenute per gli studi preparatori, per le ricerche di mercato, per addestramento iniziale del personale e simili che fossero necessari ad avviare l’attività dell’azienda e infine quelli per l’ampliamento e il miglioramento dell’attività aziendale, inteso come una vera e propria espansione della stessa in direzioni ed in attività precedentemente non perseguite, ovvero verso un ampliamento di tipo si quantitativo, ma di misura tale da apparire straordinario; costi, in sintesi, sostenuti non ricorrentemente e che specificamente attengono ad un nuovo allargamento dell’attività sociale.

Il presupposto fondamentale della loro iscrizione nell’attivo patrimoniale così come per gli oneri pluriennali, per i quali il legislatore non da un’apposita descrizione, sta nella possibilità di dimostrare la congruenza ed il rapporto causa-effetto tra i costi in questione ed il beneficio (futura utilità) che dagli stessi l’impresa si attende.

Nel caso ad esempio di un’opera di terrazzamento o di costi sostenuti per la bonifica di una determinata area non c’è dubbio riguardo al beneficio economico futuro di tali opere in quanto necessarie per poter sfruttare il terreno ai fini dell’impianto di determinate colture.

Il dubbio sussiste secondo me riguardo al trattamento di tali costi, ovvero se debbono essere considerati autonomamente come oneri pluriennali o portati ad incremento del valore del terreno, portando una serie di complicazioni che analizzeremo nel paragrafo successivo, ovvero se debbono essere considerati come costruzioni in economia e rientrare tra i costi necessari all’impianto della coltura, anche se in realtà la loro utilità è più in generale riferibile al terreno e non alla coltura che seguirà tali opere e che può essere poi sostituita o cambiare nel tempo.

2.2.4. Il fattore terreno

La natura inseparabile delle risorse investite durevolmente nel fattore terra

comporta sovente che, al momento dell’acquisto di una porzione di terra coltivabile, il

prezzo complessivamente concordato contenga, senza distinzione di sorta, anche il

valore delle opere e degli investimenti annessi. Questa consuetudine è invalsa, e

continua a verificarsi, con notevole insistenza nella pratica commerciale agraria ed è al

tempo stesso fonte di conseguenze rilevanti sul piano della chiarezza e dell’affidabilità

dell’informazione contabile.

(21)

51

Notoriamente, la prassi contabile nazionale, chiamata ad interpretare e integrare la normativa civilistica in tema di bilancio, concorda nel riconoscere il costo quale criterio base delle valutazioni del bilancio d’esercizio, sul presupposto che tale grandezza, oltre al vantaggio di limitare la discrezionalità dei redattori del bilancio, e presentarsi come un criterio di facile applicazione e di agevole verificabilità, consente di esprimere il valore funzionale incorporato in un determinato investimento nell’ottica della complementarità delle componenti aziendali.

La nozione di costo verte sulla configurazione di costo di acquisto, quando la disponibilità del bene è ottenuta mediante l’incetta sul mercato di approvvigionamento e di costo di produzione, quando il bene viene realizzato in economia attraverso l’impiego di mezzi tecnici e risorse umane di pertinenza dell’impresa.

Tornando alla valutazione iniziale dei beni appartenenti al capitale fondiario

17

, va da sé, che il problema della separata assegnazione di un valore distinto perde rilevanza se è l’attuale imprenditore a realizzare gli investimenti succitati, giacché risulterà semplice per costui adottare conti separati, accesi ex-novo, per ciascuna tipologia di opere concluse, anche se come abbiamo visto prima ci possono essere dubbi riguardo al trattamento contabile di tali costi. Di converso, quando la disponibilità del fondo è trasferita in proprietà attraverso un atto di compravendita che fissa un prezzo onnicomprensivo, il procedimento di scorporo di tale costo e la giusta imputazione pro- quota ai singoli investimenti è operazione di ardua applicazione pratica.

L’inconveniente pratico della mancata assegnazione di distinti valori, della nuda terra rispetto alle opere e agli investimenti posti in essere, sarebbe quello di non avere più una base di calcolo delle quote di ammortamento oltre al fatto che in bilancio la voce “terreni” assumerebbe un valore superiore rispetto a quello effettivo.

Tale problema è di notevole rilevanza in quanto il terreno è un bene, nel nostro caso ovviamente strumentale all’attività di impresa, che non risulta sottoposto ad ammortamento in quanto avente durata “illimitata”

18

. Il processo di ammortamento,

17 Secondo l’economia agraria, il capitale si presenta sotto due distinte connotazioni:

- il capitale fondiario, composto dalla terra nuda e dal complesso dei capitali in essa stabilmente investiti (migliorie, trasformazioni, costruzioni, piantagioni, diritti fondiari);

- il capitale d’esercizio (o capitale agrario), identificato dall’insieme degli investimenti aggiuntivi utili ad esplicare le potenzialità produttive del capitale fondiario. A sua volta il capitale di esercizio è composto da: prodotti di scorta, strumenti di scorta e capitale di anticipazione.

18 In realtà nel caso dell’attività agricola il terreno è sottoposto ad un progressivo logorio per effetto del suo intensivo sfruttamento e per l’esposizione alle vicende climatiche, tuttavia tali effetti possono essere opportunamente neutralizzati attraverso la somministrazione di sostanze fertilizzanti, attraverso la tecnica

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52

infatti, riguarda beni aventi durata limitata nel tempo e viene effettuato in funzione della residua possibilità di utilizzo del bene. Questo è quanto prescrive il principio contabile OIC n. 16.

Nel caso, ad esempio, di un fabbricato, non si pone il problema di come trattare gli eventuali costi incrementativi del valore del bene sostenuti dal proprietario (es. costi di ristrutturazione). Questo perché l’eventuale imprenditore acquirente del bene iscriverà in bilancio il costo di acquisto del fabbricato (che comprende anche i costi incrementativi del suo valore) e ammortizzerà il tutto per la durata prevista dell’ammortamento dei fabbricati. Nel caso del terreno invece, se l’imprenditore acquirente non separa il costo della nuda terra dal valore di eventuali opere effettuate su di essa, non verrebbe ammortizzato un costo che l’imprenditore avrebbe potuto ammortizzare se avesse sostenuto direttamente, come abbiamo visto nel paragrafo precedente.

Nell’ulteriore caso in cui l’imprenditore agricolo acquisti, invece, a sua volta un’azienda agricola, le opere eventualmente effettuate sui terreni di quest’ultima e non autonomamente identificate in bilancio, potrebbero confluire nel valore di avviamento e in tale caso risulterebbero per legge ammortizzabili nei tempi stabiliti. In questo caso dunque il prezzo pagato dall’imprenditore acquirente per l’azienda agricola risulterebbe superiore al valore dei beni di proprietà di quest’ultima proprio perché nel tempo la suddetta azienda potrebbe aver effettuato delle opere che hanno incrementato il valore dei terreni posseduti (oltre ovviamente al fatto che l’azienda potrebbe avere un valore maggiore derivante dal fatto che è conosciuta, che da anni opera nel mercato ecc…).

Un breve inciso va riservato all’eventualità che il terreno giunga nel sistema aziendale attraverso fattispecie diverse dall’acquisto sul mercato. È frequente, infatti, che il terreno faccia ingresso nel patrimonio aziendale per atto di liberalità (donazione) o testamentario (eredità) o ancora come bene disgiunto in natura conferito dal soggetto aziendale, mentre è da considerarsi eccezionale l’operazione di permuta. In tutti questi casi, la scelta del criterio di valutazione non può che denotare l’impiego di giudizi spiccatamente soggettivi rispetto alla convenzione del costo. A questo proposito, si segnalano le indicazioni contenute nel documento contabile n. 16 del CNDC-CNR che individua per la valutazione delle immobilizzazioni ricevute a titolo gratuito “il criterio del presumibile valore di mercato attribuibile alle stesse alla data di acquisizione al

dell’avvicendamento delle colture e in generale attraverso il sostenimento periodico di costi atti alla conservazione dell’integrità delle sue proprietà fisico-chimiche.

(23)

53

netto degli oneri e dei costi – sostenuti e da sostenere – affinché le stesse possano essere durevolmente ed utilmente inserite nel processo produttivo dell’impresa” .

2.2.5. Le piantagioni

Le colture si possono differenziare, in base alla diversa durata del processo biologico, nella tipologia delle colture arboree (alberi da frutto e da legna) e colture erbacee (foraggi, legumi, cereali, ortaggi ecc..).

A differenza della seconda tipologia di colture, che esaurisce il suo ciclo di vita nel corso dell’esercizio, l’ampiezza del tempo di maturazione delle piante arboree solleva, in via preliminare, un problema di identificazione e di discernimento dei costi di competenza amministrativa dell’esercizio da quelli che, cedendo utilità lungo plurimi periodi, concorrono alla formazione del capitale aziendale.

Proprio ai fini di tale identificazione è necessario brevemente ripercorrere le diverse fasi di vita delle piante, a cui si connettono categorie di costi specifici e tipiche operazioni da fronteggiare:

1) la stazione d’impianto è una fase squisitamente preparatoria e propedeutica alla produzione in senso stretto, nelle cui more l’impresa agraria si impegna ad intraprendere attività legate allo studio di fattibilità e di convenienza dall’innesto e alla predisposizione del terreno alla coltura (costi per l’acquisto e la somministrazione delle sementi, consulenze agronomiche, indagini di mercato, operazioni di adattamento del terreno, ecc…).

2) la stazione della maturità s’identifica con l’avvio del processo biologico di trasformazione, da cui ricavare il volume di produzione programmato secondo parametri di economicità. Questa fase può a sua volta scomporsi in base a due diversi “stadi di avanzamento della produzione”:

o la stazione di incremento, che corrisponde al periodo in cui la pianta comincia a fornire i primi frutti;

o la stazione di maturità in senso stretto, comprendente l’intero periodo nel quale la produzione dei frutti rimane sostanzialmente costante.

La fase di maturità delle piante, la cui durata può estendersi anche per

diversi decenni a seconda della specie di coltura avviata, si connota per

(24)

54

l’incombenza di una serie di operazioni da espletare allo scopo di contrastare situazioni contingenti e prospettiche di rischio: garantire il riparo della pianta da agenti infestanti e conservare la fertilità del terreno;

provvedere alla sorveglianza dell’impianto; ritenere periodicamente risorse che permettano il rinnovo della coltura.

3) La stazione del declino, infine, s’identifica nello stadio in cui il prodotto della coltura decrementa fino alla conclusione del ciclo di vita della pianta.

Anche in questa fase le operazioni da effettuare possono essere molteplici:

raccolta del prodotto finale, raccolta e selezione del materiale da impiegare per la riproduzione dei processi agricoli, raccolta dei residui organici per la reintegrazione della fertilità del suolo, eliminazione dei residui inquinanti, disinfestazioni o disinfezioni che impediscono il riutilizzo del terreno.

Il problema della valutazione iniziale delle piantagioni rimanda alla separazione del valore della terra da quello delle piantagioni vere e proprie, qualora la piantagione sia stata acquistata congiuntamente al terreno, e al problema dell’individuazione del costo di produzione qualora l’impianto arboreo sia stato realizzato dall’imprenditore in un momento successivo all’acquisto del terreno.

Anche per le piantagioni, si ribadisce che la determinazione del costo di produzione risente di valutazioni estremamente incerte per via dell’accentuata dimensione dei nessi di comunione tra fattori produttivi, il cui peso affiora soprattutto nella fase di impianto della coltura (costi per l’approvvigionamento e la somministrazione delle sementi, consulenze professionali, operazioni di adattamento del terreno ecc…). Prendendo atto della modesta attitudine dei soggetti agricoli a dotarsi di efficaci sistemi di contabilità analitica, è diffusa la pratica di surrogare il costo di produzione con il costo attuale di sostituzione.

La valutazione delle piantagioni implica, inoltre, la necessità di fare chiarezza

sulla natura contabile dei costi che originano durante gli stadi di sviluppo della pianta e

variamente configurabili come componenti negativi di reddito o elementi del capitale

aziendale. Si è già rilevato che per una crescita ottimale delle piantagioni occorrono

sistemici interventi diretti alla difesa delle colture dall’aggressione degli agenti

parassitari e, in generale, alla conservazione e sorveglianza dell’impianto, operazioni

queste che accompagnano la vita della specie arborea a partire dalla stazione di

incremento.

(25)

55

È pacifico che le spese sostenute durante la fase iniziale di messa a dimora della piantagione, incorporando un flusso di utilità che si estende per l’intero arco di vita utile delle piante, rappresentano costi che devono essere capitalizzati e addebitati in uno specifico conto destinato ad accogliere le variazioni di valore delle piantagioni arboree.

Se la quantificazione di siffatti costi non può prescindere da giudizi discrezionali che giungono a minare l’attendibilità della stima, allora, di necessità, si impiegherà il costo di sostituzione.

Una diversa considerazione merita, invece, il problema della rilevazione dei costi di manutenzione e sorveglianza che impattano sulle condizioni generali di economicità dal momento in cui la pianta ha raggiunto il suo primo stadio di maturità (stazione di incremento). In dottrina, è stato osservato che la natura di questi costi è correlata al tempo della realizzazione dei ricavi. Altrimenti detto, nei periodi amministrativi in cui la produzione è praticamente nulla o tutt’al più ridotta, la natura pluriennale di tali costi e la loro assegnazione al valore capitale della pianta sono fuori discussione. A decorrere dall’esercizio in cui la produzione trova realizzazione con una certa regolarità, invece, i costi di esercizio per effetto della verificata correlazione con i ricavi provenienti dalla vendita dei frutti e/o dal legname raccolto.

L’approccio alla realizzazione dei ricavi che discrimina i costi da imputare all’esercizio da quelli capitalizzabili, domina anche il meccanismo di ammortamento delle piantagioni. Sebbene in letteratura non tutti gli studiosi concordano con tale impostazione, è evidente che la procedura di ammortamento debba avere inizio solo dopo che gli alberi abbiano raggiunto la loro maturità, fase a partire dalla quale tutti i costi relativi alla piantagione incidono sull’esercizio di competenza in quanto correlabili ai connessi ricavi.

Nella tabella

19

che segue, possiamo osservare gli anni di inizio e fine ammortamento delle principali colture arboree:

Specie Tipo Ammortamento

Primo anno Ultimo anno

Basso fusto 5-6 20-22

Melo Medio fusto 7 30

19 Vedi: R. GIACINTI, V. TELLARINI, E. SALVINI, F. DI IACOVO, M. ANDREOLI, R. MORUZZO, D. OLIVIERI, Analisi e gestione economico-contabile per l’impresa agro-zootecnica, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 104-105.

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