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1) attività di prelievo (dragaggio o escavo) 2) attività di trasporto;

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1 INTRODUZIONE

In questi ultimi anni e forse ancora di più nel prossimo futuro la ristrutturazione dei porti appare una procedura necessaria per rispondere all’incremento del traffico marittimo, dovuto soprattutto alle crescenti difficoltà di sfruttamento dei collegamenti tradizionali quali strade e ferrovie. Qualunque tipo di modifica in ambito portuale richiede generalmente interventi di dragaggio e sorge quindi l’esigenza di una specifica e puntuale regolamentazione di tali attività, con relativa gestione del materiale dragato.

L’attività di dragaggio rappresenta anche una possibilità di bonifica dei siti portuali che in molti casi sono fonte di inquinamento per gli ambienti costieri e per questo viene richiesta una particolare attenzione per tutte le implicazioni ambientali che questa operazione può comportare. La movimentazione del fondo genera rilevanti ripercussioni soprattutto sul piano ambientale; è infatti oramai pienamente accertato che l'escavazione dei fondali ed il conseguente smaltimento dei materiali di risulta costituisce un'attività di notevole rischio a causa della possibile diffusione dei contaminanti (RIKZ, 2001. USEPA, 2000).

La movimentazione dei materiali dei fondali marini comprende differenti attività quali:

1) attività di prelievo (dragaggio o escavo) 2) attività di trasporto;

3) attività di deposizione (utilizzo benefico, immersione o scarico).

Ognuna di queste tipologie di operazioni deve essere attentamente valutata, per gli impatti che può

provocare sui vari comparti ambientali quali la colonna d’acqua, il biota ed i sedimenti. Una

qualsiasi attività di rimozione dei sedimenti richiede l’effettuazione di un dragaggio accettabile e

sicuro dal punto di vista ambientale (Donze, 1990) attraverso mirate procedure di controllo e piani

(2)

La valutazione della qualità dei sedimenti da dragare è premessa indispensabile a qualunque attività, ma legata soprattutto alla destinazione finale del materiale dragato.

Le possibili vie di riutilizzo del materiale dragato sono molteplici, il materiale può essere destinato alle seguenti categorie generali:

• opere civili (ricostruzione o ripascimento di litorali erosi, apporto di materiali addensanti per costruire terrapieni, banchine, colline artificiali, sottofondi stradali, riempimento di vasche di colmata o altri ambienti conterminati);

• interventi di natura ambientale (creazione di zone umide per ripopolamento ittico, berme subacquee o isole artificiali per la protezione del litorale);

• materiale da costruzione (mattoni, piastrelle, sabbia o ghiaia);

• agricoltura (topsoil)

Sulla base delle convenzioni internazionali un’alternative da preferire allo scarico in mare è l’utilizzo benefico dei materiali dragati con o senza specifici trattamenti (UNEP, 1999. UNEP, 2000).

Nei casi in cui il materiale risulti non utilizzabile tal quale, come nel caso dei sedimenti portuali, perché compromesso dalla presenza di sostanze inquinanti, le opzioni di utilizzo che si presentano possono essere il conferimento in discarica o il trattamento del materiale stesso. Lo scopo del processo di trattamento dei sedimenti consiste nella riduzione della quantità di materiale contaminato oppure la riduzione della contaminazione stessa. In molti paesi sono stati sviluppati programmi di ricerca e progetti sperimentali (POSW, 1995. USEPA, 1998) che hanno dato il via a numerosi impianti di trattamento sia in scala pilota che su vasta scala (POSW, 1997)

In questi ultimi anni si è trovata una strada alternativa per smaltire i sedimenti portuali,

rappresentata dal riutilizzo in ambito conterminato con creazione di vasche di colmata, vasche di

contenimento o altri ambienti conterminati. Tale soluzione si identifica nella costruzione di opere

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civili tese allo sviluppo del porto stesso (piazzali, banchinamenti, cassoni in calcestruzzo, ecc) realizzate grazie alla deposizione e lo smaltimento del materiale dragato indipendentemente dal livello di contaminazione del materiale. L’efficacia di contenimento degli agenti inquinanti da parte di un bacino conterminato, è strettamente legata al suo grado di impermeabilizzazione e dipende dalle caratteristiche progettuali, dalla costruzione, dallo sfruttamento e dalla gestione dell’opera stessa.

In questi ambienti è possibile che si verifichi, nel breve e/o nel lungo termine, una interazione

diretta e indiretta tra il materiale portuale dragato, utilizzato per il riempimento, e l’ambiente marino

circostante. Questo può avvenire generalmente a causa di una non corretta progettazione o di un

deterioramento della struttura conterminata.. Pertanto risulta fondamentale monitorare tali attività

per verificare la corretta gestione del bacino in tutte le fasi (costruzione, riempimento,

consolidamento, riutilizzo finale).

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1.1 Inquadramento normativo

1.1.1 Ordinamento internazionale e comunitario

Sul piano internazionale si rileva la mancanza di una specifica normativa avente come oggetto il tema delle attività di dragaggio dei fondali. Alcune convenzioni di carattere più generale, hanno comunque cercato di disciplinare tale materia. In questo senso la principale normativa di riferimento rimane quella costituita dalla Convenzione di Londra del 1972 sull’inquinamento del mare da rifiuti o altre materie. In annesso alla suddetta convenzione la risoluzione LC 52 di approvazione del D.M.A.F. “Dredged material assessment framework” indica le specifiche condizioni di tipo tecnico, che consentono il deposito in mare dei materiali di risulta dalle attività di dragaggio in condizioni di sicurezza dal punto di vista ambientale. Si tratta però di una disciplina di tipo tecnico che si ispira a finalità di natura eminentemente di tutela ecologico-ambientale

1

.

Nel corso degli anni a questa prima convenzione ne sono seguite altre, assimilabili alla prima quanto a contenuti e finalità ma riguardanti specifici ambiti locali.

Tra queste vanno segnalate: convenzione sulla protezione dell’ambiente marino del Nord - Est Atlantico del 1992 (“OSPAR” Convention)

2

, la Convenzione di Helsinki sulla protezione del Mar Baltico del 1992 dove in particolare la raccomandazione 13/1 allegata alla convenzione riguarda proprio la gestione dei materiali di dragaggio e la Convenzione di Bucharest sulla protezione del Mar Nero sempre del 1992 la quale include un protocollo nel quale si prevede che l'attività di

1 L'art. 1.3 del citato «Dredged material assessment framework» cosi' precisa: “The Dredged Material Assessment Framework (OMAF) is a generic guideline for decision makers in the field of management of dredged materia. It is derivered from the Waste Assessment Framework and sets out the basic practica, though non necessarily detailed considerations required for determinig the conditions under which dredged material might (or might not) be deposited at sea”.

2 L'art. 2, comma 1°, lett. a della Convenzione esplicita chiaramente le sue finalità di carattere generale: “The Contracting Parties shall, in accordance with the provisions of the Conventio take alI possibile steps to prevent and eliminate pollution and shalf take the necessari measures to protect the maritime area against the adverse effects of human activities so as to safeguard human health and to conserve marine ecosystem and, when praticticable, restore marine areas which have been adversely affected”.

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dragaggio svolta nel Mar Nero sia assoggettata ad una specifica autorizzazione da parte delle competenti autorità nazionali.

Accanto a queste vere e proprie convenzioni, più di recente il tema delle attività di dragaggio è stato oggetto di approfondite e dettagliate trattazioni da parte di alcune organizzazioni internazionali soprattutto a livello di emanazione di linee guida come l’“Evaluation of dredged material proposed for discharge in waters of the U.S.”

3

istituita dalla EPA/USACE (Environmental Protection Agency/ U.S. Army Corps of Engineers) del 1994. In questo ambito vengono presi in considerazione tutti i potenziali impatti associati allo smaltimento del materiale dragato nelle acque interne, acque costiere o nell’oceano. Il terzo capitolo dell’ “Environmental code of practice” della ESPO (European Sea Ports Organization), del 2003, è dedicato in particolare alle attività di dragaggio e al deposito dei relativi materiali di risulta.

4

Le norme internazionali di disciplina delle attività di dragaggio risultanomolto importanti sotto due distinti profili (Garzia, 2004)

• L’elaborazione delle metodologie tecniche su base internazionale che permettano di acquisire migliori risultati sul piano della tutela ambientale in modo da consentire un costante confronto ed aggiornamento

• La creazione di una certa uniformità nelle discipline tra i diversi Stati.

Si tratta di disposizioni nella sostanza prive di effettiva e concreta efficacia poiché si limitano semplicemente a stabilire degli indirizzi di carattere tecnico lasciando quindi ai soggetti che

3 Il testo dell’ “Evaluation of dredged material proposed for discharge in waters of the U.S. “ è consultabile sul seguente sito:

http://www.epa.gov/waterscience/itm/itmpdf.html

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operano gli interventi una notevole discrezionalità in sede di applicazione quindi nell’esercizio della attività di dragaggio (Garzia, 2004)

Anche a livello comunitario non è presente una specifica normativa; questa carenza è molto rilevante in quanto le attività di dragaggio presentano molte problematiche di carattere ambientale, tra queste le più importanti sono:

• La qualificazione dei fanghi di dragaggio come rifiuti.

• L’assoggettamento delle attività in questione alle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA).

Riguardo al primo aspetto non vi è dubbio che i fanghi di dragaggio in linea di principio possano essere considerati possibili rifiuti. La decisione della Commissione Europea del 16 gennaio 2001, che modifica l'elenco generale dei rifiuti di cui alla decisione 2000/532/CE, comprende espressamente all'interno del capitolo 17 05 “Terra (compreso il terreno proveniente da siti contaminati), rocce e fanghi di dragaggio”, i fanghi da dragaggio. Occorre quindi prestare particolare attenzione nell'accertare se i fanghi di risulta dall’attività di dragaggio siano in qualche modo utilizzabili senza cagionare pericoli di natura ambientale e senza che risultino necessarie particolari misure di precauzione preventive. Questi infatti, a seconda che contengano o meno sostanze pericolose, possono o meno essere considerati rifiuti pericolosi. Una corretta gestione dei fanghi può determinare infatti vantaggi sia dal punto di vista economico per il produttore che ambientale grazie al loro riutilizzo per esempio in vasche di colmata o ripascimenti costieri.

Quindi, laddove non vi siano apprezzabili pericoli di tipo ambientale, l’utilizzo dei fanghi di

dragaggio dovrà essere ritenuto preferibile rispetto al loro smaltimento finale in discarica, che

rappresenta un tipo di soluzione adottabile solamente nel caso di impossibilità di percorrere strade

diverse.

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Riguardo alla seconda problematica l’allegato II della direttiva 85/337/CEE e successive modifiche, comprende tra le attività soggette a procedimento di VIA anche l’ “estrazione di materiale mediante dragaggio marino e fluviale” (capitolo 2 lettera C). Il fatto che tale attività sia inserita nell’allegato II della direttiva comporta che il suddetto assoggettamento sia a discrezione degli Stati membri, l’art 4 n. 2 prevede che gli Stati membri introducano dei criteri, soglie limite per determinare quali progetti debbano o meno essere assoggettati alla procedura di VIA, deve esistere quindi una normativa a livello statale o regionale che definisca i criteri e soglie limite. (Garzia ,2004)

1.1.2 Quadro di riferimento nazionale

A livello di legislazione interna sono presenti disposizioni che disciplinano le attività di dragaggio quali:

D.M. 24 gennaio 1996 “Direttive inerenti le attività istruttorie per il rilascio delle autorità di cui all’art. 11 della legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modifiche ed integrazioni, relative allo scarico nelle acque del mare o in ambienti ad esso contigui, di materiali provenienti da escavo di fondali di ambienti marini o salmastri o di terreni litoranei emersi, nonché da ogni altra movimentazione di sedimenti in ambiente marino.”

Il presente decreto raccogliendo organicamente le precedenti norme esistenti in materia fa chiarezza sulla molteplicità dei casi che possono essere messi sotto la voce “scarico a mare”.

Le disposizioni del decreto si applicano allo scarico deliberato nelle acque del mare o in ambienti ad

esso contigui quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, di sedimenti provenienti

da dragaggi di fondali di ambienti marini o salmastri o da dragaggi di terreni litoranei emersi,

nonché da ogni altra movimentazione di sedimenti in ambiente marino. Il Decreto, nei suoi allegati

(A, B/1, B/2) fornisce le disposizioni per le attività istruttorie inerenti la deposizione in mare dei

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materiali provenienti dalle operazioni di dragaggio e stabilisce criteri standard per il campionamento, la caratterizzazione dei sedimenti e l'individuazione delle aree di scarico.

Sempre sulla base del decreto sono affidate al Capo del Compartimento marittimo competente il coordinamento delle funzioni di vigilanza e controllo. I controlli devono essere effettuati da

Organismi tecnici pubblici competenti (U.S.L o ARPA) o da Istituti scientifici pubblici specializzati e sono a spese del titolare dell’autorizzazione stessa.

Questo decreto è inoltre in linea con quanto raccomandato dalle organizzazioni internazionali e con le Convenzioni internazionali di cui l'Italia è firmataria.

D.Lgs. 152/1999 e successive modifiche “Disposizioni in materia di tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”

In particolare l’art. 35 riportato testualmente, recita quanto segue:

"Al fine della tutela dell'ambiente marino ed in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia, è consentita l'immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei seguenti materiali:

a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;

b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità ambientale e l’innocuità;

c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri.

L’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a) è rilasciata

dall’autorità competente solo quando è dimostrata, nell’ambito dell’istruttoria, l’impossibilità

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tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di recupero ovvero lo smaltimento alternativo in conformità alle modalità stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente…."

Specifiche limitazioni, alla movimentazione dei fondali marini, sono previste nelle aree marine con specifiche norme di protezione. Le aree marine assoggettabili a tali normativa sono:

• aree archeologiche marine di cui alla legge 1 giugno 1939 n. 1089 e all'art. 1 della legge 8 agosto 1985, n.431;

• zone di tutela biologica di cui al D.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639, di attuazione della legge 14 luglio 1965, n. 963;

• zone marine di ripopolamento di cui all'art. 17 della legge 17 febbraio 1982, n. 41;

• zone marine e costiere elencate all'art. 31 della legge 31 dicembre 1982, n. 979, così come perimetrate in via provvisoria, dall'allegato alla circolare n. 2 del 31 gennaio 1987 del Ministro della Marina Mercantile, nonché quelle istituite ai sensi dell'art. 18 della legge 6 dicembre 1991, n. 394;

• aree protette territoriali costiere (parchi e riserve naturali, nazionali e regionali) individuate o istituite dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394;

• zone marine che ospitano praterie di fanerogame;

• area marina corrispondente al "Santuario dei Cetacei".

E' importante evidenziare che, qualora l'immersione in mare di materiale proveniente da attività di dragaggio o di escavo non ricada all'interno delle suddette aree protette, tale attività deve essere effettuata ugualmente in modo tale da minimizzare i potenziali effetti negativi su queste aree e sugli ecosistemi più fragili.

L’aspetto maggiormente significativo dell’art. 35 è legato al fatto che la norma pone una gerarchia

che stabilisce le modalità di utilizzo dei materiali dragati. In particolare si evince che l’immersione

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in mare risulta possibile solamente nell’ipotesi in cui, nell’ambito dell’istruttoria, sia dimostrata l’impossibiltà tecnica ovvero economica di utilizzare tali materiali ai fini di ripascimento, recupero o smaltimento alternativo. Per quanto riguarda le norme tecniche di riferimento rimangono in vigore quelle previste dal D.M. 24 gennaio 1996.

D.Lgs. 5 febbraio 1997 n.22 “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/686/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”.

Il Decreto Ronchi introduce i principi fondamentali della disciplina delle bonifiche dei siti inquinati, delineando il sistema delle responsabilità e gli obblighi dei soggetti coinvolti e definendo le competenze delle amministrazioni locali.

In base al Decreto il sito viene considerato inquinato quando sono superati o rischiano di esserelo i valori limite di accettabilità della contaminazione, la cui determinazione viene rimessa a successivi regolamenti attuativi.

Lo stesso decreto all'articolo 17, comma 12, introduce per la prima volta il concetto di “Anagrafe dei Siti da Bonificare” per una gestione efficiente e razionale dei dati provenienti dallo svolgimento degli iter procedurali tecnici ed amministrativi inerenti le aree soggette ad indagini o ad interventi di bonifica.

La creazione di tale anagrafe risulta di fondamentale importanza per il mantenimento di una

memoria storica dello stato del territorio, in quanto strumento di registrazione e di informazione sulla gestione dei siti inquinati.

D.M. 471/1999 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”.

Con tale decreto sono stati disciplinati in maniera puntuale, oltre agli aspetti amministrativi e

procedurali, anche gli aspetti tecnici delle attività di bonifica.

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Il regolamento fissa infatti:

• le procedure di riferimento per il prelievo e l’analisi dei campioni;

• i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, nonché la redazione dei relativi progetti;

• i criteri per le operazioni di bonifica dei suoli che facciano ricorso a batteri, a ceppi batterici mutanti, a stimolanti di batteri naturalmente presenti nel suolo;

• il censimento dei siti potenzialmente inquinati, l’anagrafe dei siti da bonificare e gli interventi di bonifica e ripristino ambientale effettuati dalla Pubblica Amministrazione;

• i criteri per l’individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale.

Gli interventi di bonifica, ripristino ambientale e messa in sicurezza permanente, sono effettuati sulla base di apposita progettazione, da redigere secondo i criteri generali e le linee guida previsti negli allegati al DM attuativo, con previsione di tre livelli di approfondimenti tecnici progressivi:

Piano della caratterizzazione, Progetto preliminare e Progetto definitivo.

Se il progetto prevede la realizzazione di opere sottoposte a procedura di valutazione di impatto ambientale, l'approvazione del progetto è subordinata all’acquisizione della pronuncia di compatibilità da parte della Amministrazione competente. In tali casi i termini sono sospesi sino alla conclusione della procedura di V.I.A.

Per quanto concerne la bonifica dei siti a mare, non esiste uno specifico iter procedurale a riguardo,

pertanto oggi, nei progetti di bonifica di aree marine il Ministero dell’Ambiente ha ritenuto

opportuno applicare i principi guida già espressi nel DM 471/99 per i siti a terra. Per esempio per il

porto di Piombino sono stati applicati, per valutare la qualità dei sedimenti portuali, i limiti riportati

in tabella 1 colonna B del suddetto decreto ridotti del 10% in considerazione della maggiore

sensibilità dell’ambiente marino.

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In merito all’individuazione dei siti da bonificare si è registrato un vuoto legislativo fino al presente decreto, in quanto sia la prima normativa di riferimento D.P.R. del 16 maggio 1989 che il Decreto Legislativo n. 22/97 non stabilivano un criterio base per definire un sito univocamente inquinato, ma permanevano quindi solo l’indicazione di potenziali attività, industriali e non, che potevano essere causa di una situazione di degrado.

L’individuazione è avvenuta con quattro provvedimenti normativi, quali: la Legge del 9 dicembre 1998 n. 426 "Nuovi interventi in campo ambientale", vengono definite le prime aree di interesse nazionale che entrano a far parte del Programma Nazionale di bonifica e ripristino ambientale; la Legge del 23 dicembre 2000 n. 388; il D.M. del 18 settembre 2001 n. 468 e la Legge 31 luglio 2002 n. 179.

• Il decreto del Ministero dell’Ambiente n. 367/2003 “Regolamento concernente la fissazione di standard di qualità nell’ambito acquatico per le sostanze pericolose ai sensi dell’art. 3 comma 4 del D.Lgs 152/1999” fissa nuovi standard di qualità nella matrice acquosa e nei sedimenti, per quanto riguarda le sostanze di particolare pericolosità individuate a livello comunitario dalla direttiva 2000/60/CE.

I nuovi standard di qualità fissati in tabella 1 dell’allegato A del D.M. 367/2003 sono finalizzati a garantire a breve termine (colonna B) la salute umana e a lungo termine (colonna A) la tutela dell’ecosistema acquatico. Gli standard di qualità sono differenziati secondo che si tratti di acque dolci o marine e lagunari. Analoghi obiettivi vengono fissati per le acque a specifica destinazione d’uso: produzione di acqua potabile, molluschicoltura, ecc.

Le analisi sui sedimenti degli ambienti marino-costieri, delle lagune e degli stagni costieri sono rese obbligatorie per i metalli e per le sostanze organiche indicati nella tabella 2 dell’allegato A, che modifica di fatto i criteri di qualità del D. lgs. 152/1999.

Il D.M. 367/2003, pur fissando valori soglia validi su tutto il territorio nazionale, inserisce alcuni

elementi di flessibilità per le differenti realtà regionali, sia per quanto riguarda i fattori di pressione,

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sia per quanto concerne le diverse tipologie di background geochimico. Spetta alle Regioni stabilire le sostanze pericolose da ricercare, in funzione della loro potenziale presenza in cicli industriali, scarichi, produzioni agricole e in tutte le attività in grado di causare l'inquinamento diffuso nell'ambiente idrico. A ciò va aggiunto che laddove esistano nei sedimenti di una data regione geochimica concentrazioni di fondo di metalli superiori a quelle previste in tabella , gli standard di qualità della tabella 3 andranno sostituiti con quelli delle concentrazioni di fondo presenti in quella data zona.

Nel caso in cui le migliori tecniche disponibili non consentano il raggiungimento degli standard di

qualità, potranno essere fissati valori meno severi, a condizione che siano convalidati da un’analisi

del rischio ambientale.

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1.2. I sistemi di dragaggio

Nel corso degli ultimi anni la superficie di molti porti toscani è stata estesa, i fondali sono stati approfonditi, alcuni sono stati oggetto di importanti interventi strutturali di adeguamento.

Qualunque tipo di modifica richiede interventi di dragaggio che, a seconda dell’obiettivo che intendono raggiungere, vengono classificati come segue (Donze, 1990):

• Dragaggi di manutenzione, per mantenere le profondità navigabili di darsene o canali portuali;

• Dragaggi di investimento, per estendere o approfondire canali o bacini navigabili;

• Dragaggi di risanamento, finalizzati alla risoluzione di problemi d’inquinamento ambientale o alla bonifica di aree contaminate.

Nei primi due casi i materiali di risulta generati dalle operazioni di escavo alla luce della normativa vigente non vengono classificati come rifiuti essendo assoggettati al D.M. del 24 gennaio 1996 successivamente integrato dall’articolo 35 del D.Lgs 152/99.

Per quanto concerne invece il terzo caso, dove è previsto un dragaggio di bonifica dei sedimenti inquinati, il materiale di risulta è sottoposto alla normativa dei rifiuti costituita dal Decreto legislativo 5 febbraio 1997 n.22 (Decreto Ronchi) ed in particolare dal D.M. 471/99.

Tecnicamente il dragaggio si suddivide in tre fasi: l’escavazione o rimozione, il trasporto ed il successivo ricollocamento del materiale dragato. Nell’ambito di queste operazioni, quando il sedimento subisce fenomeni di movimentazione, una parte del materiale più fine, essendo rimesso in sospensione nella colonna d’acqua, può essere fonte di turbativa per l’ambiente subacqueo, sia per quanto riguarda l’aumento di torbidità che viene a generarsi sia per le sostanze tossiche ad esso associate che possono interagire con gli organismi acquatici.

Nel dragaggio si verificano però, oltre ai fenomeni sopra citati, anche l’aumento della

concentrazione del materiale in sospensione, della dispersione dei nutrienti e la riduzione

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dell’ossigeno disciolto con conseguenze negative sulla fauna bentonica e sugli organismi della colonna d’acqua. Al fine di minimizzare questi impatti è opportuno definire la modalità con la quale effettuare un’operazione di dragaggio. Tali modalità sono legate alle condizioni batimetriche ed idrodinamiche del fondale, alle caratteristiche chimico - fisiche del sedimento e alle caratteristiche dell’area di deposizione ed eventualmente alla tipologia del trattamento il cui sedimento verrà sottoposto.

I sistemi di dragaggio si suddividono essenzialmente secondo il principio di funzionamento della macchina dragante che inizialmente disgrega le particelle del sedimento, scava e trasporta il materiale in senso orizzontale o verticale lontano dalla zona di dragaggio; la draga utilizzata a tale scopo può essere principalmente del tipo meccanico o idraulico (Figura 1.2-1.).

• Dragaggio meccanico: viene utilizzato per rimuovere materiale ghiaioso, duro o compatto mediante tecnologie utilizzate anche per rimuovere vecchie costruzioni e fondamenta. Le macchine impiegate usano sistemi di escavazione e trasporto che generalmente si possono identificare con benne o draghe a grappo o a tazza dove il materiale che viene prelevato attraversa tutta la colonna d’acqua entrando in contatto con l’ambiente che lo circonda. Fanno eccezione alcuni tipi di benne o draghe con chiusura ermetica. Il materiale dragato viene trasportato mediante pontoni e chiatte o attraverso imbarcazioni a tramoggia con apertura sul fondo, capaci di percorrere lunghe distanze.

• Dragaggio idraulico: applicabile in presenza di materiale debolmente compatto, viene

generalmente effettuato con draghe che utilizzano pompe centrifughe. Il materiale viene

prelevato e trasportato in forma fangosa o liquida mediante tubi a suzione che funzionano in

seguito alla creazione di una depressione nella zona di prelievo. Queste draghe nascono per

soddisfare specifiche esigenze, in quanto è possibile dragare un materiale compatto limitando i

problemi legati alla torbidità e alla fuoriuscita di materiale nella colonna d’acqua. In generale i

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sistemi idraulici sono più veloci rispetto alle draghe meccaniche e vengono utilizzati per rimuovere grandi volumi di sedimento poiché non presentano una buona precisione di prelievo.

Draga idraulica

Draga semplice a benna

Figura 1.2-1. Principali sistemi di dragaggio del materiale (Bona et all., 1997)

La scelta del mezzo dragante viene effettuata in base ad alcuni criteri tra i quali: le caratteristiche

fisiche del materiale scavato, la sua quantità, la profondità di dragaggio la distanza e le

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Tecniche disponibili Princ ggi Principali svantaggi caratteristiche fisico–ambientali dell’area di deposito, il livello di contaminazione dei sedimenti ed

il costo (Tabella 1.2-1.).

Tabella 1.2-1. Principali vantaggi ed inconvenienti delle tecnologie disponibili per lo scavo dei sedimenti. (Bona et all., 1997)

ipali vanta

Draghe meccaniche

• Conservazione dell’integrità del sedimento con bassa percentuale d’acqua;

• Richiesta minima di attrezzature per il trasporto e il deposito;

• Buona precisione nel e d

• Il rilascio in acqua de genera tti;

Utilizzabile anche in

• Tasso di escavazione molto basso (da 30 a 500 metri cubi ora);

• Percentuale elevata di messa in colonna d’acqua ;

l’asportazion l materiale profondità.

el materiale;

pochi effe

sospensione del materiale nella

Inutilizzabili per sedimenti molto molli.

Draghe idrauliche

• Tasso di escavazione molto alto (7000 metri cubi ora);

• Facilità di trasporto del materiale per lunghe distanze;

Bassa risospensione del materiale lungo la colonna d’acqua.

l scavato (80%-90%);

• La presenza di gas nei sedimenti può alterare il funzionamento delle pompe;

• Il rilascio in acqua attraverso le

• Elevato contenuto in acqua ne materiale

condotte genera torbidità ;

Utilizzo generalmente riservato allo scarico di grandi volumi.

.2.1 Il possibile riutilizzo dei materiali dragati (beneficial use)

di dragaggio sono molteplici e ipendono dalle caratteristiche fisiche, chimiche, tossicologiche. In base a queste i diversi fanghi 1

Le possibili vie di riutilizzo dei fanghi ottenuti dalle attività d

sono regolati da diversa normativa. Per questo le diverse possibilità di utilizzo di questi materiali

sono:

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Lo stoccaggio definitivo in discariche autorizzate:

fanghi di dragaggio portuali derivati da operazioni di bonifica, come i dragaggi di risanamento, .Lgs 5 febbraio 1997 n.22 (Decreto Ronchi)

r rifiuti speciali che è di gran lunga inferiore alle quantità che derivano dalle

one in mare:

isperdere il materiale dragato in acque aperte comporta notevole impatto soprattutto in ristiche del materiale da sversare, per questo è importante identificare

In Italia il

è soggetta a particolari restrizioni o addirittura vietata.

• I

sono sottoposti alla normativa dei rifiuti costituita dal D

ed in particolare dal D.M. 471/99 e possono essere smaltiti a terra come rifiuti speciali destinandoli in apposite discariche.

Nel caso particolare della Regione Toscana il piano regionale delle discariche, prevede però una capacità di ricezione pe

sole attività di dragaggio portuale (AA.VV., 2004). Lo stoccaggio rappresenta quindi una via di smaltimento che almeno in Toscana non viene sfruttata dato che le discariche autorizzate rappresentano aree preziose per smaltire materiali che non possono trovare altrove la loro collocazione.

• L’immersi D

considerazione delle caratte

un idoneo sito d’immersione mediante studi chimico – fisici, biologici, ed idrodinamici.

Le indicazioni internazionali e l’esperienza nazionale, riconoscendo l’immersione in mare come un evento perturbativo per l’ambiente, tendono a promuovere opzioni di gestione alternative.

problema dell’immersione in mare dei materiali di dragaggio portuale è stato inizialmente affrontato con il Decreto del Ministero dell’Ambiente del 24 gennaio 1996 e ripreso dall’art 35 del D.Lgs 152/99 dove tale tecnica di smaltimento costituisce una valida opzione di gestione del materiale una volta accertata l’impossibilità di realizzare gestioni alternative quali ripascimenti o riutilizzo in ambito portuale anche dopo specifiche attività di trattamento.

Ulteriori limitazioni alla dispersione in mare riguarda quelle aree sottoposte a vincolo di tutela

biologica o archeologica e le aree protette dove l’immersione

(19)

e firmato a Monaco

5

tale zona comprendente un'area di circa 96000 km2 La Regione Toscana si trova in un’area soggetta a restrizione cautelativa quale “Santuario per i Mammiferi marini” noto come “Santuario dei Cetacei”. Secondo l’ accordo internazionale istituito il 25 novembre 1999

nell'alto Mediterraneo che viene dichiarata protetta per via della ricchezza di mammiferi marini presenti (Figura 1.3.1-1.).

Figura 1.3.1-1. Area interessata dal Santuario dei Cetacei

L’istituzione del Santuario ha indotto più o meno volontariamente le autorità competenti di cess are gli sversamenti di m

ateriale di dragaggio a mare e trovare vie alternative.

(20)

ateriali provenienti dalle ttività di dragaggio venivano utilizzati per la “risistemazione” di porti, aeroporti e per la

s commerciali. Anche a livello europeo negli ultimi anni si sono

izzazione negli stessi ambiti, senza escludere la possibilità di riutilizzo a

opere di ripascimento di

• L’utilizzo in opere civili:

Negli Stati Uniti già negli anni ’70 (USACE, 1987; USEPA 1992) i m a

co truzione di opere civili e

moltiplicate iniziative sia tecniche che politiche, per incentivare il riutilizzo di questi materiali (Van’t Hoff et al., 1999)

A differenza di altre situazioni in campo internazionale, considerato che il materiale da dragare nei porti italiani è sedimento collocato in ambito marino o al massimo salmastro, le opzioni di riutilizzo trovano una più facile real

terra in opere civili previo un qualche trattamento se ritenuto necessario.

Questa tipologia di smaltimento tramite il riutilizzo in ambito marino o salmastro potrebbe, come già menzionato, richiedere a sua volta un pre-trattamento o un trattamento vero e proprio al fine di rendere i materiali idonei per la destinazione finale. Ad esempio, per

spiagge, i materiali derivati dal dragaggio portuale debbono, oltre che essere sostanzialmente privati dei contaminanti mediante trattamenti specifici, possedere opportune caratteristiche granulometriche, allo scopo di presentare la stabilità necessaria a garantire il buon fine dell’opera.

Altro esempio è rappresentato dal riutilizzo in ambito conterminato, con la creazione di vasche di

colmata o vasche di contenimento. Tale soluzione si identifica nella costruzione di opere civili tese

allo sviluppo del porto stesso (piazzali, banchinamenti, cassoni in calcestruzzo) realizzate grazie

alla deposizione e lo smaltimento del materiale dragato, indipendentemente dal livello di

contaminazione del materiale.

(21)

1. 3. Il porto di Piombino

La città di Piombino, è localizzata all’estremo sud della provincia di Livorno, è situata lungo la costa tirrenica, proprio di fronte all’Isola d’Elba, alla base di un promontorio la cui altezza massima non supera i 300 m e al margine di un’area pianeggiante denominata Val di Cornia (chiamata così perché è la pianura alluvionale del fiume Cornia). Subito a sud del promontorio vi è un ampio golfo, il golfo di Follonica, dove sono situate lungo la costa, per lo più a ridosso dell’abitato di Piombino, tutte le principali attività industriali della zona (Figura 1.3-1.). In alcuni quartieri della città è possibile trovarsi a poche centinaia di metri dai forni per la produzione del coke, dai cumuli di stoccaggio del carbon fossile o dai convertitori per la trasformazione dell’acciaio. Dal lato opposto dell’abitato, invece, l’impatto della vasta zona industriale risulta seppur presente, molto attenuato, tanto che Salivoli è un quartiere turistico.

Area Industriale e Porto Città di Piombino

Figura 1.3-1. Visuale della città di Piombino e del polo industriale.

(22)

1.3.1 La struttura

Il porto di Piombino (Figura 1.3.1-1.) ha una profondità che varia tra 2 e 13 metri, presenta un bacino delimitato a Sud-Est dal molo sopraflutto, detto Batteria (Figura 1.3.1.-1- a), ed a Nord-Est dal pontile Italsider (Figura 1.3.1-1-b). Nella parte interna del porto si distinguono tre strutture: il pontile Magona (Figura 1.3.1-1-c), con due accosti da 104 metri a nord e 120 metri a sud, la banchina Trieste (Figura 1.3.1-1-e) con fascia operativa di 160 metri e l’alto fondale che permette l’accosto di navi fino a 110 metri e la banchina “Marinai d’Italia” (Figura 1.3.1-1-d) che è stata completata nell’agosto 2002, tale struttura è lunga 125 metri, con fondale di 8,5 metri, ed ha la funzione di potenziare le strutture destinate al traffico commerciale. L’ultima opera di recente ultimata, sempre a tale scopo, è il prolungamento del molo Batteria (Figura 1.3.1-1-a) di 280 metri con l’ampliamento fino a 25 metri, consentendo così l’attracco di navi commerciali di grande stazza.

a b

c d

e

Figura 1.3.1-1 Struttura del Porto di Piombino

(23)

L’area nord del porto è prevalentemente utilizzata per i traffici da e per le aziende siderurgiche. Gli altri traffici portuali sono soprattutto legati ai lavorati di acciacco e rinfuse per mezzo di general cargo e vengono svolti presso altre infrastrutture:

1.3.2. L’attività industriale

L’attività industriale di Piombino ha inizio intorno al 1860, con l’insediamento dell’industria siderurgica che nel corso di oltre un secolo ha interessato un territorio sempre più ampio.

Nel 1911 nasce il consorzio siderurgico Ilva, che nel 1936 passa sotto il controllo pubblico dell’Iri.

Dopo diversi cambi societari, nel 1993 l’Ilva, la maggiore azienda siderurgica piombinese, viene privatizzata con la cessione alla Lucchini. Il 10 febbraio 2005 la Lucchini di proprietà del gruppo italiano passa sotto il controllo della Severstal, secondo produttore siderurgico in Russia, tramite l’acquisto del 62%. Oltre la Lucchini, che rappresenta lo stabilimento siderurgico più grande, nel sito industriale sono presenti:

• centrali termoelettriche alimentate a gas di altoforno, gas di cokeria, metano e in parte a olio combustibile (Ise, Elettra) e ad olio combustibile (Enel – Torre del Sale da 1.280 MW)

• siderurgia di seconde lavorazioni, lamierino zincato e verniciato (Magona d’Italia)

• tubificio (Dalmine).

Dall’inizio del secolo fino agli anni ‘50 l’area industriale era molto ridotta rispetto all’attuale,

a partire dagli anni ’50, l’area si è ingrandita, prima verso la città, incuneandosi in essa, abbattendo

tre file di case (i villini) e sbancando una parte della collina, il cui terreno di scavo è servito per

riempire un tratto di mare vicino al porto. Dalla fine degli anni ‘50 fino a tutti gli anni ‘60 si è

assistito al riempimento della zona palustre ad est di Piombino, con materiali di sbancamento e di

(24)

centinaio di ettari. Il suolo è stato sollevato mediamente di almeno 5 m e si sono riempite nuove zone a mare. Lo scopo di questo allargamento abnorme e di occupazione del territorio ha, in questo periodo storico, una giustificazione nei piani nazionali della siderurgia che prevedevano la costruzione del più grande stabilimento siderurgico italiano. Successivamente tale progetto è naufragato a causa della decisione di investire le risorse stanziate nel polo siderurgico di Taranto.

Per quanto riguarda il problema inquinamento, uno dei prodotti più inquinanti utilizzati

nell’industria siderurgica era ed è il carbone ed i derivati della sua distillazione (idrocarburi

policiclici aromatici, fenoli, naftalene, catrami, composti ammoniacali, ecc.). Il carbone viene usato,

dopo la distillazione a coke, nell’altoforno per produrre ghisa dal minerale di ferro, mentre il gas,

prodotto dalla sua distillazione, viene depurato e utilizzato come combustibile nelle tre centrali

elettriche interne allo stabilimento. Alcuni degli inquinanti contenuti nel gas vengono bruciati, altri

condensati in una specie di composto bituminoso e ceduto a società specializzate per lo

smaltimento. Altri prodotti pericolosi sono i metalli pesanti contenuti nei minerali di ferroleghe che

si aggiungono all’acciaio per conferirgli migliori caratteristiche chimico-fisiche e meccaniche

(come ad esempio cromo, manganese, molibdeno, vanadio, etc.); tali metalli della lavorazione

siderurgica si ritrovano nelle scorie e vengono smaltite presso l’area industriale (circa un milione di

tonnellate all’anno!). I prodotti di scarto che all’apparenza possono sembrare poco pericolosi come

le loppe dell’altoforno, in realtà, essendo molto basiche, messe in terreni che contengono altri rifiuti

come i catrami della cokeria, possono avere un rilevante impatto ambientale. I fanghi di Magona,

Dalmine, Enel e di altre attività finiscono invece nella discarica controllata pubblica.

(25)

1.3.3 I traffici marittimi

Le principali attività svolte nel Porto di Piombino riguardano:

• traffici commerciali con i Paesi del Mediterraneo, Africa, Medio Oriente e Cina, Nord e Sud America;

• traffici commerciali specializzati ro/ro con la Sardegna;

• attività di servizio ai traffici industriali commerciali delle grandi industrie siderurgiche (Lucchini, Magona d’Italia, Dalmine) e delle industrie del comprensorio (Enel, Nuova Solvine, Tioxide e Agriverde);

• traffici turistici: passeggeri e veicoli per l’Isola d’Elba, per l’Arcipelago Toscano, la Sardegna e la Corsica.

Nel 2000 nel Porto di Piombino sono transitate oltre diecimilioni di tonnellate di merci, di cui il 60% è costituito dai prodotti siderurgici e metalmeccanici, mentre circa il 10% è coperto dal traffico energetico. Il restante è dato da rinfuse solide e da general cargo.

Piombino con oltre tre milioni di passeggeri/anno si colloca ai primi posti fra i porti italiani e risulta

anche il secondo porto di interscambio con la Sardegna, con tre collegamenti giornalieri.

(26)

1.3.4 Il futuro

Il futuro di questo porto è legato alla Variante II al Piano Regolatore Portuale (APP, 2004) che costituisce un’innovazione decisiva nello sviluppo del porto stesso prevedendo:

• la realizzazione di nuovi banchinamenti, uno di metri 245 in parallelo al pontile Magona (Figura 1.3.1-1-c), il secondo di metri 410 in parallelo al pontile ex ILVA (Figura 1.3.1-1.-b) che sarà prolungato verso terra di circa 140 metri, il terzo di metri 106 risultato del tombamento della darsena pescherecci;

• la riduzione del fondale a meno 13 metri per tutte le banchine e a meno 15 metri nel canale di ingresso, nel bacino di evoluzione e nella parte terminale del pontile ex ILVA;

• la realizzazione di un’area retrobanchina (direttamente servita dalla SS398 e dalla ferrovia) di 200.000 m²;

• la realizzazione di un’area retrobanchina di 18.000 m² con il tombamento della darsena pescherecci;

• l’effettuazione di un escavo pari a circa 1,5 milioni di m³, che porterà ad avere i fondali a -15 metri.

• la realizzazione di un nuovo porto pescherecci (attualmente la flotta pescherecci è costituita da 27 unità), in quanto la darsena pescherecci dovrà essere tombata.

• la realizzazione di una nuova grande vasca di contenimento che consiste nella costruzione di un

bacino chiuso con una superficie di circa 146.000 m². ed una capacità totale di circa 1.400.000

m³ in grado di assorbire i quantitativi dei sedimenti provenienti dalle operazioni di dragaggio.

(27)

1.4 La vasca di colmata

Il primo smaltimento-riutilizzo del materiale dragato mediante sversamento in bacini di contenimento è avvenuto in Italia nel Porto di Livorno, seguendo come modello le esperienze maturate da altri porti nord europei quali Olanda, Belgio, Germania. Analoghe opzioni di gestione dei sedimenti sono state sperimentate da altri porti toscani come Marina di Carrara e Piombino.

In particolare l’Autorità Portuale di Piombino, d’intesa con il Ministero dell’Ambiente, ha intrapreso la strada della realizzazione di vasche di contenimento opportunamente impermeabilizzate in grado di garantire la totale salvaguardia dell’ambiente marino circostante realizzando una vasca che presenta una capacità di circa 130.000 m³, realizzata in conformità alle recenti indicazioni di tutela ambientale che consentono di poter collocare al suo interno materiale con concentrazioni di contaminanti inferiori al 10% dei valori limite della Colonna B della Tabella 1 dell’Allegato 1 del D.M. 471/99.

1.4.1 Ubicazione della vasca di Colmata

L’area in cui è situata la vasca di colmata ricade all’interno del Foglio N° 127 “Piombino” IV quadrante, tavoletta NW della carta d’Italia 1:25.000 redatta dall’IGM (Istituto Geografico Militare). Tale area risulta compresa all’interno delle seguenti coordinate geografiche: Lat. 42°55’- 42°57’; Long. 10°32’- 10°33’ (Figura 1.4.1-1).

La vasca è collocata in ambito portuale (Figura 1.4.1-2.) ed è localizzata sulla parte del fronte mare

delle acciaierie in adiacenza del pontile Lusid (Figura 1.4.1-2 lettera a) e proprio dentro l’area del

porto commerciale di Piombino.

(28)

Figura 1.4.1-1. Dislocazione della vasca di colmata rispetto la città di Piombino Vasca di Colmata (Figura 1.4.1-3.)

Vasca di Colmata (Figura 1.4.1-3.)

a

Figura 1.4.1-2 . Dislocazione della vasca di colmata rispetto il Porto

(29)

Figura 1.4.1 -3 Visuale completa dell’intera vasca di colmata divisa dal canale di scarico.

1.4.2 Le caratteristiche della vasca

I lavori di costruzione della vasca di contenimento dei materiali provenienti dai dragaggi del porto di Piombino consistevano nella realizzazione di:

1. una diga scogliera di lunghezza 355 m, con lo scopo di delimitare la vasca di contenimento.

L’altezza della diga è di +4.00 m e raggiunge la quota di massima di +4.50 m s.l.m.m. sul lato mare cosi da resistere all'azione del moto ondoso incidente; la struttura presenta una larghezza in sommità pari a 6.30 m. La diga è stata resa impermeabile grazie all’utilizzo di teli di tessuto geotessile (Figura 1.4.2-1);

2. impermeabilizzazione del fondo della vasca attraverso materiali plastici e geomembrane;

3. un dispositivo di sfioro delle acque del bacino principale inserito nella diga a scogliera, costituito da n°2 vasche realizzate mediante palancole. (Figura 1.4.2-2 e 3);

4. un canale di scarico delle acque di raffreddamento delle centrali idroelettriche esistenti

all’interno delle aree della Lucchini costituito da una doppia fila di palancole metalliche di circa

198 m di sviluppo (Figura 1.4.2-4 e 5).

(30)

Sia le strutture di confinamento laterale (argine) che il rivestimento del fondo della vasca dovevano essere eseguiti con materiali naturali od artificiali in grado di assicurare una permeabilità inferiore a 10-7 cm/s.

Dalla campagna di indagini geognostiche condotta, nel luglio-agosto 2000 dalla SERVIZI GEOTECNICI S.A.S di Roma, in occasione della redazione del progetto approvato, è stato evidenziato che i terreni costituenti i fondali della vasca di contenimento potevano essere considerati impermeabili (k=10-7 cm/s). e per questo è stata prevista soltanto l’impermeabilizzazione dell’argine.

Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio con decreto n°468 del 18 settembre 2001 ha adottato il regolamento previsto nel “Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale” dei siti inquinati ai sensi della legge n°426/1998. Al suo interno è compresa anche l’area portuale di Piombino ove è allocata la vasca di contenimento.

L’introduzione da parte del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio di nuove disposizioni sulle caratteristiche delle vasche di contenimento dei materiali di dragaggio da realizzare in siti di bonifica nazionali, ha richiesto quindi di apportare alcune modifiche alle opere previste. Lo scopo di tali modifiche consiste nel garantire una “impermeabilità” equivalente a quella di uno strato di materiale di spessore pari a 50 cm e impermeabilità superiore a 10-7 cm/s.

Inoltre durante la Conferenza dei Servizi Interna del 22 febbraio 2002 è stato stabilito che i materiali di dragaggio conferiti all’interno di vasche di contenimento non devono presentare livelli di concentrazione di inquinanti superiori a quelli previsti della colonna B della tabella 1 del D.M.

471/1999 ridotti del 10% (vedi Tabella 1.4.2-1)

(31)

Tabella 1.4.2-1 Parametri indagati per determinare la qualità dei sedimenti dragati

Limiti D.M 471/99 Limiti ridotti del 10%

Parametro mg/kg mg/kg

Arsenico 50 45

Cadmio 15 13,5 Cromo tot. 800 720

Mercurio 5 4,5

Nichel 500 450 Piombo 1000 900

Rame 600 540 Zinco 1500 1350 Vanadio 250 225

Pirene 50 45

Benzo (a) antracene 10 9 Benzo (a)pirene 10 9 Benzo (b) fluorantene 10 9 Benzo (k) fluorantene 10 9 Benzo (ghi) perilene 10 9

Crisene 50 45

Dibenzo (a,h) antracene 10 9 Indeno[1,2,3-cd]pirene 5 4,5

Sommatoria IPA 100 90

Figura 1.4.2-1 Diga scogliera che limita la vasca nella porzione esterna.

(32)

Figura 1.4.2-2 Bacino di sfioro e vasca di sedimentazione realizzate mediante palancole.

Canale di scarico dell’area Lucchini

Vasca di sedimentazione e sfioro realizzata con

palancole

Figura 1.4.2-3 Particolare del canale di scarico e dello sfioro.

(33)

Figura 1.4.2-4 Vista lato mare del canale di scarico.

Figura 1.4.2-5 Vista interna alla vasca del canale di scarico.

(34)

1.5 Il piano di monitoraggio

Il Piano di Monitoraggio rappresenta una procedura utilizzata per definire e controllare la qualità ambientale, l’estensione e la gravità degli impatti, è un insostituibile strumento per produrre informazioni che possono essere utilizzate in ambito gestionale ed in particolare per la tutela della salute umana e dell’ambiente marino.

1.5.1 Il progetto di bonifica

Il porto di Piombino è stato individuato come uno dei primi 15 siti inquinati di interesse nazionale con la Legge 426/98 e perimetrato con Decreto Ministeriale del 10 gennaio 2000.

Il perimetro dell’area da bonificare acclude: il polo industriale (236 ettari), l’area marina antistante, le aree di riempimento e colmata con materiali di riporto (567 ettari) e le discariche di rifiuti prevalentemente industriali (48 ettari).

Nel luglio 2002, l’Autorità Portuale di Piombino ha effettuato la caratterizzazione del fondale prospiciente la nuova banchina “Marinai d’Italia”, per una superficie complessiva di indagine pari a circa 32.000 m². Tale caratterizzazione, che costituisce integrazione e approfondimento del più ampio progetto di caratterizzazione ICRAM

6

(Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare), ha previsto il prelievo di sette carote di lunghezza variabile tra 50 cm e 6 m, in funzione della batimetria dell’area. La profondità d’indagine, pari a meno 9 m.

s.l.m.m., è stata determinata in alcune maglie dal limite strutturale di imbasamento degli accosti.

L’indagine è consistita nella determinazione della qualità del sedimento, poiché agisce come un assorbente naturale in grado di legare un gran numero di composti organici ed inorganici che gravitano nella colonna d’acqua (ARPAL, 2004). L’eccessiva antropizzazione e lo sfruttamento

6

L’ICRAM è stato incaricato nell’ambito del Programma Nazionale di bonifica e di Ripristino Ambientale (Decreto Ministeriale 18 settembre 2001 n. 468), nella redazione dei piani di caratterizzazione ambientale delle aree marine dei siti inquinati di interesse nazionale

(35)

delle risorse hanno portato ad un incremento di concentrazione degli inquinanti e dei nutrienti negli strati più superficiali dei sedimenti marini (ARPAM, 2003). I composti inquinanti sono adsorbiti, precipitati, chelati o diversamente associati con le particelle in funzione delle loro caratteristiche chimoco – fisiche, delle dimensioni e quindi della tessitura del sedimento (AA.VV., 2001).

Le analisi chimiche effettuate sui campioni sono atte all’individuazione di metalli ed elementi in tracce quali Al, Fe, As, Cu, Cd, Cr, Ni, Pb, V, Zn e Hg, sostanza organica, idrocarburi totali, IPA (idrocarburi policiclici aromatici), PCB (policlorobifenili) , Cianuri e Nutrienti su tutte le sezioni prelevate, e di TBT (tributilstagno) , Clorofenoli, Diossine e Furani su un numero limitato di sezioni.

L’esame dei risultati di tale attività di analisi ha evidenziato uno stato di rilevante contaminazione dei sedimenti, da parte di metalli ed elementi in tracce quali As, Cd, Pb, Zn e Hg, TBT ed IPA, che potrebbe provocare effetti sugli organismi marini presenti nell’area, e che attraverso diverse vie di migrazione come colonna d’acqua, particellato in sospensione, accumulo nella catena trofica, potrebbe coinvolgere anche le aree circostanti.

In seguito a tali evidenze l’Autorità Portuale di Piombino ha ritenuto imprescindibile l’esigenza di

procedere ad una prima bonifica dei fondali prospicienti la banchina “Marinai d’Italia”, che si

connota, così, come un primo processo di bonifica e messa in sicurezza dei fondali portuali. E’ stato

di conseguenza predisposto un progetto definitivo di bonifica dei suddetti fondali (Figura 1.5.1-1).

(36)

Banchina Marinai d’Italia P

o n t i l e

M a g o n a

Quadranti dove è avvenuto il dragaggio selettivo

Figura 1.5.1-1. Superficie d’indagine dell’area adiacente alla banchina Marinai d’Italia rispetto

al porto

(37)

Tale progetto è stato approvato, a seguito di una istruttoria tecnica, dalla Conferenza di Servizi decisoria (ex art. 14, comma 2, della legge n. 241/90) del 23 aprile 2004. L’intervento di bonifica progettato consiste di due fasi cosi riassunte:

I FASE

• Asportazione del fondale fino alla quota di meno 8,50 m.s.l.m.m. da filo pontile Magona fino ad una distanza di 50 metri dal pontile stesso

• Asportazione del fondale fino alla quota di meno 9 m. s.l.m.m. sulle rimanenti aree

• Dragaggio selettivo per i quadranti 2, 8 e 9 relativo alla rimozione di 1,00 m di sedimento inquinato

II FASE

• Caratterizzazione del fondale residuo, sulla base del progetto ICRAM. Il criterio per individuare le profondità di indagine tiene conto dei vincoli strutturali. Quindi si procederà a caratterizzare fino alla quota di meno 10 m.s.l.m.m. in corrispondenza della banchina “Marinai d’Italia”, coincidente con la quota di imbasamento della banchina stessa e fino alla quota di meno 13,00 m.s.l.m.m. nelle altre maglie. Il limite di meno 8,50 m.s.l.m.m. resta fermo per le maglie limitrofe il pontile Magona.

L’eventuale successivo intervento di bonifica terrà conto del principio comunitario volto ad individuare soluzioni definitive, con l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili ed a costi sopportabili.

• Valutazione dei risultati dell’indagine in Conferenza dei Servizi.

(38)

I sedimenti derivanti dalla prima fase sono pari a 106.500 m³, di questi 101.500 m³ sono stati sversati nella vasca di contenimento e 5.000 m³ collocati momentaneamente nell’area interna allo stabilimento siderurgico Lucchini S.p.a.. Questi ultimi sedimenti sono stati delimitati da un argine in terra con fondo e sponde impermeabilizzate perché presentavano una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti consentiti per il loro conferimento nella vasca e quindi smaltiti in idonea discarica in ambito locale. Pertanto nel progetto di bonifica è stato necessario introdurre un intervento di dragaggio selettivo per l’asportazione del livello di materiale con concentrazioni di contaminanti superiori ai valori limite ridotti del 10% della colonna B della tabella 1 dell’allegato 1 del D.M. 471/1999 (vedi Tabella 1.4.2-1). Le aree interessate da tale intervento si riferiscono ai quadranti 2, 8 e 9 (Figura 1.5.1-1) nello spessore di 1,00 m compreso tra le quote di meno 8,00 m e meno 9,00 m.

Per poter procedere alla loro asportazione è stato necessario interrompere le operazioni di dragaggio

a quota meno 8,00 m e procedere poi all’asportazione della lente di sedimento contaminato.

(39)

1.5.2 Il monitoraggio

Il Piano di Monitoraggio è stato realizzato per l’Autorità Portuale di Piombino (APP) dall’ Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Regione Toscana (ARPAT), dall’ICRAM e dal Centro Interuniversitario di Biologia Marina di Livorno (CIBM).

Il monitoraggio è iniziato 30 giorni in anticipo rispetto alle operazioni di dragaggio, iniziate in data 21 gennaio 2005, così da consentire di monitorare adeguatamente le caratteristiche chimiche e fisiche naturali della colonna d’acqua e dei sedimenti. Le fasi del monitoraggio sono proseguite durante le attività di dragaggio e anche dopo il completamento di tali attività, terminate in data 13 maggio 2005, per un periodo di tempo sufficiente fino al ripristino delle condizioni iniziali o al raggiungimento di una situazione stabile, indicativamente fissato a 30 giorni.

Al fine di eseguire il monitoraggio è stato predisposto un sistema di stazioni fisse all’interno dell’area interessata dalle attività di dragaggio, trasporto e deposizione. La scelta della posizione ottimale per le stazioni fisse di monitoraggio e di controllo è stata effettuata alla luce delle conoscenze pregresse dell’area marina oggetto d’indagine. Sono state inoltre disposte stazioni di controllo “di bianco” in un’area esterna al porto scelta come riferimento, sufficientemente distante da non essere influenzata dalle suddette attività. Le stazioni individuate sono:

• n. 4 stazioni previste per il monitoraggio dei sedimenti superficiali, una posizionata nel pozzetto

interno alla vasca e tre poste su un transetto esterno alla vasca, lungo la direzione della corrente

superficiale. ( Figura 1.5.2-1 con simbolo )

(40)

Figura 1.5.2-1 Il porto di Piombino e le stazioni di monitoraggio.

• n. 7 stazioni in mare, al fine di monitorare aree tipologicamente differenti: l’area da dragare, il

tratto di mare antistante la vasca di colmata e l’area di controllo sul lato esterno del molo

Batteria. Le 7 stazioni, che sono state posizionate compatibilmente con la profondità del fondale

e con le difficoltà indotte dal traffico marittimo, sono quindi rappresentative di queste tre aree.

(41)

In queste stazioni vengono identificati i parametri chimico-fisici della colonna d’acqua e posizionati i Mitili per le prove ecotossicologiche; indicate in Figura 1.5.2-1 con simbolo .

• n. 2 stazioni piezometriche poste una sulla diga esterna e l’altra sul terreno retrostante la vasca, relative al primo strato litologico del materiale costituente la conterminazione esterna della vasca; indicate in Figura 1.5.2-1 con simbolo .

• n. 1 stazione di prelievo allo scarico così da monitorare le acque in uscita dalla vasca;

( Figura 1.5.2-1 con simbolo )

(42)

1.5.2.1 Il monitoraggio dei parametri chimico-fisici della colonna d’acqua

Al fine di monitorare in modo completo ed efficace le caratteristiche chimiche e fisiche della colonna d’acqua dell’intero porto è stato previsto:

1. l’utilizzo di una sonda multiparametrica, che permette di misurare parametri principali: quali profondità, torbidità, temperatura, potenziale redox, pH, salinità, conducibilità, ossigeno disciolto, percentuale di ossigeno;

2. il prelievo di campioni d’acqua per la determinazione dei solidi sospesi totali (TSS); nel caso in cui il valore di concentrazione dei solidi sospesi superi il valore di 80 mg/l (indicato per lo scarico in acque superficiali secondo il D. Lgs. 152/99) o un “valore soglia d’attenzione”

individuato nel corso della fase conoscitiva del monitoraggio, si dovrà ricercare sul particellato anche la concentrazione dei contaminanti ritenuti di maggiore interesse, sulla base della caratterizzazione dei sedimenti dragati: Cd, Hg, Pb, Zn, IPA.

Le analisi con la sonda multiparametrica vengono effettuate nelle stazioni precedentemente indicate. I torbidimetri inseriti nelle sonde multiparametriche sono opportunamente calibrati prima dell’analisi, utilizzando apposite soluzioni standard e secondo procedure ufficialmente riconosciute.

I valori di torbidità cosi ottenuti sono inoltre correlati con la corrispondente concentrazione reale di

solidi in sospensione, utilizzando il sedimento soggetto a risospensione durante le specifiche

operazioni di dragaggio. Sia la calibrazione che la correlazione vengono ripetute ciclicamente,

durante il corso dell’opera, per verificare il corretto funzionamento dello strumento nonché la

correttezza dell’interpretazione dei risultati.

(43)

1.5.2.2 Il monitoraggio degli effetti delle operazioni di dragaggio sugli organismi

In aggiunta alle indagini di tipo chimico-fisico sulla colonna d’acqua, quindi, volte a fornire informazioni in tempi predefiniti riguardo la eventuale mobilitazione delle sostanze tossiche per gli organismi, nel piano di monitoraggio sono stati previsti controlli sulle risposte biologiche di organismi appositamente esposti alle condizioni ambientali potenzialmente influenzate dalle operazioni di dragaggio cosi da stabilire la frazione di contaminante realmente disponibile in grado di interagire con il biota (Volpi Ghirardini A, Pellegrini D., 2001).

Le indagini ecotossicologiche previste consistono in:

• l’esecuzione di prove di bioaccumulo (per la ricerca di alcuni metalli e composti organici);

• l’analisi di alcuni biomarkers.

I risultati di tali indagini consentono non solo di valutare gli effetti dei contaminanti sugli organismi, ma anche il rischio di accumulo di tali sostanze nella catena trofica (biomagnificazione).

I biomarkers (biomarcatori) in particolare forniscono delle risposte biochimiche in quanto sono in

grado di rilevare precocemente l'insorgenza di effetti sugli organismi prima che questi possano

riflettersi macroscopicamente a livello di comunità. Lo studio dei biomarkers consente di verificare

l'eventuale attivazione di specifici sistemi di detossificazione e/o metabolizzazione che possono

essere indotti in condizioni di stress, conseguenza dell’accumulo negli organismi di sostanze

tossiche correlabile all’esposizione/effetto di uno o più inquinanti chimici (Depledge, 1989). I

biomarker sono formalmente suddivisi in: biomarkers di esposizione, di effetto e di suscettibilità. I

marker di esposizione valutano, nei fluidi o nei tessuti di un organismo, la presenza di uno

xenobiotico o dei suoi metaboliti o dei prodotti di reazione con una macromolecola cellulare. I

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peso corporeo e i cambiamenti a livello di popolazione, o vengono effettuate analisi sofisticate come la determinazione di specifici isoenzimi mediante tecniche immunochimiche. I marker di suscettibilità che più frequentemente indagano a livello del metabolismo cellulare, sono correlati alle variazioni genetiche nelle risposte degli organismi agli inquinanti ambientali.

Comunque questo è uno strumento molto importante per rapportare il bioaccumulo delle sostanze allo stato di salute degli organismi.

Esistono alcuni requisiti considerati indispensabili affinché una specie possa essere utilizzata come bioindicatore. Tra questi, l’assenza di meccanismi di regolazione delle concentrazioni tissutali di contaminanti, la sessilità, le abitudini alimentari preferibilmente di tipo filtratorio, la facilità di raccolta, l’ampia diffusione geografica ed infine, ma non per questo meno importante, la conoscenza del ciclo biologico (ANPA, 2001).

Per questo motivo il monitoraggio della contaminazione chimica delle acque avviene attraverso l'impiego di molluschi bivalvi trapiantati, da decenni adoperati sia negli Stati Uniti che in numerosi paesi europei nei programmi internazionali di Mussel Watch (Cicero AM & Di Girolamo I (Ed.), 2001).

I mitili (Mytilus galloprovincialis) per le prove di bioaccumulo sono stati posizionati nelle medesime sette stazioni prescelte per il monitoraggio della colonna d’acqua.

Con i mitili vengono allestiti tre pool rappresentativi:

• dell’area di escavo e di stoccaggio a terra;

• dell’area esterna alla vasca;

• dell’area esterna al porto.

Le prove con i mitili sono state effettuate tenendo conto che le colonie di organismi utilizzati

nell’indagine devono rimanere in acqua per un periodo compreso tra 3 e 4 settimane, durante il

quale gli organismi effettuano la loro funzione di filtrazione della colonna d’acqua.

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Le prove di bioaccumulo e dei biomarkers vengono effettuate:

• due volte prima dell’inizio delle attività di dragaggio;

• durante le attività di dragaggio con frequenza mensile;

• almeno una volta nel primo mese successivo al termine delle attività di dragaggio.

Sugli esemplari di mitili vengono poi eseguite le seguenti analisi:

• analisi dei contaminanti quali Cd, Hg, Pb, Zn, IPA che sono ritenuti i più significativi rispetto alla caratterizzazione dei sedimenti da dragare; (bioaccumulo)

• analisi dei biomarkers più indicativi rispetto alle sostanze misurate (metalli e IPA) nonché quelli

indicativi dello stato di salute degli organismi, tra cui: integrità dei sistemi lisosomiali,

accumulo di prodotti di perossidazione, livelli di metallotioneine, efficienza dei sistemi

antiossidanti, comparsa danni genotossici.

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