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Introduzione Ricorrendo ormai il venticinquesimo anniversario del passaggio - scandito dall'entrata in vigore del codice Vassalli e salutato da gran parte della dottrina come epocale

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Academic year: 2021

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Introduzione

Ricorrendo ormai il venticinquesimo anniversario del passaggio - scandito dall'entrata in vigore del codice Vassalli e salutato da gran parte della dottrina come epocale1 - a quello strumento euristico tipicamente accusatorio che è l'esame incrociato del teste condotto direttamente dalle parti (il riferimento è agli art. 498 e 499 c.p.p.), sembra quanto mai opportuno porsi delle domande circa lo stato d'attuazione dell'istituto nel nostro ordinamento, anche al fine di isolarne i connotati caratterizzanti (e talora deformanti) rispetto al primigenio modello della common law, del quale il legislatore si era prefisso la mimesi.

Fin dal 1989 la portata dirompente del nuovo assetto interrogava l'intera classe forense circa la propria “capacità di adattamento” alla incognita dimensione “teatrale” dell'escussione imperniata su una nitida tripartizione di ruoli tra avvocato, pubblico ministero e presidente del collegio giudicante, a detrimento degli spazi di protagonismo inquisitorio concessi al giudice nella vigenza del codice Rocco, in qualità di caleidoscopico “filtro” delle domande poste dalle

1. Altra dottrina ha invece segnalato come, a onor del vero, già la Bibbia, nel libro di Daniele, offrisse un esempio di cross examination ante litteram. (Cfr. L. de Cataldo Neuburger,

Presentazione a D. Carponi Schittar, La persuasione del giudice. Attraverso gli esami e i controesami, Milano, 1998, p.xi).

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parti ai testimoni.

Proprio con riguardo all'avvento dell'esame incrociato la dottrina ha parlato - con un'efficace metafora - di anamorfosi del processo2, a voler enfatizzare la mutevolezza dei punti di vista dei vari attori protagonisti: il fatto non è più percepito come entità unidimensionale, espressiva di una verità monolitica che il giudice è incaricato di “scoprire” e portare alla luce in qualità di solipsistico custode del Vero e del Giusto. Al contrario, la concezione dialettica della formazione della prova in contraddittorio ha per substrato ideologico la convinzione che il fatto possa essere descritto solo dopo che tutti i suoi aspetti sono stati illuminati attraverso l'attività di elaborazione probatoria svolta sulla fonte di prova dai soggetti processuali controinteressati al fine di rivelarne reali capacità informative,

genuinità ed attendibilità3.

Dunque, la relazione dialettica esame - controesame - giudizio instaurata con riferimento ad un dato elemento di prova rappresenta una trasposizione in sede processuale della dinamica tesi - antitesi - sintesi, laddove la “resistenza” di una tesi ai tentativi di falsificazione

2. Cfr. L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame nel processo penale. Diritto e psicologia, Padova, 2008, p. 1 ss.

3. In questi esatti e suggestivi termini, A. Mambriani, Esame e controesame delle parti: spunti

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(in senso popperiano) ne attesta il maggior valore di credibilità rispetto alla relativa antitesi.

Questo assetto comporta inoltre il vantaggio intrinseco di favorire la terzietà ed imparzialità del giudice, per il quale tertium non datur: da osservatore esterno e privilegiato, dovrà necessariamente optare per la più ragionevole tra le contrapposte prospettazioni fattuali delle parti, senza potersi dedicare al vaglio degli elementi probatori atti a confermare la propria eventuale precostituita ipotesi.

Può allora considerarsi ad oggi riuscita questa auspicata palingenesi dei ruoli, trascorso molto tempo dal riassetto normativo e dunque caduto l'alibi del novum? Come rilevato da numerosi Autori4, la chiave di volta dell'adeguamento si sarebbe dovuta scorgere in un approccio innovativo all'escussione da parte di avvocati e pubblici ministeri, volto cioè alla valorizzazione della fase “preparatoria”, assodata la consapevolezza che l'esame incrociato non si sostanzia in un'”arte” ma piuttosto in una “scienza” della dialettica. Un approccio aperto all'interdisciplinarità e in special modo alle acquisizioni mutuate dalla psicologia giuridica, relative in particolare allo studio della comunicazione persuasiva mediante “messaggi” rivolti al giudicante

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attraverso il canale verbale e non verbale, oltre che alla disamina delle dinamiche interpersonali di tipo psichico che si instaurano in sede di esame.

Al contempo, il giudice avrebbe dovuto imparare a ricondurre la propria aspirazione a guidare l'iniziativa probatoria (retaggio questo della “mentalità” tradizionale) entro i ranghi delle ridefinite competenze, che relegano ad ipotesi sostanzialmente residuale il suo potere di porre direttamente le domande (art. 506 comma 2), affidandogli piuttosto quel ruolo “in negativo” (che si concreta essenzialmente nel potere di non ammissione delle domande) di neutrale “garante” del rispetto delle regole poste a presidio di lealtà e legalità nello svolgimento dell'esame e del controesame (art. 499 comma 4 e 6)5.

Il bilancio - a distanza di 25 anni - sembra essere deludente, a dispetto delle forti attese alimentate dai cultori del rito avversariale. Con suggestiva efficacia Ennio Amodio ha parlato di un Italian style dell'esame incrociato, per stigmatizzarne l'incedere disordinato e

5. Di diverso avviso circa l'effettività del restringimento dei poteri del giudice, E. Fassone,

Giudice-arbitro, giudice-notaio o semplicemente giudice?, in Quest. giust. 1989, p.582, il quale

sentenzia: << L'idea di un giudice notaio, di un giudice che solleva il braccio del trionfatore, di un giudice spettatore di un balletto recitato da altri, mi allarma e mi deprime. Ma, norme alla mano, non credo che sia così >>.

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tumultuoso, ascrivibile ad una insuperabile resistenza ad assoggettarsi all'ordine congeniale al processo di parti, che spinge accusa e difesa ad intervenire subito, non appena è posta una domanda orientata in una direzione opposta a quella funzionale ai propri obiettivi di accertamento […]. Di qui il superamento delle sequenze fissate per la formazione della prova, che segnano spazi rigorosamente definiti per l'esame, il controesame e il riesame […]. Questo ordine... è ripudiato dalla nostra prassi nella quale, in omaggio alla eredità inquisitoria, si concepisce una sola unità di tempo e di luogo per la ricerca della verità6.

Affermando perentoriamente che lo “stile italiano” è caratterizzato da un regime in via di prassi contra legem, l'Autore individua come primo fattore distonico (sul piano operativo) rispetto all'archetipo normativo l'invadenza del giudice attraverso osservazioni, rettifiche e richieste di chiarimenti, culminante nell'atto di disattendere l'espresso divieto (ex comma 2 art. 506) di porre domande in corso d' esame, che è come non scritto7. A questi rilievi si potrebbe aggiungere la mai

6. Così E. Amodio, Presentazione a F. Wellman, L'arte della cross examination (ed ita. a cura di G. Frigo), Milano, 2009, pp.xx-xxi. Per altro verso, ma in tono altrettanto critico, Elvio Fassone ha parlato invece di << fatalismo sciatto con cui una larga parte della nostra prassi giudiziaria ha trasformato l'istituto da guerra delle intelligenze a consociativismo dell'inerzia (che passa dal “che cosa sa?” chiesto dall'esaminatore diretto, all'“è proprio sicuro?” del controesaminatore) >>. (Così E. Fassone, Presentazione a G. Carofiglio, Il controesame. Dalle prassi operative al modello

teorico, Milano, 1997, p.xv).

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sopita tendenza del presidente ad arrogarsi il potere di formulare domande suggestive, sulla cui configurabilità la giurisprudenza di Cassazione ha espresso orientamenti ondivaghi anche in tempi recenti. Dunque quel “giudice-interventista” della tradizione pare non aver ancora lasciato spazi apprezzabili al “giudice-arbitro” d'ispirazione accusatoria, forse anche in ragione della mancata codificazione di regole solide e stringenti con riguardo alla conduzione dell'esame incrociato, che siano espressamente riferibili anche al presidente. Ancor più significativa sembra, in tale prospettiva, la sostanziale assenza di un'esplicita sanzione per ipotesi di violazione delle pur scarne regole ex art. 498 e 499: quid iuris ove si verifichi tale ipotesi?

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