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CAPITOLO PRIMO LE SENTENZE DI CONDANNA A FAVORE DELL'AMMINISTRAZIONE Sezione Prima LA FASE DI ACCERTAMENTO 1. La nozione.

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CAPITOLO PRIMO

LE SENTENZE DI CONDANNA A FAVORE

DELL'AMMINISTRAZIONE

Sezione Prima

LA FASE DI ACCERTAMENTO

1. La nozione.

La fase di accertamento costituisce un pilastro nell'attuazione del tributo ed è funzionale alla realizzazione del prelievo; essa rappresenta dunque la fase dinamica di attuazione del prelievo. Il legislatore italiano, tuttavia, non utilizza una nozione univoca del termine “accertamento”. In particolare il legislatore si riferisce all'accertamento sia con riguardo alla fase di controllo del comportamento del contribuente, sia con riguardo all'atto finale in cui tale fase si esplica. Rispetto al termine in esame si possono, poi, rilevare due indirizzi tra loro contrapposti: la teoria c.d. dichiarativista1 la quale sostiene a gran voce che l'obbligazione

tributaria trae la propria origine nella legge; ciò comporta che tutte le volte in cui viene ad esistenza un presupposto individuato come tale

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dal legislatore, immediatamente sorge l'obbligazione tributaria a prescindere da qualsiasi attività che poi sarà realizzata nel concreto per dare attuazione al prelievo. Questa teoria, dunque, scinde il momento della nascita dell'obbligazione tributaria dal momento dell'attuazione del tributo.

La teoria c.d. costitutivista2 sostiene, invece, che non possa esserci

obbligazione tributaria senza un atto successivo che sia costitutivo dell'obbligazione stessa; questo atto nella maggior parte dei casi è rappresentato dall'auto-accertamento posto in essere dal contribuente ma, nei casi di inadempienza di quest'ultimo, l'atto è sostituito dall'azione di accertamento dell'amministrazione finanziaria; dunque, non è sufficiente il riferimento genetico stabilito dalla legge ma occorre anche l'atto.

Nel diritto positivo sono rinvenibili elementi che depongono a favore della prima ed elementi che, invece, depongono a favore della seconda teoria. Il dibattito risultava più interessante nel passato quando si discuteva circa la natura dell'oggetto tributario; oggi lo è meno, tuttavia è interessante ripercorrerlo per analizzare i fondamenti posti alla base delle due teorie.

Il punto di forza della teoria dichiarativista è rappresentato dalla riserva di legge di cui all'art. 23 Cost3, la quale esclude qualsiasi forma

di discrezionalità: se la materia è coperta da riserva di legge, nessuno, neppure l'amministrazione finanziaria nell'esercizio del proprio potere, può essere discrezionale. Si tratta di un'obbligazione che sorge ex lege e che esclude qualsiasi intervento che incida sul sorgere dell'obbligazione da parte di qualunque altro soggetto.

Ulteriore punto di forza è, poi, rappresentato dalla circostanza secondo la quale la tutela del contribuente è stata originariamente immaginata

2 Scuola milanese e veneta.

3 “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”

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come attuabile davanti al giudice civile: la legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E4 attribuiva, infatti, la tutela degli interessi legittimi al

giudice ordinario; nello stesso periodo, con legge 14 luglio 1864, n. 1836, sono istituite le commissioni tributarie le quali non nascono come organi giurisdizionali, bensì come organi amministrativi appartenenti all'amministrazione finanziaria. Solo un secolo dopo, la Corte costituzionale, con sentenza 26 gennaio 1957, n. 125 ha

qualificato le commissioni tributarie come organi giurisdizionali. Il sistema di giustizia tributaria è stato riordinato il 26 ottobre 1972 con d.p.r. n. 636; ulteriori modifiche sono state apportate con i decreti legislativi 31 dicembre 1992, nn. 545 e 546 i quali hanno accentuato ulteriormente il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie6.

L'originaria competenza del giudice civile avvalora la tesi per cui le situazioni giuridiche soggettive sottoposte ad indagine si configurino come diritti soggettivi e non come interessi legittimi, escludendo, quindi, l'azione dell'amministrazione nel sorgere dell'obbligazione tributaria; il processo sarebbe, dunque, un procedimento di sola impugnazione nel momento di avvio dello stesso e di merito circa l'oggetto concreto dell'azione del giudice tributario. In altre parole, il compito del giudice tributario non sarebbe quello di valutare l'atto ma quello di definire la verità relativa alla situazione giuridica soggettiva sottoposta alla sua attenzione.

Terzo ed ultimo punto di forza della teoria dichiarativista è rappresentato da tutti quei casi in cui l'obbligazione tributaria trasla da un soggetto ad un altro. Si pensi all'accollo7 ovvero alla successione

nel debito/credito tributario: si tratta di casi nei quali l'attuazione

4 Legge sul contenzioso amministrativo.

5 In www.cortecostituzionale.it (ud. 18/01/1957, dep. 26/01/1957).

6 Si inizia a parlare di “giudici tributari”, non più di “membri della commissione” e di “sentenza”, non più di “decisione”.

7 Il contribuente di diritto, attraverso una specifica clausola contrattuale recante “oneri tributari a carico di...”, conviene con il contribuente di fatto affinché quest'ultimo si accolli l'onere della prestazione tributaria.

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dell'obbligazione e, dunque, il pagamento del tributo avverrà in un momento successivo.

I costitutivisti pongono, invece, a fondamento della teoria da loro sostenuta la modalità secondo la quale si realizza l'adempimento e la conseguente estinzione dell'obbligazione tributaria. Essa, infatti, prende forma solo nel momento in cui il legislatore definisce le modalità di adempimento (tempi, quantum, ecc.); di conseguenza, la rigidità nei modi di attuazione dell'obbligazione non sarebbe coerente con un'obbligazione sorta ab origine in funzione della legge.

C'è, poi, un'ulteriore considerazione evidenziata da questa dottrina: “non c'è processo senza un atto”; si accede infatti al giudizio tributario soltanto a fronte dell'impugnazione di un atto. Ne discende la classificazione delle situazioni giuridiche soggettive sottese come interessi legittimi e non diritti soggettivi.

Da ultimo i costitutivisti fanno leva sul fatto che quando un'obbligazione è consacrata in un provvedimento non impugnato, questa diventa definitiva nei termini descritti dal provvedimento; anche se ipoteticamente contrario al dettato legislativo, il provvedimento prevale sulla legge.

Attualmente il dibattito ha perso di interesse perché se si riflettesse sulla natura dell'obbligazione tributaria ci si accorgerebbe immediatamente come quest'ultima possa considerarsi un ibrido: essa, infatti, condivide con l'istituto privatistico l'essenza ma non conosce la libertà delle parti contraenti nel regolare i reciproci rapporti contrattuali. In conclusione, ancorarsi alle categorie giuridiche tipiche e standardizzate significa svilire una realtà molto più complessa.

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2. La partecipazione del privato.

Fu a partire dalle opere di Ezio Vanoni8 che nel diritto tributario

italiano si cominciò a parlare di collaborazione del contribuente nell'accertamento e di attività amministrativa partecipata. Con la riforma Vanoni-Tremelloni degli anni '50 è stato, infatti, introdotto l'obbligo di presentazione annuale della dichiarazione9 ed il controllo

generalizzato di quelle presentate, nonché l'obbligo per l'ufficio di motivare le rettifiche effettuate10. Brevemente, nei casi di regolare

presentazione della dichiarazione, il reddito dei soggetti non tassati e di quelli tassati in base al bilancio è accertato analiticamente mentre quando risultavano spese/perdite inesistenti o superiori a quelle effettive si procedeva alla correzione con metodo induttivo-integrativo, ovvero sinteticamente in presenza di gravi o ripetute violazioni formali e/o sostanziali degli obblighi tributari.

L'applicazione della riforma Vanoni è risultata, però, inefficace a causa di una giurisprudenza ed una prassi amministrativa che ha consentito un'ampia discrezionalità al Ministero circa la determinazione del livello di analiticità dei modelli di dichiarazione e la possibilità per il contribuente di presentare dichiarazioni sintetiche non previste dalla legge, comportando, così, il riconoscimento al contribuente della possibilità di determinare, per converso, il livello di sinteticità dell'eventuale accertamento. È stata, così, svilita la ratio della riforma: il dialogo tra il contribuente e l'amministrazione finanziaria.

La riforma degli anni '70 non ha modificato significativamente la situazione venutasi a creare: essa si occupa, tra le altre cose, anche

8 Morbegno, 3 agosto 1903 – Roma, 16 febbraio 1956; economista e politico italiano.

9 Unica per tutti i redditi e i cespiti patrimoniali nella titolarità del soggetto. 10 Così come disciplinato nel d.p.r. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 31 e 37.

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della partecipazione del contribuente nell'accertamento attraverso un sistema basato su deroghe, su presunzioni gravi, precise e concordanti e, in casi tassativamente previsti, anche su presunzioni prive di quest'ultimi requisiti. Un sistema, dunque, che sottolinea la rigidità di regole per l'accertamento. Questa modalità di partecipazione è apparsa alla dottrina tutta a favore del fisco; è solo con la partecipazione difensiva11, introdotta nell'ordinamento con la legge n. 241/1990 e la

partecipazione collaborativa12, introdotta negli anni '70 del secolo

scorso, che si pongono le basi per un ruolo più attivo del contribuente nell'attuazione del prelievo.

Alla fine degli anni '80 si assiste, poi, a una generale rivalutazione della partecipazione del privato e al proliferare di strumenti diretti a consentire l'attuazione del tributo. Basti pensare agli studi di settore di cui all'art 62-bis del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427; agli artt. 36-bis13 e 36-ter14 del d.p.r. n.

600/1973 circa le forme di liquidazione e controllo formale della dichiarazione per le imposte sul reddito; alla disposizione contenuta nell'art. 6, comma 4 dello Statuto del contribuente15 secondo la quale

“prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione finanziaria deve

11 Consiste nella possibilità riconosciuta al contribuente di intervenire nel corso della fase istruttoria al fine di difendersi. Una simile partecipazione si esplica attraverso: 1) la comunicazione di avvio del procedimento; 2) la presentazione di memorie o documenti a sostegno della propria posizione; 3) il diritto di accesso agli atti endoprocedimentali.

12 Consiste nell'imposizione al contribuente di obblighi di fornire dati, notizie o documenti al fine di reperire materiale istruttorio.

13 Quando dai controlli automatici emergono divergenze con la dichiarazione, l'esito della liquidazione è comunicato al contribuente o al sostituto d'imposta per evitare reiterazioni di errori o per consentire la regolarizzazione di aspetti formali; il contribuente o il sostituto d'imposta può, entro trenta giorni, fornire chiarimenti e rettifiche.

14 Il contribuente è invitato a fornire chiarimenti (anche telefonicamente) o a trasmettere ricevute o documenti non allegati precedentemente alla dichiarazione.

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invitare il contribuente a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici a fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla richiesta”. Si tratta di un'ipotesi, l'unica, di contraddittorio obbligato la quale comporta la nullità del provvedimento emesso in violazione. Poi l'art. 12 dello stesso Statuto prevede che dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni degli organi deputati al controllo, il contribuente possa comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che saranno valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non potrà, così, essere emanato prima della scadenza di detto termine, salvi casi di motivata urgenza. La violazione del termine comporta, anche qui, nullità del provvedimento.

Si ricordi, poi, l'istituto dell'accertamento con adesione, nonché la conciliazione giudiziale, l'interpello, l'accertamento di fattispecie elusive, l'istituto dell'acquiescenza: tutti istituti che consentono la partecipazione attiva del contribuente alla definizione del rapporto con l'amministrazione. Al di là della disciplina dei singoli istituti, è importante verificare la forza di questi ai fini dell'effettiva partecipazione del privato nell'accertamento: il legislatore appare ostile a ricollegare la violazione del contraddittorio all'invalidità del provvedimento. Essa è prevista, infatti, solo in tre ipotesi: nell'istituto dell'acquiescenza, nell'interpello e nell'accertamento di fattispecie elusive. Sarebbe, dunque, auspicabile il riconoscimento della partecipazione dei privati come principio generale caratterizzante tutto il diritto tributario.

In verità, importanti passi sono stati mossi con la sentenza Sopropè16

con la quale, a proposito dei tributi armonizzati17, la Corte di Giustizia

16 Corte di Giustizia UE, 18 dicembre 2008, causa C 349/07, in Foro amm. CDS 2008, 12, 3218 (s.m).

17 Si tratta di tributi aventi disciplina affine in ambito comunitario al fine di evitare ostacoli nella libera concorrenza.

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dell'Unione Europea ha affermato che “il rispetto dei diritti di difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente”.

Il fondamento normativo posto alla base dalla Corte di Giustizia è rappresentato non solo dagli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea i quali garantiscono il rispetto del diritti di difesa e del diritto a un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, ma anche dall'art. 41 della stessa Carta il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione. Quest'ultimo comporta che ogni individuo deve essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento lesivo.

La Corte ha, poi, aggiunto che tale obbligo di contraddittorio incombe sulle amministrazioni degli stati membri ogniqualvolta esse adottino decisioni rientranti nella sfera di applicazione del diritto dell'Unione Europea, anche quando tale normativa non preveda espressamente detta formalità.

Di fatto, si rileva che nell'ordinamento tributario italiano non esiste un principio generalizzato circa l'obbligo di contraddittorio anticipato; tale obbligo potrebbe essere introdotto, ad esempio, da una sentenza della Corte Costituzionale relativa al comma 2 dell'art. 97 Cost. il quale prevede il principio di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione.

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3. La collaborazione spontanea dei contribuenti.

Nel sistema fiscale italiano sono ravvisabili numerose forme di collaborazione spontanea da parte dei contribuenti al fine di consentire la piena attuazione delle norme tributarie. La realtà attuale si caratterizza per un elevato numero di operazioni rilevanti ai fini tributari, di un numero milionario di contribuenti e di un numero esiguo di uffici tributari; è per questa ragione che si impone il ricorso a meccanismi giuridici nei quali l'attuazione delle norme tributarie è affidata innanzitutto agli stessi contribuenti. L'amministrazione finanziaria è, invece, titolare del ruolo di controllo e quello eventuale di irrogazione delle sanzioni. Il contribuente non è lasciato libero di agire poiché è la legge a prevedere gli obblighi ai quali conformarsi al fine di raggiungere precisi obiettivi:

a) lasciare una traccia documentale delle operazioni economiche (scontrini, ricevute o fatture);

b) annotare nei registri contabili il contenuto essenziale delle operazioni economiche;

c) conservare libri e scritture contabili;

d) realizzare una serie di adempimenti in qualità di sostituto di imposta.

Il filo rosso che unisce questi obiettivi è rappresentato dalla documentazione e registrazione delle operazioni rilevanti ai fini tributari, consentendo all'amministrazione di effettuare adeguati controlli. Si tratta, dunque, di adempimenti funzionali all'attuazione della norma tributaria e, dunque, atti strumentali.

A titolo di esempio, basti ricordare l'obbligo di emettere fattura disciplinato all'art. 21 comma 1 e 6 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 63318

di ogni soggetto passivo per ciascuna operazione (imponibile, non

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imponibile o esente) posta in essere e l'obbligo di registrazione contabile alla quale sono tenute le imprese.

4. La dichiarazione tributaria.

La dichiarazione tributaria è un atto fondamentale di collaborazione tra cittadino e Stato e costituisce il perno funzionale di attuazione dei tributi. Si può definire come il luogo in cui è rappresentato il procedimento di auto-liquidazione del tributo ma non mancano i dibattiti dottrinali circa la natura giuridica del documento. Tre sono gli indirizzi dottrinali emersi: una parte della dottrina sostiene che la dichiarazione tributaria rappresenti un mero atto di conoscenza; altra parte della dottrina sostiene, invece, che si tratti di una confessione stragiudiziale; c'è, infine, chi evidenzia il valore negoziale del documento. Al di là dei ragionamenti posti alla base dai singoli orientamenti, vi è un elemento acquisito sul quale la dottrina non ha alcun dubbio: esso riguarda la natura di atto recettizio della dichiarazione tributaria; l'atto, infatti, è efficace soltanto se giunge nella sfera di conoscibilità dell'ufficio tributario destinatario.

La dichiarazione tributaria è un atto complesso ed assolve numerose funzioni tra le quali: informazione, qualificazione, rettifica.

La dichiarazione innanzitutto contiene dati ed elementi relativi al presupposto del tributo ed alla misurazione delle grandezze imponibili, insieme alle informazioni dirette a consentire l'individuazione del contribuente e dell'attività dal medesimo svolta. Sono informazioni che alimentano le banche dati dell'amministrazione e che permettono a quest'ultima di coordinare l'azione di accertamento.

Si parla, poi, di funzione qualificatoria in quanto il contribuente deve indicare nella dichiarazioni i fatti rilevanti ai fini dell'applicazione del

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tributo ed in tal senso deve rappresentare le operazioni attive e passive compiute in quel periodo di imposta. Non si tratta solo di una mera elencazione, avendo il contribuente l'onere di qualificare giuridicamente i fatti.

Ultima funzione svolta dalla dichiarazione è quella, eventuale, di rettifica delle liquidazioni periodiche compiute nell'anno solare con conseguenti versamenti di conguaglio o di somme dovute a credito. Mediante rettifica il contribuente può registrare errori di calcolo ovvero modificare la qualificazione dei fatti storici. Sicuramente la rettifica si impone al contribuente al fine di rappresentare una qualificazione corretta dei propri comportamenti all'amministrazione finanziaria ed evitare, in questa maniera, l'applicazione delle relative sanzioni amministrative previste19.

Con riferimento agli effetti della dichiarazione, si distinguono quelli relativi alla fase di accertamento da quelli relativi alla fase di riscossione.

Quanto ai primi, la dichiarazione, rappresentando la realtà del contribuente, consente all'amministrazione finanziaria di orientare e condizionare le modalità della successiva attività di controllo. Infatti, in caso di omissione della dichiarazione, l'amministrazione finanziaria procede all'accertamento d'ufficio basandolo su elementi comunque raccolti e su presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza. La presentazione di una dichiarazione analitica e completa comporta, invece, in linea di massima, un accertamento di tipo analitico.

Gli effetti prodotti dalla dichiarazione nella fase della riscossione ci interessano particolarmente: essa costituisce, infatti, titolo esecutivo, ponendo le basi per l'azione esecutiva di recupero del credito tributario

19 La sanzione prevista per dichiarazione infedele va dal 100% al 200% della maggiore imposta o della differenza di credito (la sanzione si applica anche se nella dichiarazione sono esposte indebite deduzioni o detrazioni). In presenza di redditi prodotti all'estero, le relative sanzioni sono aumentate di un terzo.

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nell'ipotesi di omesso versamento da parte del contribuente dalle somme dovute all'erario.

5. L'attività istruttoria.

L'attività istruttoria consiste nell'esercizio di poteri autoritativi di tipo istruttorio-conoscitivo dell'amministrazione finanziaria e, talvolta, anche della Guardia di Finanza20 la quale collabora con

l'amministrazione al fine di realizzare la piena attuazione dei tributi. In particolare, si tratta di poteri finalizzati all'acquisizione di dati e documenti presso i contribuenti o presso terzi, allo scopo di controllare i comportamenti fiscali dei soggetti e di esercitare la funzione di accertamento dei tributi, di riscossione e di irrogazione delle sanzioni. Due in particolare sono i fini che persegue la fase istruttoria: da un lato realizzare controlli efficaci e dall'altro determinare il corretto adempimento agli obblighi fiscali della generalità dei contribuenti, talvolta anche con l'uso del potere sanzionatorio.

Il fondamento normativo dei diversi poteri istruttori esercitabili è rinvenibile all'art. 53 Cost.: il dovere di concorrere alle spese pubbliche attraverso il criterio della capacità contributiva comporta necessariamente il riconoscimento in capo all'amministrazione finanziaria e, talvolta, in capo alla Guardia di Finanza del potere di effettuare controlli circa la corretta osservanza degli obblighi tributari.

20 A norma dell'art. 33 del d.p.r. n. 600/1973, anche la Guardia di Finanza è titolare della funzione di indagine, tuttavia soltanto gli uffici dell'amministrazione finanziaria possono esercitare il potere di accertamento dei tributi e di irrogazione delle sanzioni (atti impositivi e sanzionatori).

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5. 1. Il potere di accesso, ispezione e verifica.

La disciplina relativa al potere di accesso, ispezione e verifica è contenuta all'art. 33 del d.p.r. n. 600/1973 il quale al primo comma richiama l'art 52 del d.p.r. n. 633/1972, relativo alla disciplina dell'imposta sul valore aggiunto. Dal combinato disposto delle due norme emerge una disciplina particolarmente dettagliata: si tratta di poteri utilizzati con maggiore frequenza nell'ambito delle verifiche mirate in quanto consentono un controllo sul luogo di realizzazione dei presupposti d'imposta. L'esercizio di tali poteri si realizza, infatti, o presso il domicilio del contribuente oppure presso il luogo in cui lo stesso svolge la propria attività economica. Gli organi preposti al controllo hanno, dunque, la possibilità di entrare e di permanere presso i luoghi appena enunciati, configurandosi così il c.d. potere di accesso, al fine di ricercare e acquisire dati, notizie, elementi contabili, esercitando il c.d. potere di ispezione, ed, infine, di verificare la correttezza della posizione del contribuente, il c.d. potere di verifica.

Il legislatore italiano, al fine di realizzare un contemperamento con il diritto alla riservatezza, prevede che l'ufficio accertatore debba formulare una richiesta scritta, articolata e motivata al Procuratore della Repubblica; quest'ultimo, dopo aver verificato l'esistenza di specifiche esigenze, può rilasciare la propria autorizzazione.

L'accesso presso i locali in cui si svolge l'attività economica richiede semplicemente il possesso dell'autorizzazione rilasciata dal capo ufficio per quanto riguarda i dipendenti dell'amministrazione finanziaria e rilasciata dal comandante di zona per quanto riguarda i soggetti appartenenti al corpo della Guardia di Finanza.

Con riferimento all'accesso presso il locale adibito contestualmente ad abitazione e a luogo di svolgimento dell'attività economica,

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l'autorizzazione deve esser rilasciata dal Procuratore della Repubblica; nel caso, invece, di accesso presso l'abitazione del contribuente, l'autorizzazione è ulteriormente subordinata alla presenza di gravi indizi di violazione e alla strumentalità dell'accesso al reperimento di libri, registri, o altri documenti che attestino le violazioni.

Vi sono, infine, ipotesi in cui è richiesta un'autorizzazione ad hoc, anche questa rilasciata dal Procuratore della Repubblica. Si tratta, in particolare, di tutte quelle ipotesi in cui la verifica avviene presso locali destinati allo svolgimento di attività artistiche e professionali in quanto l'esercizio di tale potere potrebbe comportare la necessità di esaminare documenti o fascicoli o acquisire notizie coperte da segreto professionale. Ulteriore ipotesi si configura, poi, in tutte quelle circostanze nelle quali sorga la necessità di effettuare perquisizioni personali o di aprire plichi, sigilli, corrispondenze, borse, casseforti, mobili o altro.

L'art. 12 dello Statuto del contribuente prevede norme di comportamento che devono essere rispettate al fine di rendere le verifiche meno gravose per le attività economiche svolte dal contribuente. La disposizione, articolata in sette commi, prevede i diritti e le garanzie riconosciute al contribuente in caso di verifiche fiscali. In particolare, l'art. 12 stabilisce che i controlli, salvo casi eccezionali ed urgenti adeguatamente documentati, devono svolgersi durante l'ordinario orario di esercizio delle attività, in modo da arrecare la minore turbativa possibile; l'esame dei documenti può essere effettuato presso l'ufficio dei verificatori. Con riferimento alla permanenza dei soggetti preposti alla verifica, la norma prevede che essi non possano permanere per più di trenta giorni, prorogabili di ulteriori trenta nei casi di indagini particolarmente complesse; la complessità delle indagini deve essere, così, individuata e motivata dal dirigente dell'ufficio accertatore. Gli operatori, decorso tale termine,

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possono tornare presso il luogo verificato una sola volta e al fine di analizzare le osservazioni del contribuente o per altre specifiche ragioni. Questa ulteriore permanenza non può superare i quindici giorni.

La verifica si conclude con la redazione di un processo verbale di constatazione21 rilasciato al contribuente sottoposto a verifiche fiscali;

il contribuente può presentare memorie e documenti, potendo, dunque, attivare una fase di contraddittorio precontenzioso.

5. 2. Le richieste di informazioni.

Nel corso dell'attività istruttoria gli organi accertatori possono usufruire dell'ausilio del contribuente al fine di acquisire elementi utili per l'indagine, esercitando il potere di richiesta di dati e notizie. L'utilizzo di tale potere è a discrezione dell'organo preposto alle verifiche e costituisce un'ipotesi di partecipazione collaborativa del contribuente all'attuazione del tributo. Qualora, però, l'organo procedente ritenga necessaria la richiesta di informazioni, il contribuente sarà obbligato a collaborare in quanto dall'inottemperanza derivano a suo carico conseguenze pregiudizievoli.

La richiesta di informazioni al contribuente si articola in tre poteri: l'invito a comparire per rispondere ad interrogatorio formale, la richiesta di documenti e l'invio del questionario.

Quanto al primo, gli organi investigativi possono richiedere al contribuente di comparire, di persona o per mezzo di rappresentanti,

21 Il p.v.c. è un atto dichiarativo sottoscritto dagli organi investigativi e dal contribuente il quale sintetizza tutte le operazioni svolte, i dati reperiti nel corso della verifica e le dichiarazioni rese dal contribuente e dai terzi. Esso assume valore probatorio in ordine a tutti i fatti emersi e ai documenti reperiti nel corso della verifica, dalla natura endoprocedimentale, dunque, non autonomamente impugnabile dinnanzi alle Commissioni tributarie.

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per rendere interrogatorio formale. L'atto preliminare è costituito dall'invito a comparire il quale deve contenere il motivo specifico della collaborazione. L'atto conclusivo della collaborazione è, invece, rappresentato da un verbale il quale riporta il contenuto dell'interrogatorio formale, sottoscritto anche dal contribuente o dal suo rappresentante. Nei casi in cui rifiuti di sottoscrivere, la parte deve indicarne i motivi22.

La seconda modalità di attuazione della richiesta di informazioni si attua attraverso la richiesta al contribuente di trasmissione di documenti, atti o scritture contabili; l'ufficio può farne copia ovvero trattenere gli originali per un periodo non superiore a sessanta giorni. Infine, terzo potere di cui dispone l'organo procedente è quello di inviare questionari ai contribuenti che hanno l'obbligo di restituirli compilati e sottoscritti. I questionari possono riguardare sia notizie relative al contribuente sia notizie relative a soggetti con cui quest'ultimo ha intrattenuto rapporti.

Rispetto all'esercizio di questi poteri, al contribuente è riconosciuto un termine di almeno quindici giorni entro il quale adempiere; tale termine può essere prorogato, su istanza dell'interessato, per successivi venti giorni.

L'inottemperanza alle richieste di informazioni comporta, come si è detto, conseguenze pregiudizievoli in capo al contribuente: in particolare, sia in sede amministrativa che in sede di contenzioso i dati, i documenti, i registri non prodotti non possono essere utilizzati a favore del contribuente. Tuttavia, il contribuente può ovviare a questo limite attraverso la presentazione dei documenti in allegato all'atto introduttivo al primo grado di giudizio, dimostrando che non ha potuto adempiere tempestivamente agli inviti dell'organo per causa a lui non

22 In genere il rifiuto a sottoscrivere è giustificato dalla circostanza secondo la quale la parte (contribuente o suo rappresentante) ritiene non veritiera la descrizione dello svolgimento dell'interrogatorio formale così come contenuta nel verbale.

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imputabile.

5. 3. I poteri istruttori presso i terzi.

L'organo procedente può esperire i poteri di cui dispone anche nei confronti dei terzi. In particolare, esiste un potere generale di richiesta di informazioni verso tutti i soggetti tenuti alle scritture contabili, con riferimento ai dati relativi ai loro clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo e verso tutti i terzi in generale.

Con riferimento, invece, alle imposte sul reddito e all'IVA, l'amministrazione può richiedere dati e notizie riguardanti soggetti indicati singolarmente oppure soggetti facenti parte di determinate categorie alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, alle società e agli enti di assicurazione. Il potere si può attuare anche mediante l'accesso presso le amministrazioni dello Stato o presso gli enti pubblici non economici; tuttavia, in queste ipotesi è richiesta l'autorizzazione rilasciata dal capo ufficio o dal comandante di zona della Guardia di Finanza.

Vi è, infine, la possibilità di richiedere ai notai, ai procuratori del registro, ai conservatori dei registri immobiliari, agli altri pubblici ufficiali copie o estratti di atti e documenti; medesimo potere è esplicabile nei confronti degli amministratori circa dati e documenti relativi alla gestione del condominio.

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5. 4. Le indagini creditizie e finanziarie.

Al comma 1 dell'art. 32 del d.p.r. n. 600/1973 è disciplinato il potere di richiesta di dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata tra il contribuente e gli istituti di raccolta di risparmio o di investimento.

Per molti anni, in Italia, alla richiesta dell'amministrazione di effettuare indagini si è opposto il segreto bancario: esso era sancito nella legge delega n. 825/1971 la quale ammetteva la possibilità di conoscere i contenuti dei conti bancari del contribuente solo in casi di particolare gravità individuati specificamente. L'autorizzazione doveva essere rilasciata dall'ispettorato compartimentale delle imposte dirette competente per territorio e dal presidente della commissione tributaria di primo grado. A ben vedere, la disciplina prevista per il potere di indagini creditizie e finanziarie risultava molto rigida, venendo di fatto esercitato in rare ipotesi.

Finalmente negli anni '90 si assiste ad un radicale mutamento della disciplina con conseguente abolizione del segreto bancario: oggi la disciplina individua i soggetti nei confronti dei quali è esperibile tale potere, prevedendo una presunzione relativa di ricavi e di prelevamenti23 che rende tale potere particolarmente celere. Sul

meccanismo della presunzione relativa si è pronunciata la Corte costituzionale con sentenza n. 225/200524. In dottrina erano, infatti,

sorti numerosi dubbi circa la legittimità di tale presunzione; tuttavia, la Corte ha messo a tacere ogni perplessità difendendo la legittimità e la coerenza con il sistema.

Quanto ai soggetti, i poteri possono essere esercitati nei confronti di

23 La presunzione si articola nei seguenti termini: i dati e gli elementi relativi ai rapporti e alle operazioni sono posti alla base delle rettifiche se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

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organismi che pongono in essere attività di risparmio e di investimento e dunque non solo le banche ma anche le Poste italiane e gli intermediari finanziari. I soggetti passivi sono naturalmente tutti i contribuenti.

Come dispone l'art. 32 al comma 1, nn. 2 e 6 bis, e l'art 33, comma 2 e 6 del d.p.r. n. 600/1973, le informazioni e i dati acquisiti possono riguardare “qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i clienti ed alle garanzie prestate da terzi”. In altre parole, rientrano tutti i rapporti attivi e passivi che intercorrono tra i contribuenti e gli istituti di credito o di investimento. Quanto all'autorizzazione, questa deve essere rilasciata dal direttore centrale dell'accertamento o dal direttore regionale dell'agenzia delle entrate per i funzionari amministrativi ovvero dal comandante regionale per la Guardia di Finanza.

I poteri si esplicano attraverso la consultazione dell'Anagrafe dei rapporti25, la richiesta di informazioni ai contribuenti o alle banche e

l'accesso presso gli enti finanziari e creditizi.

6. Il garante del contribuente.

Lo Statuto dei diritti del contribuente ha istituito la figura del garante il quale interviene qualora il contribuente ritenga che gli organi procedenti stiano agendo “con modalità non conformi alla legge”. Il Garante interviene richiamando gli uffici al rispetto delle disposizioni di legge ovvero attraverso la richiesta di attivazione del potere di autotutela26 di cui dispone l'amministrazione sugli atti amministrativi

25 In genere la consultazione dell'anagrafe dei rapporti è un'attività realizzata prima dell'attuazione di uno specifico potere di indagine bancaria in quanto consente di avere un'informazione preliminare relativa ai rapporti bancari del contribuente in modo, dunque, da vagliare preventivamente la necessità di esperire poteri istruttori più penetranti.

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adottati. Il potere di autotutela è riferito solo agli atti di accertamento e agli atti di riscossione, tuttavia si ritiene che questo possa essere attivato anche con riferimento ad atti endo-procedimentali (di indagine) che precedono quelli impositivi. Il ricorso al garante non è alternativo rispetto alle altre forme di tutela che il contribuente può esperire; rappresenta, tuttavia, l'unica forma di protezione per quelle violazioni meno gravi commesse nel corso dell'attività istruttoria come, ad esempio, il mancato rispetto degli orari di verifica presso i locali.

7. I metodi di accertamento.

Si distinguono vari metodi di accertamento: controlli semplici, in forma del tutto o quasi del tutto automatizzata e controlli più complessi, i quali si riferiscono a tutti i movimenti in entrata e in uscita del contribuente.

I controlli semplici prendono il nome di controlli formali, disciplinati agli artt. 36-bis e 36-ter del d.p.r. n. 600/1973. Il sistema informatizzato realizza un controllo sulla base dei dati contenuti nella dichiarazione dei redditi ai quali si aggiungono i dati in possesso dell'anagrafe tributaria. Questi tipi di controllo realizzano quella che è definita “la continuità delle dichiarazioni” nel senso che la dichiarazione deve rappresentare la realtà in maniera veritiera e continuata; attraverso questi controlli informatizzati emergono e si eliminano fin da subito eventuali errori commessi. Il contribuente ha, poi, il vantaggio di non subire l'irrogazione delle sanzioni per infedele dichiarazione in quanto i controlli formali definiscono l'errore come un ritardato versamento.

solo a partire dal decreto ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37. Si tratta del potere di modifica o di revoca di un atto della pubblica amministrazione.

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In funzione del comportamento del contribuente si distingue:

• l'accertamento d'ufficio, nell'ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi;

• le attività di controllo strettamente in rettifica, nelle ipotesi in cui il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi. Con riferimento all'omissione di presentazione della dichiarazione e, dunque, nelle ipotesi di accertamento d'ufficio, l'art 41 del d.p.r. n. 600/1973 prevede che “l'amministrazione è autorizzata a determinare il reddito del contribuente sulla base di dati e notizie comunque raccolti o di cui l'amministrazione sia venuta a conoscenza”. Continua, poi, il comma 2, “con la facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al comma 3 dell'art. 38” (gravità, precisione e concordanza). Dunque, l'omessa presentazione della dichiarazione ribalta l'onere probatorio: l'amministrazione non dovrà provare alcunché, limitandosi a ricostruire il reddito. Questo tipo di accertamento può avvenire entro il quinto anno successivo all'omessa dichiarazione27.

Con riferimento, poi, all'accertamento in rettifica si distinguono quattro tipologie: accertamento nei confronti delle persone fisiche, accertamento nei confronti dei soggetti obbligati a tenere le scritture contabili, accertamento in rettifica parziale ed accertamento in rettifica integrativo. L'art. 37 del d.p.r. n. 600/1973 contiene una norma di principio secondo la quale l'amministrazione finanziaria può esaminare e di conseguenza rettificare le dichiarazioni che vengono presentate dal contribuente attraverso le modalità di accertamento enunciate agli articoli successivi. Così l'art. 38 del d.p.r. n. 600/1973 contiene la disciplina delle rettifiche delle dichiarazioni delle persone fisiche e l'art. 39 del d.p.r. n. 600/1973 quella relativa ai redditi determinati in base alle scritture contabili. Quest'ultimi hanno in

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comune una caratteristica: si svolgono per la totalità degli elementi reddituali del soggetto. Un accertamento che potrebbe essere descritto come “definitivo” nel senso che l'amministrazione non tornerà più ad accertare quei redditi relativi a quel periodo di imposta.

Ciò non accade nelle altre due tipologie di accertamenti in rettifica: infatti, l'accertamento in rettifica parziale e l'accertamento in rettifica integrativo si caratterizzano per il fatto che lasciano impregiudicata la possibilità dell'amministrazione di intervenire nei confronti dello stesso contribuente per realizzare un accertamento più approfondito. L'art. 38 disciplina due diverse procedure di rettifica:

• l'accertamento analitico: l'ufficio verifica voce per voce la dichiarazione presentata dal contribuente confrontando i dati riportati con quelli reali. La procedura, dunque, è fondata sull'accertamento di dati certi, riscontrabili dall'amministrazione. In tal senso il comma 1 dell'art. 38 stabilisce che si procede alla rettifica delle dichiarazioni qualora il reddito complessivo dichiarato risulti inferiore a quello effettivo ovvero qualora non sussistano o non spettino le deduzioni dal reddito o le detrazioni d'imposta indicate dal contribuente;

• l'accertamento per presunzioni: il comma 3 dell'art. 38 dispone, infatti, che l'incompletezza, la falsità e l'inesattezza dei dati contenuti nelle dichiarazioni possono essere desunte sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Nella realtà dei fatti i casi di accertamento per presunzioni sono molto rari; all'amministrazione spetta, infatti, il difficile compito di provare tali presunzioni;

• l'amministrazione si avvale, invece, di ulteriori strumenti i quali caratterizzano il c.d. accertamento sintetico: si tratta dello spesometro e del redditometro disciplinati rispettivamente al

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comma 4 e 5 dell'art. 38. In questi tipi di accertamento l'attività dell'amministrazione è agevolata in quanto la legge autorizza a ricavare da una spesa un determinato reddito e questo attraverso dei semplici calcoli matematici. L'onere della prova è ribaltato: il contribuente deve provare che il finanziamento di quella determinata spesa è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta ovvero che si tratta di una spesa finanziata con redditi accumulati nel tempo o, ancora, che gode di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta28; in genere il contribuente sottoposto

a verifica dichiara che si tratta di redditi legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.

L'art. 39 disciplina, invece, le procedure di verifica nei confronti dei soggetti che sono tenuti alle scritture contabili e che, dunque, realizzano o un reddito di impresa o un reddito di lavoro autonomo. Anche in questa norma troviamo una distinzione tra le procedure di rettifica; si tratta di denominazioni diverse ma dal contenuto omologo a quelle enunciate all'art. 38; di conseguenza le modalità di accertamento corrispondono a quelle sopra descritte, adattate alle specificità dei redditi accertati.

8. L'avviso di accertamento.

L'avviso di accertamento rappresenta l'atto conclusivo dell'attività di verifica e controllo effettuata dall'amministrazione. Si tratta, dunque, di un atto molto importante il quale racchiude tutta l'attività accertativa dell'ufficio. La disciplina è contenuta all'art. 42 del d.p.r. n. 600/1973 rubricato appunto “avviso di accertamento”.

28 Si tratta in genere di redditi di capitale o di capitali che vengono sottoposti a tassazione sostitutiva e che, subendo una ritenuta a titolo di imposta, non devono più essere dichiarati.

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Non è possibile dare una definizione dell'atto in maniera univoca ma si possono, però, delineare degli elementi che l'avviso di accertamento deve necessariamente contenere:

• la ricostruzione logica, giuridica e fattuale degli elementi contestati al contribuente;

• la liquidazione dell'imposta per cui l'avviso di accertamento si sostituisce al calcolo matematico reso spontaneamente dal contribuente;

• gli interessi e talvolta anche la sanzione29.

L'art. 7 dello Statuto del contribuente ha, poi, modificato ed integrato la disciplina prevista all'art. 42 del d.p.r. n. 600/1973, prevedendo l'obbligo di motivazione con riferimento a tutti gli atti amministrativi, facendo rientrare in tale categoria anche l'avviso di accertamento: tutti gli atti amministrativi devono essere motivati, ma sicuramente l'avviso di accertamento costituisce l'atto con la motivazione più ampia e complessa in quanto l'organo accertatore deve, ai sensi comma 1 dell'art. 7, indicare innanzitutto i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione. Con “presupposti di fatto” si fa riferimento agli elementi che hanno determinato l'adozione di una determinata modalità di accertamento piuttosto che un'altra mentre con “ragioni giuridiche” si fa riferimento alle risultanze dell'accertamento che hanno condotto l'amministrazione ad adottare quell'atto; dunque, una giustificazione circa i poteri adottati.

Il comma 2 dell'art. 2 contiene un elenco degli elementi che l'atto deve tassativamente indicare:

a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni con

29 Dubbia appare la questione della sanzione inserita nell'avviso di accertamento in quanto il d. lgs. n. 472/1997, relativo alle sanzioni, ha previsto dei procedimenti

ad hoc per l'irrogazione delle stesse. Tuttavia, normalmente, quando si procede

all'accertamento di una maggiore imposta, l'avviso di accertamento contiene anche l'irrogazione della sanzione.

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riferimento all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;

b) l'organo presso il quale è possibile proporre il riesame dell'atto; c) le modalità, il termine e l'organo per ricorrere in caso di atti

impugnabili.

Il difetto o la carenza di motivazione in una realtà motivazionale così complessa è una questione quasi sempre portata avanti dalla difesa del contribuente. A tal proposito, negli anni si è molto discusso circa l'omissione di indicazione delle prove poste a fondamento dell'azione amministrativa: tale circostanza può essere inquadrata come difetto motivazionale? In verità l'apparato probatorio non è parte della motivazione: si tratta, infatti, di due fatti giuridici distinti tra loro per cui l'amministrazione non è obbligata a descrivere le prove di cui dispone.

Un momento fondamentale è certamente rappresentato dalla sottoscrizione dell'atto. Nel diritto tributario vige una disciplina diversa rispetto a quella prevista per gli atti amministrativi in generale: un atto non sottoscritto non è un atto inesistente ma è semplicemente un atto nullo e questo comporta che, se non è fatto valere, il vizio si sana.

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Sezione Seconda

LA FASE DELLA RISCOSSIONE

1. Il nuovo procedimento di riscossione esattoriale.

La prima importante modifica apportata al procedimento di riscossione esattoriale è costituita dall'art. 29 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con legge 20 luglio 2010, n. 122:

“l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”. L'art. 15 del d.p.r. n. 602/1973 dispone che le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi e i relativi interessi, sono iscritti nei ruoli, a titolo provvisorio, dopo la notifica dell’atto di accertamento e per la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati. Dunque, in caso di tempestiva proposizione del ricorso dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale è dovuto un pagamento pari alla metà del debito

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contestato. L'art. 29 del decreto legge n. 78/2010 è stato, poi, modificato ad opera del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, il c.d. decreto sviluppo, il quale, tra le altre cose, ha previsto che l'esecuzione forzata è sospesa per un periodo di centoottanta giorni dall'affidamento in carico degli atti all'agente della riscossione; la sospensione non si applica alle azioni cautelari e conservative. In pratica, l'obbligo di pagare la metà del debito anche nelle ipotesi di proposizione del ricorso giurisdizionale consente all'agente di procedere con la riscossione, salvo poi specificare che l'esecuzione è sospesa. Ai centoottanta giorni di sospensione si sommano ulteriori novanta giorni nei quali l'amministrazione e il contribuente possono procedere alla definizione dei reciproci rapporti attraverso la procedura conciliativa: si tratta del nuovo art. 17-bis introdotto con il comma 9 dell'art. 39 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98.

La disciplina è completata dalla lettera c) dell'art. 29 comma 1 la quale sancisce che in caso di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione delle somme, decorsi sessanta giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento e, dunque, dal momento in cui l'atto diviene esecutivo, la riscossione può essere affidata in carico agli agenti anche prima del decorso dell'ulteriore termine di trenta giorni per l'affidamento nei tempi ordinari. Ciò significa che l'agenzia delle entrate può avviare la fase della riscossione anche quando il termine per il ricorso risulta ancora pendente.

Da ultimo, il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 15930 ha

aggiunto al comma 1, lettera b) dell'art. 29 che “la sospensione non opera in caso di accertamenti definitivi, anche in seguito a giudicato, nonché in caso di recupero di somme derivanti dalla decadenza della rateazione”.

30 Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di

riscossione,in attuazione dell'articolo , comma 1, lettera a), della legge 11 marzo 2014, n. 23.

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A seguito delle numerose modifiche apportate al procedimento di riscossione esattoriale si può concludere che oggi l'avviso di accertamento non si limita a svolgere una funzione impositiva ma svolge anche una funzione esattiva e di precetto, costituendo titolo esecutivo31. La qualifica di titolo esecutivo, tuttavia, non è attribuita in

maniera immediata in quanto è subordinata al decorso del termine di sessanta giorni dalla notifica dell'atto, nonostante questo debba contenere ab origine l'intimazione ad adempiere.

Il ruolo sopravvive come strumento della riscossione per le somme indicate in avvisi di accertamento relativi agli altri tributi indiretti e locali, per le somme dovute in relazione alle procedure di rettifica della dichiarazione di tipo formale (artt. 36-bis e 36-ter del d.p.r. n. 600/1973), per gli atti di recupero delle somme indebitamente rimborsate o per i crediti indebitamente compensati, per le somme dovute a titolo di sanzioni qualora queste non siano direttamente irrogate nell'avviso di accertamento e, infine, per le somme dovute a titolo di tassazione separata.

Con la modifica della disciplina dell'avviso di accertamento si è ridotto il divario tra la fase dell'accertamento e la fase della riscossione: la rubrica dell'art. 29 del decreto legge n. 78/2010 recita, infatti, “concentrazione della riscossione nell'accertamento”.

31 Prima della riforma operata dall'art. 29 del decreto legge n. 78/2010 e successive modifiche la qualifica di titolo esecutivo apparteneva al ruolo mentre

l'intimazione ad adempiere era contenuta nella cartella di pagamento. Si assisteva, in pratica, ad un differimento tra il momento della riscossione e il momento della notifica degli atti impositivi. Tale differimento era previsto per coinvolgere l'esattore il quale anticipava al fisco le somme che quest'ultimo aveva iscritto a ruolo, garantendo allo Stato l'acquisizione immediata dei tributi.

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2. I poteri istruttori di Equitalia S.p.a..

Tradizionalmente l'esercizio dei poteri istruttori è stato limitato alla fase dell'accertamento del tributo al fine di verificare la correttezza del comportamento del contribuente; tuttavia, il crescente fenomeno dell'evasione da riscossione ha spinto il legislatore ad assegnare all'agente della riscossione poteri istruttori tradizionalmente riservati all'ente impositore: l'agente della riscossione può, infatti, individuare i beni del contribuente da aggredire con l'esecuzione forzata e prevenire atti di distrazione del patrimonio.

L'art. 35 del decreto legislativo n. 223/2006 successivamente modificato dal decreto legge n. 262/2006, ha attributo a Equitalia S.p.a. il potere di accesso all'Anagrafe bancaria e finanziaria32. Tale

potere è esercitato da dipendenti appositamente selezionati dall'Agenzia delle entrate e, a tal proposito, il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate33 del 18 dicembre 2006 ha previsto

che la scelta dei dipendenti deputati ad esperire l'accesso debba avvenire sulla base di valutazioni circa la competenza e la professionalità del dipendente; il suddetto deve, inoltre, aver maturato almeno due anni di servizio.

In corrispondenza dell'attribuzione del potere di accesso all'Anagrafe tributaria, l'art. 7, comma 6 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 60534

stabilisce che le banche, le società Poste italiane S.p.a., gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, le società di

32 Si tratta di un'apposita sezione dell'Anagrafe tributaria.

33 L'allora direttore dell'Agenzia delle Entrate è Massimo Romano. Egli è stato chiamato alla guida del dipartimento delle Entrate nel 1996 dall'allora Ministro delle Finanze Vincenzo Visco, per poi essere nominato nel 2001 primo direttore della neonata Agenzia delle Entrate. Nel 2002 Romano è stato sostituito da Raffaele Ferrara, scelto da Tremonti. Romano torna alla guida dell'Agenzia delle Entrate nel 2006 richiamato da Visco dopo la nascita del governo Prodi e nel 2008, con una lettera consegnata al Ministro dell'Economia Giulio Tremonti, si dimette dalla carica di direttore.

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gestione del risparmio e ogni altro operatore finanziario sono tenuti a rilevare i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi tipo di rapporto o effettui, per conto proprio o di terzi, qualsiasi tipo di operazione di natura finanziaria, ad eccezione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo totale inferiore a euro 1.500.

Equitalia S.p.a. ha, inoltre, il potere di accedere a tutti i dati rilevanti in possesso di soggetti sia pubblici che privati, presentando apposita richiesta anche in via telematica e con la facoltà di prenderne visione o di estrarne copia (così come avviene nelle ipotesi in cui il potere è esercitato dall'ente impositore).

Ulteriore potere è riconosciuto nelle ipotesi di morosità nel pagamento di importi superiori a euro 25.000: gli agenti della riscossione, previa autorizzazione del direttore generale, possono svolgere accessi, ispezioni e verifiche, anche con l'ausilio della Guardia di Finanza. L'esercizio di tale potere è subordinato all'acquisizione di tutta la documentazione utile ad individuare i crediti di cui sono titolari i soggetti morosi, che saranno poi pignorati.

L'esercizio dei poteri istruttori dell'agente della riscossione è, tuttavia, sottoposto a un limite: con riferimento al potere di accesso, ispezione e verifica è necessario che sia stata intrapresa la fase della riscossione coattiva, mentre il potere di accesso all'Anagrafe dei conti è legittimo sin dal momento dell'affidamento dell'atto di accertamento esecutivo. L'assegnazione dei poteri istruttori a Equitalia S.p.a. appare ragionevole in considerazione dell'obiettivo che l'ordinamento si pone attraverso le procedure di attuazione del tributo: l'ordinamento, infatti, mira a realizzare l'effettiva partecipazione dei contribuenti alle pubbliche spese attraverso la piena attuazione delle norme tributarie; sarebbe, dunque, irragionevole limitare il riconoscimento dei poteri istruttori ai soli enti impositori.

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3. La discrezionalità nella riscossione dei tributi.

La dottrina prevalente sottolinea che, in genere, l'attività di riscossione non è sottoposta alla riserva di legge ma questo non con riferimento alla pretesa tributaria dal punto di vista qualitativo e quantitativo, piuttosto con riferimento alle modalità con le quali la pretesa è adempiuta: forme e termini per il pagamento possono, infatti, essere stabiliti da organi amministrativi; tuttavia, esistono ipotesi nelle quali la disciplina della riscossione appare idonea ad incidere sulla fattispecie imponibile così da richiedere l'operatività della riserva di legge. In altre parole, le modalità di attuazione del tributo possono incidere sulle finalità perseguite dal legislatore. Ne deriva il principio generale della vincolatezza della riscossione tributaria: la riscossione si attua secondo moduli ed attività predeterminati dal legislatore, non sussistendo la possibilità di deviazione in base ad accordi o forme di autonomia negoziale.

Margini di discrezionalità sono, però, rinvenibili in tutte quelle ipotesi nelle quali l'amministrazione valuta e compara gli interessi in gioco. Infatti, nella fase della riscossione si assiste alla scelta della procedura da applicare e alla scelta delle concrete modalità operative all'interno della medesima tipologia di procedura in quanto gli interessi contrapposti (del contribuente e dell'ente impositore) devono essere contemperati.

La discrezionalità dell'amministrazione è, innanzitutto, attuabile nelle fattispecie in cui è ammissibile la sospensione della riscossione dei tributi: la riscossione, infatti, può essere sospesa per un periodo non superiore a dodici mesi, con decreto del Ministro dell'economia, in situazioni eccezionali che si verificano nello Stato o in singole aree territoriali tali da alterare il rapporto tra fisco e contribuenti.

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richiesta la dilazione di pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili e, in presenza di particolari situazioni, fino a un massimo di centoventi rate. La discrezionalità dell'amministrazione si concretizza con la valutazione dell'esistenza di una temporanea ed obiettiva difficoltà a procedere con il pagamento dell'intero importo; qualora l'importo iscritto a ruolo sia superiore a euro 60.00035 il contribuente deve documentare la situazione

temporanea e obiettiva di difficoltà36.

Infine, va ricordata la discrezionalità di cui l'amministrazione dispone nelle ipotesi di pagamento del debito tributario mediante cessione di beni culturali ex art. 28-bis del d.p.r. n. 602/1973: l'amministrazione finanziaria deve procedere alla verifica preliminare del valore culturale del bene attraverso un'articolata procedura che coinvolge la sovraintendenza alla tutela dei beni culturali e deve comparare l'interesse all'acquisizione del bene con il pagamento in denaro dell'obbligazione.

In definitiva, all'amministrazione sono riconosciuti degli spazi nei quali agire con discrezionalità attraverso la scelta della “strada da percorrere” più efficiente ai fini della piena attuazione delle norme tributarie.

35 La soglia è stata recentemente innalzata grazie alla modifica operata dall'art. 13-bis, comma 1 del decreto legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito con

modificazioni dalla legge 7 agosto 2016, n. 160; la precedente formulazione dell'art. 19 del d.p.r. n. 602/1973 prevedeva una soglia di euro 50.000. 36 L'ufficio che ha applicato la sanzione può eccezionalmente consentire, su

richiesta dell'interessato in condizioni economiche disagiate, il pagamento dilazionato fino a un massimo di trenta rate. La rateizzazione è applicabile anche agli istituti deflattivi del contenzioso tributario tra cui l'accertamento con adesione e la conciliazione.

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CAPITOLO SECONDO

L'ESECUZIONE FORZATA

1. La nozione.

L'esecuzione forzata tributaria è disciplinata dal Capo II del Titolo II del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602: il comma 2 dell'art. 49 immediatamente precisa che “Il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili [...]”; dunque, nel d.p.r. n. 602/1973 sono rinvenibili disposizioni particolari le quali, caratterizzando l'esecuzione forzata tributaria, devono ritenersi derogatorie rispetto alla disciplina ordinaria contenuta agli artt. 474 ss. c.p.c..

Con l'espressione “esecuzione forzata” si fa riferimento alla fase di attuazione del credito tributario la quale si articola in una serie di procedure speciali che sostituiscono l'adempimento del contribuente. Fino al 1988 veniva definita con il termine “esecuzione esattoriale” o “esecuzione mediante ruolo” in quanto il procedimento in esame trae le sue origini delle procedure speciali degli stati preunitari, generalmente condotte dagli esattori; oggi l'espressione è caduta in desuetudine in considerazione delle modifiche normative intervenute

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nel corso degli anni: la figura dell'esattore è scomparsa a partire dal 1988, sostituita prima dal concessionario dei servizi della riscossione e poi, dal 2005, da Equitalia S.p.a. e dagli agenti della riscossione da quest'ultima controllati. Non è nemmeno corretto l'utilizzo dell'espressione “esecuzione mediante ruolo” in quanto la procedura esecutiva può essere esperita per dare attuazione anche ad altri titoli esecutivi, quale ad esempio l'avviso di accertamento esecutivo.

Il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, nel prevedere il giudizio di ottemperanza quale rimedio esclusivo per l'esecuzione delle sentenze favorevoli al contribuente ha, di conseguenza, ristretto il campo di applicazione dell'esecuzione forzata alle sole sentenze favorevoli all'amministrazione finanziaria.

Controversa, tuttavia, è la natura giuridica dell'esecuzione forzata tributaria:

• la dottrina maggioritaria sottolinea la natura amministrativa della procedura in quanto rappresenta la prosecuzione della fase della riscossione dei tributi;

• c'è, poi, chi sostiene ugualmente la natura amministrativa di tutte le procedure espropriative in quanto assenti sono i caratteri della cognizione;

• chi, invece, evidenzia la natura giurisdizionale dell'esecuzione forzata sottolinea che l'effetto satisfattivo derivante dalla procedura, in assenza della collaborazione del debitore o di un terzo, passa sempre attraverso un provvedimento giurisdizionale dalla natura autorizzativa e che, in casi più complessi, può conseguire ad un processo di cognizione piena. Un esempio è rappresentato dagli artt. 72 e 72-bis del d.p.r. n. 602/1973: i commi 2 delle disposizioni prevedono, infatti, che nel caso di inottemperanza all'ordine di pagamento si procede secondo le norme del codice di procedura civile; dunque, l'atto

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di pignoramento verso i terzi è solo apparentemente un atto esecutivo che determina l'attuazione del credito tributario in quanto, in assenza della collaborazione del terzo pignorato, l'agente della riscossione deve procedere mediante procedura espropriativa ordinaria ai sensi dell'art. 543 c.p.c.;

• infine, chi si pone in una posizione intermedia distingue in base alle diverse tipologie di procedure ovvero in base alle diverse fasi che la compongono: l'espropriazione immobiliare avrebbe natura giurisdizionale mentre quella mobiliare natura ibrida così la fase satisfattiva dell'esecuzione avrebbe carattere giurisdizionale mentre quella espropriativa natura amministrativa. Ovviamente, la natura amministrativa ovvero giurisdizionale dell'esecuzione forzata non è priva di conseguenze: sostenere, infatti, la natura giurisdizionale significa applicare i principi processuali anche all'esecuzione forzata tributaria con la conseguenza che sarebbero illegittime eventuali disparità di trattamento tra le parti ovvero eventuali forme di tutela divergenti rispetto alla situazione giuridica da tutelare o, addirittura, eventuali vuoti di tutela.

Anche nell'esecuzione forzata tributaria sono previste le tre forme di espropriazione mobiliare, prezzo terzi e immobiliare previste nel codice di procedura civile; esse sono rispettivamente disciplinate dagli artt. 62 e ss., 72 e ss. e 76 e ss. del d.p.r. n. 602/1973. La disciplina delle singole procedure espropriative è preceduta da principi generali, in particolare:

• l'esecuzione forzata tributaria può essere avviata anche nei confronti di un debitore che sta subendo una procedura ordinaria iniziata da un creditore privato, potendo, l'agente della riscossione surrogarsi al creditore procedente instaurando l'esecuzione speciale in luogo di quella ordinaria (art. 51);

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• la vendita dei beni espropriati avviene sempre mediante incanto e, a differenza della procedura ordinaria, non deve essere autorizzata dal giudice (art. 52);

• il pignoramento perde efficacia decorsi duecento giorni senza che venga effettuato il primo incanto (art. 53);

• i creditori privati possono intervenire nella procedura speciale mediante istanza redatta ai sensi dell'art 499 c.p.c. e indirizzata all'agente della riscossione (art. 54);

• l'agente della riscossione non può mai chiedere l'assegnazione dei beni pignorati né può esserne custode (art. 55);

• entro dieci giorni dalla vendita si attua il primo contatto con il giudice dell'esecuzione: l'agente della riscossione deve depositare in cancelleria gli atti del procedimento di espropriazione e il prezzo affinché il giudice possa rilasciare l'autorizzazione a trattenere l'ammontare corrispondente al credito per il quale si procede (art. 56).

Se il contribuente non versa il quantum richiesto con la cartella di pagamento entro sessanta giorni dalla notifica, l'agente della riscossione avvia, munito di titolo esecutivo, la fase dell'esecuzione forzata.

2. Il titolo esecutivo.

L'esecuzione forzata presuppone l'esistenza di un titolo esecutivo il quale indica con precisione le obbligazioni da adempiere.

Anche nell'esecuzione forzata tributaria vige il principio nulla executio sine titulo, sancito dall'art. 474 c.p.c.: il titolo esecutivo è condizione necessaria e sufficiente per procedere all'esecuzione forzata; in presenza del titolo esecutivo il legislatore presuppone,

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