• Non ci sono risultati.

Dicembre Notiziario dell Ispettorato Regionale del Lazio. Fratello tra Fratelli, Maestro fra Maestri.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Dicembre Notiziario dell Ispettorato Regionale del Lazio. Fratello tra Fratelli, Maestro fra Maestri."

Copied!
52
0
0

Testo completo

(1)

Dicembre 2016

Notiziario dell’Ispettorato Regionale del Lazio

Fratello tra Fratelli, Maestro fra Maestri.

VI

(2)

SUPREMO CONSIGLIO

DEL 33° ED ULTIMO GRADO

DEL RITO SCOZZESE ANTICO ED ACCETTATO PER LA GIURISDIZIONE MASSONICA ITALIANA DEUS MEUMQUE JUS

L U F

ORDO AB CHAO T U P

A U T O S A G

Grandi Dignitari

Sovrano Gran Commendatore Ven.mo e Pot.mo Fr. Leo Taroni 33°

Luogotenente S.G.C. Ven.mo Fr. Vincenzo Bua 33°

Gran Priore Pot.mo Fr. Edo Biondo 33°

Gran Cancelliere Pot.mo Fr. Riccardo Segre 33°

Gran Oratore e Grande Ministro di Stato Pot.mo Fr. Ugo Bellantoni 33°

Gran Segretario Pot.mo Fr. Andrea Roselli 33°

Gran Tesoriere ed Elemosiniere Pot.mo Fr. Francesco Fedeli 33°

Gran Architetto Revisore Pot.mo Fr. Angelo Florio 33°

(3)

S

3

4 Introduzione

del Pot.mo Fr.·. Valter Guandalini 33° M∴Att∴

Ispettore Regionale per il Lazio del R∴S∴A∴A∴

6 Cariche 2016 della Loggia di perfezione Maestri Segreti “Giano” all’Oriente di Roma

Le Tavole del Fr. Oratore P. Bianchi 4°

8 La leggenda di Hiram 11 Quando tu volgi gli occhi al cielo e contempli il sole, la luna, le stelle, non rendere loro alcun culto 13 Il lauro e l’ulivo 15 Il Silenzio dell’Apprendista e il Silenzio del Maestro Segreto: le differenze 17 L’Urna 18 La Loggia di Perfezione 20 Conciliare obbedienza, fedeltà e libertà

22 L’intuizione del Maestro Segreto 24 L’occhio della provvidenza 25 Il Simbolo 27 I Leviti 29 La Chiave spezzata

31

Tavola d’Agape 2015

33

Mercoledì Scozzese

34 La scelta scozzese - Vista dal 18° Grado 38 La scelta scozzese - Vista dal 30° Grado 42 La scelta scozzese - Vista dal 31° Grado

LOGOS

ommario

(4)

4

C Regionale proseguirà con il totale impegno e senso del dovere che, da sempre, hanno caratterizzato l’attività di tutti i Fratelli che hanno avuto - nel tempo - l’onere e l’onore di raccordare e dirigere l’attività dei Fratelli Scozzesi del Lazio.

Quel dovere che costituisce il sottile ma forte “filo” che ci riconduce e ci lega alla nostra Tradizione e che non può essere alterato da personali interpretazioni.

I nostri Rituali, i nostri Statuti, le nostre consuetudini costituiscono le certe pietre miliari che

indicano il percorso entro il quale siamo tenuti al costante arissimi Fratelli Scozzesi,

in occasione della rituale celebrazione della Festa del Solstizio d’Inverno, desidero porgerVi gli auguri fraterni per un sereno ed ottimale nuovo anno di Lavoro.

Tali auguri sono maggiormente partecipi perché, dismettendo le funzioni di Ispettore

Regionale, auspico che il Fratello che assumerà questa incombenza, possa essere coadiuvato dalla medesima fraterna partecipazione che ha accompagnato, in questi anni, il mio lavoro.

Sono certo che la nuova conduzione dell’Ispettorato Solstizio d’Inverno 2016

La mano che “consegna” e che trasmette la possibilità di “vedere” e, in definitiva, di “sapere” è, in questa stampa secentesca, l’immagine della Tradizione

(5)

5

impegno per il bene del Rito Scozzese.

L’Iniziazione, confermata dal con il nostro cosciente e disinteressato impegno,

quanto ci è stato trasmesso da coloro che ci hanno preceduto e che, talvolta, hanno pagato anche con la vita ed il carcere la propria coerenza massonica.

In questa particolare ricorrenza, nel formulare il nostro corale augurio di sereno e proficuo lavoro al

Venerabilissimo e Potentissimo Sovrano Gran Commendatore ed ai Potentissimi Membri Attivi del Supremo Consiglio, vogliate gradire Fratelli carissimi, il mio Triplice Fraterno Saluto Rituale.

Pot.mo Fr.·.Valter Guandalini 33° M.·.Att.·.

Ispettore Regionale per il Lazio del RSAA

(6)

6

L ommario OGGIA DI PERFEZIONE MAESTRI SEGRETI “GIANO”

ORIENTE DI ROMA

CARICHE PER IL 2016 A∴D∴

(7)

7

Pot.mo Re Salomone M. Tombolini 33°

Ven.mo Fr. Adonhiram D. Bellantoni 30°

Fr. Oratore P. Bianchi 4°

Fr. Segretario S. Chermaz 9°

Fr. Tesoriere F. Brigida 4°

Fr. Maestro delle Cerimonie G. Bramucci 4°

Fr. Capitano delle Guardie S. Zicari 4°

Fr. Esperto G. Sacchi 4°

Fr. Portastendardo G. Fiore 4°

I Gradi sono quelli che ciascun Fratello aveva all’atto dell’insediamento

(8)

8

giusto chiedersi: cosa accadrebbe se un musulmano venisse a sapere - e lo dico per ipotesi - che il profeta Maometto non ha mai ricevuto il Sacro Corano da Allah per intercessione dell’angelo Gabriele?

O cosa accadrebbe se a un cristiano venisse svelato - sempre per ipotesi - che Gesù non è mai risorto?

Probabilmente ciò significherebbe la caduta della propria fede religiosa e il conseguente crollo di certi valori etici e morali ad essa legati.

Ciò significherebbe, in sostanza, essere scaraventati in un angoscioso smarrimento nichilista.

Che cosa accadrebbe, invece, se a un iniziato Maestro Libero Muratore venisse “svelato” che la Leggenda di Hiram non si è mai svolta davvero?

Non accadrebbe nulla: perché nessuno tra di noi crede che tale vicenda sia vera, ciò che conta è piuttosto che essa contenga verità.

Qui sta l’assoluta incrollabilità degli insegnamenti espressi dalla Massoneria universale, la cui solidità è rappresentata con l’allegoria della muratoria e che non essendo religione e non pretendendo alcun atto di fede religiosa concorre a

fissare nell’iniziato una fede di tipo diverso: quella nei principi universali ed eterni che sono incrollabile essenza dell’Uomo stesso.

La leggenda hiramica, della quale non occorre tra noi ripercorrere e ricordare la trama, è apice di quella dialettica rappresentata simbolicamente con il numero tre:

l’uno si confronta, si confonde, si unisce al due, cioè all’altro da sé, per poi fare ritorno, ma una volta tornato a sé l’uno iniziale non sarà più quello di prima, sarà qualcosa di diverso e nuovo, rappresentato appunto dal numero tre.

Nella leggenda di Hiram siamo chiamati alla riflessione sul tre supremo: al confronto definitivo e ultimo tra una cosa, il suo opposto e la loro sintesi: siamo infatti chiamati ad affrontare la contrapposizione tra la vita e la morte, la cui soluzione finale è rappresentata allegoricamente dalla risurrezione del Maestro Architetto, ma volendo porci su di un piano ancora più elevato potremmo dirci chiamati ad affrontare persino la questione

Roma, 22 gennaio 2016 A∴D∴

La leggenda di Hiram.

è

(9)

9 ontologica tra l’essere e il non

essere.

La breve vicenda offre una quantità sterminata di spunti di speculazione esoterica: l’ambientazione,

anzitutto, ci pone in un luogo che è sì realmente esistito, ma oggi non più esistente, quindi un luogo che non può essere meta di pellegrinaggi e oggetto di culto, poiché esso è simbolo del nostro tempio interiore.

Altri spunti sono dati dal cantiere di costruzione, che lega la vicenda al sistema simbolico dei primi due Gradi massonici, più propriamente muratori, come dal fatto che gli assassini di Hiram non siano profani, ma muratori, ovvero delle persone ammesse ai Lavori ma non iniziati alla maestria, e che fanno cattivo uso della misura, sfruttata per reprimere le gioie terrene - il riferimento è al regolo che colpisce la gola di Hiram - che fanno

cattivo uso della razionalità e della esattezza logica, usate per frenare il trasporto sentimentale - ecco un significato attribuibile alla squadra che colpisce il cuore di Hiram - e che infine fanno cattivo uso del potere, rappresentato dal maglietto, che colpevole più degli altri utensili ferisce e finisce il Maestro con un colpo inferto alla fronte: sede della Ragione e della Sapienza.

Altre riflessioni possono scaturire dall’importanza data alla

putrefazione del corpo di Hiram:

la Parola Sacra è perduta e tale putrefazione segna lo stato di decadenza, figlia del distacco determinatosi tra la Ragione prima regolatrice del Cosmo, il Logos o Principio primo ordinatore dell’Universo, da una parte, e l’Uomo, dall’altra, sofferente

l’ignoranza di questa Regola primitiva. La putrefazione rappresenta questa epoca oscura di ignoranza della Ragione che regola il Tutto, corrisponde alla Kali Yuga citata nei Veda della tradizione induista, all’Età del Ferro narrata da Esiodo, ma anche a quel continuo e inesorabile venir meno dell’apparente: l’infinito effimero del tutto ciò che appare e che è destinato a sparire per sempre, tornando in quel nulla da cui crediamo provenga, credenza che è causa dell’intrinseco nichilismo proprio del pensiero dell’Occidente - luogo del tramonto - di quel continuo divenir nulla di ogni cosa detto in modo sublime dal conte Giacomo Leopardi con le espressioni “Questo supremo scolorar del sembiante” e “L’infinita vanità del tutto”.

La Leggenda di Hiram, che offre la possibilità di sciogliere i nodi derivanti dall’inconciliabilità di tutti gli opposti, è al tempo stesso tradizionale, dal momento che riconosce un’origine perfetta delle cose, poi degradatasi, e l’esistenza di principi eterni e di una essenza dell’Uomo, ma esprime anche una fede nel progresso e una speranza, giacché riconosce la possibilità di tornare all’originaria età aurea, tramite il continuo lavoro. Ricordiamo infatti le ultime parole

(10)

10

più ampio, nata appunto con la Filosofia. Dopo aver chiesto da profani e con la benda sugli occhi di volere la luce, iniziando così un percorso propriamente filosofico, e dopo aver lavorato con la ragione e la misura propria del Libero Muratore, ciascuno di noi è tornato, con l’elevazione e conoscendo l’acacia, ad accostarsi a quell’antica e primitiva sapienza prefilosofica espressa dal mito, capace di stimolare non solo la ragione, ma anche l’intuizione e lo slancio spirituale: anche questo è la Leggenda di Hiram.

pronunciate da Hiram prima di essere ucciso: “Lavora, persevera, impara. Solo così avrai diritto alla maggiore ricompensa”.

Come vedete, Potentissimo, la Leggenda di Hiram conduce lontano, tanto lontano da far sorgere addirittura il dubbio che ci si stia allontanando troppo e che si possa fare abuso di riferimenti e rimandi, ma è la leggenda stessa nella sua compiuta perfezione a rassicurarci anche su questo: dice infatti il Venerabilissimo ai Maestri in cerca dei resti mortali di Hiram:

“Viaggiate, Maestri, dall’Occidente all’Oriente, dal Settentrione al Meridione, finché non avrete trovato il luogo in cui è sepolto il Maestro”.

Non bisogna quindi porsi limiti alla ricerca che conduce a quell’acacia:

simbolo di resurrezione e di eternità.

Quando il tiranno Leonte chiese a Pitagora chi fosse, Pitagora rispose

“Un filosofo”, per la prima volta fu usato il termine filosofo, che nel profondo etimo indica colui che tende alla tanta luce, tradotto spesso in colui che ama la conoscenza.

In tempi più antichi vi era la figura del saggio, detto in Greco antico sophòs (lì dove phòs significa luce, quindi saggio è chi vede le cose in modo chiaro, alla luce, o che è fonte egli stesso di luce chiarificatrice), a questa figura si sostituisce, in Grecia, intorno al VI secolo a.C., il filosofo che è colui che non è saggio di per sé, che non possiede la Sapienza e la Luce, ma che con l’uso del metodo e della ragione la persegue incessantemente; questo ha significato anche il passaggio dal mito come solo strumento di conoscenza della verità alla ricerca scientifica, da intendersi nel senso

(11)

11 questo breve passo del rituale

di iniziazione a Maestro Segreto condensa in sé insegnamenti preziosi, chiari, netti.

Analizziamolo in ogni sua parte: le prime parole “Quando tu volgi gli occhi al cielo” sono significative della intrinseca tensione metafisica e mistica dell’Uomo, nel passo ci si rivolge ad un Maestro Libero Muratore, quindi ad un iniziato, ad una persona che ha scelto di abbandonare le comode convinzioni dogmatiche e di perseguire

incessantemente la Via Iniziatica Tradizionale, una persona che è allegoricamente morta e rinata e che non può trovare pace nella mera materialità, non può essere uno

“stupido ateo”, per dirla con James Anderson, che non può, quindi, che rivolgere il proprio sguardo al cielo, all’assoluto, alla sterminata armonia degli astri celesti.

Il passo continua ammettendo e dando per naturale l’attività contemplativa: è infatti scritto

“e contempli il sole, la luna, le stelle”, ma è poi posta una netta e

imperativa regola: “non rendere loro alcun culto”. Il Libero Muratore, iniziando con il IV Grado un percorso nuovo e radicalmente diverso rispetto a quello caratteristico della Massoneria Azzurra, è posto di fronte ad un vero e proprio monito che richiede quelle cose che caratterizzano il Grado di Maestro Segreto: obbedienza, fedeltà e silenzio.

Questo breve ma prezioso passo dà risposta ad interrogativi che spesso sono posti sulla natura e sull’attività liberomuratoria, chiarendo la differenza tra un atteggiamento prettamente religioso, essoterico, esteriore, e quello da assumere, che è viceversa esoterico, interiore, lontano dal culto di ciò che è fuori da sé. Nessuna esteriorità, neanche la più grande o distante è infatti degna di culto, ma solo della naturale contemplazione: il culto - e dobbiamo comunque riflettere sul modo e sul senso del culto - va riservato a quell’Essere Supremo che è unico e che non si identifica nella cosa, nell’idolo, nel feticcio religioso, ma che permea e regola

“ Quando tu volgi gli occhi al cielo e contempli il sole ,

la luna , le stelle , non rendere loro alcun culto ”

Roma, 5 febbraio 2016 A∴D∴

Q

(12)

12

il Tutto e che non possiamo incontrare direttamente se non dentro noi stessi.

Il sole, la luna e le stelle sono simboli: il mascolino, il femminino, Apollo, Artemide, il solve solare, il coagula lunare, le stelle che per tempi lunghissimi hanno indicato la rotta ad ogni viandante, anche in senso allegorico ed esoterico, non sono banalmente le realtà che ci appaiono e che crediamo di conoscere, ma per come si manifestano ai nostri occhi fungono perfettamente da simboli di princìpi interiori nostri e universali.

In uno dei frammenti di Eraclito giunto fino a noi il criptico filosofo critica e irride il poeta tradizionale Esiodo, affermando non senza tono aristocratico:

“Maestro della massa degli uomini è Esiodo: pensano che egli sia sapiente più di qualsiasi altro, lui che non conosceva nemmeno il giorno e la notte, che sono in realtà una sola ed unica cosa”.

Il riferimento è soprattutto legato alla scoperta dei primi filosofi, successiva ad Esiodo, del fatto che la luce lunare sia soltanto il riflesso di quella solare, ed alla comprensione del fatto che il dì e la notte sono soltanto due fasi, due gradazioni, di quell’unica e sola cosa che è l’intero giorno. Parimenti, il prestare

culto porta soltanto a distinguere e a confondere, a dividere, a distrarre dalla consapevolezza dell’Uno, dell’Essere che tutto comprende e che abita e colma la nostra interiorità.

(13)

13 l Maestro Segreto è ricevuto sotto

il lauro e l’ulivo, dove gli sono insegnati il segreto, l’obbedienza e la fedeltà. Egli - cito il rituale

“si impegna a combattere, con ardimentoso coraggio, non soltanto quei pregiudizi che inquinano ogni civiltà, ma anche gli assalti delle proprie passioni, affinché la simbolica corona di alloro (e di ulivo, aggiungo) non sia sterile simbolo, ma vittoria conseguita da una pace serena”. Il grembiule stesso del Maestro Segreto reca due rami intrecciati: uno d’ulivo, l’altro di alloro.

Il lauro, o alloro, definito da Empedocle d’Agrigento la suprema tra tutte le piante, si caratterizza per essere legata al potere, all’arte, alla letteratura e alla mitologia, ed è espressione di successo, onore e gloria. Nell’antica Grecia era consacrata al dio Apollo e veniva considerata pianta profetica, essendo utilizzata dalla Pizia di Delfi, e anche da altre sacerdotesse, per raggiungere l’ispirazione. Per la sua efficacia magica era considerata pianta della riuscita, del successo e, quindi, della vittoria.

La mitologia greco-romana narra del un dio Apollo innamorato della ninfa Dafne - nome che in Greco antico significa lauro - figlia di Peneo, dio fluviale. Dafne, per scappare dal desiderio del dio Apollo, chiede al padre di salvarla e

Peneo la accontenta, trasformandola in pianta di alloro. Di questa

scena è eccellente e famosa rappresentazione la scultura del Bernini conservata presso la Galleria Borghese, in Roma.

Il dio Apollo si impossessa della pianta ancora palpitante di vita e se ne cinge il capo, in segno di eterna unione. Dall’antichità scienziati, poeti ed eroi furono premiati con una corona di alloro.

Nell’antica Grecia la corona di lauro era infatti conferita ai vincitori dei giochi Pitici e a Roma fu assunta quale simbolo di vittoria e posta sui capi di imperatori, consoli e generali vittoriosi. Gli stessi messaggeri di vittorie belliche portavano ramoscelli di alloro in Campidoglio e li posavano sulle ginocchia di Giove Ottimo Massimo.

Anche i cristiani, successivamente, mantennero la valenza di tale simbolismo e usarono adornare le tombe dei primi martiri con il lauro, in segno di vittoria spirituale e, in quanto pianta sempreverde, in segno di vita eterna. È di epoca medioevale, invece, l’uso di cingere con il lauro la testa dei giovani dottori, da cui il termine laureato.

L’ulivo o olivo è pianta coltivata da tempi antichissimi nel bacino del Mediterraneo, la leggenda attribuisce addirittura ad Ermete la sua coltivazione nelle zone

Il lauro e l’ ulivo

Roma, 19 febbraio 2016 A∴D

I

(14)

14

comprese tra la Cirenaica e l’Egitto. Columella, georgico latino, affermò che olea prima arborum omnium est, e questo ci dà la misura dell’importanza data a questa pianta, al tempo dedicata a Minerva, dea della Sapienza, in quanto usata per produrre l’olio:

combustibile delle lampade datrici di luce.

L’ulivo è, soprattutto e come evidenziato dal nostro rituale, simbolo di pace.

Qui il riferimento è in particolare alla colomba che tornò sull’Arca di Noè con in becco un ramoscello di ulivo, dando così implicito annuncio del ritiro delle acque e quindi della ritrovata pace, della fine del diluvio universale e, più in generale, della rinnovata alleanza tra Dio e l’umanità.

Dalla settima olimpiade i vincitori delle gare erano premiati non più con un ramo di melo recante un frutto, bensì con una corona di ulivo, anch’esso sacro al dio Apollo. Ugo Poli, nel testo Massoneria Iniziatica - La via Scozzese afferma: “il Rito Scozzese Antico ed Accettato può essere considerato come la massima espressione iniziatica, particolarmente predisposta per l’uomo

dell’età moderna propriamente inserito nella società profana occidentale”.

La cultura occidentale, e quindi la società occidentale, è sostanzialmente frutto di due grandi filoni: quello greco-romano, da un lato, e quello giudaico-cristiano, dall’altro. L’alloro, pianta della vittoria, è maggiormente legata al primo filone, quello greco-romano, l’ulivo, invece, pianta della pace, è legato maggiormente alla tradizione giudaico-cristiana.

Questa corrispondenza pone il Grado di Maestro Segreto al centro del pieno intreccio della cultura occidentale, tra le nostre più ancestrali e radicate forme simboliche e mitologiche, tra una vittoria che conduce alla pace ed una pace che conduce alla vittoria.

(15)

I Roma, 4 marzo 2016 A∴D∴

15

Il Silenzio

dell’Apprendista e il Silenzio

del Maestro Segreto :

le differenze

l susseguirsi dei Gradi iniziatici massonici - che è un susseguirsi progressivo in parallelo virtuale e reale - è da considerarsi in senso cumulativo. Non c’è, in sostanza, alcun definitivo superamento al raggiungimento del Grado iniziatico successivo, anche un Maestro Libero Muratore viene, ad esempio, riconosciuto come Compagno d’Arte in corso di apertura dei lavori in Secondo Grado. Una facile retorica da noi diffusa ci porta spesso a ripetere che ci si sente sempre apprendisti, intendendo banalmente che non si smette mai di apprendere; questo però ha poco a che fare con il senso profondo ed esoterico del termine Apprendista: la verità è che non solo, naturalmente, rimaniamo sempre apprendisti, ma rimaniamo sempre anche compagni d’arte, maestri, maestri segreti, eccetera. Lo rimaniamo per sempre.

Ogni Grado massonico, inoltre, presuppone uno specifico lavoro, che alla luce di quanto detto non può essere smesso nel momento in cui, raggiungendo un nuovo Grado, si aggiunge nuovo lavoro al lavoro già in svolgimento.

Tutta questa premessa si rende necessaria ad escludere logicamente e categoricamente qualsiasi

sovrapposizione tra il lavoro dell’Apprendista Libero Muratore e il lavoro del Maestro Segreto: sono lavori diversi e quindi il silenzio associato a questi due Gradi sono necessariamente silenzi diversi.

Volendo, possiamo concentrarci sulla natura, ovvero sull’essenza, del silenzio, ma in questa sede è preferibile concentrarci, appunto, sul silenzio inteso come lavoro:

come strumento funzionale ad un risultato parziale e necessario, che concorre al compimento del pieno Lavoro, del dovere, dell’Opera.

Il silenzio dell’Apprendista è legato ad un lavoro di distruzione, rappresentato dallo sgrossamento della pietra grezza e collegato ad Eracle, alla forza bruta in quel momento necessaria e opportuna, ad un ritorno ad un silenzio da intendersi come tabula rasa, annullamento delle sovrastrutture che ci hanno fino a quel momento caratterizzati in quanto profani. Il silenzio dell’Apprendista è quindi un silenzio di ritorno ad una

(16)

16

condizione che precede i rumori della profanità, i vincoli dei dogmi, i gravi limiti dell’erudizione.

Il silenzio del Maestro Segreto, al contrario, non è un silenzio di ritorno ad una condizione primitiva ed ancestrale, ma è un silenzio che si conquista dopo aver conosciuto e vissuto la Leggenda di Hiram: non è un far vuoto dentro se stessi ma è, al contrario, un trattenere in se stessi qualcosa che è sopraggiunto con la maestranza. Ci aiuta a comprenderlo il gesto dell’ordine del Grado: le due dita che serrano la bocca del Maestro Segreto significano un far sì che la parola non esca e bene si sposa ai doveri di obbedienza e di fedeltà propri del lavoro di questo Grado.

Il silenzio dell’Apprendista è, inoltre, una ricerca di pace interiore che ben predispone all’apprendimento del metodo massonico e del linguaggio simbolico, al contrario il silenzio del Maestro Segreto è un atto più vicino all’acuta attenzione e concentrazione, piuttosto che alla meditazione introspettiva simboleggiata dal filo a piombo.

Esposte qui le fondamentali differenze tra questi due

“silenziosi lavori” è però doveroso anche concentrare l’attenzione sulla coincidenza, certamente non casuale, che un lavoro di silenzio sia posto all’inizio di entrambi i percorsi: quello generale massonico e quello proprio del Rito Scozzese. Non è certo un caso che in entrambi i sentieri - che sono distinti pur nella loro continuità e unicità sostanziale - il lavoro iniziale sia sempre caratterizzato dal silenzio. Dalle differenze riscontrabili tra questi due silenzi è, con ogni probabilità, intuibile la differenza stessa tra la Massoneria Azzurra ed il Rito Scozzese Antico ed Accettato.

(17)

17 n ambito esoterico saltano le

normali logiche narrative, salta la linearità delle vicende, salta l’azione a vantaggio dell’esaltazione dell’atto: del momento che è fuori dall’azione ma conferisce significato al tutto.

Questo perché, nei miti e nelle narrazioni di carattere esoterico, non conta più di tanto la vicenda, la storia in sé, che è piuttosto pretesto perché si manifestino e rappresentino i simboli e le

allegorie su cui l’iniziato è chiamato a elaborare e a condividere una propria personale e libera esegesi.

Nel nostro caso, dato il tema dell’urna, è bene anzitutto sganciarla inizialmente dalla vicenda hiramica per riflettere su di essa come simbolo a sé stante: il mito del Terzo Grado si era infatti concluso non con una morte, ma con una rinascita e in nessuna parte di tale mito si fanno riferimenti a processi di cremazione che possano unire la morte del maestro Hiram ad un’urna funeraria.

Il lutto che caratterizza la Loggia di Perfezione dei Maestri Segreti è quindi simbolo e concetto a sé stante che nella sua universalità è però ricollegabile anche al lutto per la morte del maestro Hiram.

Sganciamo quindi l’urna funeraria anche dalla chiave spezzata e riflettiamo su di essa come elemento assoluto: slegato da tutto il resto. Fatto questo saremo liberi

di ricollegarla poi di nuovo alla chiave spezzata, alla Leggenda di Hiram, proprio perché in ambito esoterico non c’è limite né divieto, c’è universalità dei princìpi, ma dev’essere rigoroso il metodo.

All’urna possiamo attribuire due ordini di significati: da un lato la serie di significati ricollegabili alla morte, al totale disfacimento del corpo che è quindi totale disfacimento della materia e della materialità, alla pochezza e alla piccolezza di ciò che appare.

D’altro lato l’urna è simbolo di un segreto rinchiuso, di una verità eterna e definitiva contenuta in qualcosa di piccolo, di solenne, di silenzioso, di severo.

Spesse volte per incontrare ciò che i grandi pensatori definiscono

“il sublime” abbiamo bisogno di trovarci dinnanzi a qualche cosa di sconfinato: un paesaggio di montagna mozzafiato, uno strapiombo sul mare aperto, la stessa volta celeste che sovrasta tutti noi. Ma l’urna, e forse lei sola, è simbolo ricco al punto tale da darci una simile emozione pur nella sua modesta piccolezza e semplicità.

L’ Urna

Roma, 15 aprile 2016 A∴D∴

I

(18)

18

il termine maestro è legato alla radice MAG e, parente di termini quali magnus (grande), major

(maggiore) e magia (intesa come arte massima) sta a significare, in una gerarchia di mestiere e quindi nella scala graduale massonica, il punto massimo raggiungibile, il non plus ultra: l’apice.

Che senso ha, dunque, una volta raggiunto il Grado massimo, proseguire in un percorso di perfezionamento?

Anzitutto è senz’altro opportuno, dato il significato del termine e del Grado di maestro, considerare con netta distinzione il percorso massonico da quello rituale scozzese, questo permette di

non cadere in contraddizione al termine e di continuare a mantenere considerata la natura apicale del Grado iniziatico di Maestro Libero Muratore.

Che cosa è quindi da intendersi come perfezionamento e cosa si fa in una Loggia di Perfezione? La risposta è, come sempre, insita nel rituale e nell’arredo del tempio, vale a dire nel Grado stesso. Ma partiamo anche qui dal termine: perfezione deriva dal Latino perfectio, e

perfetto deriva da perfectus.

A loro volta, queste parole provengono da perficio (finire), portare a termine.

Perfezione, quindi, significa letteralmente compimento e perfetto significa compiuto. Non a caso chi ha raggiunto il 14°

Grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato è detto Grande Eletto Perfetto e Sublime Massone, proprio perché i Gradi dal 4° al 14° sono detti di perfezionamento e al 14° si è quindi perfetti, nel senso di compiuti dal punto dei vista di una particolare attività di arricchimento esoterico.

Roma, 29 aprile 2016 A∴D∴

La Loggia di Perfezione

I

(19)

19

l’anima prettamente massonica, basilare, universale e quella altograduale, evoluta, specifica, e questo è per note ragioni storiche che non approfondiremo in questa sede.

In conclusione: l’Arte si apprende e pienamente con la pratica dei primi tre Gradi iniziatici massonici, una volta compresa l’Arte, raggiunta la maestria, è allora possibile applicare tale metodo alle cose del mondo, per questa ragione la Massoneria con i suoi tre Gradi può certamente essere considerata sufficiente al raggiungimento del terzo, ultimo Grado, e compiuta in se stessa. Perdonerete il gioco di parole, ma può dirsi quindi che la Massoneria, anche senza i successivi Gradi di perfezione, è in sé perfetta, nel senso dell’etimo.

La ragione del perfezionamento, come quello praticato nel Rito Scozzese Antico ed Accettato, consiste

quindi nell’offerta al Maestro Libero Muratore di una serie di sistemi simbolici ulteriori e particolarmente adatti sui quali l’iniziato, padrone dell’arte già appresa pienamente, può esercitare e così affinarsi e completarsi.

Una volta compiuto tale lavoro si procede quindi con il lavoro proprio dei Gradi cosiddetti capitolari.

La differenza sostanziale e

fondamentale tra la Loggia Azzurra e la Camera di Perfezione, da quanto si evince dai rituali e dall’arredo una volta giunti a questo 4° Grado, è la perdita di una basilare universalità dei concetti e dei princìpi espressi (quali, ad esempio, nella Loggia Azzurra, simboli come il bianco e il nero, il sole e la luna, la volta celeste, il teschio, gli strumenti muratori, etc.) a favore di emblemi ed elementi con più diretto e specifico riferimento storico e culturale (Nel IV Grado abbiamo la corona di lauro e ulivo, i levìti, la menorah etc.). Per completezza è giusto sottolineare che il Grado di Maestro Libero Muratore è in un qualche modo ibrido, a cavallo tra

(20)

20

a Massoneria, intesa come via iniziatica per l’apprendimento di un metodo che fa perno sulla speculazione simbolica al fine dell’indagine interiore, è ricca di contraddizioni. Può anzi dirsi che Essa sia intrinsecamente e sostanzialmente contraddittoria.

La Massoneria è luogo esoterico, riservato agli iniziati, eppure in esso è posta la fratellanza, è consacrata la vita, la libertà e la dignità di tutti gli esseri umani, è fatto culto di principi generali e universali.

La Massoneria è costruzione, ma il primo lavoro è di distruzione di una simbolica pietra grezza per ricavarne una levigata e quindi utile all’edificazione.

La Massoneria è gerarchia e uguaglianza, è parola e silenzio, è libertà rigorosa, è un buio luminoso, è, in una parola sola, verità.

Il rituale del Grado di Maestro Segreto ci insegna qualcosa di estremamente significativo per risolvere questo apparente enigma, ci ricorda che “La verità è progressiva”.

Il filosofo Hegel, la cui appartenenza alla Libera Muratoria è da molti ipotizzata, diceva che “Il vero è l’intero e l’intero è un processo”.

La verità è quindi l’intero, la verità

è l’universo e qualsiasi astrazione, che nell’etimo significa “cosa tirata fuori da” non è più la verità, e la non verità è verità parziale, quindi illusione.

Sempre Hegel, nell’introduzione alla Fenomenologia dello Spirito, scrive:

“Il fatto è che l’opinione, scorgendo nella diversità unicamente la contraddizione, è incapace di concepire la diversità tra i sistemi filosofici come sviluppo progressivo della verità”.

La verità, che è il Tutto, è quindi progressiva, dinamica, e questo è un tema molto valido in risposta ai tanti dogmatici che accusano il metodo massonico di essere veicolo verso il cosiddetto relativismo.

Il massone non giunge a una verità indefinita o all’affermazione della inesistenza della verità - che è un po’ quello che fa, rapportandosi al concetto di Dio, l’ateo definito

“stupido” da padre James Anderson - il massone comprende che la verità non è desumibile dalla parte e che essa inoltre pur essendo eterna non è però fissa, ma progredisce, si svolge dialetticamente.

Il nostro numero è infatti il tre, che è rappresentazione di una sintesi dei

Roma, 6 maggio 2016 A∴D∴

Conciliare obbedienza , fedeltà e libertà

L

(21)

21 due opposti, di quel “terzo” che

annulla e al tempo stesso include e preserva l’uno e il due, dove il due è “altro dall’uno”. Come si conciliano dunque, date queste premesse, obbedienza e fedeltà, da un lato, e libertà, dall’altro?

Ecco una possibile risposta: la libertà è lo stato nel quale l’uomo vince il dogma, dogma che è imposizione di una verità slegata dall’esperienza diretta - empirica o interiore - utile a verificarla, vincendo il dogma l’uomo

distrugge e crea: distrugge la pietra grezza, i preconcetti, i pregiudizi e crea al contempo una realtà nuova che si palesa dinnanzi all’iniziato in tutta la sua evidente armonia.

Questa è la Legge, questa è la vera e unica cosa davvero eternamente esistente ed eternamente vivente, a questa armonia l’iniziato liberamente è obbediente e fedele.

“Tutto è numero” dicevano i pitagorici, lì dove per

“numero” bisogna intendere la relazione proporzionale tra le cose del mondo.

Nulla si crea, nulla si distrugge, non c’è una pars destruens prima e una pars construens poi, ma ogni distruzione è al contempo costruzione; distruggere una pietra grezza è al contempo costruire una pietra levigata, non c’è successione ma solo una irremovibile Legge che regola e armonizza l’intero Cosmo.

A questa Legge, in tutte le sue infinite manifestazioni - e non ci basterà l’intera nostra esistenza per comprenderle tutte - l’iniziato libero e proprio in quanto libero si conforma con irremovibile volontà, inattaccabile fedeltà e ferrea obbedienza.

(22)

22

a parola intuizione deriva dal latino intueor, formato da due parti: in (dentro) e tueor (guardare), interpretabile quindi nel duplice significato di “vedere dentro”, il che rende tale attività in analogia perfetta con quella esoterica, ma può anche essere inteso come

“entrare dentro con lo sguardo”, ovvero leggere dentro alle cose, non fermarsi alla pura apparenza. In entrambe le interpretazioni rimane

aliena l’idea di una intuizione come qualcosa che cade - quasi accidentalmente - dall’alto, da un dio o da chissà cosa altro che la manda.

Al cantautore americano Bob Dylan, che scrisse il capolavoro Blowin’

in the Wind appena ventenne in circa quindici minuti sul tavolino di un bar, fu chiesto quanto ci mise a scrivere una delle sue più belle canzoni, Tangled Up in Blue, e lui rispose: “Mi ci sono voluti dieci anni di vita”. Ecco: questo esempio è una delle infinite possibili dimostrazioni che l’intuizione non è un atto isolato, un fulmine nato da un cielo limpido, ma è al contrario un momento che fa pienamente parte del processo e del lavoro razionale ed emozionale che l’uomo compie nel corso di un lungo e impegnativo lasso di tempo.

Ma, chiediamoci, basta la sola ragione a raggiungere il momento intuitivo? La ragione è assolutamente necessaria, come lo scienziato deve essere tale e solida dev’essere la sua cultura scientifica ed il suo continuo studio perché egli possa avere l’intuizione che lo conduce alla scoperta scientifica, ma essa non basta, la ragione da sola concorre a chiarire il quadro generale che è la base necessaria al momento intuitivo, ma non è sufficiente.

Per completare la risposta ci viene in soccorso il rituale di iniziazione al

Roma, 20 maggio 2016 A∴D∴

L’intuizione

del Maestro Segreto

L

(23)

23 Grado di Compagno d’Arte:

alla ragione, all’intelletto, strumento del Primo Grado, deve qui unirsi la potenza dell’immaginazione.

Ecco che il miracolo, la parola sussurrata dalla Musa all’orecchio del poeta e del genio, altro non è che il frutto di un lungo processo e lavoro cognitivo, conoscitivo e razionale, coronato e integrato dallo slancio immaginativo. Ancora una volta troviamo la squadra e troviamo il compasso, uniti, entrambi

indispensabili.

Ma cosa cambia con l’iniziazione al Grado di Maestro Segreto?

Qui il tema dell’intuizione diviene centrale, essa è rappresentata simbolicamente dalla scintilla che coincide con la parola sacra del Grado. L’intero sistema simbolico e rituale del Grado di Maestro Segreto, con la sua urna, con il suo segno dell’ordine, con i suoi doveri, col suo velo nero tolto dagli occhi in sede di iniziazione è esplicativo della condizione più opportuna per

raggiungere una intuizione - una scintilla - di ordine superiore, poiché raggiunta in seno a un’esperienza rafforzata da una maggiore consapevolezza.

Il Maestro Segreto, a differenza del Compagno d’Arte, è anzitutto Maestro: sa e deve rifuggire le distrazioni e le interferenze che distraggono. Nel suo particolare silenzio, che più potente di un mantra tiene lontani i rumori della profanità e i dettami di stampo dogmatico, l’iniziato al IV Grado predispone la sua intera interiorità e, insieme, il suo corpo al lavoro che conduce

all’intuizione.

Il nostro illustrissimo fratello filosofo Immanuel Kant distingueva il metodo conoscitivo in due tipi di intuizione: l’intuizione sensibile, frutto di un’attività passiva che noi ricolleghiamo al Secondo Grado e dove l’attenzione da porre è nel rifuggire l’illusione che tenta i nostri sensi umani, e l’intuizione intellettuale, che è l’atto con cui il pensiero riflette su se stesso, si pone a se stesso dando vita al puro atto filosofico, all’autocoscienza del Maestro Segreto: a quell’attività che non può essere svolta se non in silenzio.

Così tra l’instancabile e faticoso lavoro della ragione, il continuo manifestarsi di ciò che appare ai nostri sensi e le immagini che appaiono nel segreto della nostra mente si realizza e si crea l’intuizione.

(24)

24

occhio della provvidenza è quel simbolo, spesso utilizzato nell’iconografia religiosa, in araldica, oltre che in Massoneria, composto da un occhio inscritto in un triangolo, in una nuvola o in una corona di raggi. Il primo uso di un simbolo di tale genere si può far risalire addirittura all’antico Egitto, con il cosiddetto Occhio di Horus, e ancora oggi troviamo questo occhio in molte raffigurazioni importanti, la più celebre delle quali è senz’altro il rovescio della banconota da un dollaro statunitense.

Alcune volte dei fratelli massoni o degli studiosi della Libera Muratoria commettono l’imprudenza di attribuire a certi simboli presenti in chiese e cattedrali l’attributo di

“massonici”. In realtà, semmai, dovremmo dire quasi il contrario:

ovvero che è la Libera Muratoria ad aver fatto propri simboli della tradizione cristiana e di altre tradizioni, esattamente come ha fatto propri simboli quali la squadra e il compasso, utilizzati da millenni per identificare le assemblee di mestiere che non avevano carattere esoterico.

L’occhio della provvidenza compare stampato per la prima volta sul testo massonico Freemasons Monitor di Thomas Smith Webb nel 1797.

Quel che maggiormente ci interessa è chiarire che così come il simbolo della squadra inserito nel sistema simbolico massonico assume altri significati, allo stesso modo anche l’occhio della provvidenza - legato alla tradizione cristiana sin dal Medioevo - in Massoneria non ha nulla a che fare con il concetto religioso di provvidenza e il triangolo in cui spesso l’occhio è caricato non significa più la trinità cristiana.

Il simbolo iniziatico con cui noi massoni identifichiamo Dio o il Divino è quello del Grande Architetto dell’Universo, ed il Sommo Architetto non è necessariamente sommo giudice, per cui l’idea che l’occhio

rappresentato sia quello di Dio e che esso scruti e giudichi ogni singola azione come ogni singolo pensiero è già di per sé un dogma, che l’iniziato può liberamente rifiutare o scegliere di abbracciare.

Nella nostra Camera di Perfezione il simbolo iniziatico dell’occhio della provvidenza abbandona la parete rappresentante l’Oriente e si pone sui grembiuli dei Maestri Segreti, e a questo spunto lascio alle vostre riflessioni.

Roma, 23 giugno 2016 A∴D∴

L’occhio della Provvidenza

L’

(25)

25

Roma, 7 ottobre 2016 A∴D∴

l nostro illustre fratello Oscar Wilde scrisse ne la prefazione a Il Ritratto di Dorian Gray che “Chi intende il simbolo lo intende a suo rischio”.

Quello simbolico, sappiamo bene, è un linguaggio, ma perché questo linguaggio dovrebbe risultare addirittura rischioso?

Simbolo è una parola di origine greca che sta a significare “ciò che mette insieme”, gli antichi chiamavano simbolo la tessera hospitalitatis che veniva spezzata in occasione di un patto, in modo tale che le due parti risultassero complementari a ricomporre la specifica tessera intera, così come quei cuori gioiello spezzati che molti giovani fidanzati indossano come pendenti.

Nella sua accezione attuale il simbolo tiene insieme un

significante a uno o più significati.

Ad esempio la squadra, intesa come oggetto fisico, è un significante che tiene in sé diversi significati, tra cui ad esempio quello di materia;

il significante compasso invece si accompagna al significato dello spirito immateriale, tra gli altri. Ma se concepito semplicemente così allora il simbolo risulta essere un mero mezzo attraverso il quale si esprimono alcune specifiche

e limitate cose: per dire materia uso il simbolo della squadra, per dire spirito uso un compasso, e nient’altro.

Se noi accettassimo questa semplicistica interpretazione, la Massoneria ed il Rito Scozzese Antico ed Accettato, in quanto istituzioni iniziatiche a carattere simbolico, si esaurirebbero in una scuola dove si viene indottrinati sui significati attribuiti ai diversi simboli presenti nel luogo di riunione e nulla più. Ma noi sappiamo che non è così: sappiamo che può farsi speculazione esoterica sul simbolo della squadra per tutto il corso della vita, sappiamo che non basta imparare i significati che sono attribuiti ai diversi significanti presenti in un Tempio massonico o in una Camera rituale per aver compreso e assimilato compiutamente quel Grado o quella camera, anzi noi siamo certi che una comprensione compiuta, perfetta e definitiva di un Grado non è mai possibile, e per tale ragione pratichiamo ciascun Grado per sempre, anche una volta iniziati a Gradi superiori. Perché questo?

Qui ci viene in aiuto un altro concetto, simile a quello di simbolo, che è il concetto di

Il Simbolo

I

(26)

26

emblema. L’emblema si distingue dal simbolo proprio per la sua finitezza:

l’emblema è un oggetto, un’immagine o un motto che in questo caso ha davvero uno o più specifici significati e niente altro. Anche il termine emblema deriva dal Greco antico e significa “ciò che è messo dentro”:

all’emblema è quindi attribuito un significato e la cosa si esaurisce lì, l’emblema è finito, compiuto, dato.

Il simbolo, a differenza dell’emblema, è invece da intendersi come uno squarcio che ci apre ad interpretazioni continue e progressive. Rappresenta una fonte letteralmente inesauribile di riflessioni, di indagine e di lavoro. Lì dove l’emblema dice qualcosa e poi tace, il simbolo ci parla di continuo, e soprattutto parla alla nostra interiorità.

Questa caratteristica di apertura e di infinita indagine è ciò che distingue il simbolo dall’emblema, è ciò che distingue un indottrinamento dal lavoro iniziatico ed è ciò che fa scrivere ad Oscar Wilde che l’interpretazione del simbolo può essere in un certo senso persino rischiosa.

Il lavoro muratorio è la ricerca di una visione della realtà veritiera, alla luce e in chiarezza, attraverso la capacità di penetrare il simbolico che permea ciascuna cosa del mondo. Il lavoro rituale e simbolico è quindi, così come il simbolo, dinamico, continuo, inesauribile, perpetuo e sempre necessariamente incompiuto.

Se prendiamo ad esempio il simbolo del Tempio, esso assume da un lato una costanza interpretativa, come luogo interiore e universale, ma allo stesso tempo è legato in Terzo Grado ad un lavoro di edificazione, mentre per i Maestri Segreti diviene oggetto di un lavoro di abbellimento; così i guanti bianchi dei primi tre Gradi sono legati alle azioni compiute dal massone, che devono essere sempre pure e senza macchia, i guanti neri che indossiamo in questa Camera Rituale, diversamente, non stanno certo a negare la purezza delle azioni compiute, ma si legano al sentimento di lutto che permea tutta la Camera di IV Grado e conseguentemente anche il nostro agire.

Il Rito Scozzese Antico ed Accettato, ricco di simboli e di emblemi, è con i suoi alti Gradi una significativa manifestazione di questo lavoro infinito, come è infinita l’interpretazione de simbolo. Scrisse Nietzsche: “Quanto manca alla vetta? Tu sali e non pensare”.

(27)

27

Roma, 21 ottobre 2016 A∴D∴

el rituale di IV Grado è scritto:

“La morte dell’Architetto illustre ha sconvolto Re Salomone e lo ha costretto a sospendere, per breve periodo, la costruzione del Tempio, ma alla fine egli viene nella determinazione di affidare la direzione dei lavori al proprio Intendente, Adonhiram, figlio di Abda. Costrui era, prima dell’uccisione di Hiram, il capo degli operai inviati a tagliare il legname per il Tempio sul Monte Libano. Ad assisterlo dell’ardua impresa, Re Salomone crea un Collegio di Maestri, i quali vengono elevati al rango di Leviti e ancora

“Il Maestro Segreto [...] assurto al rango di Levita, è ricevuto nel Sancta Sanctorum, dove vengono sottoposti alla sua attenzione alcuni particolari simboli posti all’Oriente.

[...] Colui che perviene a questo Grado deve esercitare la sua mente alla interpretazione del simbolismo e del rituale”.

Sin dal III Grado l’ambientazione del mito che viene narrato all’iniziato, così come l’arredo del Tempio, è ispirato a passi biblici dell’Antico Testamento, dobbiamo tuttavia sempre tenere a mente che il Lavoro che siamo qui chiamati a fare non è né storico, né teologico, ma come ci è sempre ricordato è simbolico, rituale, speculativo ed esoterico.

Si rende quindi certamente

necessario, una volta saputo che il

Maestro Segreto è “assurto al rango di Levita”, sapere anzitutto cosa significhi Levita e, successivamente, riflettere principalmente sul

significato simbolico e allegorico di questo titolo.

Levita, anzitutto, non è un titolo così come lo intendiamo noi oggi, non è un Grado militare, né sacerdotale, né onorifico. Leviti sono infatti gli appartenenti a una delle dodici tribù di Israele, tra di loro il più noto e illustre fu certamente Mosè.

Ognuna delle dodici tribù deriva da uno dei dodici figli di Israele, detto anche Giacobbe, e ne prende il nome. Levita deriva da Levi, che è il terzo figlio di Giacobbe e di Lia, la quale gli diede questo nome che significa “Mi si affezionerà”, poiché Lia sperava attraverso Levi di riavvicinare a sé Giacobbe, che invece le preferiva sua sorella Rachele. È per noi interessante notare come già nel significato del nome Levi sia presente un principio di adesione, di affetto, di avvicinamento, di scelta, di fedeltà.

Tutti temi propri del IV Grado.

Se, come detto, i Leviti erano gli appartenenti ad una tribù, e si era quindi levita per legame di sangue, dobbiamo chiederci perché nel nostro rituale è scritto “vennero elevati al rango di Leviti”. La ragione è probabilmente da ricercare nel fatto che i sacerdoti, o gli assistenti ai sacerdoti, a seconda delle epoche,

I Leviti

N

(28)

28

dediti all’officio del culto di Dio, potevano appartenere solamente alla tribù dei Leviti. Non tutti i Leviti erano sacerdoti o assistenti al culto di Dio, dunque, ma tutti i sacerdoti o assistenti dovevano necessariamente provenire dalla tribù dei Leviti.

Secondo un’antica tradizione Israele, ossia Giacobbe, decise di offrire suo figlio Levi come tributo a Dio e così l’Arcangelo Michele, comandante delle milizie celesti, prese Levi e lo portò in cielo. Qui Dio lo benedisse e gli disse che solo i discendenti di Levi potevano essere scelti a svolgere le funzioni di ministro di Dio sulla terra, allo stesso modo in cui gli angeli sono ministri di Dio in cielo. A proposito del termine ministro, è per noi interessante notare, oltre alla vicinanza al termine mestiere, l’origine etimologica da minòris e da minus, proprio perché ministro è colui che serve, obbedisce, che conduce negozi per incarico e sotto la supremazia altrui - questo altrui, nel caso dei Leviti, è Dio - e che rende il ruolo svolto dal Maestro Segreto, in quanto ministro, diametralmente opposto a quello proprio del Maestro, titolo del III Grado ed anche del IV Grado stesso, che infatti etimologicamente deriva da magister e da magis, che vuol dire più: esatto contrario di minus, e che nel concreto è chiamato a dirigere anziché ad obbedire. Questa apparente contraddizione ci ricorda un tema già affrontato insieme in questa sede, circa la convivenza tra libertà, obbedienza e fedeltà.

Ai Leviti era affidato il compito di sorvegliare il

tabernacolo del Tempio. Essi sono descritti come eredi

di Dio e loro “possesso”, a loro spettava il compito di trasportare, scalzi, l’Arca dell’Alleanza; quella dei Leviti è l’unica tribù tra le dodici di Israele a non ottenere alcuna parte della Terra d’Israele:

la loro eredità era servire Dio.

Altre caratteristiche dei Leviti, oltre a quella dell’obbedienza, sono quella della capacità di custodire e preservare, sono infatti gli unici che durante le guerre non compivano azioni belliche direttamente, ma si preoccupavano di custodire l’Arca dell’Alleanza, e quella della assoluta fedeltà: i Leviti infatti non adorarono il vitello d’oro e furono fedeli a Mosè, levita egli stesso, e durante l’esilio babilonese si rifiutarono di cantare per gli dei di Nabucodonosor. Eccoci quindi a compiere il lavoro proprio del Rito Scozzese Antico ed Accettato e del IV Grado in particolare, definito Grado ebraico nella premessa al nostro rituale: studiare la storia, studiare origini e tradizioni, ma sempre per comprendere il simbolismo e l’allegoria al fine di un agire concreto, attuale e determinato. Il IV Grado è riservato,

quindi, a persone scelte, preferite, che dopo aver raggiunto la maestria comprendono la necessità e l’opportunità di essere liberi nell’obbedienza al Rito, al Sommo Architetto e alla morale, nella capacità di conservare e preservare anzitutto con il silenzio e con il segreto e di mantenere sempre intatta la più assoluta fedeltà.

(29)

29 l tema di questa tornata è “La

chiave spezzata”: espressione composta da un sostantivo, chiave, e da un aggettivo, spezzata. Sarà bene dunque anzitutto riflettere sul simbolo della chiave, per poi comprendere il significato ulteriore del suo essere spezzata. Nei nostri paramenti la chiave spezzata è presente ben due volte: è infatti raffigurata sul collare, dove sovrasta la lettera Z, ed è anche gioiello del collare stesso (anche se nei paramenti attualmente in uso è presente una chiave intera).

Quando, in questa sede, trattammo il significato dell’urna ritenni opportuno concentrare le riflessioni su tale simbolo, senza divagare su altri simboli quali Hiram morto o la chiave spezzata stessa; vale lo stesso in tale occasione. Anche perché che tale chiave spezzata sarebbe servita ad aprire l’urna presente in questa Camera di Perfezione, pur essendo convinzione comune, non trova alcun riscontro nei nostri rituali.

La chiave è un oggetto personale, intimo e consente a colui che ne è dotato di fare qualcosa che è proibito a chiunque non la

possieda. La chiave, in questo senso, è il simbolo stesso del carattere esoterico, è simbolo di esclusività, riservatezza, segreto; e noi siamo Maestri Segreti.

Solamente ciò che ha davvero valore è messo sotto chiave, e la chiave - come ogni simbolo - è di per sé sintesi di due opposti: da un lato significa una condizione di implicita inaccessibilità, esclusività, divieto, d’altro lato è essa stessa strumento di accessibilità, soluzione, raggiungimento.

Il simbolo della chiave è molto presente nell’iconologia religiosa ed anche nei più antichi miti.

Uno dei due patroni di Roma, San Pietro, ha come attributo simbolico due chiavi, e così tutti i successivi vescovi di Roma, poiché in quanto pontefici detengono le chiavi del regno terrestre e di quello celeste.

Nel Corano è scritto che Allah è il solo depositario delle chiavi dei cieli e il dio Giano, che è un dio prettamente romano e non ha un corrispettivo greco, era considerato, tra le altre cose, protettore degli ingressi, di ogni porta e cinta muraria, e veniva raffigurato con l’attributo di una chiave, in quanto era portiere dei cieli. A Giano, non a caso, è dedicato il mese di gennaio, che è l’ingresso al nuovo anno e anche qui, evidentemente non a caso, questa Camera di Perfezione dei Maestri Segreti, ingresso nella valle del Tevere al percorso iniziatico proprio del Rito Scozzese Antico ed Accettato, ha quale titolo distintivo Giano.

La Chiave spezzata

I Roma, 4 novembre 2016 A∴D∴

(30)

30

Ma la chiave in nostro possesso è una chiave spezzata.

Da Maestri, prima ancora che Maestri Segreti, sappiamo bene il perché: l’ambiente è a lutto, la Parola è perduta, e il Maestro Hiram, detentore della conoscenza

architettonica, ovvero della soluzione di quell’armonia che si riflette in tutto - dalla bellezza naturale alla giustizia morale, dalla sanità psicologica all’equilibrio relazionale - è morto e il suo cadavere è disperso.

La soluzione a tutto questo, che possiamo sintetizzare nella semplice espressione armonia universale, è perduta. La geometria, di cui il Grande Architetto dell’Universo è simbolica fonte, è ormai ignota all’uomo: siamo in quel caos dal quale dovremo, con fatica e perseveranza, trarre ordine.

Per tale ragione la chiave è spezzata, la soluzione è inaccessibile: ecco perché l’ambiente è a lutto ed ecco perché il lavoro da questo momento è di abbellimento - sarebbe a dire di armonizzazione - del Tempio, piuttosto che di mera costruzione.

La domanda che mi viene da pormi è questa: è la chiave spezzata forse un simbolo di rassegnazione? O piuttosto un monito alla gravità del percorso intrapreso? È divieto o stimolo?

(31)

31 31

Tavola d’Agape 2015

Roma, 17 dicembre 2015 A∴D∴

Q

uguali nella Loro Dignità l’Unicità

dell’Universo e la sua Potenza.

Agape, deriva dal greco: “AGAPE”

che significa Amore, nel senso più generoso e DIVINO di “dono”

all’altro, al Fratello. Esso esclude ogni aspetto egoistico ed egotistico dell’AMORE.

Questo bellissimo rito di AGAPE, con connotazioni alchemiche, magiche e astrologiche afferma, nel suo simbolismo iniziatico, «il lavoro operativo interiore e benefico per la propria umanità cellulare e, di conseguenza, per tutta l’umanità in generale».

Il Rituale di AGAPE richiede armonia materiale del gesto che si trasforma in altrettanta armonia spirituale. Richiede altresì concentrazione e silenzioso raccoglimento. I commensali, osservando scrupolosamente i tempi e i modi della Ritualità si trasformano così in silenziosi uello di AGAPE è un rito molto

antico; potremmo dire, un Atto Iniziatico presente ancestralmente nella vita comunitaria delle genti. È partecipazione ai «sacri misteri del

“Pasto Sacro”», attraverso la quale la Nostra Comunità Massonica Universale crea condivisione profonda e spirituale attorno alla Sua Missione. L’AGAPE è un Atto Sublime e alchemico di Trasformazione del Materiale in Spirituale e che contribuisce alla creazione del Tempio di Salomone.

In molte culture e MITI, che ad esse si riferiscono, si parla di Tavola, che richiama, appunto la fraterna partecipazione al pasto comune, la condivisione rituale di elementi materiali che si trasformano alchemicamente, attraverso la loro consumazione in convivio, in sostanza metafisica e Spirituale. Basta pensare al MITO ARTURIANO della Tavola Rotonda, che rappresenta, nella molteplicità degli elementi che vi partecipano,

Introduzione

al Rituale di Agape

(32)

32

strumenti di un’orchestra che sviluppano un processo energetico teso a creare e fortificare l’Egregoro della Comunità riunita.

Ogni commensale è portatore di energia alla “catena d’Unione Fraterna” ed il Rituale d’Agape ben compiuto è fonte di catarsi individuale e collettiva, in quanto il cibo materiale si trasforma in fonte di costruzione e di elevazione spirituale.

L’Acqua

L’acqua già nella cultura greca del VI sec. AC. era percepita e ritenuta l’inizio di tutte le cose:

essa è creazione, la fonte di tutte le potenzialità dell’esistenza, l’origine e la tomba di tutta la realtà dell’universo. È “purificazione”

e rigenerazione per eccellenza e come 7° alimento, serve ad unire ed amalgamare il tutto. È elemento presente in ogni realtà vivente;

simbolo di Movimento, nella sua capacità di presentarsi in stati fisici diversi. Anima Mundi, essa dona l’essenza profonda della Madre Terra ai suoi figli, arricchendone il codice genetico.

L’Uomo nasce nell’acqua sotto

forma di liquido amniotico, di sostanza vitale primordiale da cui nasce ogni forma, in quanto l’Acqua è una sorta di “Biblioteca Vivente”, fonte di ogni informazione per gli esseri viventi. In ogni tradizione essa è l’origine del tutto e della vita in particolare.

Il Calore stesso ha origine dall’assenza di umidità e, grazie all’evaporazione dell’Acqua, si ha l’Aria.

Vita e Morte nello stesso tempo, sotto il profilo astrologico e per le sue caratteristiche, l’Acqua di fonte è posta sotto il segno del Cancro, quella di palude sotto lo Scorpione e quella di mare, sotto i Pesci.

L’Acqua è anche Forza Tranquilla.

Nonostante la sua leggerezza, con la costanza del suo movimento è capace di trasformare la roccia, di levigarla. Essa è simbolo e strumento di elevazione e trasformazione dell’Anima, della sua rigenerazione.

Quindi per concludere, alcune versi sul significato ed il ruolo alchemico dell’Acqua:

“Acqua è acqua e sarà sempre acqua;

dal Cielo del Saggio, piove acqua;

la pietra del Saggio, piange lacrime d’acqua, ma il Mondo non presta attenzione a quest’acqua.

Il suo fuoco arde nell’acqua e vive nell’acqua, fai del Fuoco, Acqua e cuoci il fuoco nell’acqua, così otterrai un potente Acqua di Fuoco, come l’acqua del mare fortemente salata.

è un’acqua viva per i giovani, acqua che consuma e riduce il corpo e l’anima in acqua.

Si trasforma in maleodorante, putrida, azzurra come l’Acqua Celeste.

Digerisci, calcina, dissolvi e imputridisci la tua acqua;

cerca la quadruplice Acqua permanente dei Filosofi, e quando l’avrai realizzata, nel migliore dei modi, l’Arte si trasmuta in Acqua”.

“Acqua Quinta Essenza Secreta, Acqua Philosophorum.”

e... lo Spirito di Dio cammina sulle Acque...

Fr. Oratore G. Calabresi 9°

(33)

33

Mercoledì scozzesi

(34)

34

La scelta scozzese vista dal 18° Grado

Roma, 6 luglio 2016 A∴D∴

Fr. G. Molinari 18°

L

a massoneria azzurra prevede tre Gradi al termine dei quali il Maestro Libero Muratore può ritenere completato il proprio percorso. Quanti sono presenti, qui, oggi, vogliono comprendere se esistano dei buoni motivi per mettere in discussione questa affermazione soprattutto in considerazione del fatto che ogni Libero Muratore sa che nessuna conoscenza è definitiva, che non esiste la Sapienza assoluta.

Inoltre si lavora poco in 2° Grado e pochissimo in 3° quindi restano irrisolte molte questioni.

Ognuno di noi, dopo aver

conosciuto l’Acacia e aver ricevuto un grembiule rosso, ha sentito un certo disagio nell’indossarlo, il disagio di chi è cosciente di aver intrapreso un viaggio lungo, duro e impervio che non può completare da solo. Però sappiamo che il Maestro non ha bisogno di Sorveglianti, non ha bisogno di istruzioni perché ormai conosce il metodo: ha fatto propri gli insegnamenti del simbolismo e sa che l’esoterismo permette di interpretare la sua vita affrontando gli eventi, positivi e negativi, come altrettante opportunità di conoscenza della realtà e di se stesso. Sa anche che il simbolo non

è traducibile una volta per tutte ma richiede un costante ritorno sui propri passi affinché, ciò che in un primo momento mostrava un certo volto, successivamente ne mostri altri e in questo ci lasci costantemente meravigliati difronte alla ricchezza di cui è portatore.

Una volta arrivati nella Camera di Mezzo, una volta conosciuta la leggenda di Hiram, veniamo lasciati soli con l’enorme portato simbolico che la leggenda del 3° Grado propone. Eppure difficilmente quel rituale viene riletto prima dell’aumento di luce di un altro Fratello in Loggia. In quell’occasione veniamo colpiti da qualche elemento del rituale che ci era sfuggito e allora comprendiamo che molti altri aspetti potrebbero esserci oscuri ma, ancora una volta, il rituale viene richiuso e quasi temuto, fino alla prossima elevazione.

Qui si spalancano le porte del Rito Scozzese Antico ed Accettato, il luogo di lavoro per Maestri, dove ritroviamo quei veli che ci sembrava di aver definitivamente strappato su questioni fondamentali che, volendo approfondire, erano già presenti nei rituali delle Logge Azzurre ma che mai avremmo saputo neppure intravedere.

(35)

35 Affrontare assieme ai Fratelli

una nuova ritualità, una nuova prospettiva, ci consente di

esaminare le medesime questioni ma con simboli e leggende capaci di fornirci nuove energie, quelle che, da soli, davanti al rituale di 3° Grado, sembravano spegnersi.

Intendo dire che la difficoltà di crescere è, in parte, frutto della consapevolezza di non essere in possesso degli strumenti opportuni a scardinare la potenza contenuta negli eventi vissuti nella Camera di Mezzo. Non è la ricerca di una puerile giustificazione ma la razionale presa di coscienza di una sproporzione reale tra gli strumenti

dei primi due Gradi e la dimensione metafisica che lo scavalcamento della bara prospetta e che, il più delle volte, produce un forte sentimento di inadeguatezza.

Detto così potrebbe sembrare che il Rito Scozzese sia la classe di sostegno della Massoneria Azzurra. E forse è proprio così per noi che umilmente abbiamo accettato di tornare a guardare in alto quando pensavamo di aver finito. Forse è così per tutti coloro che sono consapevoli che, quando pensiamo che non ci sia più da lavorare, vuol dire che ha avuto il sopravvento la nostra pigrizia;

riconoscerlo è un buon punto da dove ripartire. Essere uomini del dubbio è tutt’altro che agevole perché si tratta di combattere innanzitutto la pigrizia, quella vera, quella mentale. La pigrizia è una tensione a spegnere la luce interiore che alimenta proprio il dubbio, per lasciarsi avvolgere dalle comode braccia del pregiudizio o addirittura dei luoghi comuni che fanno ripetere ciò

che altri hanno detto o scritto.

La pigrizia è così subdola da riuscire a travestirsi con gli abiti dorati della cultura. Quante volte abbiamo ascoltato frasi, riportate, di filosofi o di Fratelli famosi.

Questi ultimi si sono presi l’onere di scrivere dei saggi senza, mi auguro, l’idea che le loro convinzioni diventassero Verità, disvelamenti dogmatici.

Ciascuno di noi deve saper dare un proprio contributo e soprattutto trovare un proprio modo di affrontare i simboli, così come i fatti della propria vita, senza dover chiedere

(36)

36

a chicchessia soluzioni preconfezionate buone per tutte le stagioni. Ciò su cui si è lavorato a fondo può essere offerto agli altri come dono prezioso capace di mantenere accesa la luce del Testimone che non è di uno ma di ogni Fratello unito in catena.

Nei viaggi dell’iniziazione al 2° Grado siamo stati spronati a studiare. Ma c’è un momento in cui queste conoscenze ereditate devono trasformare la nostra capacità di lettura del reale: la cultura deve diventare conoscenza, cioè parte viva del nostro modo di essere e di agire.

Ma i travestimenti della pigrizia possono essere ancora più pericolosi. Infatti se riflettiamo sui nostri comportamenti quotidiani, su come effettuiamo le scelte durante le nostre giornate, possiamo facilmente verificare quanto siano numerose le cose che diamo per scontate, che riteniamo vere o false senza sottoporle a critica. È una specie di macroscopica sonnolenza che non risparmia nessuno. Naturalmente, se parliamo del dubbio su noi stessi, sulle nostre convinzioni, sulle nostre ragioni, la sonnolenza si fa sonno profondo.

Quindi sembrerebbe che la pigrizia mentale sia asservita all’IO, alla sua volontà di predominio che vuole farci credere che siamo proprio noi, proprio IO, ad essere il centro dell’Universo.

La questione dell’IO ci riguarda molto da vicino come massoni ma non basta mettersi un grembiule per

cambiare il nostro modo di essere, di porci di fronte agli avvenimenti della vita.

Quante volte riteniamo che ci accadano delle cose per puro caso, che chiamiamo di volta in volta fortuna o sfortuna. Fatti che, a ben vedere, si somigliano un po’

tutti, eppure mai ci viene il sospetto che questi eventi siano di nostra produzione, almeno come input iniziale, e che ci vogliano svelare un aspetto preciso di noi stessi che non vogliamo vedere e sul quale invece dovremmo lavorare.

La massoneria ci offre un metodo per disinnescare la nostra cecità riguardo noi stessi. Dapprima ha sottoposto alla nostra attenzione il nostro corpo e le reazioni alle sollecitazioni del mondo esterno:

ci ha insegnato che tenere sotto controllo il filo a piombo permette alla squadra di prendere le misure della realtà. Poi ha sottoposto i nostri sensi, le nostre emozioni a molteplici interrogativi per darci modo

di comprendere quanto ci sia di aleatorio in ciò che percepiamo e quanto contemporaneamente ci sia di straordinario in ciò che la ragione non coglie ma che ci può raggiungere attraverso l’intuizione.

Da maestri, quali siamo, rinati dopo aver subito consapevolmente i colpi di ignoranza, fanatismo e ambizione che vivono nella nostra interiorità, forse ci siamo resi conto di quale distanza divida le nostre percezioni, dalla realtà dell’universo.

O forse no, forse abbiamo pensato che i tre cattivi compagni siano altro da noi, siano dei compagni potenzialmente presenti anche nella nostra loggia dai quali ci dobbiamo difendere. Oppure ci sfugge che, senza quei tre cattivi compagni, è vero, non saremmo morti però non saremmo neppure rinati Hiram.

Proviamo a porci qualche domanda.

Quanto abbiamo appreso

dall’apparente contraddizione tra la presenza in noi dei tre cattivi compagni e la necessità della loro esistenza per consentirci di superare il dualismo che permea ogni evento della nostra esperienza?

Abbiamo lavorato, nella nostra coscienza, per trasformare quei tre cattivi compagni nelle tre luci che col loro impegno simultaneo ci hanno risollevato nonostante, e grazie, la carne si staccasse dalle ossa?

Siamo stati in grado di ricollegare quelle parti che ci vennero scoperte durante la nostra iniziazione, con i cinque punti della maestria?

Nell’affrontare questi temi siamo ormai consapevoli che i nostri rituali stimolano una grande

Riferimenti

Documenti correlati