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Capitolo 6

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Academic year: 2021

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Capitolo 6

Osservazioni e confronti

I risultati dell’analisi microscopica (cap. 4) hanno permesso di individuare le tracce utili allo studio tecnologico e di ipotizzare per alcuni elementi un modello di sospensione e/o di ricreare l’intera catena operativa che dal blocco di partenza ha portato all’oggetto finito (cap. 5). In questo capitolo, la presenza o meno delle operazioni di débitage è stata utile per dividere due categorie di manufatti: gli oggetti fabbricati in conchiglia e quelli fabbricati in pietra. Infatti, rispettando come nei capitoli precedenti la ripartizione delle

parures in base alla cultura di appartenenza ed alla materia prima di fabbricazione, gli

oggetti in conchiglia sono stati divisi ulteriormente tra quelli semplicemente forati e quelli che hanno subito modificazioni rispetto alla forma della valva; mentre gli oggetti in pietra sono stati separati tra ciottoli naturali che non presentano modificazioni e rocce levigate che sono modificate rispetto al blocco di partenza.

Lo scopo del capitolo è quello di comprendere i significati che hanno portato all’utilizzo di determinati ornamenti e di individuare confronti fra gli oggetti di parure dei siti abruzzesi e manufatti di siti esterni alla regione. Tali confronti sono necessari per comprendere un’eventuale affinità culturale o se, in alcuni casi specifici, è avvenuto un contatto con popolazioni alloctone.

Gli elementi che non sono stati analizzati ed interpretati nei capitoli 4 e 5, tuttavia oggetto di confronto e discussione in questo capitolo, sono contrassegnati da asterisco (*).

6.1. Neolitico Antico- Cultura della Ceramica Impressa

Gli oggetti ornamentali abruzzesi appartenenti alla cultura della Ceramica Impressa sono perlopiù fabbricati in materia dura animale e precisamente in conchiglia, dente ed osso (Tabella 2a).

Scarsi sono gli oggetti fabbricati in pietra: l’ascia-pendaglio con abbozzo di foro proveniente da Santo Stefano, le due rondelle in pietra levigata ed il ciottolo con solcatura mediana provenienti dalla Grotta dei Piccioni, i due vaghi cilindrici da Villaggio Rossi ed il ciottolo discoide con abbozzo di foro da Villaggio Leopardi.

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Gli elementi confezionati in terracotta sono rappresentati soltanto da due elementi, ovvero il vago cilindrico proveniente da Paterno e l’oggetto con cinque protuberanze formanti un motivo a stella proveniente da Villaggio Leopardi. La materia dura animale più sfruttata è la conchiglia, presente in quasi tutti i siti. Il sito di Colle Santo Stefano riporta il maggior numero di elementi fabbricati in conchiglia nonostante sia fra tutti i siti, uno dei più lontani dal mare. Dopo la conchiglia, la materia prima maggiormente utilizzata è il dente e più precisamente la zanna di Sus presente in circa la metà dei siti abruzzesi, seguita dai canini di carnivoro che invece si ritrovano soltanto all’interno del Fucino. L’osso, che conta la metà degli elementi fabbricati in dente, si rinviene in più siti rispetto al dente, anche se con singoli manufatti.

Pochi sono gli oggetti in pietra levigata e soltanto due quelli in terracotta attestando che durante il Neolitico Antico queste materie prime sono scarsamente utilizzate per fabbricare ornamenti.

Gli oggetti in conchiglia

Le conchiglie scelte per fabbricare ornamenti appartengono a pochi generi, peraltro alcuni sono gli stessi che già i cacciatori-raccoglitori Paleo-mesolitici sceglievano ed utilizzavano (Tabella 3a). Il genere più comune è il Glycymeris sp., presente in quasi tutti i siti, seguito dal Dentalium rinvenuto a S. Stefano e alla Grotta Continenza e dalla Columbella r. presente soltanto a S. Stefano. Il

Cardium è come numero di elementi secondo solo al Glycymeris, tuttavia questo

genere di valva è presente singolarmente a S. Stefano dove non si esclude il suo utilizzo per decorare la ceramica. Le altre due specie rappresentate sono la Luria l. (un solo frammento da Capo d’Acqua) e la Cyclope n. proveniente dalla Grotta Continenza. La lavorazione delle conchiglie è consistita in una semplice perforazione, tranne nei casi dei due pendagli provenienti da Marcianese e Fontanelle e delle tre perline provenienti da S. Stefano.

Conchiglie semplicemente perforate

Il Glycymeris è il genere Bivalve presente, anche se in pochi esemplari per ogni sito, in molti insediamenti della penisola e delle isole e la cui diffusione è largamente documentata già nel Paleolitico-Mesolitico. Il successo di questa

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specie in epoca preistorica sembra dovuto alla robustezza della valva che grazie alla sua consistenza risulta poco sottoposta a rotture di lavorazione. Inoltre si ricorda che il Glycymeris poteva essere raccolto oltre che per scopo ornamentale anche per fine alimentare, per lisciare o decorare la ceramica e nei casi di esemplari con valve piuttosto grandi allo scopo di contenere sostanze (Borrello 2005). Questo genere, comune nella ceramica impressa, è documentato in Italia settentrionale per la cultura del Vhò (Pessina Tiné 2008).

Il Cardium è meno rappresentato rispetto al Glycymeris, tuttavia risulta abbastanza comune nell’ambito delle ceramiche impresse. Confronti con gli esemplari provenienti da S. Stefano si riscontrano a Ripabianca di Monterado (Pignocchi, Silvestrini 2002) ed in Puglia a Torre Sabea (Radi 2003), Masseria Candelaro (Cassano, Manfredini 2004) e Ripa Tetta (Tozzi 1988). In Puglia e precisamente nel Tavoliere questa specie era spesso raccolta anche per scopi alimentari come dimostrano i rinvenimenti di Coppa Nevigata (Puglisi 1975), Fontanarossa, Santa Tecchia, Monte Aquilone e Massseria Valente (Cassano, Manfredini 1987). Sul versante tirrenico il Cardium è presente alle Arene Candide (Traversone 1999) dove è stato sfruttato per fabbricare piccoli oggetti. Al nord, fuori dai confini che interessano la ceramica impressa, un frammento di Cardium è attestato al Riparo Gaban (Nicolis e Pedrotti 1997, in Borrello 2005). Lo stretto legame del Cardium con le ceramiche impresse è facilmente riconducibile all’utilizzo che se ne faceva per il decoro dei vasi, a tal punto che la koiné culturale tirrenica delle ceramiche impresse a linee dentellate va sotto il nome di Cardiale tirrenico.

Il Dentalium è una specie comunemente usata fin dal Paleolitico a scopo ornamentale. Questo genere appartenente alla classe degli Scafopodi infatti non richiede alcuna lavorazione, se non una semplice troncatura, giacché presenta una forma a corno aperto alle due estremità. I rinvenimenti degli esemplari di S. Stefano e del frammento dalla Grotta Continenza* sono affini a quelli di Torre Sabea (Radi 2003), mentre sul versante tirrenico il Dentalium è presente a Cala Giovanna Piano (Zamagni, Bisconti 2007) ed alle Arene Candide (Traversone 1999) negli strati di transizione tra Neolitico Antico e Neolitico Medio. Al nord questa conchiglia è utilizzata frequentemente e si rinviene in contesti appartenenti

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alle culture del Neolitico antico padano ed in aree interne del mondo alpino come la Valle dell’Adige (Pessina, Tiné 2008).

La Columbella r. è una specie abbastanza diffusa già dal Mesolitico ed in particolare dal Mesolitico recente. Altre presenze di Columbella r. si riscontrano sul versante adriatico a Torre Sabea (Radi 2003) e Scamuso (Coppola 1997) ed in Sicilia alla Grotta dell’Uzzo (Compagnoni 1991), mentre sul versante tirrenico si trovano a Cala Giovanna Piano (Zamagni Bisconti 2007), a La Scola (Ducci et al 2000), alle Arene Candide nei livelli del Neolitico Antico (Traversone 1999) ed alla Grotta Pollera (Odetti 2002). Al nord si attesta la presenza di Columbella r. al Riparo Gaban (Borrello 2005).

L’unico esemplare di Cyclope n.* proveniente dalla Grotta Continenza trova confronto con gli esemplari provenienti di Ripa Tetta (Tozzi 1988), Torre Sabea (Radi 2003) e Scamuso (Coppola 1997). Al nord sono attestati ritrovamenti di questa specie al Riparo Gaban (Borrello 2005).

Il frammento di Luria l. (Ciprea) da Capo d’Acqua e le due Monodonta t. dalla Grotta dei Piccioni non mostrano alcuna traccia di lavorazione, tuttavia attestano una raccolta di questi esemplari già scelti fin dal Paleolitico. Una Ciprea forata ed una Monodonta t. lavorata sono attestate nei livelli del Neolitico Antico alle Arene Candide (Traversone 1999).

Le specie delle conchiglie scelte per essere semplicemente perforate dimostrano una continuità, almeno per il gusto, tra il Paleo-Mesolitico e le prime fasi Neolitiche. La continuità con i periodi precedenti il Neolitico è testimoniata anche dall’industria litica che in alcuni siti di nostra indagine conserva componenti arcaiche. Maggiori confronti si sono riscontrati con siti che appartengono alla cultura delle ceramiche impresse ed in maggior modo con le Arene Candide e Torre Sabea. Tuttavia l’utilizzo di alcune specie come il Glycymeris, la

Columbella r. ed il Dentalium è documentato anche per siti che sono esterni alla

sfera culturale della ceramica impressa. Conchiglie modificate

Le conchiglie modificate consistono in pochi elementi attestando una preferenza delle prime comunità neolitiche soltanto nel forare particolari specie di conchiglia.

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Le perline discoidali provenienti da S. Stefano mostrano analogie con gli elementi rinvenuti a Cala Giovanna Piano (Zamagni Bisconti 2007) e a La Scola (Ducci et al. 2000). Altre perline di dimensioni pressoché identiche a quelle di S. Stefano sono state rinvenute alle Arene Candide (Traversone 1999), nei cui strati di transizione tra Neolitico Antico e Medio elementi di collana fabbricati con il

Dentalium.

Il pendaglio frammentario proveniente da Villaggio Rossi ricavato dalla columella di un grande gasteropode non mostra alcun confronto. L’autore degli scavi condotti a Marcianese (Geniola 1982), oltre a dubitare sull’appartenenza al Neolitico Antico dell’oggetto poiché ritrovato in uno strato superficiale piuttosto compromesso, trova il pendaglio affine ad alcuni manufatti di provenienza balcanica. Per il pendaglio proveniente da Fontanelle in Glycymeris* la descrizione non è sufficiente per proporre confronti.

Le nuove tecniche apprese dalle comunità neolitiche hanno avuto senza dubbio una ripercussione sugli oggetti ricavati da altre materie prime ed hanno permesso la fabbricazione di nuovi tipi di manufatti come ad esempio le perline. La confezione dei nuovi tipi di ornamento è infatti uno dei fattori che caratterizza le prime fasi del Neolitico. Questo dimostra che la comunità di Santo Stefano, seppur legata ad una tradizione mesolitica, aveva acquisito una tecnologia pienamente neolitica.

Gli oggetti in dente

Gli oggetti ornamentali fabbricati in dente si dividono sostanzialmente in due categorie: le zanne di Sus lavorate e talvolta forate ad un’estremità, ed i canini di carnivoro con foro sulla radice. Unica eccezione è il pendente di Grotta La Punta realizzato su un molare di canide forato alla radice* per il quale non esistono confronti, almeno in questo periodo.

Le zanne di Sus, più numerose rispetto ai canini di carnivoro, sono presenti in quasi tutti i siti, mentre i canini si rinvengono esclusivamente nel Fucino.

La zanna di Sus è stata utilizzata non solo come ornamento bensì come strumento adibito a diverse funzioni tra cui è possibile ipotizzare la lisciatura della ceramica ed il taglio di materie organiche (Fiore et al. 2004). I frammenti appartenenti a

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questo genere di manufatto privi di foro (Colle S. Stefano, Praja S. Angelo*, Grotte S. Nicola*, dei Piccioni* e S. Angelo*) potrebbero dunque non sottintendere la presenza di un oggetto con scopo ornamentale. Talvolta anche il foro potrebbe non essere sufficiente per interpretare la zanna come ornamento, visto che forare le spatole era una pratica piuttosto comune durante il Neolitico. A queste motivazioni si deve imputare il rinvenimento in molti siti di zanne di Sus, spesso frammentarie, per le quali individuare una precisa funzione è impossibile. I confronti saranno dunque effettuati con gli elementi che presentano il foro di sospensione e margini che non mostrano usure dovute all’utilizzo come strumento. Zanne di Sus affini a quelle di S. Stefano e della Grotta dei Piccioni* sono state rinvenute a La Marmotta (Fugazzola Delpino et al. 2002) nel Lazio, nel riparo Su Carroppu in Sardegna (Grifoni Cremonesi 1992) ed alle Arene Candide (Traversone 1999) negli strati di transizione tra Neolitico Antico e Neolitico Medio.

I canini di carnivoro forati presenti a S. Stefano ed alla Grotta Continenza ai quali si associa il molare di canide di Grotta La Punta sono attestati anche a Scamuso (Coppola 1997), alla Grotta dell’Uzzo (Tusa 1997) e a Cala Pisana nell’isola di Lampedusa (Radi 1972).

Questi due generi di ornamento seguono la tradizione Paleo-Mesolitica già espressa nella scelta di determinate specie conchifere. I canini di carnivoro forati si ritrovano in molti siti della penisola mentre le difese di Sus sembrano sfruttate come ornamento soprattutto nei siti a ceramiche impresse.

Gli oggetti in osso

Gli oggetti in osso sono per numero inferiori agli oggetti in dente, ma rispetto a quest’ultimi sono distribuiti in più siti. I manufatti presentano generalmente una sezione sottile, una forma pressoché rettangolare ed un foro di sospensione ad un’estremità. Si ricorda che questi elementi, spesso frammentari, potrebbero avere la funzione di spatole con foro di sospensione. Tale funzione appartiene sicuramente al frammento con decorazione pirografata di S. Stefano. Oggetti con morfologie diverse sono invece gli elementi cilindrici cavi e l’imitazione di canino atrofico di cervo provenienti dalla Grotta S. Angelo e la piastrina con due punte divergenti e la perlina discoidale provenienti da S. Stefano.

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Confronti per gli esemplari di S. Stefano potrebbero essere gli oggetti di forma rettangolare allungata con foro ad un’estremità presenti a Rendina (Cipolloni Sampò 1982), mentre le placchette semplicemente forate attestate a Maddalena di Muccia presentano una morfologia diversa (Silvestrini Pignocchi 1998).

Gli oggetti cilindrici cavi di Grotta S. Angelo sono affini a quelli rinvenuti nella Grotta n. 3 di Latronico (Cremonesi 1978). L’imitazione del canino atrofico di cervo trova riscontri con tre esemplari provenienti dalla Grotta dell’Uzzo (Tusa 1997).

L’oggetto bifido proveniente da S. Stefano non ha alcun confronto in tutto il Neolitico ed è stato ipotizzato potesse avere la funzione di amo da pesca (Graniti 2008). Perline discoidi sono state ritrovate alle Arene Candide (Bernabò Brea 1946). Un metacarpo di bovino con decorazione pirografata è presente a La Marmotta (Fugazzola Delpino 2002).

Il sito di S. Stefano è quello che ha restituito maggiori elementi fra i quali il pendaglio-amo e la perlina che confermano l’abilità tecnica degli artigiani e l’attenzione della comunità nell’adornarsi.

Di particolare interesse è il ritrovamento dell’imitazione di canino atrofico di cervo proveniente dalla Grotta S. Angelo per il quale Radmilli ipotizzava un valore ornamentale e cultuale allo stesso tempo. Egli aveva notato che la presenza delle imitazioni avveniva in grotte (Grotta Patrizi e Grotta dei Piccioni in epoche successive) nei cui resti di pasto consumati non compariva il cervo. Tale assenza poteva giustificarsi con la spiegazione che il cervo, da risorsa alimentare quale era, avesse acquisito in questi luoghi una valenza totemica (Radmilli 1993). L’ipotesi di Radmilli potrebbe motivare la quasi assenza del canino atrofico utilizzato come parure durante il Neolitico, ma vale la pena ricordare che alla Grotta dei Piccioni nei livelli appartenenti alla cultura di Ripoli, oltre ad un’imitazione, è stato rinvenuto un esemplare di canino atrofico con foro conico sulla radice.

Gli oggetti in pietra

Gli oggetti in pietra sono stati suddivisi tra ciottoli naturali che non presentano una levigatura delle superfici, e elementi che presentano tale operazione e che

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sono stati modificati rispetto alla forma del blocco di partenza. L’incidenza di queste parures è molto bassa dimostrando uno scarso impiego della pietra nella fabbricazione di oggetti ornamentali.

Pietra non levigata

Non esistono casi affini per forma al ciottolo discoide con abbozzo di foro di Villaggio Leopardi* ed al ciottolo con solcatura mediana di Grotta dei Piccioni*, tuttavia un pendente in calcare ambrato, rotto all’attaccatura, è stato rinvenuto a Torre Sabea (Radi 2003), mentre un altro pendente è stato ritrovato durante raccolte di superficie nel sito II di Acconia che ha restituito materiale in prevalenza appartenente alla cultura di Stentinello (Ammerman 1985).

Pietra levigata

I due dischi in calcare con tacche speculari sui margini e foro centrale provenienti dalla Grotta dei Piccioni non presentano tracce particolari che permettano di stabilire l’effettiva funzione di pendaglio o di fusaiola. Qualora fossero dei pendenti non sembrano avere confronti.

I due vaghi cilindrici leggermente bombati provenienti da Villaggio Rossi* sono uguali per forma ad un vago in calcare proveniente da Coppa Nevigata (Ronchitelli 1987).

In merito alla produzione dei vaghi durante il Neolitico Antico merita ricordare che questi erano abbastanza comuni e fabbricati con diverse tipologie di pietra e conchiglia: vaghi in ofiolite provengono da Favella (Micheli 2009), in scisto e arenaria da Serotino all’Isola del Giglio (Brandaglia 2000), in siltite dalle Arene Candide (Traversone 1999), in steatite da Cala Giovanna Piano (Zamagni Bisconti 2007), da La Marmotta (Fugazzola Delpino et al. 2002) e da Ripabianca di Monterado (Lollini et al. 1991). In conchiglia un vago cilindrico bombato in

Spondylus proviene da Torre Sabea (Radi 2003).

L’accettina-pendaglio proveniente da S. Stefano è un oggetto che sembra unico almeno per il Neolitico Antico. Gli unici elementi simili, anche se recenziori, sono un’accettina-pendaglio con abbozzo di foro ed un’accettina in giadeite forata rinvenute a Passo di Corvo (Tiné 1983).

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I pochi oggetti in pietra confermano il collegamento dei siti di S. Stefano e di Villaggio Rossi prevalentemente con siti del sud posti sul versante adriatico. L’accetta-pendaglio proveniente da S. Stefano sembra un caso unico per il Neolitico Antico. Per questo manufatto non si può escludere la valenza votiva che a S. Stefano era già emersa con la presenza del vaso zoomorfo (Radi 2002).

Oggetti in terracotta

Gli oggetti in terracotta si limitano a due unità, ovvero al vago in terracotta cilindrico proveniente da Paterno* e dall’elemento a forma di stella proveniente da Villaggio Leopardi*.

L’oggetto proveniente da Villaggio Leopardi non ha confronti in tutta la penisola, mentre il vago rinvenuto a Paterno mostra affinità con esemplari provenienti da Favella (Micheli 2009).

Il fatto che siano solo due gli oggetti ornamentali fabbricati in terracotta dimostra che questa materia era raramente utilizzata nella confezione delle parures. Probabilmente si utilizzava la terracotta soltanto in casi eccezionali, ad esempio per sostituire oggetti che componevano parure composite e che una volta rotti non erano sul momento reperibili.

6.2. Neolitico Medio- Cultura di Catignano

Gli oggetti ornamentali riferibili a questa cultura sono piuttosto scarsi, soprattutto se correlati al buon numero di rinvenimenti della Ceramica Impressa. Infatti, gli elementi di parures riferibili alla cultura di Catignano contano complessivamente 22 unità a confronto delle 110 documentate per il periodo precedente. Un raffronto ulteriore può essere fatto tra S. Stefano e Catignano, siti che presentano superfici di scavo più estese e che hanno restituito rispettivamente 51 e 10 oggetti ornamentali. La presenza di pochi elementi, alcuni particolarmente significativi, può essere giustificata con lo scarso numero di siti rinvenuti; tuttavia non è da escludere che le comunità appartenenti a questa cultura attribuissero meno importanza alla propria acconciatura.

Gli elementi di parures sono stati fabbricati in conchiglia, osso, dente e pietra. Nessun elemento è stato fabbricato in terracotta (Tabella 2b). La conchiglia è il

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materiale più utilizzato, seguito dal dente, che è rappresentato esclusivamente dalle zanne di Sus, e dall’osso. Le conchiglie semplicemente forate (solo

Glycymeris) provengono tutte da Villa Badessa, mentre quelle modificate

consistono in un vago ed in un frammento di bracciale in Spondylus gaederopus provenienti da Catignano ed in un frammento di bracciale in Spondylus

gaederopus proveniente da Villa Badessa. Le zanne di Sus sono attestate in tutti i

siti. I pochi oggetti in osso consistono in un frammento di anellone ed in due rondelle da Catignano ed in un cilindretto con solcatura mediana dalla Grotta S. Angelo. La pietra è rappresentata dai ciottoli, uno discoidale con abbozzo di foro ed uno ad erosione differenziata dalla Grotta S. Angelo, mentre la pietra levigata è rappresentata dai frammenti di bracciale e dal vago in steatite provenienti da Catignano e dal frammento di bracciale in calcare proveniente da Villa Badessa.

Gli oggetti in conchiglia

Le conchiglie semplicemente forate sono rappresentate dai quattro Glycymeris di Villa Badessa. Le conchiglie modificate sono il vago discoide ed il frammento di bracciale in Spondylus da Catignano ed il frammento di bracciale in Spondylus da Villa Badessa. Una valva da ed un frammento privo di umbone di Glycymeris provenienti rispettivamente da Villa Badessa e Grotta S. Angelo non presentano tracce di lavorazione.

Conchiglie semplicemente forate

L’unico genere attestato è il Glycymeris che nei quattro esemplari di Villa Badessa presenta il foro all’umbone. Questa conchiglia non sembra attestata in area padana, mentre negli areali eredi della tradizione della Ceramica Impressa resta comune, come testimoniano i livelli del Neolitico Medio alle Arene Candide (Traversone 1999).

Conchiglie modificate

Le conchiglie modificate sono scarse, ma apportano novità molto significative. La perla discoide proveniente da Catignano* (Tozzi Zamagni 2003) attesta una continuità con la cultura della Ceramica Impressa, in quanto i maggiori confronti per questi elementi si hanno durante il Neolitico Antico (v. parag. 6.1.), mentre nel Neolitico Medio questo tipo di ornamento fabbricato in conchiglia sembra

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perdere di significato. Due perle discoidi in conchiglia sono attestate nei livelli del Neolitico Medio alle Arene Candide (Traversone 1999), a conferma ancora una volta della persistenza della tradizione della ceramica impressa nelle aree in cui si è sviluppata.

I frammenti di anellone in Spondylus gaederopus provenienti da Catignano e Villa Badessa sono di particolare rilievo perché introducono una nuova tipologia di oggetto ornamentale ed una nuova materia prima utilizzata.

Frammenti di bracciale in Spondylus gaederopus sono attestati per la prima volta in Italia settentrionale, durante le prime fasi neolitiche. I rinvenimenti sono avvenuti nei siti di Isorella (cultura del Vhò) e Fiorano Modenese (Starnini et al. 2000). Durante il Neolitico Medio, il sito che ha restituito il maggior numero di oggetti in Spondylus è le Arene Candide, dove la presenza di elementi appartenenti ai diversi stadi di lavorazione dei bracciali lascia pensare che nella caverna fosse presente un vero e proprio atelier (Borrello Micheli 2005). Sempre per il Neolitico Medio, altri quattro bracciali interi e otto frammentari sono documentati alla Grotta di Oliena in Sardegna (Agosti et al. 1980).

I primi bracciali in Spondylus europei risalgono al 5500 a. C. in Dalmazia e nella penisola balcanica centrale, al 5400-5300 a. C. in Europa centrale ed alle prime fasi neolitiche dell’Italia settentrionale. Si potrebbe ipotizzare che i bracciali in

Spondylus presenti nella cultura di Catignano, soprattutto per la tipologia di

manufatto, siano dovuti a rapporti con l’area settentrionale attestando una continuità di scambi con le popolazioni del nord Italia che già avvenivano con le comunità appartenenti alla Ceramica Impressa in una sua fase avanzata.

Gli oggetti in dente

Gli oggetti in dente sono rappresentati esclusivamente dalle zanne di Sus, delle quali soltanto un esemplare proveniente da Catignano è forato*. Un pendaglio in zanna di Sus proviene dai livelli del Neolitico Medio alle Arene Candide (Traversone 1999). Frammenti di zanne sono state rinvenute anche alla Grotta dell’Orso di Sarteano (Grifoni, Cremonesi 1968) e alla Grotta Patrizi al Sasso di Furbara (Grifoni Cremonesi, Radmilli 2001). L’utilizzo esclusivo di questo dente,

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molto diffuso soprattutto nelle aree a Ceramica Impressa, conferma che tra le comunità della Ceramica Impressa e quelle di Catignano esiste uno stretto legame che peraltro è già stato dimostrato dalla compenetrazione degli elementi ceramici. Inoltre, l’assenza dei canini di cervo e di carnivoro testimonia un distacco dalla tradizione precedente, già emerso con l’abbandono di specie conchifere tipiche di quel periodo.

Gli oggetti in osso

Gli oggetti in osso sono pochi e consistono in un frammento di anellone* ed in due rondelle* provenienti da Catignano ed in un cilindretto con solcatura mediana ai lati della quale vi sono tracce di taglio* proveniente da Grotta S. Angelo.

Due anelloni in osso sono presenti alla Grotta dell’Orso di Sarteano (Grifoni, Cremonesi 1968). Le due rondelle ossee, per le quali non esistono riferimenti iconografici, non sembrano avere confronti oltre a risultare difficilmente interpretabili.

L’oggetto con solcatura mediana di Grotta S. Angelo non sembra avere confronti in questo periodo, ma le tracce di taglio ai lati della solcatura mediana suggerirebbero che sia stato utilizzato per ricavare vaghi.

Gli oggetti in pietra

Pietra non levigata

Gli unici elementi in pietra non levigata sono i due ciottoli provenienti dalla Grotta S. Angelo, uno ovoidale con abbozzo di foro ed uno ad erosione differenziata. Durante il Neolitico Antico era già comune raccogliere ciottoli con forma curiosa e trasportarli all’interno di grotte (Grotta dei Piccioni), che oltre a servire da rifugio alle comunità erano preposte alla pratica di riti. Dunque, la raccolta di questi elementi di forma particolare poteva avere diversi scopi: ornamentale, cultuale, ludico.

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Pietra levigata

Gli oggetti in pietra levigata consistono in un vago ed in un frammento di bracciale entrambi in steatite da Catignano ed in un frammento di bracciale in calcare da Villa Badessa.

Le prime attestazioni di vaghi in steatite risalgono al Neolitico Antico, a Ripabianca di Monterado (Pignocchi, Silvestrini 2002), a La Marmotta (Fugazzola Delpino et al. 2002) ed a Cala Giovanna Piano (Zamagni Bisconti 2007). Un cilindretto in steatite (però non forato) simile a quello di Catignano si rinviene nello strato 25 delle Arene Candide (Bernabò Brea 1946-56). Durante il Neolitico Medio frequenti sono i rinvenimenti di elementi in steatite nell’area emiliana occidentale, dove di particolare rilievo sono l’atelier di fabbricazione di vaghi in steatite a Benefizio (VBQ 1) ed i numerosi vaghi e pendenti rinvenuti a Gaione Cascina Catena (VBQ 2). Al sud, un elemento di vago in steatite è presente a Passo di Corvo livelli IV a1-c in un ambito culturale analogo a Catignano (Tinè 1983).

Le prime attestazioni che riguardano frammenti di anelloni in steatite sono nell’Italia del nord, in siti appartenenti alle culture del Vho e dell’Isolino, di Fiorano e dalla caverna Pollera nei livelli della Ceramica Impressa in Liguria (Odetti 1990). Un atelier di fabbricazione di tali monili è attestato per il Neolitico Antico a Casa Querciolaia (Iacopini 2000) in Toscana. Tanda riferisce che anche nella Valle della Vibrata, durante raccolte di superficie, è stato rinvenuto un frammento di bracciale in steatite (Rosa 1914).

Il frammento di bracciale in calcare da Villa Badessa trova affinità con i numerosi rinvenimenti dell’Italia settentrionale riferibili al Neolitico Antico. Anelloni interi e frammentari sono presenti in siti appartenenti alla cultura di Fiorano nei suoi aspetti veneto-emiliani, del Vhò in Lombardia e Piemonte e del Friuli (Micheli 2002). Esemplari riferibili a fasi finali del Neolitico Antico sono segnalati alla Grotta Pollera (Odetti 1990) e alla Grotta Filiestru in Sardegna (Trump 1983). Un frammento di anellone in calcare è presente alla Grotta dell’Orso di Sarteano (Grifoni, Cremonesi 1968).

La comparsa degli elementi frammentari in steatite è da attribuire ad un contatto con popolazioni alloctone, in quanto in Abruzzo non esistono affioramenti di

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steatite, mentre sono presenti nell’Appennino ligure, toscano e calabrese ed in diverse zone dell’arco alpino (Micheli 2002). In relazione alla localizzazione degli affioramenti di steatite ed ai numerosi rinvenimenti di vaghi fabbricati con questa roccia in Italia centro-settentrionale, è verosimile che i contatti siano avvenuti con comunità del centro-nord. Alla luce di queste considerazioni si possono formulare due ipotesi sulla provenienza delle popolazioni con cui sono avvenuti i contatti: la prima è che si tratti di genti che orbitavano in area emiliana-occidentale dove è attestato un atelier di fabbricazione di vaghi a Benefizio e dove il rinvenimento di oggetti fabbricati in steatite è molto frequente. La seconda è che il contatto sia avvenuto con popolazioni di area tosco-laziale. A Casa Querciolaia è attestato un

atelier di fabbricazione di bracciali in steatite ed a La Marmotta sono stati

rinvenuti elementi fabbricati con la stessa materia prima. Si ricorda che gli unici confronti con gli anelloni in osso di Catignano si hanno con i manufatti rinvenuti alla Grotta dell’Orso. Ricordiamo che nella valle del Sacco ad Anagni, il sito di Casale del Dolce, nel quale sembrano essere associate ceramiche incise con figuline a bande rosse, ha restituito strutture abitative uguali a quelle di Catignano. Più difficile è interpretare a quale area precisa appartenesse la comunità a cui si deve la presenza dell’anellone in calcare a Villa Badessa, ma, noti i numerosi rinvenimenti di anelloni in pietra in Italia del nord già a partire dal Neolitico Antico, sembra plausibile ipotizzare tale provenienza.

6.1. Neolitico Medio- Cultura di Ripoli

Gli oggetti ornamentali riferibili alla cultura di Ripoli sono fabbricati in conchiglia, dente, osso, pietra e terracotta (Tabella 2c). Rispetto alla cultura di Catignano si conta un numero decisamente maggiore di elementi: 139. Occorre sottolineare che il solo villaggio di Ripoli ha restituito 72 elementi, ai quali sono da aggiungere quelli fabbricati in osso e in dente non analizzati in questo lavoro: infatti nelle tabelle riportate in monografia (Cremonesi 1965), gli ornamenti in osso e in dente sono inseriti sotto la voce generica oggetti in osso, comprendenti anche strumenti come punte, punteruoli e spatole, dai quali non è stato possibile distinguere gli ornamenti. Anche la Grotta dei Piccioni ha restituito un’ingente quantità di materiale: 58 elementi.

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La conchiglia risulta il materiale più rappresentato con 112 elementi, mentre la pietra, il dente e l’osso contano soltanto una decina di elementi ciascuno. Le conchiglie, rinvenute in tutti i siti indagati, sono nella maggior parte dei casi bivalvi forati all’umbone, mentre la bassa quantità di conchiglie modificate è rappresentata dai frammenti di Triton nodiferum rinvenuti nelle Grotte Piccioni e S. Angelo.

Gli oggetti in pietra consistono in un frammento di vago in calcare da Grotta S. Angelo ed in otto anelloni frammentari provenienti da Ripoli. Il dente è rappresentato in prevalenza da zanne di Sus, assenti soltanto alla Grotta delle Marmitte, e da due canini di carnivoro rinvenuti alle Grotte Piccioni e S. Angelo. In osso sono attestati i pendagli di Ripoli e di Grotta dei Piccioni, nella quale sono venuti in luce anche elementi significativi come l’imitazione di canino atrofico di cervo ed i due bottoni con doppio foro. In terracotta è presente soltanto un dischetto forato proveniente dalla Grotta delle Marmitte.

In questo periodo compare per la prima ed unica volta il corallo, rappresentato dal pendaglio rinvenuto alla Grotta dei Piccioni.

Gli oggetti in conchiglia

Il Glycymeris è la conchiglia più attestata, in quanto esemplari appartenenti a questo genere, sia forati che privi di foro, provengono da tutti i siti di nostra indagine. Gli altri generi conchiferi forati, presenti solo a Ripoli, sono la Patella sp., il Cardium e la specie Arca noae. Inoltre, una Monodonta turbinata ed un

Cardium dalla Grotta dei Piccioni non riportano alcuna traccia di lavorazione

(Tabella 3c).

Le conchiglie modificate sono significative per due aspetti: gli anellini e le valve con ampio foro sul dorso di Glycymeris da Ripoli ed i frammenti di bracciale in

Triton dalla Grotta S. Angelo hanno permesso di ricostruire l’intera catena

operativa di questi oggetti; il pendaglio in corallo dalla Grotta dei Piccioni e le attestazioni di Triton alle Grotte S. Angelo e Piccioni manifestano per la prima volta l’utilizzo di queste materie prime per scopo ornamentale.

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Conchiglie semplicemente forate

Il Glycymeris è il genere conchifero semplicemente forato che è stato rinvenuto in tutti i periodi neolitici e particolarmente frequente nelle aree dove si era sviluppata la cultura della Ceramica Impressa.

Questo genere è tra i più rappresentati nei livelli VBQ delle Arene Candide (Traversone 1999), dove pure sono testimoniati esemplari di Patella sp.* e di

Cardium.

L’Arca noae di Ripoli non sembra essere usato almeno per questo periodo, mentre un esemplare di questa specie è presente nel sito a Ceramica Impressa di Torre Sabea (Radi 2003).

Rispetto alla cultura di Catignano si osserva un leggero aumento dei generi conchiferi semplicemente forati. La scelta dell’Arca noae, con la sua valva caratteristica, testimonia un gusto più vario e incuriosito da forme particolari, nonostante il Glycymeris resti ancora il genere più attestato.

Conchiglie modificate

Come per il periodo precedente le conchiglie modificate apportano delle novità significative sia a livello tecnologico che culturale. Gli anellini e le valve con ampio foro sul dorso di Glycymeris da Ripoli hanno permesso di ricostruire l’intera catena operativa che dalla valva porta all’oggetto finito.

Anche i due frammenti di Triton dalla Grotta S. Angelo hanno permesso tale ricostruzione, oltre ad attestare la presenza di una nuova specie conchifera. Oggetto di pregio è sicuramente il pendaglio in corallo dalla Grotta dei Piccioni, per il quale esistono pochi confronti durante tutto il Neolitico.

Bracciali in Glycymeris ricavati nello stesso modo degli esemplari ripolesi, ovvero creando un grande foro sul dorso della valva, sono attestati in contesti più recenziori durante il primo Neolitico Medio vallesano in Svizzera come corredo degli inumati in tombe di tipo Chamblandes (Borrello 2005) e nella necropoli di Vollein (Val d’Aosta) riferibile ad una fase avanzata del Neolitico Medio

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(Mezzena 1997). Altri elementi confrontabili sono riferibili al Neolitico Antico, e consistono in un frammento di anello-bracciale ed in un Glycymeris con grande apertura sul dorso provenienti da Torre Sabea (Radi 2003) ed in un frammento di bracciale proveniente da Cala Giovanna Piano (Zamagni, Bisconti 2007).

Conchiglie di Triton con apice asportato e foro presso un margine simili all’esemplare di Grotta dei Piccioni* sono attestate nelle grotte del Finalese ligure. Alcuni esemplari sono di difficile attribuzione cronologica, come ad esempio i

Triton rinvenuti alla Grotta dei Bergeggi ed alla Caverna del Sanguineto (Issel

1908), mentre i manufatti presenti alla Grotta Pollera (Odetti 1990) ed alle Arene Candide ( Bernabò Brea 1946-1956) sono riferibili alle fasi VBQ.

I due frammenti di Triton della Grotta S. Angelo, che in origine costituivano un bracciale, trovano confronto con i frammenti di bracciali rinvenuti nei livelli VBQ delle Arene Candide (Traversone 1999).

La piastrina forata frammentaria in Triton di Grotta S. Angelo trova di nuovo riscontro con elementi provenienti dalle Arene Candide sia nei livelli VBQ che in quelli Chassey Lagozza (Traversone 1999).

L’elevata quantità di conchiglie appartenenti ai generi Triton e Spondylus ed i numerosi frammenti in corso di lavorazione provenienti dai livelli VBQ delle Arene Candide ha suggerito che l’atelier per la fabbricazione di pendagli e bracciali della caverna fosse predisposto per esportare tali monili (Borrello Micheli 2005). Appare dunque verosimile che il Triton con apice asportato e foro vicino al margine e la piastrina di Triton con tracce di ocra, che in origine costituiva un bracciale, siano oggetti importati dall’area del finalese ligure.

La diffusione del corallo come materiale ornamentale si ha a partire dal Neolitico Antico, come testimonia il rametto di corallo rosso con tracce di lavorazione proveniente dal livello 25 delle Arene Candide (Bernabò Brea 1946-56) Un rinvenimento simile a quello delle Arene Candide è il cilindretto lavorato di Grotta Pollera che purtroppo non ha una precisa collocazione stratigrafica. Tuttavia, l’elemento più affine al pendaglio in corallo di Grotta dei Piccioni* è il rametto curvo con foro ad un’estremità proveniente dalla sepoltura di Carpignano Salentino (De Grossi Mazzorin, Rugge 2004) riferibile al Neolitico Finale.

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Gli oggetti in dente

Gli oggetti in dente consistono in zanne di Sus con tracce di lavorazione di cui solo una proveniente dalla Grotta dei Piccioni è forata. Le zanne sono presenti in tutti i siti indagati tranne che alla Grotta delle Marmitte. Rinvenimenti interessanti sono il canino atrofico di cervo ed il canino di volpe provenienti da Grotta dei Piccioni ed il canino di lupo da Ripoli.

Un elemento affine alla zanna di Sus forata di Grotta dei Piccioni* è il pendaglio proveniente dai livelli del Neolitico Medio delle Arene Candide (Traversone 1999), mentre frammenti di questo dente sono stati rinvenuti alla Grotta dell’Orso (Grifoni, cremonesi 1968) ed a Grotta Patrizi (Grifoni Cremonesi, Radmilli 2001). Il canino di volpe proveniente da Grotta dei Piccioni trova confronto con lo stesso tipo di dente rinvenuto nei livelli VBQ 1 delle Arene Candide (Traversone 1999). Canini di carnivoro confrontabili con il canino di lupo di Ripoli sono presenti nelle fasi VBQ alla Grotta Pollera (Odetti 1990) ed a Ponte Ghiara (Parma). Canini di canide sono stati rinvenuti anche nelle Marche durante le fasi recenti di Ripoli, a S. Maria in Selva e durante il Neolitico finale nello strato 6 di Attiggio (Lollini 1991).

I canini di carnivoro, che spesso erano utilizzati durante la Ceramica Impressa, sembrano scomparire con la cultura di Catignano. La loro presenza nella fase di Ripoli lascia pensare che nel periodo precedente fossero assenti a causa del basso numero di siti rinvenuti.

Il canino atrofico di cervo di Grotta dei Piccioni* trova riscontro con un esemplare rinvenuto nei livelli VBQ 2 delle Arene Candide (1999).

Gli oggetti in osso

Il materiale in osso consiste in frammenti privi di carattere e di una morfologia riconoscibile, per i quali non sono proponibili confronti provenienti da Ripoli; in un’imitazione di canino atrofico di cervo con foro verso la radice, un frammento di pendaglio tratto da grande scheggia di osso lungo, un frammento di pendaglio

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di forma rettangolare con angoli leggermente stondati che presenta un piccolo foro ad un’estremità ed in due bottoni con doppio foro provenienti dalla Grotta dei Piccioni.

L’imitazione di canino atrofico di Grotta dei Piccioni* trova confronto, almeno concettuale, con l’esemplare in pietra rinvenuto alla Grotta Patrizi al Sasso di Furbara (Grifoni Cremonesi, Radmilli 2001)

La forma del pendaglio curvo con estremità arrotondate di Ripoli richiama quella dei pendenti in conchiglia rinvenuti nei livelli VBQ 1 delle Arene Candide (Traversone 1999) e nella tomba 27 riferibile al periodo VBQ 2 in Via Guido Rossi a Parma. Un elemento molto simile in pietra, anche se frammentario, proviene dal Castello di Breno (Fedele 1988).

La ripetizione della forma curva con estremità arrotondate in diverse materie prime lascia pensare che si tratti dell’imitazione della sagoma di un oggetto che ha acquisito una carica simbolica molto forte. In relazione ai numerosi rinvenimenti alle Arene Candide non è da escludere che il nostro pendaglio sia l’imitazione di un pendente in conchiglia.

Il bottone con fori adiacenti di Grotta dei Piccioni* non trova confronti puntuali, ma si ricordano le piastrine in conchiglia provenienti dalla Grotta all’Onda (Berton et al. 2003) e, nel sud, dallo strato 3 della Grotta del Fico (Palma di Cesnola et al. 1961).

Il bottone con perforazione a T di Grotta dei Piccioni*, che sembra anticipare il tipo con perforazione a V che avrà fortuna nell’età dei metalli, è simile ad un esemplare con abbozzo di foro riferibile al campaniforme rinvenuto a la Romita di Asciano (Peroni 1962-63) e ad un bottoncino di forma più elaborata proveniente dai livelli VBQ delle Arene Candide (Traversone 1999).

Come per la conchiglia e per il dente si evidenzia una similarità tra gli oggetti in osso dei siti abruzzesi e quelli rinvenuti alle Arene Candide. Tali analogie, confortate da ritrovamenti di ceramica stile Ripoli in Liguria, suggeriscono che tra le popolazioni dei due luoghi potrebbe esserci stato un contatto ed una particolare affinità culturale che si è manifestata nella scelta di elementi con forme somiglianti.

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Inoltre, la varietà di questi oggetti rispetto a quelli dei periodi precedenti sembra attestare un’evoluzione del gusto verso nuove forme che potrebbero sottintendere il maggiore bisogno da parte dell’individuo di distinguersi all’interno della comunità.

Gli oggetti in pietra

Gli oggetti in pietra non levigata consistono nei due pendagli sub rettangolari di Grotta dei Piccioni: uno che su una faccia presenta cinque profondi solchi trasversali alternativamente larghi e stretti e sulla faccia opposta alcune linee curvilinee che accennano un motivo a spirale e l’altro che su una faccia reca tre solchi trasversali profondi e piuttosto stretti e sulla faccia opposta due spirali separate da una profonda linea trasversale.

In pietra levigata sono presenti il frammento di vago cilindrico in calcare proveniente dalla Grotta S. Angelo ed 8 anelloni/bracciali (7 in calcare ed 1 in arenaria) provenienti da Ripoli.

Pietra non levigata

I due pendagli sub rettangolari di Grotta dei Piccioni* ricordano un pendaglio in pietra tenera porosa proveniente dalla Lagozza di Besnate (Guerreschi 1967). Nel sito di Balm’ Chanto (Nisbet Biagi 1987) riferibile all’età del bronzo, la tecnica utilizzata per ricavare asce-accette-scalpelli consisteva nella levigazione di un solco ad U su ciottoli di eclogite e nel conseguente distacco di manufatti parallelepipedi da picchiettare e levigare in un secondo momento. Tali solcature sono molto simili a quelle dei pendagli di Grotta dei Piccioni, per i quali non va escluso, con beneficio di inventario, un utilizzo funzionale uguale a quello dei frammenti di Balm’ Chanto.

Pietra levigata

Il vago cilindrico di Grotta S. Angelo mostra affinità con vaghi cilindrici rinvenuti nei livelli VBQ delle Arene Candide (Traversone 1999).

Anelloni litici simili a quelli di Ripoli sono diffusi in Italia del Nord già a partire dal Neolitico Antico. Un anellone in calcare è stato rinvenuto nei livelli del Neolitico Medio alla Grotta delle Felci a Capri (Peroni 1959). La presenza di

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questi manufatti a Ripoli non sembra però dovuta ad un’importazione settentrionale, in quanto nel villaggio sono stati rinvenuti ciottoli con abbozzo di foro su entrambe le facce che Cremonesi collega alla produzione degli anelloni. A Ripoli, la presenza di un buon numero di anelloni collegati a ciottoli con abbozzo di foro lascia pensare che la fabbricazione di tali monili avvenisse in situ, come è stato pensato accadesse per gli anelli in Glycymeris.

Il villaggio dimostra dunque di essere stato particolarmente attivo in vari settori e non soltanto nella produzione ceramica.

Gli oggetti in terracotta

Come per gli altri periodi la terracotta non sembra avere successo come materia utilizzata nella fabbricazione di ornamenti. L’unico elemento presente è il dischetto forato e lisciato proveniente da Grotta delle Marmitte* per il quale non sembrano sussistere confronti puntuali. Vaghi in terracotta si conoscono durante il Neolitico Antico a Favella (Micheli 2009).

6.4. Neolitico Recente- Cultura di Ripoli: aspetti recenti

Gli oggetti d’ornamento riferibili a questo periodo sono fabbricati in conchiglia, dente, osso, pietra e terracotta (Tabella 2d). Il numero complessivo di oggetti rinvenuti è di 192 unità, attestando un aumento rispetto al periodo Ripoli classico. Tale quantità è pressoché coincidente al numero di elementi presenti nel solo sito di Ripoli (III) e Fossacesia, poiché a Settefonti, l’unico altro sito dove si registrano parures, sono presenti soltanto due Glycymeris forati. La materia prima decisamente più utilizzata è la conchiglia, ma si ricorda che non sono riportate le quantità degli oggetti in dente ed osso provenienti da Ripoli (v. paragrafo precedente).

Le altre materie prime contano al massimo tre elementi: il dente è rappresentato da due frammenti di zanna di Sus con tracce di lavorazione e l’osso da un frammento di probabile pendaglio e da una falange di cervo con abbozzo di foro. In pietra levigata sono presenti due frammenti di anellone, uno in calcare e l’altro pregiato in roccia subvulcanica, mentre in terracotta è fabbricato il pendaglio triangolare di colore bruno-verdastro.

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Gli oggetti in conchiglia

Dei 100 esemplari di conchiglie rinvenute, soltanto 35 presentano il foro all’umbone. Un numero così elevato di esemplari privi di tracce di lavorazione può essere giustificato, oltre che dalla vicinanza di Fossacesia al mare, da una raccolta per scopi alimentari e/o funzionali (v. 5.4). .). Gli unici generi che hanno subito la foratura della valva sono il Glycymeris sp. ed il Cardium, mentre un esemplare delle specie Patella cerulea e Trunculariopsis trunculus riportano tracce di ocra. Purtroppo non è possibile stabilire con precisione quali specie conchifere e quanti esemplari siano stati utilizzati nell’abitato di Ripoli. L’unico esempio di conchiglia che ha subito la modificazione della valva è il frammento in madreperla proveniente da Ripoli.

Il genere più significativo è il Glycymeris sp., seguito dalla specie Trunculariopsis

trunculus e Patella cerulea rappresentate entrambe da molti meno esemplari. A

poche unità si limitano i rinvenimenti di Cardium, Ostrea sp. e Spondylus

gaederopus, mentre la Venus multilamella ed il Murex brandaris contano un solo

esemplare (Tabella 3d).

Conchiglie semplicemente perforate

Gli unici generi perforati sono il Glycymeris ed il Cardium. Questi due generi sono attestati nei livelli Chassey delle Arene Candide (Traversone 1999) ed alla Grotta all’Onda (Berton et al. 2003), in ambiti coevi.

Anche la Patella sp.* con tracce di ocra (priva di foro) è affine, quantomeno per genere, ad un esemplare forato rinvenuto nei livelli Chassey delle Arene Candide (Traversone 1999).

Conchiglie modificate

Purtroppo, come già detto, non è possibile stabilire la quantità e le forme di conchiglie modificate che sicuramente erano presenti nel villaggio di Ripoli. Le superfici limitate del frammento di pendaglio in madreperla non permettono di effettuare confronti di nessun tipo.

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Gli oggetti in dente

Gli oggetti in dente consistono in due frammenti di zanna di Sus lavorati* che trovano confronto con un frammento rinvenuto nei livelli del Neolitico superiore a La Romita di Asciano (Peroni 1962-63). Zanne di cinghiale però forate sono state rinvenute nello strato 6 di Attiggio (Lollini 1991).

Gli oggetti in osso

Gli oggetti in osso sono un frammento forato ricavato da osso lungo ed una falange di cervo con abbozzi di foro speculari all’articolazione prossimale.

Il frammento di osso forato di Fossacesia conserva superfici talmente limitate da non permettere alcun confronto.

La falange di cervo con abbozzo di foro trova confronto con due falangi di ovicaprino forate rinvenute ciascuna nei livelli Chassey delle Arene Candide ed alla Maddalena di Chiomonte (Gaj, Maestro 2002).

Gli oggetti in pietra

Gli oggetti in pietra consistono in un anellone in calcare proveniente da Ripoli* e nel frammento di anellone in roccia sub vulcanica proveniente da Fossacesia. Il bracciale di Fossacesia è un elemento di sicura importazione, in quanto affioramenti rocciosi sub vulcanici non sono presenti in Abruzzo. Affioramenti rocciosi dai quali potrebbe essere stato ricavato il bracciale sono presenti nell’arco alpino, in Italia Settentrionale, ed in Calabria, oltre ad essere frequenti in area balcanica. La presenza di elementi Chassey nel villaggio di Fossacesia lascia pensare che questo elemento sia di importazione settentrionale.

Gli oggetti in terracotta

L’unico oggetto in terracotta è un pendaglio di colore bruno-verdastro di forma grosso modo triangolare con foro in prossimità dell’angolo acuto*.

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Pendagli di forma simile però fabbricati in pietra sono stati rinvenuti nei livelli Chassey delle Arene Candide (Traversone 1999), a Sant’Andrea di Travo ed alla Lagozza di Besnate (Guerreschi 1967).

Gli oggetti provenienti da Ripoli, dei quali non abbiamo sufficienti notizie, potrebbero aggiungere dati tecnologici e tipologici che per adesso sono limitati al singolo villaggio di Fossacesia. Gli elementi provenienti da quest’ultimo abitato lasciano pensare ad un diminuito interesse verso l’adorno di questa comunità rispetto alle comunità precedenti, in quanto escludendo l’elevata quantità di conchiglie rinvenute nel villaggio (100 esemplari di cui 35 sono forati), giustificabile con la vicinanza di Fossacesia al mare e dai diversi scopi per i quali le valve sono state raccolte, il numero totale dei rimanenti oggetti ornamentali (dente, osso, pietra, terracotta) è ridotto a 6 unità. Se tale considerazione sembra troppo azzardata, l’assenza di valve modificate e le forme poco varie dei restanti oggetti di Fossacesia e Settefonti suggeriscono una manifestazione del gusto molto meno articolata rispetto a Ripoli, come peraltro emerge dalla decorazione ceramica.

6.1. Neolitico Finale

Premesso che come per il periodo precedente i siti indagati sono molto pochi, il solo oggetto ornamentale attribuibile a questo periodo è un Glycymeris forato proveniente da Piano d’Orta*; il livello superiore di Fonti di San Callisto e quelli della fine del neolitico alla Grotta Sant’Angelo sulla Montagna dei Fiori, con aspetti culturalmente coevi, non hanno restituito oggetti ornamentali.

Questo esemplare testimonia la continuità ed il successo di questo genero conchifero rinvenuto anche nelle Marche a Pianacci di Genga (Lollini 1991). La sua sporadicità inoltre potrebbe confermare la scarsa attenzione verso l’adorno durante le ultime fasi neolitiche, nonostante Piano d’Orta sia l’unico sito, peraltro poco scavato, che ha restituito oggetti d’ornamento.

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