stampato per la prima volta sul testo massonico Freemasons Monitor di Thomas Smith Webb nel 1797.
Quel che maggiormente ci interessa è chiarire che così come il simbolo della squadra inserito nel sistema simbolico massonico assume altri significati, allo stesso modo anche l’occhio della provvidenza - legato alla tradizione cristiana sin dal Medioevo - in Massoneria non ha nulla a che fare con il concetto religioso di provvidenza e il triangolo in cui spesso l’occhio è caricato non significa più la trinità cristiana.
Il simbolo iniziatico con cui noi massoni identifichiamo Dio o il Divino è quello del Grande Architetto dell’Universo, ed il Sommo Architetto non è necessariamente sommo giudice, per cui l’idea che l’occhio
rappresentato sia quello di Dio e che esso scruti e giudichi ogni singola azione come ogni singolo pensiero è già di per sé un dogma, che l’iniziato può liberamente rifiutare o scegliere di abbracciare.
Nella nostra Camera di Perfezione il simbolo iniziatico dell’occhio della provvidenza abbandona la parete rappresentante l’Oriente e si pone sui grembiuli dei Maestri Segreti, e a questo spunto lascio alle vostre riflessioni.
Roma, 23 giugno 2016 A∴D∴
L’occhio della Provvidenza
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Roma, 7 ottobre 2016 A∴D∴
l nostro illustre fratello Oscar Wilde scrisse ne la prefazione a Il Ritratto di Dorian Gray che “Chi intende il simbolo lo intende a suo rischio”.
Quello simbolico, sappiamo bene, è un linguaggio, ma perché questo linguaggio dovrebbe risultare addirittura rischioso?
Simbolo è una parola di origine greca che sta a significare “ciò che mette insieme”, gli antichi chiamavano simbolo la tessera hospitalitatis che veniva spezzata in occasione di un patto, in modo tale che le due parti risultassero complementari a ricomporre la specifica tessera intera, così come quei cuori gioiello spezzati che molti giovani fidanzati indossano come pendenti.
Nella sua accezione attuale il simbolo tiene insieme un
significante a uno o più significati.
Ad esempio la squadra, intesa come oggetto fisico, è un significante che tiene in sé diversi significati, tra cui ad esempio quello di materia;
il significante compasso invece si accompagna al significato dello spirito immateriale, tra gli altri. Ma se concepito semplicemente così allora il simbolo risulta essere un mero mezzo attraverso il quale si esprimono alcune specifiche
e limitate cose: per dire materia uso il simbolo della squadra, per dire spirito uso un compasso, e nient’altro.
Se noi accettassimo questa semplicistica interpretazione, la Massoneria ed il Rito Scozzese Antico ed Accettato, in quanto istituzioni iniziatiche a carattere simbolico, si esaurirebbero in una scuola dove si viene indottrinati sui significati attribuiti ai diversi simboli presenti nel luogo di riunione e nulla più. Ma noi sappiamo che non è così: sappiamo che può farsi speculazione esoterica sul simbolo della squadra per tutto il corso della vita, sappiamo che non basta imparare i significati che sono attribuiti ai diversi significanti presenti in un Tempio massonico o in una Camera rituale per aver compreso e assimilato compiutamente quel Grado o quella camera, anzi noi siamo certi che una comprensione compiuta, perfetta e definitiva di un Grado non è mai possibile, e per tale ragione pratichiamo ciascun Grado per sempre, anche una volta iniziati a Gradi superiori. Perché questo?
Qui ci viene in aiuto un altro concetto, simile a quello di simbolo, che è il concetto di
Il Simbolo
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emblema. L’emblema si distingue dal simbolo proprio per la sua finitezza:
l’emblema è un oggetto, un’immagine o un motto che in questo caso ha davvero uno o più specifici significati e niente altro. Anche il termine emblema deriva dal Greco antico e significa “ciò che è messo dentro”:
all’emblema è quindi attribuito un significato e la cosa si esaurisce lì, l’emblema è finito, compiuto, dato.
Il simbolo, a differenza dell’emblema, è invece da intendersi come uno squarcio che ci apre ad interpretazioni continue e progressive. Rappresenta una fonte letteralmente inesauribile di riflessioni, di indagine e di lavoro. Lì dove l’emblema dice qualcosa e poi tace, il simbolo ci parla di continuo, e soprattutto parla alla nostra interiorità.
Questa caratteristica di apertura e di infinita indagine è ciò che distingue il simbolo dall’emblema, è ciò che distingue un indottrinamento dal lavoro iniziatico ed è ciò che fa scrivere ad Oscar Wilde che l’interpretazione del simbolo può essere in un certo senso persino rischiosa.
Il lavoro muratorio è la ricerca di una visione della realtà veritiera, alla luce e in chiarezza, attraverso la capacità di penetrare il simbolico che permea ciascuna cosa del mondo. Il lavoro rituale e simbolico è quindi, così come il simbolo, dinamico, continuo, inesauribile, perpetuo e sempre necessariamente incompiuto.
Se prendiamo ad esempio il simbolo del Tempio, esso assume da un lato una costanza interpretativa, come luogo interiore e universale, ma allo stesso tempo è legato in Terzo Grado ad un lavoro di edificazione, mentre per i Maestri Segreti diviene oggetto di un lavoro di abbellimento; così i guanti bianchi dei primi tre Gradi sono legati alle azioni compiute dal massone, che devono essere sempre pure e senza macchia, i guanti neri che indossiamo in questa Camera Rituale, diversamente, non stanno certo a negare la purezza delle azioni compiute, ma si legano al sentimento di lutto che permea tutta la Camera di IV Grado e conseguentemente anche il nostro agire.
Il Rito Scozzese Antico ed Accettato, ricco di simboli e di emblemi, è con i suoi alti Gradi una significativa manifestazione di questo lavoro infinito, come è infinita l’interpretazione de simbolo. Scrisse Nietzsche: “Quanto manca alla vetta? Tu sali e non pensare”.
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Roma, 21 ottobre 2016 A∴D∴
el rituale di IV Grado è scritto:
“La morte dell’Architetto illustre ha sconvolto Re Salomone e lo ha costretto a sospendere, per breve periodo, la costruzione del Tempio, ma alla fine egli viene nella determinazione di affidare la direzione dei lavori al proprio Intendente, Adonhiram, figlio di Abda. Costrui era, prima dell’uccisione di Hiram, il capo degli operai inviati a tagliare il legname per il Tempio sul Monte Libano. Ad assisterlo dell’ardua impresa, Re Salomone crea un Collegio di Maestri, i quali vengono elevati al rango di Leviti e ancora
“Il Maestro Segreto [...] assurto al rango di Levita, è ricevuto nel Sancta Sanctorum, dove vengono sottoposti alla sua attenzione alcuni particolari simboli posti all’Oriente.
[...] Colui che perviene a questo Grado deve esercitare la sua mente alla interpretazione del simbolismo e del rituale”.
Sin dal III Grado l’ambientazione del mito che viene narrato all’iniziato, così come l’arredo del Tempio, è ispirato a passi biblici dell’Antico Testamento, dobbiamo tuttavia sempre tenere a mente che il Lavoro che siamo qui chiamati a fare non è né storico, né teologico, ma come ci è sempre ricordato è simbolico, rituale, speculativo ed esoterico.
Si rende quindi certamente
necessario, una volta saputo che il
Maestro Segreto è “assurto al rango di Levita”, sapere anzitutto cosa significhi Levita e, successivamente, riflettere principalmente sul
significato simbolico e allegorico di questo titolo.
Levita, anzitutto, non è un titolo così come lo intendiamo noi oggi, non è un Grado militare, né sacerdotale, né onorifico. Leviti sono infatti gli appartenenti a una delle dodici tribù di Israele, tra di loro il più noto e illustre fu certamente Mosè.
Ognuna delle dodici tribù deriva da uno dei dodici figli di Israele, detto anche Giacobbe, e ne prende il nome. Levita deriva da Levi, che è il terzo figlio di Giacobbe e di Lia, la quale gli diede questo nome che significa “Mi si affezionerà”, poiché Lia sperava attraverso Levi di riavvicinare a sé Giacobbe, che invece le preferiva sua sorella Rachele. È per noi interessante notare come già nel significato del nome Levi sia presente un principio di adesione, di affetto, di avvicinamento, di scelta, di fedeltà.
Tutti temi propri del IV Grado.
Se, come detto, i Leviti erano gli appartenenti ad una tribù, e si era quindi levita per legame di sangue, dobbiamo chiederci perché nel nostro rituale è scritto “vennero elevati al rango di Leviti”. La ragione è probabilmente da ricercare nel fatto che i sacerdoti, o gli assistenti ai sacerdoti, a seconda delle epoche,
I Leviti
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dediti all’officio del culto di Dio, potevano appartenere solamente alla tribù dei Leviti. Non tutti i Leviti erano sacerdoti o assistenti al culto di Dio, dunque, ma tutti i sacerdoti o assistenti dovevano necessariamente provenire dalla tribù dei Leviti.
Secondo un’antica tradizione Israele, ossia Giacobbe, decise di offrire suo figlio Levi come tributo a Dio e così l’Arcangelo Michele, comandante delle milizie celesti, prese Levi e lo portò in cielo. Qui Dio lo benedisse e gli disse che solo i discendenti di Levi potevano essere scelti a svolgere le funzioni di ministro di Dio sulla terra, allo stesso modo in cui gli angeli sono ministri di Dio in cielo. A proposito del termine ministro, è per noi interessante notare, oltre alla vicinanza al termine mestiere, l’origine etimologica da minòris e da minus, proprio perché ministro è colui che serve, obbedisce, che conduce negozi per incarico e sotto la supremazia altrui - questo altrui, nel caso dei Leviti, è Dio - e che rende il ruolo svolto dal Maestro Segreto, in quanto ministro, diametralmente opposto a quello proprio del Maestro, titolo del III Grado ed anche del IV Grado stesso, che infatti etimologicamente deriva da magister e da magis, che vuol dire più: esatto contrario di minus, e che nel concreto è chiamato a dirigere anziché ad obbedire. Questa apparente contraddizione ci ricorda un tema già affrontato insieme in questa sede, circa la convivenza tra libertà, obbedienza e fedeltà.
Ai Leviti era affidato il compito di sorvegliare il
tabernacolo del Tempio. Essi sono descritti come eredi
di Dio e loro “possesso”, a loro spettava il compito di trasportare, scalzi, l’Arca dell’Alleanza; quella dei Leviti è l’unica tribù tra le dodici di Israele a non ottenere alcuna parte della Terra d’Israele:
la loro eredità era servire Dio.
Altre caratteristiche dei Leviti, oltre a quella dell’obbedienza, sono quella della capacità di custodire e preservare, sono infatti gli unici che durante le guerre non compivano azioni belliche direttamente, ma si preoccupavano di custodire l’Arca dell’Alleanza, e quella della assoluta fedeltà: i Leviti infatti non adorarono il vitello d’oro e furono fedeli a Mosè, levita egli stesso, e durante l’esilio babilonese si rifiutarono di cantare per gli dei di Nabucodonosor. Eccoci quindi a compiere il lavoro proprio del Rito Scozzese Antico ed Accettato e del IV Grado in particolare, definito Grado ebraico nella premessa al nostro rituale: studiare la storia, studiare origini e tradizioni, ma sempre per comprendere il simbolismo e l’allegoria al fine di un agire concreto, attuale e determinato. Il IV Grado è riservato,
quindi, a persone scelte, preferite, che dopo aver raggiunto la maestria comprendono la necessità e l’opportunità di essere liberi nell’obbedienza al Rito, al Sommo Architetto e alla morale, nella capacità di conservare e preservare anzitutto con il silenzio e con il segreto e di mantenere sempre intatta la più assoluta fedeltà.
29 l tema di questa tornata è “La
chiave spezzata”: espressione composta da un sostantivo, chiave, e da un aggettivo, spezzata. Sarà bene dunque anzitutto riflettere sul simbolo della chiave, per poi comprendere il significato ulteriore del suo essere spezzata. Nei nostri paramenti la chiave spezzata è presente ben due volte: è infatti raffigurata sul collare, dove sovrasta la lettera Z, ed è anche gioiello del collare stesso (anche se nei paramenti attualmente in uso è presente una chiave intera).
Quando, in questa sede, trattammo il significato dell’urna ritenni opportuno concentrare le riflessioni su tale simbolo, senza divagare su altri simboli quali Hiram morto o la chiave spezzata stessa; vale lo stesso in tale occasione. Anche perché che tale chiave spezzata sarebbe servita ad aprire l’urna presente in questa Camera di Perfezione, pur essendo convinzione comune, non trova alcun riscontro nei nostri rituali.
La chiave è un oggetto personale, intimo e consente a colui che ne è dotato di fare qualcosa che è proibito a chiunque non la
possieda. La chiave, in questo senso, è il simbolo stesso del carattere esoterico, è simbolo di esclusività, riservatezza, segreto; e noi siamo Maestri Segreti.
Solamente ciò che ha davvero valore è messo sotto chiave, e la chiave - come ogni simbolo - è di per sé sintesi di due opposti: da un lato significa una condizione di implicita inaccessibilità, esclusività, divieto, d’altro lato è essa stessa strumento di accessibilità, soluzione, raggiungimento.
Il simbolo della chiave è molto presente nell’iconologia religiosa ed anche nei più antichi miti.
Uno dei due patroni di Roma, San Pietro, ha come attributo simbolico due chiavi, e così tutti i successivi vescovi di Roma, poiché in quanto pontefici detengono le chiavi del regno terrestre e di quello celeste.
Nel Corano è scritto che Allah è il solo depositario delle chiavi dei cieli e il dio Giano, che è un dio prettamente romano e non ha un corrispettivo greco, era considerato, tra le altre cose, protettore degli ingressi, di ogni porta e cinta muraria, e veniva raffigurato con l’attributo di una chiave, in quanto era portiere dei cieli. A Giano, non a caso, è dedicato il mese di gennaio, che è l’ingresso al nuovo anno e anche qui, evidentemente non a caso, questa Camera di Perfezione dei Maestri Segreti, ingresso nella valle del Tevere al percorso iniziatico proprio del Rito Scozzese Antico ed Accettato, ha quale titolo distintivo Giano.