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BRAND LOCALI VS BRAND GLOBALI/INTERNAZIONALI

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Academic year: 2021

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BRAND LOCALI VS BRAND GLOBALI/INTERNAZIONALI

Il dibattito sulla dominanza della cultura globale del consumo (GCC) su quelle locali (LCC) continua tra i ricercatori di marketing da ormai più di trent’anni. I sostenitori della GCC affermano, che le nazioni si integrano nell’economia mondiale in una maniera sempre più accentuata, contribuendo al turismo e alla mobilità lavorativa internazionale, e che i mass media nazionali diventano sempre più accessibili ai membri delle altre culture grazie soprattutto a Internet. La possibilità di confrontarsi con le altre culture comporta l’omogeneità dei bisogni e, quindi, l’omogeneizzazione della domanda globale. In questa maniera il mondo diventa un unico spazio di riferimento per ciascuno. I sostenitori delle LCC asseriscono, che le LCC resistono alle forze globali e, anzi, in un modo sorprendente le trasformano in una fonte vitale per la propria sopravvivenza, dando luogo all’eterogeneità della domanda globale. Durante la sua espansione in Cina, Cadbury ha dovuto radicalmente modificare i prodotti, i loro nomi, i processi produttivi per adattarli ai bisogni locali testimoniando la resistenza delle LCC. Vi sono, poi, i sostenitori della “glocalizzazione”, cioè di un mix tra l’omogeneità e l’eterogeneità, tra il globale e il locale, che produce le conseguenze uniche ed originali nelle varie aree geografiche – culture glocali del consumo (GLCC) – e può creare le identità differenti [Merz 2008].

La cultura del consumo unisce due sistemi dei significati: funzionale e simbolico. Il sistema funzionale dei significati si riferisce alla parte “visibile” della cultura, costituita dalla tecnologia e rivolta verso la soddisfazione dei bisogni utilitari degli individui. Il sistema simbolico dei significati si riferisce alla dimensione “invisibile” della cultura, che include simboli e norme e riguarda la soddisfazione dei bisogni simbolici. I significati funzionali dei prodotti si sottopongono meglio alla globalizzazione rispetto ai significati simbolici. La propensione alla globalizzazione dei significati simbolici dipende molto dal livello, a cui si riferisce la categoria del prodotto: il livello sovraordinato, basilare o subordinato. Con più probabilità, i significati simbolici dei prodotti propendono alla globalizzazione al livello sovraordinato, alla glocalizzazione al livello basilare e alla localizzazione al livello subordinato [Merz 2008].

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questa categoria di prodotto è interpretato nella stessa maniera in diversi parti del mondo, che si tratti di livello sovraordinato (bevande analcoliche), basilare (Carbonated Soft Drinks) o subordinato (kvas), cioè dissetarsi con una bevanda fresca e gustosa. Al livello sovraordinato il significato simbolico della categoria “bevande analcoliche” può essere evocato dalle immagini pubblicitarie molto simili da paese a paese. Ad esempio, nella pubblicità televisiva una bevanda analcolica spesso viene presentata in una bottiglia gelida o dentro un bicchiere che si appanna dal ghiaccio, con il suono e il gioco delle bollicine, fresca e colorata – come se tutta la sua parvenza pronunciasse “bevimi”. Al livello basilare i significati simbolici tendono alla glocalizzazione, mentre al livello subordinato supportano culture locali del consumo. Ad esempio, in Romania, per avvicinarsi ai gusti locali legati agli schemi culturali tradizionali, la compagnia Coca-Cola ha introdotto il brand Fanta Shokata, prendendo spunto da una bevanda analcolica locale a base di bacche di sambuco – socată (glocal

strategies). In Russia la compagnia PepsiCo ha arricchito il proprio portfolio di brand

con il kvas “Russky Dar” riconoscendo importante valore simbolico di questa bevanda nella mentalità dei russi (local strategies).

Tuttavia alcuni brand locali (Camper, Occitane) hanno avuto il successo globale proprio in merito alla cultura e ai valori locali in essi incarnati, dimostrando l’esistenza della possibilità di un’espansione globale di una cultura locale – locbal strategies [Dalli 2012], [Visconti 2010].

In base al presupposto che i bisogni degli individui intorno al globo tendono ad essere omogenei, le pratiche di marketing possono essere trasferite da un paese all’altro, attribuendo ai brand globali (GB) un vantaggio nella loro competizione contro i brand locali (LB). Nella letteratura sono individuate cinque caratteristiche dei GB che segnalano la loro brand position: 1) ampia disponibilità, ricchezza geografica e riconoscimento, 2) aspirazione al raggiungimento degli obiettivi, eccitazione e felicità, 3) uniformità e standardizzazione, 4) responsabilità etica e ambientale, 5) convenienza e basso rischio d’acquisto [Özsomer 2012].

I GB godono di un’elevata credibilità grazie alla coerenza degli elementi del marketing mix nel tempo e nei vari mercati geografici, e grazie ai notevoli investimenti indirizzati dalle compagnie multinazionali a sostegno delle promesse

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fornite ai consumatori riguardo ai loro brand. Così la credibilità dei GB riduce il costo dell’informazione ed il rischio percepito legati al processo d’acquisto. La dimensione globale stessa dei brand influisce positivamente sulla credibilità, creando la percezione che un determinato prodotto è globalmente disponibile, desiderato e ricercato dai consumatori di tutto il mondo ed offrendo un’opportunità di partecipare all’ambita cultura globale del consumo. La “globalità”, come anche l’autenticità, crea positive associazioni con la qualità percepita, il prestigio e la responsabilità sociale, le caratteristiche che in maggior misura spiegano le preferenze per i GB.

Altresì il capitale culturale e l’autenticità dei GB (iconica o esistenziale) aiutano ad accrescere la loro credibilità. I GB ricchi di mitologie, nella creazione delle quali sono coinvolti contemporaneamente le compagnie multinazionali, i media e le comunità dei consumatori, dispongono dei significati simbolici che possono essere appropriati dagli individui per costruire la propria identità individuale, collettiva e/o globale (ad es. Apple).

La credibilità incide sulla percezione di un elevato prezzo relativo dei GB e sulle suddette associazioni – la qualità percepita, il prestigio e la responsabilità sociale. Tutte e quattro le associazioni hanno un’influenza positiva sull’atteggiamento verso i GB, che a sua volta favorisce la probabilità d’acquisto dei GB (tuttavia la percezione di un prezzo relativo premium ha un effetto moderante sulla probabilità d’acquisto) [Özsomer 2008].

Guidate da un’elevata accettazione ed una notevole stima da parte dei consumatori nei confronti dei loro GB, alcune compagnie multinazionali, come Unilever, Procter & Gamble, Heinz, hanno deciso di snellire i portfolio dei brand eliminando molti dei LB e tenendo i GB più importanti, allo scopo di concentrare le risorse sul considerevole potenziale di quest’ultimi. Affermatisi nella moltitudine degli stati con il mercato maturo, i GB mirano ora a conquistare i paesi emergenti, in vista della crescita che dovrà avvenire nel prossimo decennio nelle loro economie [Özsomer 2012].

Opportunamente i consumatori dei paesi emergenti appaiono ricettivi nei confronti dei GB aspirando ad essere integrati nell’eminente comunità globale. In riferimento al ANMM, la presenza sul mercato di un GB richiama alla mente le

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associazioni con un’alternativa locale della stessa categoria di prodotto. Mettendoli a confronto, il GB in un mercato emergente spesso si rivela superiore alla sua controparte locale, così le attitudini positive dei consumatori verso i GB comportano il declassamento dei propri LB.

Creando le associazioni di essere moderni, cosmopoliti e tecnologici e di conferire status ai loro possessori, i GB hanno una consistente rilevanza soprattutto nell’ambito dei beni di alta visibilità pubblica. Ad essere particolarmente attratti dai GB sono i consumatori giovani, che sembrano più desiderosi ad acquisire e dimostrare la partecipazione nella cultura globale del consumo [Özsomer 2012].

I GB sono carichi di significati ideologici ed appaiono allettanti per quei consumatori dei paesi emergenti che sono affascinati dall’Occidente. Ad esempio, alcuni consumatori cinesi considerano l’Occidente un liberatore e i brand occidentali uno strumento di democratizzazione, per merito della narrativa propagata durante il governo di Deng Xiaoping e la sua riforma economica (gaige kaifang). La riforma aveva portato alla Cina un frenetico sviluppo economico e una relativa prosperità materiale, e i brand stranieri, assenti dal 1949 ovvero dall’esordio del governo comunista, sono ritornati sul mercato cinese. La narrativa era condita con affermazioni di Deng Xiaoping “diventare ricco è glorioso” oppure con promesse di permettere a “una parte della popolazione di diventare ricca per prima” e stabiliva “l’affluenza moderata” come obiettivo per le masse. Nelle fantasie dei rispondenti i brand occidentali appaiono come precettori che emancipano i cinesi, insegnandoli le nuove pratiche e i nuovi modi di pensare. Per gli altri, i brand occidentali, in particolare i brand dei servizi Internet, sono “agenti di democrazia” che mediano la libertà di opinioni e l’accesso alle nuove esperienze. Per gli altri ancora, i brand occidentali offrono la possibilità di affermarsi individualmente ed avvicinarsi allo status sociale più desiderabile. Le altre fantasie riguardano le relazioni idealistiche tra Occidente e Oriente, in cui l’Occidente si schiera come partner dell’Oriente offrendo le tecnologie avanzate e portando la Cina all’apice dello sviluppo economico, e i produttori cinesi si dimostrano abili a conservare la cultura tradizionale adattandosi alla globalizzazione in modo virtuoso [Dong 2009].

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confronti dei GB da parte di alcuni gruppi dei consumatori motivati anch’essi ideologicamente. Ad esempio, l’ideologia religiosa influenza l’atteggiamento dei consumatori musulmani con un basso capitale economico e culturale. Lo studio delle modalità, con cui l’ideologia religiosa dell’Islamismo condiziona le pratiche del consumo, è stato condotto in Turchia. Questo paese è stato scelto per l’indagine non a caso: esso rappresenta una combinazione particolare di uno stato laico, orientato allo sviluppo economico ed etico alla maniera occidentale, ma con la religione prevalente dell’Islam. Lo studio ha rivelato tre ragionamenti che raffigurano i GB come gli infedeli contro i quali i consumatori hanno dichiarato jihad. I ragionamenti evocano i miti dell’Epoca d’oro islamica e dell’Impero Ottomano, con riferimento ai quali i rispondenti sognano di ricostruire un futuro più desiderabile [Izberk-Bilgin 2012].

1 ) Il primo ragionamento è quello della modestia, un comportamento che prevede la temperanza nel consumare, la compostezza di vita e del vestire, la rinuncia all’accumulo dei beni materiali. I rispondenti parlano del loro distacco dai beni materiali per concentrarsi sul raffinamento spirituale e sul miglioramento del proprio mondo interno: chi ha regalato la TV ad altri, chi evita proprio la pratica dello shopping. I rispondenti criticano quei musulmani che sfoggiano i loro Rolex, Jeep e Tommy Hilfiger, in quanto tale comportamento della classe medio - alta scatena l’invidia da parte delle classi inferiori. L’invidia provoca l’augurar male ad altri fratelli e sorelle; il risultato spiacevole sta nel fatto che queste emozioni contribuiscono a indebolire e a dividere la comunità musulmana. Gli intervistati sono convinti, che la modestia nel consumare dovrebbe essere lo sforzo di tutti per mantenere la solidarietà dei musulmani e l’unione della loro comunità nel mondo, ed evocano la condotta esemplare di Maometto che condivideva tutto ciò che aveva con i poveri. Un’altro mito, quello del Mercato di Medina, rafforza l’aspirazione all’uguaglianza: si tratta di mercato solidale esentasse fondato da Maometto dove, per permettere l’esposizione della merce a tutti i mercanti, era proibito avere un posto permanente e, per non ostacolare l’altrui visibilità, era vietato mettere i tendaggi. Secondo i rispondenti, per arrivare all’uguaglianza esistita durante l’Epoca d’oro islamica, lo scopo di tutti i credenti dovrebbe essere quello di praticare la modestia.

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2 ) Il secondo ragionamento riguarda halal-haram, ovvero le norme relativi a ciò che è permesso e ciò che è proibito (ad esempio, il divieto di mangiare il maiale e di bere gli alcolici è haram). In questo ragionamento l’accento è posto sulle donne enfatizzando il contrasto di due punti di vista sulla femminilità. Mentre il governo laico promuove l’integrazione delle donne nei vari contesti professionali e sociali, a partire dal divieto del velo islamico nella sfera pubblica, della riforma kemalista, e i mass media laici abbondano di immagini di donne indipendenti e sicure di sé, la visione degli islamisti sul ruolo delle donne nella società è limitata a quella della madre e della moglie. I rispondenti ritengono che i brand dei cosmetici, come Lancôme, Max Factor e L’Oréal, sono haram, perché le modelle nelle pubblicità appaiono troppo svestite e seducenti, contribuendo così alla mercificazione del corpo femminile. Per i rispondenti, tutti i brand che possano allontanare le donne dal compito affidatole da Allah, sono haram. Le intervistate giudicano il brand Barbie per la eccessiva sensualità e per la povertà del ruolo femminile, essendo esplicito che Barbie non ha genitori né figli, ed esaltano Elif, la bambola bebè che piange, canta inni e pronuncia i versi del Corano, insomma prepara le bambine al ruolo delle future madri musulmane. L’industria halal ha creato degli sostituti anche alla Monopoli, Disney, Coca-Cola e molti altri brand infedeli permettendo ai credenti dediti alla ricerca della moralità perduta dell’Epoca d’oro, di eludere i costumi empi e gli stili di vita viziosi incarnati nei GB.

3 ) Il terzo ragionamento nella parabola dei brand infedeli attiene alla tirannia che, secondo i rispondenti, viene esercitata sugli islamisti da parte dell’America e, più in generale, dell’Occidente. La memoria culturale dei musulmani nasconde il risentimento nei confronti degli occidentali nato nel passato coloniale ed alimentato successivamente durante il tentativo di modernizzazione postcoloniale e nel corso dei conflitti arabo-israeliani. Il passaggio della Turchia all’economia di mercato negli anni Ottanta ha portato, oltre ai benefici per tutto il paese, sfortunatamente anche disagi a molte persone trovatesi impreparate ai cambiamenti, vivacizzando ulteriormente questo risentimento. Sentendosi vittime sotto l’oppressione dell’Occidente, gli intervistati sono convinti che comprare i GB

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significa finanziare le armi rivolte contro i popoli islamici. I rispondenti sostengono che le MNC sovvenzionano il governo americano con i profitti ricavati dalle vendite dei loro prodotti nel mondo, compresi i paesi islamici, perciò il dovere dei musulmani dovrebbe essere quello di non comprare mai i GB, poiché essi sfociano in sangue dei fratelli e delle sorelle. Così, secondo i rispondenti, le MNC americane hanno fornito il denaro per la guerra in Iraq e ora aiutano gli israeliani a uccidere i palestinesi. Gli opinionisti islamici hanno elaborato una lunga lista di GB/MNC da boicottare, ma la cosa più interessante è che in questa lista rientrano anche alcune MNC turche che si sono dimostrate sostenitrici dell’ideologia laica. In questi casi gli intervistati sembrano preferire i GB ai LB laici dimostrando un comportamento talvolta contraddittorio. Boicottando i prodotti della lista nera, gli islamisti aspirano a sopprimere la tirannia che, secondo loro, subiscono da due secoli e di ripristinare la giustizia, con la persistente evocazione del mito di Maometto che aveva sofferto persecuzione e, al progredire della storia, era diventato un eroe [Izberk-Bilgin 2012].

Quest’ultimo ragionamento riecheggia con la percezione di alcuni consumatori cinesi di essere oppressi dall’Occidente e dominati dai brand occidentali. Il consumo di questi brand è visto come una minaccia alla preservazione della cultura tradizionale cinese, la cui scomparsa potrebbe portare alla perdita dell’identità nazionale. Tali preoccupazioni sono diffuse tra gli appartenenti alla quarta generazione cresciuta negli anni 80-90, il periodo di gaige kaifang, e sono frutto della narrativa di vittimizzazione disseminata dalla campagna educativa degli anni Novanta sul patriottismo. Durante la campagna il Partito Comunista Cinese aveva usato i discorsi sulla tradizione comune per fomentare i valori patriottici. Sotto una prospettiva militare il consumo dei brand occidentali è visto come un rischio di distruzione del popolo cinese ed a livello individuale è considerato come il pericolo di perdere la faccia e quindi la stima sociale. In questa ottica i rispondenti rivelano un sospetto riguardo alla gaige kaifang ritenendola ambigua, individualista e capace di apportare trasformazioni indesiderate e potenzialmente dannose. Queste opinioni sono influenzate da alcuni eventi spiacevoli nella politica internazionale, come il bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado nel 1999 da parte della NATO, lo scontro tra un aereo spia americano e un

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jet cinese nel 2001, la vendita delle armi americane a Taiwan e a. Un’altra corrente di pensiero dei consumatori cinesi rivolta contro i brand occidentali, si esprime attraverso la fantasia di vedere l’Occidente soggiogato e i brand occidentali espugnati, assoggettati dai brand nazionali, in segno di redenzione dei cinesi. La memoria culturale lega la storia di due guerre sino-giapponesi e il ricordo di opposizione americana all’ingresso della Cina nell’ONU, all’umiliazione sentita dal popolo cinese a causa dei prezzi troppo elevati per le tasche della massa praticati dalle corporazioni occidentali. Per alcuni, l’arretratezza economica e tecnologica associata alla Cina è dovuta ad una lunga storia di dominio occidentale di cui, secondo i cinesi, fa’ parte anche il Giappone, cambiando l’interpretazione di “arretrati/sconfitti” in “arretrati perché sconfitti”. Qualcuno di rispondenti si è lamentato che alcuni brand occidentali venduti in Cina erano di qualità inferiore di quelli venduti nell’Occidente. Questi ragionamenti spingono i rispondenti a desiderare che un giorno i brand cinesi saranno ricercati dai consumatori per la loro superiorità [Dong 2009].

Riflettendo sui movimenti che sostengono l’antiglobalizzazione o sui boicottaggi scatenati a causa delle varie condotte immorali delle MNC, si avverte la necessità di un’efficace revisione delle pratiche di branding basate sulla disciplina del marketing internazionale. Il marketing internazionale fornisce i suggerimenti ai manager per come sfruttare le opportunità del mercato, ma appare sprovveduto di fronte ai fenomeni come le tendenze anticonsumistiche, la nascita dei brand con un forte connotato ideologico come Mecca Cola e Qibla Cola, il sorgere dei movimenti che promuovono il commercio equo oppure dei gruppi che rifiutano i prodotti delle fabbriche-sfruttatrici o i prodotti a base degli GMO e a. Invece di ignorarle, queste manifestazioni andrebbero capite, e allora si potrebbe scoprire che non tutte loro si oppongono al marketing o al branding. Esse indicano le vie del posizionamento diverse da quelle classiche del marketing internazionale basate sulla qualità e prezzo: un posizionamento etico anti-MNC nell’ottica dell’antiglobalizzazione [Cayla 2008 a]. Secondo la disciplina del marketing internazionale, il branding rappresenta le tecniche universali che possono essere applicate in qualsiasi contesto di qualunque territorio geografico. Facendo parte dell’immaginario di marketing del mondo occidentale che predilige l’individualismo, non sempre però queste tecniche si

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adeguano perfettamente alle varie circostanze culturali del resto del globo.

Le affermazioni su una presunta inferiorità dei brand asiatici a causa di un loro mancato legame emotivo con i consumatori, sono state spesso pronunciate dalla parte di chi pratica il marketing internazionale. Tuttavia in un mercato pieno di merci contraffatte, come ad esempio quello cinese, nella pubblicità di un prodotto può avere senso sottolineare la sicurezza e l’autenticità. I cinesi hanno molta fiducia nei Haier e Lenovo, perché le dimensioni e la reputazione di questi conglomerati trasmettono la sensazione di sicurezza dei loro prodotti.

Con una simile disattenzione, alcuni sostenitori del marketing internazionale hanno asserito, che nell’Unione Sovietica i brand non esistevano prima del crollo del comunismo. È vero, che i prodotti forniti dallo Stato non erano destinati a soddisfare i desideri individuali nel senso, in cui ciò è inteso nelle culture occidentali. Tuttavia i prodotti, comunque contrassegnati con marchi originari, servivano l’obiettivo dello Stato di riordinare la vita quotidiana e di creare una nuova “persona sovietica”.

Le differenti configurazioni istituzionali e sociali dei vari paesi generano i diversi significati di ciò che costituisce un potente brand e i diversi modelli del suo sviluppo, facendo emergere in tal modo le differenti culture di brand. Da qui nasce l’esigenza di un approccio culturale al branding, che prende in considerazione le differenze contestuali, storiche e culturali dei paesi, nei quali si vuole introdurre o far evolvere un brand. L’analisi di queste differenze dovrebbe andare oltre il “nazionalismo metodologico”, la cui prassi è quella di prendere le nazioni come unità di studio predefinite. La contrapposizione delle nazioni al contesto globale dovrebbe arricchirsi con un’analisi della combinazione delle differenti unità geografiche: località, città, regioni ecc. Questa necessità si spiega con la crescente osmosi culturale, migrazione, rinascita del regionalismo e politiche dell’identità etnica, sia nei paesi industrializzati che nei paesi in via di sviluppo [Cayla 2008 a].

La cultura deve essere un fattore endogeno alle pratiche di branding. Questo significa che un brand non deve essere soggetto all’adattamento ad una determinata cultura, ma deve assorbire tale cultura durante il processo della sua creazione/evoluzione. In questo senso il brand diventa una forma culturale affine alle canzoni, film, leggende, fiabe, giochi, cioè tutto quello che aiuta agli individui a capire

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ed organizzare il mondo. L’approccio culturale al branding prevede l’esame delle narrative e dei significati dei brand generati da un network dei partecipanti alla cultura del consumo (consumatori, manager, personaggi influenti) provenienti dai vari contesti culturali. L’orientamento policentrico basato su una molteplicità delle fonti, da cui trarre i significati dei brand, deve essere affiancato ad una prospettiva mitica o simbolica, in modo da poter costruire i brand capaci di risuonare con i vari gruppi dei consumatori.

Un esempio calzante di tale approccio potrebbe essere quello di alcuni brand est-asiatici, la cui creazione è slegata da ogni riferimento generale ad una particolare nazione o un paese, per poter forgiare una comunità immaginaria transnazionale, capace di unire la gente nella regione così divisa e poliedrica, come Asia. Le tensioni tra le varie comunità etniche, come l’ostilità dei consumatori anziani cinesi verso i prodotti giapponesi, legata alla brutale storia del colonialismo in Cina, oppure i risentimenti nei confronti della benestante minoranza cinese in Filippine, Malaysia e Indonesia, vengono attenuate dal crescente traffico dei prodotti culturali tra i paesi (film, programmi televisivi, musica). Negli scambi economici, un ruolo simile è svolto dalla circolazione dei brand posizionati come Asiatici, sottolineata la loro appartenenza alla regione e non ad uno specifico paese. I manager partecipano in un processo di ridefinizione e di rimappatura dell’Asia scegliendo cosa omettere e cosa includere nelle strategie di marketing dei loro brand. Tre tattiche assecondano lo sviluppo dei brand Asiatici:

1 ) La sincronicità e la costruzione della prossimità culturale: l’identità Asiatica viene creata ricorrendo alla contemporanea esperienza della globalizzazione nei paesi asiatici e alla prospettiva di un loro brillante futuro. Ad esempio, il brand della birra singaporiana Tiger annuncia nelle sue campagne pubblicitarie il vero momento dell’Asia, il passaggio congiunto degli asiatici verso un simile tipo di modernità, il loro percorso nell’acquisire fiducia in sé stessi, il percorso, che assomiglia all’evoluzione dell’Asia come regione.

2 ) La deterritorializzazione e lo stacco dei brand dagli specifici luoghi. Ad esempio, la prima parte della pubblicità “The Quest” del brand Tiger raffigura un ambiente storico dell’Asia, i guerrieri, una principessa catturata e l’eroe che tenta di

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combattere il condottiero malvagio per salvarla, ma non vi è alcun indizio sulla località, luogo o territorio del Singapore, in cui la pubblicità è ambientata. L’unico riferimento territoriale si trova nella seconda parte della pubblicità: si tratta di New York moderno, dove gli stessi protagonisti si scontrano per un taxi e la stessa donna attende il vincitore al bar per una birra. Nascondendo le loro origini nazionali, i brand Asiatici si disfanno di ogni tipo di associazione territoriale e, per diventare l’elemento centrale della comunità immaginaria transnazionale, ricorrono alle immagini urbane, come quello di New York. La creazione dello spazio immaginario riproduce gli aspetti centrali dell’immaginazione di molti asiatici e l’esperienza di un crescente numero di coloro, che si trasferiscono dalle aree rurali nelle megacittà, come Hong Kong, Shanghai, Singapore, alla ricerca del lavoro. Queste megacittà rappresentano i luoghi di maggiore affluenza di capitali ed informazioni con un rilevante flusso culturale proveniente dalle diverse realtà regionali, contribuendo all’aspetto transnazionale della comunità immaginaria.

3 ) Il collage multiculturale e la composizione a mosaico della cultura asiatica: i brand Asiatici vengono costruiti con la combinazione degli elementi culturali di molteplici origini. Un ottimo esempio di questa tecnica è rappresentato dal brand del portale online di viaggi Zuji, sviluppato dal consorzio di 15 maggiori linee aeree asiatiche insieme a Travelocity. Il logo del brand unisce i simboli tratti da diverse culture asiatiche: il nome deriva dal mandarino e significa “impronta”; il verde e il blu della fascia sopra la “j” rappresentano la tipica gamma di colori tailandese; la fascia è distaccata dalla lettera per evitare la violazione dei dettami della pratica cinese feng shui; lo stile calligrafico scelto per il logo è comune ai molti paesi dell’est asiatico; infine, lo slogan “Il tuo guru di viaggi”, molto probabilmente associato con l’India, incarna il concetto dell’insegnamento individuale diffuso nell’Asia del Sud-Est. Il mosaico multiculturale rende il brand fresco, innovativo e moderno, adatto al target della cosmopolita ed affluente gioventù asiatica, desiderosa di esplorare differenti paesi e culture [Cayla 2008 b].

La prospettiva Mediterranea del marketing basata sul concetto di moderazione fornisce altri esempi dell’approccio culturale al branding. Il brand delle calzature Camper, proveniente dalla isola Maiorca, in Spagna, ha saputo valorizzare il suo

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carattere locale presentandosi come “piccolo”, amichevole ed autentico, in opposizione ai giganti possenti tipo Nike. Questo posizionamento si immedesima nella mitologia di David e Golia e replica la contrapposizione del “debole” Sud al “potente” Nord. Camper incarna tradizionali valori rurali – austerità, semplicità, onestà, ironia – e li reinterpreta in un’ottica postmoderna, cioè considerando la tradizione non come un obsoleto e ottuso modo di vivere, ma come una risorsa per migliorare la propria vita in mezzo alle problematiche e difficoltà del mondo moderno. L’utilizzo delle materie prime “povere”, come gomma, iuta, feltro, fibre di noce di cocco, e il design semplice che prevede la riduzione dei materiali e delle fasi del processo produttivo, reinterpretano l’austerità rurale con le sue pratiche di riparazione, riuso e riciclo. Con questa filosofia Camper si oppone agli eccessi del capitalismo e agli stereotipi creati dalla modernità e dalla globalizzazione. L’impegno etico e ideologico del brand emerge anche nel suo approccio con i consumatori; uno degli slogan del Camper proclama: “No los compres, si no los necesitas!” (“Non le comprare, se non ne hai bisogno!”) [Dalli 2012].

Camper è profondamente radicato nello “spirito mediterraneo”, lo spirito che libera la creatività, la fantasia e l’immaginazione, che incoraggia la tolleranza e l’apertura verso gli altri. Questi valori rappresentano un particolare tipo di ricchezza, vigorosa e capace di rimpiazzare le associazioni negative/restrittive, spesso ascritte alle regioni del Mediterraneo (arretratezza, organizzazioni criminali, povertà / paradiso ideale per i turisti). Camper è orgoglioso di rappresentare questa ricchezza esclusiva, insieme ad un altro elemento inscindibile dello spirito mediterraneo – la lentezza. La lentezza asseconda il piacere di godersi il momento, di riflettere, di ritrovare sé stesso e di riacquisire il legame con la natura. Contrapponendo la lentezza alle virtù moderne della velocità e della razionalità, in corrispondenza al contrasto tra la pratica di jogging e quella di running, Camper invita a riscoprire il piacere di camminare con la campagna pubblicitaria “The Walking Society” e con lo slogan “Walk, don’t run!”.

Lo spirito mediterraneo e i valori rurali rappresentano una filosofia valida non solo per le regioni del Mediterraneo. È un modo di pensare che può essere appropriato dagli individui provenienti da qualunque parte del globo con le derivanti diversità sociali, culturali, economiche e geografiche. I consumatori in cerca di evadere dagli

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ossessionanti ed importuni preconcetti della modernità possono ritrovarsi nel “mondo Mediterraneo”: “The Med is the Net!”.

Per Camper, il concetto “camminare” si estende a quello di “viaggiare” e, dopo di aver girato i paesi del Mediterraneo raccontandolo nelle sue campagne pubblicitarie, Camper ha iniziato a muoversi verso l’Asia (India e Cina). L’iniziale contrapposizione tra il Sud e il Nord si è ampliata con l’inclusione degli alleati: da una parte, il debole ed arretrato Sud-Est, dall’altra, il forte Nord-Ovest, inghiottito dal progresso e l’innovazione. L’ultima tappa era quella dell’America del Sud, allo scopo di attribuire al brand uno status internazionale arricchendo i valori mediterranei con il mix multiculturale della città di San Paolo [Dalli 2012].

Un altro brand permeato di “Mediterraneità” è Occitane, il brand provenzale degli articoli per la cura personale. Il brand prende le origini da un territorio soprannazionale – l’Occitania – che abbraccia il sud della Francia, il Monaco, una parte del Nord dell’Italia e il Nord-Est della Spagna. Nonostante questo territorio non abbia mai ottenuto alcun riconoscimento politico o giuridico, esso rappresenta un distretto culturale con un comune stile di vita mediterraneo, il linguaggio e l’eredità [Visconti 2010].

L’autenticità assume un ruolo centrale per Occitane en Provence. Gli ingredienti, la produzione artigiana e il design d’interni di 1500 negozi sparsi in più di 80 paesi del mondo, sono tutti coinvolti nella creazione di un’atmosfera di essere immersi nella calda, invitante e rustica provincia francese. Occitane en Provence abbraccia tutte e cinque le dimensioni dell’autenticità individuate da Gilmore e Pine – naturalezza, originalità, eccezionalità, referenzialità e influenzabilità – e le intreccia con la Mediterraneità creando un’autentica narrativa, avvincente e unica nel suo genere.

Nel caso dell’Occitane, la naturalezza indica non solo l’uso degli ingredienti naturali – gli estratti delle erbe della Provenza o, più in generale, del bacino mediterraneo, ma anche il fatto che queste piante crescono spontaneamente e che l’intervento umano è ridotto a poche attività essenziali. La naturalezza si manifesta anche attraverso il simbolismo legato al territorio della Provenza e ai suoi valori rurali, condividendo questa sua espressione con la dimensione di referenzialità. Occitane non è il solo ad usare gli ingredienti naturali o a ricorrere alla tradizione rurale, la sua

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originalità sta nel fatto, che è l’unico brand che possa vantare il suo legame con la Provenza. L’eccezionalità del Occitane è riferita alla sua capacità di conservare l’impronta di un lavoro artigianale, nonostante i metodi industriali sono stati gradualmente applicati alla maggior parte dei processi produttivi. Ciò è stato possibile in parte grazie al mantenimento dello stabilimento a Manosca, dove Occitane ha incominciato la sua attività; in parte grazie al packaging, semplice e “alla vecchia maniera”; e in parte grazie al design d’interni dei negozi, che assume i tratti tradizionali servendosi degli oggetti, come i caratteristici armadietti in legno “da antica farmacia”. L’influenzabilità del Occitane si esprime attraverso la sua attenzione nei confronti dei problemi dell’umanità. Occitane favorisce la sostenibilità, il commercio equo e la carità, ad esempio, produce in Burkina Faso per aiutare i paesi in via di sviluppo. Il brand rispetta la natura, gli animali e le persone, ad esempio, usa le scritte in braille per sostenere i clienti cechi [Visconti 2010].

I brand mediterranei, come quelli sopraccitati, sono dotati di un elevato grado di risonanza con i consumatori. Essi riproducono una visione del marketing, secondo la quale le aziende, nel condurre il loro business, assumono un atteggiamento umile e rispettoso e si comportano come se fossero cittadini di una comunità: con un impegno etico verso gli altri cittadini – i consumatori. I brand mediterranei vengono costruiti mettendo i valori in cui il consumatore crede alla base delle strategie di marketing (passion-related brands), e questo gli consente di raggiungere un’affinità con il consumatore, cosa che i brand antonomastici e i brand istituzionali non sono in grado di ottenere. La relazione tra un brand antonomastico e il consumatore finisce con la mera acquisizione della competenza da parte di quest’ultimo, una volta accertata la superiorità o l’eccellenza del brand. La relazione tra un brand istituzionale e il consumatore si conclude, a complemento della competenza acquisita, con il protagonismo, ovvero l’aspettativa che il brand mantenga la sua promessa istituzionale, dovuta al successo percepito e capace di prevaricare la fama dei relativi prodotti. Il raggiungimento dell’affinità, in aggiunta alla competenza e al protagonismo, genera un attaccamento emotivo nel rapporto diadico tra il brand e il consumatore, che nel tempo si trasforma in fedeltà (brand loyalty). L’essenza dei brand mediterranei ovvero la loro composizione genetica origina ed accresce la fedeltà

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che a sua volta rafforza il valore dei brand (brand equity) [Cuomo 2009].

Mentre i GB condividono alcune caratteristiche comuni, come ampia disponibilità e riconoscimento, rilevanza universale, standardizzazione, immagine globale, stima, alta qualità e responsabilità sociale, i LB trasmettono l’originalità, l’unicità e l’orgoglio di rappresentare il proprio paese e possono vantare di una profonda connessione con la cultura, storia, eredità, valori, tradizioni, abitudini e gusti del popolo di una nazione. Questo legame culturale può essere fruttuosamente adoperato dalle imprese locali nelle strategie di marketing dei loro brand. Traendo il valore dalla propria autenticità intrinseca e costruendo l’immagine con una comunicazione accentuata sul carattere locale, i LB possono divenire delle piccole icone, amate e apprezzate dalla gente. In questo modo “l’iconicità locale” diventa una valida strategia per contrastare l’infrenabile potenza dei GB nei mercati locali [Özsomer 2012].

Un esempio di un LB iconico è quello di Hamoud-Boualem (HB), il brand della bevanda gassata a base degli oli essenziali prodotta in Algeria dal 1889. Il vantaggio competitivo del HB, che lo distingue da tanti piccoli concorrenti nazionali, è la qualità. La qualità ultracentenaria genera i sentimenti nostalgici attorno al brand. HB è come il primo amore: quando lo assaggi per la prima volta da bambino, ami il suo gusto per tutta la vita. Per gli algerini, noti per un forte spirito di nazionalismo, HB è la loro bevanda amata, il loro orgoglio, tanto che l’Algeria (insieme alla Colombia) rappresenta un mercato insolito, dove la Coca-Cola non è il leader. A differenza di quest’ultima, HB non costruisce la sua immagine attraverso le dispendiose pubblicità, ma cerca di sostenere gli algerini con tante buone azioni, ad esempio, offrendo i condizionatori agli abitanti del sud dell’Algeria (dove le temperature possono superare 50oC), offrendo ai poveri di finanziare il rito della circoncisione e facendo le donazioni al ministero della solidarietà. Questa è la strategia principale del HB: creare la sensazione di stare vicino al popolo algerino.

Un LB può anche “andare più lontano” e conquistare i mercati esteri assumendo una dimensione globale. Gli atteggiamenti verso la globalità dei LB possono variare da paese a paese. Nei mercati emergenti, un LB che ha oltrepassato le frontiere e sta andando bene all’estero, può suscitare l’orgoglio e la stima dei consumatori nei suoi

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confronti. Questo è perché i consumatori dei paesi emergenti cercano di affermare le loro somiglianze ai membri del mondo avanzato e la loro presenza nei mercati mondiali attraverso la disponibilità dei loro LB all’estero.

Per contro nei mercati maturi, un LB con la dimensione globale può provocare gli atteggiamenti negativi dei consumatori, originati dalla sensazione di un minore impegno del brand nei confronti del proprio paese, e dall’erosione della sua autenticità legata a quella particolare località o alla storia. I consumatori potrebbero avvertire bisogno di mantenere l’unicità e l’originalità dei propri LB ed averli a disposizione solo per loro nel mercato locale. Così nei mercati emergenti la globalità dei LB è positivamente associata con l’iconicità locale, mentre nei mercati maturi la relazione tra le due caratteristiche è negativa [Özsomer 2012].

Indipendentemente dal fatto che l’iconicità locale sia legata alla globalità o meno, essa appare come una fonte esclusiva, da cui deriva il prestigio per i LB. Pertanto i marketing manager possono puntare sull’iconicità locale per creare le percezioni di prestigio dei LB in tutti i tipi del mercato. Il prestigio dei LB è in grado di sottrarre le probabilità d’acquisto ai GB nelle valutazioni d’acquisto dei consumatori più grandi, specialmente nei mercati emergenti. Essendo maggiormente propensi ad apprezzare l’unicità e l’autenticità delle offerte, i consumatori più grandi appaiono più allettati dai LB rispetto ai consumatori giovani.

Allo stesso tempo una relazione significativa tra l’iconicità locale e la qualità percepita dei LB, che possa essere generalizzata, non è stata trovata. Da un lato, il concetto di “alta qualità” può essere inteso differentemente nei vari paesi e di conseguenza i LB possono afferrare meglio le pretese degli individui in termini di qualità; dall’altro lato, le percezioni di qualità possono essere contrarie alla visione dell’iconicità locale, in quanto in alcuni casi possono opporsi al simbolismo dell’unicità e dell’autenticità.

Attenendo soprattutto ai mercati emergenti, l’iconicità locale è positivamente associata con la qualità percepita dei LB solo nella categoria degli alimentari, dove la cultura, tradizioni, costumi, gusti e definizioni della qualità sono l’espressione dell’unicità. Il cibo e le bevande rappresentano la cultura e le tradizioni come nessun’altra categoria di prodotto. Non a caso i GB hanno un livello di penetrazione

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del mercato dell’Europa Centrale e dell’Europa dell’Est più basso nella categoria degli alimentari, come anche la standardizzazione dei programmi di marketing delle compagnie multinazionali è inferiore nei generi alimentari che nelle categorie di prodotti non alimentari.

In ogni caso la presenza di un’alternativa locale di qualità, che si tratti di un prodotto alimentare o non alimentare, diminuisce le probabilità d’acquisto di un GB in tutti i tipi di mercato [Özsomer 2012].

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