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ALBUM ESCURSIONISTICO. album escursionistico di Daniele Crotti. parole ed immagini racconti e leggende storia e storie di vita lo spazio e il tempo

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Academic year: 2022

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(1)

ALBUM

ESCURSIONISTICO

album escursionistico di Daniele Crotti

parole ed immagini racconti e leggende storia e storie di vita

lo spazio e il tempo

Numero 3 – inverno 2020

(2)

A Colfiorito sugli altopiani plestini:

una farfalla che si posa su di un fiore, un fiore a sette petali

La farfalla, una coppia di doppie ali: da una parte il monte Cupigliolo, il Trella, e, più lontano, il Prefoglio; dall’altra il Palarne, il monte di Annifo e, lassù, il Pennino.

Dalla corolla, le Casermette di Colfiorito, si dipartono i sette petali di questo bel fiore, a volte si sfiorano, a volte si toccano, talora per breve tratto sono congiunti – tipiche atipie…

uno:

PETALO DI ANNIFO – Annifo e i castellieri due:

PETALO DI MARTE – monte Orve e col Falcone tre:

PETALO DEL CASONE – la Buca del Diavolo e monte Trella.

quattro:

PETALO DI POPOLA – monte di Cupigliolo, Popola e Fraia

cinque:

PETALO DELLA PALUDE – Campignoli, Cupigliolo e monte Sauro

sei:

PETALO DI RICCIANO – il monte Palarne e Madonna di Ricciano sette:

PETALO DI ARVELLO – Fondi ed i castellieri di Afrile e Palarne

(3)

ALTIPIANI PLESTINI

(ALTIPIANI DI COLFIORITO)

storia ed ambiente sull’Appennino Umbro-Marchigiano

Scrivono Ettore Orsomando e Andrea Catorci:

Il tratto di spartiacque dell’Appennino umbro-marchigiano compreso tra le Province di Perugia e Macerata si contraddistingue per la presenza di sette conche tettonico-carsiche, simili a pianure e denominate “Altipiani di Colfiorito” o “Altipiani Plestini”.

Queste depressioni, i “piani”, sono conosciute come: Piano di Colle Croce, Piano di Annifo, Piano del Casone (o di Colfiorito), Piano di Arvello, Palude di Colfiorito [Piano della Palude], Piano di Ricciano, Piano di Popola e Cesi.

Esse rappresentano il fondo di antichi bacini lacustri prosciugatisi naturalmente o per bonifica dell’uomo e costituiscono uno degli elementi naturali più interessanti dell’Appennino centrale, sia per le peculiari caratteristiche geomorfologiche sia per gli aspetti idrologici, storico-paesaggistici, paleo-ambientali, botanici, zoologici e agronomici.

Compresi tra 750 e 800 m di quota, tali altipiani sono delimitati ad est e ad ovest da due dorsali calcaree. La più orientale culmina con la cima del monte Pennino (1571 m) e prosegue con i monti Faeto (1110 m), Prefoglio (1322 m) e Tolagna (1405 m); l’altra è costituita dai monti di Colle Croce (919 m), Annifo (965 m), Costa d’Arvello (911 m), Afrile (923 m) e Franca (865 m), oltre i quali la dorsale piega verso est con i monti Civitella (1038 m), Macchie (1040 m) e Cupigliolo (1087 m).

All’interno dell’area carsica, le diverse conche sono separate da modesti sistemi collinari. Fa eccezione una piccola catena, formata dal monte Acuto (1300 m) e dal Col Falcone (1044 m), che si stacca dal versante meridionale del Pennino e, abbassandosi gradatamente, separa i Piani di Colle Croce e del Casone.

La storia geomorfologica di queste conche risale al Pleistocene (da 1.8 milioni a 10.000 anni fa), quando le fasi distensive della tettonica appenninica provocarono l’attivarsi di grandi faglie. Lo sprofondamento di vaste zone comprese tra due faglie portò alla formazione di profonde depressioni, le quali si colmarono poi lentamente per l’apporto di materiale detritico proveniente dall’erosione delle aree montane circostanti.

All’interno di queste conche, fenomeni riconducibili ad attività carsiche causarono l’apertura di inghiottitoi che costituiscono l’unica forma di drenaggio naturale dei paini. Nel tempo le depressioni si prosciugarono, ad eccezione della palude.

La morfologia attuale di questi bacini è piuttosto regolare e si caratterizza per la presenza di un fondo pianeggiante o impercettibilmente inclinato che, nella parte più depressa, presenta degli inghiottitoi, come si riscontra nei Piani di Annifo, Arvello e Ricciano o nella Palude. I piani di Popola-Cesi e del Casone, attraversati dal ruscello “il Rio”, sono invece dei bacini chiusi, oggi drenati da canali artificiali che si immettono, mediante un fosso collettore principale, nella “Botte dei da Varano”, che convoglia tutte le acque nel fiume Chienti.

Al bordo di queste aree pianeggianti sono presenti estese conoidi che raccordano dolcemente il fondo delle conche con i versanti limitrofi, i quali presentano pendici generalmente acclivi che, tuttavia, nelle parti sommitali si addolciscono fino a divenire semi-pianeggianti. Da tali caratteristiche morfologiche si discostano i bordi orientali dei piani di Collecroce, Casone e Popola-Cesi, i quali sono sovrastati (per 700-800 m) da ripidi versanti che arrivano fino sulle cime dei monti Pennino, Prefoglio e Tolagna.

Da punto di vista idrico gli Altipiani Plestini si contraddistinguono per l’assoluta mancanza di immissari, dato che dai rilievi circostanti scendono solo piccoli fossi dove scorre acqua per brevissimi periodi (soprattutto tra fine inverno e inizio primavera), nonché per la presenza di alcune sorgenti situate al bordo dei piani. Tali sorgive hanno generalmente una modesta portata, tanto che la sola fonte Formaccia (piano del Casone) origina un piccolo torrentello, mentre di limitata importanza sono le fonti di Capofossa, Lailla (al Casone), Murata (al piano di popola e Cesi), e dei piani di Arvello.

In conseguenza di ciò, gli apporti idrici più significativi che giungono ai piani sono quelli meteorici (pioggia e neve) che presentano però un andamento stagionale (massimi autunno-inverno-primavera e minimi estivi) a cui sono connesse le notevoli oscillazioni idriche che interessano il fondo dei piani, i quali possono allagarsi per brevi periodi [Arvello e soprattutto Ricciano ed Annifo] per poi prosciugarsi completamente in estate.

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uno:

PETALO DI ANNIFO – Annifo e i castellieri PERCORSO:

parte dal borgo di Colfiorito (758 - 760 m), attraversa le Pratarelle (o Pratarella), l’area verde ove c’è la palestra comunale, raggiunge la palude all’altezza del Molinaccio (758 m) e prosegue sul piano di Annifo (individuato a fine anni ’90 come SIC, ora ZSC, soprattutto per la sua ricchezza floristica).

A quota 780 m siamo in zona nota come “le Prata” e, poco oltre, vocabolo Pau. Si procede e si arriva ad Annifo. Lo si attraversa tutto: il paese è frammentato, posto su più piani con gli 874 m alla Villa.

Caprioli in fuga sul piano di Annifo

Annifo: vari “sinonimi” antichi sono stati Collis Andifi, Andifa, Andifu, Andifum, Andifo, Nifo. L’etimologia vede una origine da Annibal fuit (?). Anche sulla piana di Colfiorito arrivò Annibale!? Sulla piana di Colfiorito, o meglio sulle sponde del Lago Plestino, venne combattuta infatti la battaglia plestina del 217 a. e. v. (tre giorni dopo la battaglia del Trasimeno) tra i romani e i cartaginesi condotti dal generale Maarbale. Molti luoghi hanno dei toponimi che ricordano l'evento, come ad esempio l'Ara dei Cavalieri (sopra casette di Cupigliolo) o il Campo di Annibale nei pressi di Taverne. Notare però che per alcuni studiosi e storici il valente Annibale mai capitò da queste parti!

Per Annifo, dunque, si era azzardata l'ipotesi del toponimo legato ai fatti suddetti, ma la stragrande maggioranza degli storici non concordano e riconducono l'origine del nome a luogo legato alla neve: Annifo deriverebbe pertanto da Andifu (“nella neve”), a sua volta da Nifo, toponimo derivante dal greco che significa, appunto, “nevica”, “località nevosa”.

Il toponimo Annifo designa i siti di Colle (lu Colle; 874 m), Castello (tra Colle e Fosse: un antico castello era nato sopra un antico castelliere; ora è un’aia d’erba di proprietà privata), Fosse, lu strittu (al crocevia: da poco il bar ha cessato l’attività; aperto solo lo spaccio alimentari nei giorni feriali), Villa (Villa Balciana, 874 m, la illa), Coderone (856 m), Coderoncino o Coderonuccio (Coderuncillu); più sotto, fuori percorso, la Moia (le case popolari moderne a schiera, salendo da Colfiorito dopo le casette di legno) e le casette (“giù le casette”, come dicono gli annifani: le casette di legno post-terremoto, che oggi sono Centro della Comunità gestito dall’attuale Pro Loco); per finire con Borgo Mozzo, Virgu Muzzu (che è la parte più ad ovest della Villa).

Verosimilmente la sede iniziale dell’insediamento dovrebbe ricercarsi in Colle, ove, attorno al 1350, il Comune di Foligno avrebbe eretto unam turrim et unum cassarum in castro sancti Petri quod ordinatum est in Colle Annifi: verosimilmente tale formulazione latina testimonia come durante quel periodo sul o nel Colle di Annifo

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era in costruzione il castello a completamento del quale occorreva erigere una torre ed il cassero: castello di S.

Pietro ove in precedenza era ubicata una chiesa di san Pietro: San Pietro de Colle Annifi vel Andifi oppur San Pietro de Fossis apud castri Annifi? Di fatto l’Oratorio di San Pietro è tutt’ora esistente, si trova dentro all’abitato di Fosse. Dopo gli eventi sismici del 2016 è stato messo in sicurezza, dato che era rimasto tagliato fuori dalla ricostruzione post terremoto ‘97 che l’aveva gravemente danneggiato; oggi è di proprietà della famiglia Rosi di Annifo. Di fatto la Villa costituisce il blocco di case più consistente di Annifo. Chiesa di Sant’Elena a parte (all’interno numerosi e interessanti oggetti di culto), e poco altro ormai, tra gli edifici di un certo interesse storico v’è la sede del Monte Frumentario, uno dei primi istituti di questo genere in Italia (risalenti al XV secolo). I monti frumentari erano istituti di prestito del grano a disposizione dei contadini più poveri, che nei periodi di difficoltà potevano mutuare un certo quantitativo di cereali, impegnandosi a restituire quanto ricevuto al momento del raccolto.

Da Annifo si sale alla croce di Fumegghia e al castelliere omonimo (959 m). Si scende e si sale a “il Castellaro” (lu Castellaru), a quota 965 m: è il Castellaro di Talogna (o Talogne), località (?) ora scomparsa (così come un’antica fonte omonima: la fonte è però tutt’ora esistente). Il castelliere di Fumegghia è chiamato anche Fumeggia (ma sarebbe probabilmente un “ipercorrettismo”). Ben leggibile tale insediamento, non sappiamo invece il significato della vecchia piccola croce di legno.

Lu castellaru è detto anche “lu castellare de Duminè”, dal nomignolo del vecchio proprietario morto ottuagenario negli anni sessanta del secolo passato.

Da questo castelliere si ridiscende per risalire ad un altro castelliere, quello di Forcatura, situato a quota 866 m (secondo alcuni è questo – o anche questo - il castelliere Carpello, ma non è affatto certo), o forse poco più a sud-est a quota 881 m circa. Si raggiunge quindi il borgo di Forcatura (858 m), si scende alla Fontaccia e da qui si torna al Molinaccio e infine a Colfiorito, donde si era partiti.

I Castellieri

“I castellieri sono insediamenti fortificati costruiti a partire dalla fine del VII secolo a. C. con funzione di controllo dei valichi dell’Appennino. Possono essere anche piccoli insediamenti o villaggi fortificati, protostorici (età del bronzo e del ferro), sorti in genere in posizione elevata facilmente difendibile, in cui una situazione difensiva naturale veniva sfruttata e rafforzata dall’uomo.”

I castellieri presentano forma variabile, per lo più circolare o ellissoidale e sono circondati da terrapieni, o mura aperte da un unico accesso e da un fossato. L’accesso, unico appunto, era presente dalla parte del versante più agevole. Erano insomma delle aree fortificate d’altura, che espletavano funzioni di difesa e di avvistamento. Collocati preferibilmente a vista uno con l’altro, erano muniti, come in parte detto, da una o più cinta murarie o, semplicemente, da un fossato e da un terrapieno di pietre e di terra. Se alcuni sono circolari ed altri ellissoidali, va pur detto che qualcuno ripeteva la dorsale di cresta. La loro superficie poteva variare tra i 400 e gli 800 mq.

Ai loro piedi si estendeva o si poteva estendere la necropoli, mentre nelle strutture più importanti è rinvenibile una piccola acropoli destinata con ogni probabilità al culto e a momenti di vita sociale.

Quanto alla struttura degli edificati di uso abitativo, i numerosissimi ritrovamenti di frammenti di laterizi, avvenuti in seguito all’aratura profonda svolta in età moderna e contemporanea, fanno pensare ad abitazioni di tipo etrusco, con pareti di legno e tetto in tegole. Tali fortificazioni sono in genere costituite da aggeri e palizzate di legno e sono per lo più, ma non sempre, a pianta, come detto, circolare. Sempre come accennato, al villaggio fortificato sono a volte associate necropoli esterne, anticamente ad inumazione con il defunto racchiuso entro cassette costituite da lastre pietrose, impreziosite da vasi e martelli. Nell’età del ferro, invece, le necropoli sono ad incinerazione ed i reperti sono più vasti, comprendenti ossuari, anelloni, ossa di cervo, oggetti metallici.

Spesso le ubicazioni ben difendibili sono state riutilizzate sia ai tempi degli antichi romani sia durante il Medioevo.

A seguito della Pax romana tali insediamenti furono abbandonati a favore di quelli in pianura, ma con le invasioni barbariche furono nuovamente occupati dalle popolazioni degli altopiani che dovettero nuovamente apprezzare siti insediativi in posizione dominante. Laddove la persistenza del reinsediamento fu sufficiente, sorsero, sulla base di questi antichi castellieri, i castelli medievali, che subirono poi un ulteriore trasformazione:

la caratteristica conformazione arroccata assunta attualmente da molti piccoli paesi umbri di montagna è solo l’ultimo assetto urbanistico assunto da queste strutture.

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Il piano di Annifo dal Castellaro

Indicazioni stimate principali Tempo di percorrenza: 4 ore.

Dislivello complessivo: 300 metri.

Lunghezza: 11 km

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due:

PETALO DI MARTE – monte Orve e col Falcone PERCORSO:

parte dalle Casermette (il centro, oggi, di Colfiorito: la frazione qual tale conterebbe oggi poco meno di 400 abitanti fissi; ma è rinata in parte a “nuova vita” da qualche tempo), sale al M. Orve (926 m) seguendo per un breve tratto il S. 308.

Il Castelliere di monte Orve è forse quello predominate, e che tra il VI e V secolo a. e. v. assume caratteristiche proto urbane. Appare circondato da una cerchia di mura in opera poligonale; internamente l’abitato era disposto su terrazzamenti artificiali e nella parte più alta del monte l’acropoli presenta fortificazione propria e resti di un edificio a pianta rettangolare, forse sacello [presso i Romani era un luogo scoperto e recintato con altare dedicato a una divinità]. Il castelliere, abbandonato probabilmente in età romana, fu rioccupato in età feudale e, sul limite est del recinto fortificato, fu eretta la Canonica S. Maria di Orve, chiesa abbandonata dopo che fu costruito il Castello di Colfiorito (di fronte a 1269 m). A detta di Mario Sensi, tale castelliere o castellare è un’eccezione rispetto a tutti gli altri. Dice il Sensi: «Innanzitutto quel recinto fortificato di altura … è stato chiamato Orbe o Orve e mai castellare. E non v’è dubbio che l’attuale morfologia della parte cacuminale di detto monte Orve rimandi ai molti recinti fortificati di altura che popolano gli altopiani plestini. Ma alcune strutture di età protostorica probabilmente pertinenti alla cinta muraria lasciano intravedere dimensioni così notevoli di questo insediamento di altura che in zona non trovano rispondenza e pertanto giustificano l’appellativo di città che appunto ha conservato fino ai nostri giorni. È possibile… che detto insediamento fosse stato frequentato anche in età imperiale…».

Sul monte Orve

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Sotto il monte si abbandona tale sentiero per proseguire in dir. nord (dell’antico Castelliere o comunque insediamento di Villalva - O Villalva o Millalba -, a quota 865, non vi è certezza sulla sua individuazione ma doveva essere sito tra l’Orve e Costacupa, la zona a prato qui detta “su a cima a l’Arve”, proprio sul cammino che stiamo percorrendo). Affiancando, più sotto e ad ovest, Costacupa (tra 865 a 803 m) e passando sotto il monte Carpello (già Carpelle, verosimilmente antico castelliere, e chiamato anche lu puru; 867 m; la località omonima “lu Puru” si trova così lungo la strada Provinciale di Annifo, all’altezza della curva sotto Costacupa) si raggiunge lo sbocco occidentale della Valle Vaccagna (782 m).

Si supera la strada asfaltata e si prosegue lungo il viale alberato (viene chiamato “Strada de li passanti”) che porta al cimitero di Annifo (806 m): la chiesina del cimitero di Annifo si chiama Santuario Madonna del Piano (de Lu Pianu). Questo viale alberato altro non era che la vecchia strada di collegamento tra Colfiorito e Collecroce e da qui a Nocera. Siamo così quasi sul piano di Collecroce (questo è ancora peraltro il Piano di Annifo ma il limite divisorio non è ben chiaro tanto è vero che il piano viene anche chiamato “piano di Annifo e Collecroce”) o di Marte (l’antico Clivum Martis e poi Planum Marte: forse vi fu un antico luogo di culto umbro o romano dedicato a Marte, sito oggi scomparso ipotizzato nei pressi di Casale Paolucci, a ovest di Casale del Leure, noto pure come Casale Conti). Si raggiunge e si supera Casale del Leure (a ricordo, con nome storpiato, della famiglia già proprietaria degli Alleori di Foligno, a 825 m) e si sale per arrivare alla parte più settentrionale (1090 m circa) dei prati sommitali di col Falcone (Piano della Minutella).

Si percorrono tutti i prati e i boschi a nord e a sud del colle (col Falcone è sito a 1044 m) in dir. S, sino a scendere, passando sul monte Tolentino (a 921 m; già ivi presente, sembra, una chiesa detta di S. Biagio di Tolentino, poi forse una “Villa”), al cimitero di Colfiorito (762 m). Tutta tale dorsale che corrisponde all’area di col Falcone fu inserita a fine secolo scorso nell’elenco dei SIC (ZSC), per la peculiare ricchezza floristico-forestale, con presenza di ampi spazi per pascolo.

Da qui lungo la SS 77 si arriva al punto di partenza.

Prima peraltro può rendersi interessante una discesa con successiva risalita (anche come breve anello in senso orario) all’ex Convento di Brogliano (sorto come “San Bartolomeo primo luogo di Zoccolanti”), a quota 836 m, ora non più attivo come tale. Un supplemento di itinerario che esula dal petalo vero e proprio.

Col Falcone

Già, perché Falcone? Beh di rapaci se ne possono vedere. Che siano falchi, falchetti, poiane o altro io non dirlo. Però andando verso la Bocchetta della Scurosa, poco più a nord, tra il Pennino e la dorsale de I Piancali, dei monti Corneto e Faeto, a me è capitato di vedere volteggiare sopra di noi (non ero solo) una coppia di aquile! Comunque sia anche l’area di Col Falcone compare nella carta dell’Umbria dipinta da Egnazio Danti nelle Gallerei vaticane (1581).

Come detto oggi è nell’elenco dei Siti di Importanza Comunitaria (ora Zona Speciale di Conservazione, ZSC, ripeto). Gli esperti scrivono di un “Habitat” prioritario (pascoli del Festuco- Brometalia con stupenda fioritura di orchidee) e di uno non prioritario (boschi di cerro e carpino bianco, con presenza di Taxus baccata ed Ilex aquifolium). E tanto altro ancora. Sarebbe per me qui pleonastico e cosa forse noiosa riportare quanto ho letto al riguardo. Se arrivate sin qua, attardatevi e gironzolate sul vasto falso pianoro; si scoprirà un ambiente naturale assai riposante oltreché ricco e interessante.

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Il piano di Collecroce sotto il Pennino e ben oltre il piano di Annifo

Indicazioni stimate principali Tempo di percorrenza: 4 ore e 30 minuti.

Dislivello complessivo: 350 m.

Lunghezza: 12 km.

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tre:

PETALO DEL CASONE – la Buca del Diavolo e monte Trella.

PERCORSO:

parte dal borgo, sempre alle storiche Casermette, segue per 200 m circa la SS 77; dopo l’albergo Plestina piega a destra su uno stradello che zigzagando raggiunge il caseificio Caponera (uno dei tre presenti in altopiano), dopo avere superato una (F.te Capofossa) delle tre “polle” o “sorgenti” sul piano presenti (la seconda al Casone stesso, la terza, la F.te Fermana, nei pressi di Plestia - già Pistia).

Si piega a destra e in breve si arriva alla basilica di Plestia (760 m).

Il piano del Casone (o di Pistia o di Colfiorito) è il piano più esteso degli Altopiani Plestini. Rimandiamo ad altra occasione modi e tempi della sua bonifica e della Botte dei Varano con la sua suggestiva galleria. Qui rammento l’importante Azienda del Casone a nord dell’abitato di Taverne (ormai in territorio marchigiano), segnalata come “il Casone – Tenuta Sordini”, che però ha subito negli ultimi decenni vari cambi di proprietà di cui qua sorvolo. Ricordo però come sulla piana vi siano ben tre caseifici importanti: di Colfiorito (Pescetelli, di fronte al cimitero poco prima del bivio per entrare in valle Vaccagna), Caponera (di fronte a sud-est del precedente, siamo sui 750 m o poco più come tutto il piano), Grifo (in paese sulla strada che porta verso Taverne e quindi a Pieve Torina).

Da qui si percorrono duecento metri circa di strada asfaltata (a sinistra la fonte Fermana), si evita il primo bivio a destra, si prende la seconda a destra (S. 311). Poco dopo a sinistra vi è la fonte Formaccia (q. 764 m, poco prima di Taverne, già Tavernelle); si prosegue sul S. 311 sino alla Buca del Diavolo (volendo si può salire un attimo a destra per giungere a 822 m ove si ha un bel panorama sul piano del Casone). La Buca del Diavolo è oggi non facilmente individuabile. L’ingresso (un

“buco” di un metro quadro circa) è chiuso con lastra di ferro lucchettata (ragioni di sicurezza). Nulla di che apparentemente. È una cavità carsica di una ottantina di metri, su tre livelli, con una serie di particolarità e difficoltà speleologiche.

Il Trella: monte e castelliere

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Una testimonianza di qualche anno così la ricorda e la descrive:

«Poco tempo fa andammo io ed un caro amico a “conoscere” il Castelliere di Monte Trella. Prima di partire da Colfiorito, incontrammo un anziano del posto, Dante era ed è il suo nome, che ci dette delle indicazioni al riguardo, relative al monte, al percorso che si scelse, e, soprattutto alla Buca del Diavolo. “Non sarà facile trovarla”, ci informò, “è nascosta dalla vegetazione”. Ed infatti non la trovammo. Al ritorno lo ritrovammo che stava aspettando davanti alla scuola elementare l’uscita della nipotina. Si parlò un attimo e ci raccontò che la Buca del Diavolo è comunicante, o comunque lo era, con le la Botte di Varano, nei pressi della Fonte delle Mattinate; praticamente attraversa tutto il piano del Casone. La certezza venne dal fatto che in tempi passati un gallo venne fatto calare nella Buca del Diavolo che dopo poco tempo ricomparve all’uscita della Botte, vicino alla cappella Foresi.

Il gallo, il gallo, il gallo…».

Trattasi di fatto di una leggenda; in realtà la Buca del Diavolo è stata esplorata anche di recente dal gruppo Speleo di Foligno: terminati i due pozzi c’è un’ampia grotta, e non sembrano affatto essere passaggi di sorta che comunichino con la Botte di Varano (ne abbiamo un interessante video di circa venti minuti).

Poco oltre, in dir. sud, si agguanta l’angolo della pineta e si sale su un sentiero che raggiunge quota 941 m (più sopra a 980 m il castelliere di monte S. Callisto o de la Fontaccia). Qui si scende per prati lungo un sentierino non segnalato ma abbastanza evidente per raggiungere il S. 311 in Valle Luce, di fatto sulla antica Via della Spina. Qua al quadrivio si sale al monte Trella (1029 m), seguendo il sentiero che aggira tutto il Trella stesso.

Il Castelliere del Monte Trella (mons Trelle / sasso de Trella), a 1029 m: ma che bello! Anche da lontano se ne intuisce la morfologia. L’etimologia del nome vorrebbe “trella” da “t(e)rella”, diminutivo dell’aggettivo latino teres, tondo, arrotondato, secondo una confusione di genere (in questo caso femminile per maschile) già sottolineata da grammatici del tardo-antico come Prisciano (IV – V secolo). Scriveva R. Amici: “Trella è l’elegante e basta guardarlo sullo sfondo d’un cielo quasi sempre terso, sereno e azzurro per concordare pienamente”. Ma i locali dicevano: «C’era lassù una croce di legno dove si andava il giorno dell’Ascensione e un pezzo si faceva in ginocchio. Lassù si pregava e ci si andava con le bestie».

Dalla cima del Trella si scende in dir. nord-ovest al pianoro sottostante per inserirsi in un bel sentierino in buona parte in mezzo al bosco che piano piano scende alla strada asfaltata poco prima di Cesi (784 m). Ci si immette sul S. 311 e all’altezza dei 770 m circa si piega a destra e si segue una sterrata su prato a fianco de “il Rio” che sempre in dir. N fiancheggia di fatto la nuova superstrada.

Si sfiora la strada che porta a Visso, si prosegue, si piega a sinistra per passare sotto la superstrada e si sale leggermente per immettersi nella vecchia carrareccia che riporta a Colfiorito

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Il piano del Casone dal monte Prefoglio

Indicazioni stimate principali Tempo di percorrenza: 4 ore e 30 minuti.

Dislivello complessivo: 600 m.

Lunghezza: 15 km.

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quattro:

PETALO DI POPOLA – monte di Cupigliolo, Popola e Fraia PERCORSO:

parte sempre dalle Casermette per attraversare il borgo davanti la chiesa e salire alla sua parte più elevata per prendere il S. 581 (verso il Monte e la Pineta). La parte alta di Colfiorito è detta “Pizzale”

(è la zona ove sorgeva il castello medievale). Qui c’era (non so dove però fosse tale prima ubicazione) l’antica chiesa di Maria SS. Assunta. Si raggiunge quota 890 m circa; si prosegue: a destra “lu collettu de S. Antoniu”, davanti a noi a sinistra “fabboccone”, a destra le “vancarelle o vangarelle” e più oltre la “macchia dello spagnolo”. A quota 866 si prende a destra per salire ai 908 m ed oltre lungo un sentiero anche pel MTB sino al monte di Cupigliolo (“Cupiòlo” ed anche “Cupiolu”) sito a 1087 m.

Alla destra la fitta Macchia e la Selva di Cupigliolo.

Macchia e Selva di Cupigliolo:

si estendono tra 800 e 1000 metri di quota. Inserita a fine anni ’90 tra i siti SIC (di importanza comunitaria) ora ZSC (Zona Speciale di Conservazione) secondo la normativa europea, si tratta di un’area submontana, moderatamente acclive, con una sua specifica storia geologica ai più impervia da decifrare. La loro esposizione è prevalentemente settentrionale e il versante si presenta solcato da fossi assai modesti che convogliano le acque meteoriche nella Palude di Colfiorito. Ricca ed importante è la formazione vegetale mista (cerreti con carpini, faggi ed altri alberi e arbusti tipici degli altopiani tettono-carsici dell’Umbria orientale), con presenza di alcune entità floristiche poco diffuse in Umbria (in primis l’Ilex aquifolium), non mancando pascoli con fioriture di orchidee ed altro ancora.

Dalla cima del monte si scende in dir. sud sino ai 1009 m del passo della Croce. Ivi un nuovo sentiero ben segnalato porta, lungo la bellissima valle Moia (il fosso a fianco ha il medesimo nome), dapprima a Popola, a quota 850 m circa (la si attraversa con il suo antico castello) e quindi a Fraia (819 m).

Valle Moia

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Popola:

già Popula, castrum Populi (o Popule), il nome del castello indicherebbe un luogo fortificato sorto nei pressi di pioppi (populus, pioppo, dunque arx populea). Il castello, costruito sul sito di un castelliere protostorico, sorse per tutelare il confine settentrionale del comune di Foligno e i diritti di passo connessi al transito di merci e bestiami; è ubicato infatti in un punto strategico data la posizione di crinale nella val Castellana, a dominio del piano carsico e della via della Spina (o Romana). La fortezza, di indubbia importanza storica, è solo in parte ristrutturata e all’interno contiene, oltre al palazzo dei Barugi, la chiesa di Maria SS. Assunta, la antica Santa Maria de Popula, coeva probabilmente al castello.

Fraia:

il piccolo borgo, il cui nome si vuole derivi da farrea (arva) – campo di farro -, è uno dei centri economicamente più floridi. Vi sono infatti cinque aziende zootecniche con prevalenza di vacche da latte (curiosamente sempre stallate). La più antica citazione dell’abitato fa riferimento ad un manso posito in Fragaria; una seconda concerne il medesimo manso [un podere] di cui si specifica l’ubicazione in curte ed in curia de Fragia. Sino a fine duecento l’abitato era noto come Fragaia, pertanto, per diventare con lo scorrere del tempo Fraia de Popola.

Siamo a Fraia, dunque. Qua si sale leggermente lungo il sentiero (S. 581) segnato ma poco dopo lo si abbandona per dirigersi in dir. nord, in lieve discesa, dapprima su strada asfaltata e dopo su un vecchio stradello che incrocia ai 770 m circa il S. 311 che arriva da Cesi. Ci si immette in questo sentiero che all’altezza di quota 866 metri (“fabboccone”, chiamano la spianata, come già riferito) piega a destra, dir. nord, per superare la pineta del Monte e scendere a Colfiorito al punto di partenza, alle nostre Casermette.

Citate più volte e di base per i nostri petali, la corolla di questo entusiasmante fiore su cui la nostra farfalla si posa, raccontiamole un attimo, queste Casermette.

Le Casermette

Le “Casermette di Colfiorito” furono costruite nel 1882. Il complesso di nove capannoni venne destinato ai servizi di poligono di artiglieria e ricovero militari di truppa in tempo di manovre e di tiro e divenne operativo a partire dal 1885. Dal 1920 al 1925 le autorità militari abbandonarono il poligono divenuto bene del demanio e ne disposero l’utilizzo per i privati. Nel 1936, dopo una serie di ispezioni svolte da funzionari della pubblica sicurezza, emerse la possibilità di utilizzare le caserme per l’impianto di un campo di internamento o di una colonia di confino destinata ad accogliere, in caso di necessità, elementi pericolosi per motivi politici o militari.

La capacità ricettiva delle strutture, la presenza dell’acqua e della luce, il vantaggio di poter imporre ai confinati di vivere lontani dalla popolazione civile e di limitare la mobilità nella zona del campo, cinta da filo spinato e ben presidiata, nonché la morfologia del territorio, rispondevano alle esigenze richieste.

Così, qui, il Ministero dell’Interno dopo lo scoppio della II Guerra Mondiale aveva internato dei civili, ospitati in un padiglione dell’ex-poligono. Dopo qualche mese vennero riadattati degli altri padiglioni e la struttura, passata sotto il controllo dell’Esercito, venne usata fino al gennaio ’43 come campo per prigionieri di guerra.

Infine, dal gennaio ’43 iniziò a funzionare come campo d’internamento degli slavi dei territori occupati, soprattutto montenegrini. Il numero variava con i vari trasporti e trasferimenti ad altri campi e raggiunse la quota massima di 1500 persone nell’agosto del 1943. Le condizioni igienico-sanitarie erano scadenti:

affollamento (150 persone per capannone), parassiti, latrine insufficienti e mal funzionanti; gli indumenti erano quelli indossati all’atto della cattura; il vitto all’inizio, a parte la razione supplementare per alcuni fortunati che lavoravano in cantieri in altre località, era da fame: “150 gr di pane, 60 gr di pasta, un po’ di verdura erano la razione quotidiana”… Poi ci fu la fuga, dopo l’8 settembre (i 22 di fatto) del ’43. Molti divennero partigiani, sul nostro Appennino o altrove… E dopo la guerra divennero struttura militare della Caserma folignate… Poi l’abbandono. E oggi… a nuova vita, sciuai sciuai…

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Il piano di Popola e Cesi

Indicazioni stimate principali Tempo di percorrenza: 4 ore e 30 minuti.

Dislivello complessivo: 550 m.

Lunghezza: 15 km.

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cinque:

PETALO DELLA PALUDE – Campignoli, Cupigliolo e monte Sauro PERCORSO:

la partenza è tassativamente dalle Casermette (il bar Barchetta è un buon punto di riferimento). Si attraversa la via principale di Colfiorito e si arriva al Fagiolaro. Si costeggia la palude sul lato orientale e all’altezza de “i Pioppi” si piega a sinistra verso i capannoni della Fertitecnica. Ci si immette su uno stradello, si sale (a destra) e si arriva ove esso finisce. Si attraversa il campo, si scende leggermente verso sud-est e ci si immette in un sentiero agreste che scende e poi risale sino ai 845 m ove sorgeva Campignoli. Poco oltre a quota 859 vi è l’altura della “ara dei cavalieri”.

Campignoli

L’ “ara dei cavalieri” sarebbe riferita ai cavalieri che combatterono, si dice, contro Annibale. Ed è nell’area circostante, in particolare verso la palude, che sorgeva Campignoli (845 m). Ora è tutto scomparso. Vi era persino la chiesa (sancti Angeli de Campaniole), con la sua storia ecclesiastica e canonica piuttosto complessa (come spesso se non sempre accadde). Il ricordo del villaggio di Campignoli e della chiesa è tuttora vivo nella memoria dei pochi anziani vivi e vegeti. La zona è chiamata Costa di Cupigliolo. Di ciò restano pietre più che strutture murarie: sarebbero sei tali aree facenti parte dell’antico villaggio. Poi vi fu la spartizione patrimoniale dei terreni e… delle due campane della chiesa di S. Angelo (un po’ a Forcatura, un po' a Popola). Leggo che gli anziani superstiti del luogo (forse per un passaparola anche i figli ormai adulti) sogliono ripetere che ognuna di esse “lì suonerà fino a che il mondo durerà!”. Il luogo è ammantato di mistero. La fantasia popolare racconta che “qui transitavano cani, lupi ed animali fantastici e non era consigliabile farsi sorprendere dall’oscurità, perché c’era la paura (quasi personificata, come ho avuto modo di apprendere anni fa in altra zona da qui non lontana): zona posta oltre i limiti del mondo abitato e del vivere quotidiano”

In alto oltre il casolare il castelliere nascosto del monte Sauro

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Si riparte. Tra le due quote (siamo sul S. 311), in dir. E, in basso si gira a destra e si scende su una carrareccia che raggiunge quasi la nuova superstrada. Ivi si piega tutto a sinistra e si imbocca un sentiero non segnalato che sale leggermente. Dopo poche centinaia di metri, prima che questo sentiero finisca si sale per sei metri a sinistra e ci si immette su un altro sentiero, una volta strada ufficiale. Lo si percorre tutto sempre in leggerissima salita. Ad un certo punto riecco la vecchia carrareccia e si prosegue sino a quota 968 m. Da qua il panorama è aperto e affascinante. Abbiamo attraversato di fatto la macchia di Cupigliollo. Ora si scende decisamente in dir. O lungo un evidente sentiero che scende a 884 m. Qui si incontra il vecchio collegamento tra Cupigliolo e Volperino. Qua due opzioni: andare a destra e attraversare Cupigliolo sino a raggiungere la casa cantoniera sulla vecchia statale oppure salire a 920 m e ridiscendere lungo un bel sentiero. Ora esso si perde ma ci si mantiene a destra, dir. N, si fiancheggiano dei campi e si ritrova il sentiero che sbocca in discesa al medesimo punto di fronte la casa cantoniera dismessa.

Cupigliolo

È posto, l’abitato costituito oggi da poche case (in parte ristrutturate) abitate da pochissime persone (si possono contare con le dita di una mano, come si dice), a 858 m. I locali lo chiamano “Cupiòlu”. Si presenta con un nucleo centrale arroccato di impianto medievale, con edifici disposti a schiera ai lati dell’antico tracciato che univa il piano di Ricciano a Volperino. Sulla parte più alta si attesterebbe la presenza di un antico castelliere.

Peraltro anche più sopra a quota 920 m. ammassi di pietra testimonierebbero la presenza di un lontano insediamento romano se non preromano. Anche qui è presente una chiesa (di S. Maria) ormai lasciata a sé.

Le Casette (di Cupigliolo) sono di recente fattura.

Siamo sulla vecchia statale e si torna indietro di poche decine di metri sino al valico di Colfiorito a quota 826 m. Si attraversa e si sale al monte Sauro (894 m), sede di un antico imponente castelliere, oggi in buona parte coperto da bosco. Una sosta alla sottostante struttura in pietra (una segnaletica la addita come “Eremo dei Santi”, ma non ne abbiamo cognizione) è suggerita. Così come non mancate di calcare coi piedi questo antico castelliere. Non si vede dall’esterno, nascosto dalla e nella vegetazione arborea. Ma è veramente suggestivo.

Va visto e assaporato.

Da qua si scende in dir. Sud-ovest sino ad agguantare a 826 m il sentiero per MTB che arriva da Ricciano. Si piega a destra, lo si segue sino all’incrocio col S. 311 (la carrareccia che porta a Polveragna e Forcatura). Si va a sinistra e poi a destra sempre lungo il S. 311. All’altezza della palude, la si può aggirare sul versante occidentale (più lungo ma preferibile) od orientale per arrivare al punto di partenza passando per le pratarelle oppure per la vecchia strada principale di Colfiorito.

La Palude (già il Padule)

La Palude è quanto resta del Lago di Cassicchio (o Casicchio). È a quota 752 m. Nel tempo, forse già in età romana, lo specchio d’acqua è stato oggetto di molti interventi di bonifica. Oggi è un precario equilibrio tra acque e cannucce. Ma tale palude (circa 100 ettari di estensione) è un ecosistema di estrema importanza per la sua vegetazione palustre e per l’avifauna migratoria che ospita: ai prati umidi e torbosi della fascia esterna si susseguono le associazioni palustri e la vegetazione lacustre, per giungere al centro della palude con un ambiente caratterizzato da specchi d’acqua. Particolare è l’Utricularia vulgaris, una delle poche specie italiane carnivore di pianta acquatica e comunemente detta “erba-vescica”, accanto a svariate specie aviarie talché da alcuni decenni la palude stessa è stata dichiarata zona SIC (oggi ZSC) in quanto “zona umida di valore internazionale”, e quindi area naturale protetta. Ora la palude rientra nel Parco di Colfiorito, parco regionale istituito negli anni novanta, a sua volta inserito nella (ex-)Comunità Montana del Subasio ed oggi gestito dal Comune di Foligno.

Bisogna sapere che l’idrologia dell’area ha una sua particolare importanza per la incidenza quale bacino di alimentazione di fondamentali sorgenti idropotabili e idrominerali ben rinomate anche fuori regione (Nocera Umbra, ma non soltanto).

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Laggiù: la Palude

Indicazioni stimate principali Tempo di percorrenza: 4 ore e 30 minuti.

Dislivello complessivo: 500 m.

Lunghezza: 15 km.

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sei:

PETALO DI RICCIANO – il monte Palarne e Madonna di Ricciano PERCORSO:

la partenza potrebbe essere dalle Casermette. Da qui, via le pratarelle si raggiunge la casa del Mollaro alla Palude (Padule) e si sale a Forcatura (S. 305). Ma ritengo più proficuo andare con la vettura (5 minuti) direttamente al borgo di Forcatura, lasciandola dinanzi alla chiesa di S. Lorenzo (o altrove).

Partendo da Colfiorito il percorso si allunga di una quarantina di minuti.

Si imbocca il S. 310 e lo si percorre per pochi metri. Si evita di scendere a destra lungo il medesimo e si prosegue dritti per poi deviare leggermente a destra evitando l’erta direttissima che sale al monte.

Si prosegue su questo stradello per alcune centinaia di metri e quindi si sale a sinistra per raggiungere il monte Palarne, la cui piana cima è posta a 968 m. Da qui si scende e ci si inserisce nel S. 309 che poco dopo incontra un vecchio lavatoio. Ivi si piega a destra per salire a Seggio (che si può raggiungere in minor tempo seguendo il S. 310b), a quota 916 m. Da questa frazioncina si scende (dir. S), per prati, e poi per stradello agreste, sino alla Madonna di Ricciano. Da qua si attraversa il piano di Ricciano seguendo il sentiero per MTB sino a quota 826 m (direzione est). Attenzione: se il piano è allagato bisogna ingegnarsi a trovare un’alternativa (che lascio al camminatore individuare).

Salendo al monte Palarne

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Piano di Ricciano

Il piano di Ricciano (già Gricciano o di Cupigliolo) è il più occidentale dei 7 piani plestini ed è posto ad una altitudine di poco meno di 800 m. Tale piano, come quello di Annifo e di Arvello, può tuttora “allagarsi” e poi

“prosciugarsi”, grazie all’inghiottitoio (posto sotto la “Castellina”, già castelliere, ora residenza privata) che la assorbe e la drena lentamente. All’estremità nord occidentale a quota 818 m vi è la ormai abbandonata chiesa nota oggi come S. Andrea di Ricciano (de Griccano un tempo), nel passato Madonna di Ricciano detta anche Chiesa di San Matteo.

A quota 826 m si incontra uno stradello che arriva dal valico di Colfiorito. Lo si prende andando alla nostra sinistra (dir. N), si passa sotto quota 877 (ove v’era un castelliere), e si prosegue sino ad arrivare a Polveragna (820 – 830 m). Tale Castelliere è quello di Borgarella (già Porcarella): oggi vi è il Casale Borgarella, o, meglio, Bertuzzi. Borgarella o Porcarella è una collina tondeggiante; il toponimo antico era Porcarella e con esso figura sulla carta dell’Umbria dipinta (1581) in Vaticano dal solito Egnazio Danti.

Polveragna

Un tempo era chiamata Bolferagna (anche Bolferania o Bolferangia), posta a circa 830 m. è oggi abitata da 6- 7 persone (tre famiglie), di cui due gestiscono grosse aziende agricole [Una mia osservazione è questa: da tempo attraversando questi piccoli “dimenticati” borghi umbri, chiedo ai locali il numero degli abitanti e regolarmente non mi dicono mai con certezza quanti siano i residenti fissi; eppure sono proprio pochi, da uno a 10-20. Non mi so spiegare questa reticenza. Laura mi dice che non è reticenza, ma piuttosto pigrizia a contare le persone effettive dei nuclei familiari rimasti. Inoltre si verifica il fatto che spesso gli abitanti “su carta” non risiedono effettivamente in montagna]. La vecchia chiesa dedicata a S. Giovanni non c’è più; era localizzata nei pressi di una fonte, di fatto una risorgiva d’acqua, sita a 200 metri circa dalla parte centrale del piccolissimo abitato. Di fatto un paio di abitanti del luogo mi hanno affermato che la fonte era dove vi è adesso una fontana dell’acquedotto che sale da Rio. Anche un paio di abitanti di Forcatura affermano una cosa analoga dicendo però che gli anziani ora scomparsi avevano (pala e piccone alla mano) realizzato una conduttura che portava l’acqua da Polveragna a Forcatura, cui tutti potevano attingere. Poi si è rotto ed il Comune di Foligno se ne è completamente disinteressato. Liti o quasi ed ora anche a Forcatura arriva l’acqua da Rio.

Da Polveragna si sale a Forcatura lungo una evidente carrareccia che poco dopo si incunea nel S. 309 sino al borgo di Forcatura.

Forcatura

È uno dei centri economicamente tra i più floridi della montagna folignate (aziende ed attività essenzialemnte agricole, come altrove peraltro, su questi altopiani). Forcatura: la parola medesima evoca, come toponimo,

“forca”, ovvero “passo”, “valico”, “biforcazione”; è posta infatti su una forcella, la forcella che separa il Padule (il piano della Plaude, “la Palude”) dal piano di Arvello. Mi disse Rita P. (classe 1961) che il borgo ha storia recente. Inizialmente, un paio di secoli fa, vi era una unica casa padronale ed una chiesa dedicata a S. Giovanni (ora è un palazzo ancora non risistemato). Successivamente tale chiesa, distrutta, fu riedificata leggermente fuori paese e dedicata a S. Lorenzo.

Era una zona di passaggio per transumanza e monticazione. Proprio per questo tanto tempo fa i pastori cominciarono a insediarvi la prima capanna, quindi ancestrali abitazioni, e poi nacquero altre case e sorse un villaggio. Così mi raccontarono un paio di abitanti o tre del luogo.

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Ecco il piano di Ricciano da sud

Indicazioni stimate principali Tempo di percorrenza: 3 ore e 30 minuti.

Dislivello complessivo: 350 m.

Lunghezza: 13 km.

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sette:

PETALO DI ARVELLO – Fondi ed i castellieri di Afrile e Palarne PERCORSO:

partendo dalle Casermette si raggiunge in vettura la località di Forcatura (858 m). Da qui inizia l’itinerario che scende al piano di Arvello, imboccando il secondo sentiero a destra del S. 310 (da nord a sud). A quota 783 ci si reimmette nel S. 310 (o sentiero VUT) che lo si segue sino ad Arvello (831 m). Si procede sul medesimo sentiero che sale a 870 m per poi piegare a sinistra (dir. ovest) e raggiungere il piccolo borgo di Fondi (936 m).

Fondi:

già villa Funni, sorge lungo il versante orientale del monte Burano. I primi insediamenti umani risalgono all’epoca preromana (legata ai castellieri [vedi oltre]); purtuttavia il toponimo Fondi lascerebbe denunciare un nucleo demico di origine longobarda. La più antica menzione del borgo risale ad una carta del 1160 quando apparteneva al monastero di Sassovivo. Sempre nel Duecento passò sotto il controllo di Foligno; i Trinci affidarono agli uomini di Fondi la custodia di Galliano, per controllare il sentiero che saliva dalla valle del Topino. L’assetto di Fondi è costituito dall’alternanza di edifici isolati e di piccolissimi agglomerati, tutti dall’impianto molto semplice. Il centro, medioevale d’origine, nulla conserva degli edifici originari, sebbene le attuali abitazioni e costruzioni abbiano una certa qualità architettonica (sia pur modificata nel tempo). Se nel passato aveva una certa rilevanza per la produzione della calce (all’interno dei calcinai verso il monte), più recentemente gli abitanti erano dediti ad attività agricole varie; oggi però sembra esservi un solo abitante

“storico” stanziale con il suo gregge, sebbene i successivi sismi abbiano reso disagevole da un lato abitarvi, ma, dall’altro lato, grazie a ristrutturazioni essenzialmente private, nuovi arrivi abbiano rimosso la precarietà del villaggio.

Fondi in una grigia giornata

La chiesa di Santo Stefano all’ingresso attuale di tale località (nata come chiesa di Santa Maria) mostra una facciata con un oculo centrale e porta ad arco, poi ampliata sul lato destro. L’interno è una grande aula

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rettangolare con soffitto a capriate ricostruito dopo il 1997 e sulla parete laterale sinistra vi sono un paio di dipinti murali a carattere votivo (S. Lucia e S. Antonio abate). A me peraltro preme accennare al dipinto di S.

Luigi Gonzaga sulla parete di una casa, opera di Carlo Fabrizi, abitante del luogo negli anni ’50 allorché lo eseguì.

Da Fondi si prosegue in dir. S, si percorre brevemente la strada che da questo borgo porta a Seggio, si piega a destra (dir. S) per costeggiare da basso il monte di Afrile sino a salire al Balenaccio (quota 889 m e oltre), e da qui immettersi (sempre dir. S) sulla carrareccia che da Afrile porta alla Madonna dello Staffo (865 m).

[La salita ai due castellieri di Afrile è un’opzione legata al tempo a disposizione: la loro percorrenza allungherebbe il percorso di circa 45 minuti].

La si raggiunge (dir. E), la si supera e si scende verso Costa d’Arvello (dir. NE). Poco prima di Costa si piega decisamente a destra (dir. SE e poi S) per raggiungere le prime case di Cavallara e quindi il castelliere di Palarne (876 m). Da qua si scende al piano di Arvello sino ad immettersi (dir. E e poi NE e quindi SE) nel S. 310 (788 m) che lo si segue sino a Forcatura, all’altezza della chiesa di S.

Lorenzo, donde si era partiti.

Castellieri di Afrile: sono due, sulle due sommità tondeggianti del monte di Afrile, uno a 1.023 m e l’altro a 1.009 m.; dei due, quello più settentrionale (il primo citato) è a pianta ellittica con fossato continuo ancora individuabile. In zona il Bettoni – Picuti cita altri 3 insediamenti fortificati (se antichi castellieri non lo conferma), uno al Balenaccio (a quota 955 m), un secondo su un’altura nota come il “Castello” a 918 m, ed il terzo sul versante sud-occidentale del M. Burano a 1.058 m (questo è sito lungo il sentiero ‘La via delle fonti’

che da Fondi scende a Capodacqua).

Dalle testimonianze di Fongo e Bambini (sulla base anche di una pubblicazione della Cassa di risparmio di Foligno degli anni duemila), vi sarebbero stati altri 2 castellieri, ora non individuabili, in zona, forse in parte sovrapponibili a due dei tre ulteriori appena citati i due principali sono entrambi piuttosto bene inquadrabili:

sono anche ampi): uno a sud verso Seggio, uno a est scendendo verso Fondi.

Castelliere di Palarne

Ricordo il significato dei castellieri, in quanto degni di rilevanza indubbia.

I castellieri caratterizzano la “cultura dei castellieri”, sviluppatasi in Istria e nelle zone limitrofe (Venezia Giulia e Friuli: Carso Goriziano-Triestino) tra il XV e il III secolo a. E. V. Altri castellieri, oltre quelli umbri ed umbro marchigiani, sarebbero esistiti in Lunigiana, sul Gargano, ma sono quasi del tutto ignoti agli studiosi.

Al di fuori dell’Italia, ‘insediamenti a castelliere’ sono stati rinvenuti in Francia, nella penisola balcanica, nell’Europa settentrionale e quella centrale.”

Parte di questi “recinti fortificati” (quasi “trincee”, opere di difesa, “scavate in tempo di guerra”, secondo la cultura del posto, scrive Sensi) era stata inizialmente rilevata da G. Schmiedt: è questo che li chiamò castellieri, e ciò indubbiamente per l’analogia che questi manufatti presentano con quelli degli altipiani carsici.

Interessante è la nota riferita al lavoro di Schmiedt che cita Sensi nel suo preziosissimo volume: «Non deve perciò meravigliare se i piani di Colfiorito siano stati difesi sin dai tempi più lontani. Nella preistoria i castellieri che li difendevano da Sud avevano probabilmente solo lo scopo di impedire transumanze provenienti dalla Valle Spoletina e Folignate, mentre in epoca romana e altomedioevale i castella ed i castra tentarono di bloccare i valichi ed i passi relativi alle vie tattiche ed alle direttrici più pericolose contro Roma o verso l’Esarcato e la Pentapoli».

Sempre il Sensi scriveva: “I ricordati castellieri sono alcuni di forma circolare, altri ellissoidale, altri infine ripetono la dorsale di cresta e la loro superficie interna varia dai 400 agli 800 mq. Sono tutti difesi da un terrapieno quasi ovunque coperto da terra e vegetazione; e nel castelliere di Palarne, di recente manomesso, risulta essere formato da un muro di sostruzione in opera quadrata ricoperto da uno spesso strato di terra.

Questo castelliere Palarne, a 876 m, non lontano da Seggio, appena sotto Cavallara, è in ogni caso ben identificabile e molto suggestivo.

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Piano di Arvello

Indicazioni stimate principali Tempo di percorrenza: 4 ore e 30 minuti.

Dislivello complessivo: 600 m.

Lunghezza: 16 km.

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Grazie a Doriano, a Stefano, a Carlo B., a Luigi, a Giamberto, a Carlo M., a Maurizio, a Mauro (d’aiuto nella revisione), grazie agli amici camminatori che a volte alternandosi mi hanno accompagnato in questo immaginifico volo floreale come un battito d’ali di questa delicata farfalla. Un grosso grazie a Laura P., annifana, attiva al Parco di Colfiorito, preziosa e generosa, che mi ha seguito in questo percorso descrittivo.

Note aggiuntive:

i tempi di percorrenza, la lunghezza degli itinerari, i dislivelli riferiti sono orientativi, ma abbastanza fedeli al contempo. Va da sé che in base alle soste e ad altre eventuali varianti (in parte suggerite) i medesimi possono o possano modificarsi.

Bibliografia:

La montagna di Foligno. Itinerari tra Flaminia e Lauretana. A cura di F. Bettoni e M.

R. Picuti, Ed. Orfini Numeister, 2007

In…cammino, Raccolta Riviste anno 2018, CAI Perugia, pagg. 40.12 – 40.16.

Vita di pietà e vita civile di un altopiano tra Umbria e Marche, di Mario Sensi, Ed. di Storia e Letteratura, 1984

Le Tre Valli Umbre. Dalla Valnerina a Colfiorito lungo l’antica Via della Spina, di D.

Crotti, ali&no, Perugia, 2009 Cartografia:

ITINERARI TRA UMBRIA E MARCHE. Carta dei sentieri 1:25000, Comune di Foligno, Parco di Colfiorito, CAI Foligno et al.

Parco di Colfiorito. Carta dei Sentieri 1:25.000, Regione Umbria.

Carta escursionistica e cicloturistica Assisi-Sefro, 1:50 000, Kompass

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