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62 Carta canta. 64 Tre domende a Cinema. 70 Unaltrostile. 68 Ascoltare. 71 Habitat. 73 Sorseggi. 76 Viaggiare

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62

Carta canta

64

Tre domende a...

Edwidge Dandicat

65

Cinema

C’era una volta in Anatolia

70

Unaltrostile Wwoofer, ovvero contadino alla pari

68

Ascoltare

Yemen, la musica fuori dal coro

71

Habitat

Le Olimpiadi verdi dell’abitare

73

Sorseggi

Ataya

76

Viaggiare

Terre e libertà

68 65

71 70

62

64

73 76

Leggere

60

Segnalazioni Come viaggiare - Cristiani e primavera araba - Immigrazione in cifre

60

La libreria Slowbookstore (Milano)

61

Festival A Milano la cultura si fa incontro

62

Carta canta

63

Sul comodino di... Stefano Allievi

63

Babel Aminata Aidara

64

Tre domande a... Edwidge Dandicat Guardare

65

Cinema C’era una volta in Anatolia

65

Eventi Les Rencontres d’Arles

66

Osservatorio L’Europa specchiata nei blog italiani

66

Documentari Terra e lavoro

67

Invito a teatro Spazio no’hma Ascoltare

68

Musica

Yemen, la musica fuori dal coro

69

Strumenti Garmon

69

On air Radio Popolare Roma Benvivere

70

Unaltrostile Wwoofer, ovvero contadino alla pari

71

Habitat Le Olimpiadi verdi dell’abitare

71

Solidee

Se la tecnologia diventa solidale Gustare

72

Sapori&saperi Il gaucho, l’asado e l’anima della pampa

72

Retrogusto Adal (Bologna)

73

Sorseggi Ataya

74

Inter@gire La solidarietà è un gioco

75

Decode

Per divertimento e a fin di bene Viaggiare

76

Terre e libertà

76

Città d’Autore Asmara (Elisa Kidané) A cura della Redazione e di Anna Casanova Per segnalazioni scrivi a extra@popoli.info

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60 POPOLI GIUGNO-LUGLIO 2012

Leggere

come viaggiare

Renata Discacciati

Viaggioterapia.

«Leggo, viaggio, cresco»

Perché partire? Perché intrapren- dere un viaggio? Solo per evadere dalla quotidianità? In molte lingue, la parola «viaggio» esprime un per- corso irto di prove per arrivare alla conoscenza.

Questo libro si propone di spiegare il potere del viaggio, raccontando di avventure, storie, curiosità su persone e luoghi del passato e del presente. Un percorso che attra- versa luoghi esotici come il Borneo e altri più familiari come gli Stati Uniti, centri di spiritualità come Medjugorje e la Mecca, Paesi densi di storia e tradizioni come l’India e l’Egitto, siti nei quali domina il si- lenzio come il deserto dell’Australia o il Monastero di Santa Caterina nel Sinai. Ma è soprattutto un viaggio letterario attraverso le parole di

grandi scrittori, giornalisti e arti- sti. [Salani, Milano 2012, pp. 127, euro 11]

Cristiano Denanni

Viaggiatori solitari

Il viaggio non è solo visitare un po- sto nuovo ed esotico. Se così fosse, non servirebbe spostarsi: sarebbe sufficiente guardare una fotografia o un documentario. Viaggiare è un’esperienza che appartiene alla dimensione sensoriale. È attraverso l’osservazione e l’ascolto che ci si può far coinvolgere pienamente in un viaggio. E chi vive un’esperien- za simile non può che tornare a casa diverso, cambiato.

È partendo da queste considera- zioni che l’A. ci porta nella Man- cha (Spagna), lungo il cammino di Don Chisciotte. Il diario del percorso è intervallato da straordi- narie rievocazioni di grandi esplo- ratori che conoscevano e sentivano

con il cuore il vero significato del viaggio. [Delirium Edizioni, Torino 2012, pp. 141, da euro 0,90 nella versione e-book]

Andrea Semplici

In viaggio con

Che Guevara.

Quando partire, come e perché

«El Che era ed è fuori posto. Ha e aveva voglia di andare. La sua ani- ma non poteva essere intrappolata.

È stato persino capace di sfuggire alla prigionia dove hanno cercato di rinchiuderlo i venditori della sua memoria». Così, prendendo subito le distanze da qualunque tentati- vo di inquadramento ideologico o intento agiografico, Andrea Sem- plici - scrittore, giornalista, foto- grafo - apre il suo breve ma intenso racconto/reportage sulle tracce di Ernesto Che Guevara. Insieme al compagno di avventure Alberto Granado, nel 1952 il ventiquat- trenne Ernesto parte per quello che - dall’Argentina al Venezuela lungo

L

a prima libreria a chilometro zero sta per essere inaugurata a Milano. Prevista per apri- le, l’apertura - assicurano i proprietari - non slitterà oltre giugno. In uno spazio di 250mq su tre livelli, troveranno posto 25mila libri esclusivamente della piccola e media editoria.

La filosofia di fondo è analoga a quella di SlowFood, da cui mutua il nome: promuovere un approccio responsabile e lento alla lettura. nei confronti degli editori, l’idea è di favorire il loro contatto diretto con il librario senza essere schiacciati dalla grande distribuzione e di offrire la possibilità di un allestimento personalizzato, a seconda delle uscite. Pensando al lettore, l’obiettivo è favorire una lettura più consapevole. A questo scopo Renzo Xodo, 62 anni, libraio di lungo corso, e la socia Ilaria Spagnoli puntano su diversi servizi: ambiente rilassante, caffetteria, connessione wi-fi e internet, possibilità di consultare il libro, come se si fosse in una biblioteca, e poi di prenderlo anche solo in prestito. Come ulteriore incentivo alla lettura SlowBookstore prevede anche la consegna a domicilio dei libri.

Per le case editrici, come si diceva, verrà adottata una politica singolare, ovvero la formula degli «scaffali in affitto». Agli editori viene chiesto di pagare per avere lo spazio, condivi- dendo in parte i rischi del progetto. L’idea ha suscitato qualche polemica, ma ha convinto un’ottantina di case editrici, da Il Saggiatore a neri Pozza, da Marcos y Marcos a Sellerio.

SLOWBOOKSTORE Via Maestri Campionesi Milano

www.kmzerolibreria.com

LA LIBRERIA

(3)

GIUGNO-LUGLIO 2012 POPOLI 61

impressioni e le emozioni vissute dall’A. nel suo viaggio nel Sikkim, regione indiana stretta tra Buthan e Nepal, che i tibetani chiamano Dren Giong.

L’edizione del centenario è arricchi- ta dalle testimonianze della moglie Mieko, di alcuni amici alpinisti e fo- tografi e di numerosi colleghi (orien- talisti, antropologi, storici dell’arte):

tutti uniti dal desiderio e dall’ambi- zione di ricostruire una straordinaria figura poliedrica. [Corbaccio, Milano 2012, pp. 448, euro 22]

cristiani e primavera araba

Elisa Ferrero

Cristiani e musulmani, una sola mano

A più di un anno dallo scoppio della rivolta al Cairo non è ancora possi- bile capire quale direzione prenderà la Primavera araba in Egitto. I pro- tagonisti del movimento sono stati

certamente i giovani che hanno manifestato per settimane la loro voglia di libertà in piazza Tahrir.

Le riforme tanto invocate potreb- bero però portare al potere partiti attraversati da ideologie ben poco rispettose dei valori democratici.

L’A. racconta questo paradosso at- traverso le pagine di un diario che ricostruiscono le fasi principali del processo politico in atto. Un mo- vimento che ha messo da parte le vecchie ideologie per misurarsi con la grande sfida di un radicale cam- biamento del mondo arabo. [Emi, Bologna 2012, pp. 205, euro 13]

Manuela Borraccino

2011. L’anno che ha sconvolto

il Medio Oriente

La Primavera araba ha frantumato antichi e immobili assetti politici e sociali rimettendo in discussione equilibri che parevano intangibili.

Come hanno vissuto questi profondi cambiamenti le comunità cristiane che vivono nelle società nordafrica- tutto il Sudamerica - rappresenterà

molto più di un viaggio: «Gli uomi- ni e le donne incontrati lungo questi chilometri senza fine cambieranno la loro vita. Niente sarà più uguale a prima. Capita in viaggio. Capita nei mutamenti di geografie». In appendice, alcune indicazioni pra- tiche per preparare un viaggio nel Cono Sud. [Terre di mezzo, Milano 2012, pp. 45, euro 4]

Fosco Maraini

Dren-Giong.

Il primo libro di Fosco Maraini e i ricordi

dei suoi amici

Nel 2012 ricorrono i cento an- ni dalla nascita di Fosco Maraini (1912-2004), etnologo, orientalista, alpinista, fotografo, scrittore e poe- ta italiano. Per ricordare l’evento è stato ristampato il suo libro d’esor- dio (pubblicato la prima volta nel 1938) e che negli anni era diven- tato oggetto di una vera caccia al tesoro nelle librerie e nei negozi di antiquariato. Il volume raccoglie le

A

ll’inizio ci fu una voglia lunga un secolo, condivisa da tanti, in mille chiacchiere, incontri, dibattiti, convegni. Tazze di caffè sul tavolino o inquieti ticchettii tra quattro mura e infiniti punti cardinali. C’è forse un altro mondo all’interno di questo.

Lo sospettiamo da tempo. C’è gente che continua a credere - nonostante tutto - che con la cultura non solo si può mangiare, ma perfino imparare a guardare in modo diverso il piatto che ci troviamo davanti, le persone che ci stanno intorno, la stanza che ci ospita, quella precisa ora del giorno in cui ci fermiamo a curiosare sotto la superficie delle cose, e scopriamo odori, colori, sapori, sensazioni nemmeno sospettati un attimo prima.

Per chi vive a Milano, per coloro che ci sono nati o semplicemente hanno deciso di piantare qui le tende in un certo momento della loro esistenza, quel concetto diventa ogni giorno più chiaro.

Questa è la città che racchiude tutti i mondi possibili, e perfino quelli che un giorno lo diventeranno.

Da qui nasce l’idea di un Festival della Letteratura a Milano.

Letteratura come tema d’incontro, dialogo, discussione, riflessione, incanto: come «sintesi organica dell’anima e del

pensiero d’un popolo», con-formato da tanti popoli. Un contenitore nel quale ospitare tutti quegli incontri, chiacchiere, inquietudini, sensazioni. Incrociando conoscenze, lingue, storie, percorsi personali e collettivi.

Per uscire dai recinti in cui spesso ci siamo da soli confinati e portare tutto quanto alla luce del sole, nelle piazze, nei cortili, nelle biblioteche, sulla strada. E trovare la vera voce di questa CittàMondo, che continua a modificare la sua veste, giorno dopo giorno, a ingrandirsi, a colpi di umanità. Sempre più variegata, multiforme, variopinta.

Protagonisti saremo tutti noi, la gente che legge e quella che scrive, coloro che raccontano con la penna, con la voce, col corpo, col pensiero e coloro che hanno voglia di ascoltare. Cinque giorni, da mercoledì 6 giugno, per conoscerci e continuare a dialogare un anno intero.

Milton Fernàndez Info: www.festivaletteraturamilano.wordpress.com

(anche Popoli sarà presente ad alcuni degli eventi del Festival)

Festival

A Milano la cultura si fa incontro

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62 POPOLI GIUGNO-LUGLIO 2012

Leggere

ne e mediorientali in una condizione di stretta minoranza? L’A., accanto al racconto degli eventi e a utili schede di inquadramento storico-geografi- co, ha raccolto le testimonianze dei cristiani mediorientali, raccontando i timori e le speranze di una comuni- tà alle prese con una difficile transi- zione e con la crescita dell’islam po- litico. Tra le personalità intervistate:

mons. Maroun Lahham, vicario del patriarca latino di Gerusalemme per la Giordania; card. Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei copti cattolici; mons. Youssif Younan, pa- triarca di Antiochia dei siri; mons.

Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme dei latini. [Edizioni Terra Santa, Milano 2012, pp. 246, euro 18,50]

immigrazione in cifre

Catherine Withol De Wenden

Atlante mondiale

delle migrazioni

Sette miliardi di persone sul pianeta e oltre 200 milioni di migranti. Il fenomeno delle migrazioni, definito nell’introduzione «un bene comune mondiale», ha sempre interessato la storia dell’umanità, ma oggi si pre- senta con numeri mai visti. L’Atlante, edizione italiana di un’opera france- se di grande precisione grafica, è accompagnato da una ricca serie di schede che prendono in esame tutti gli aspetti del fenomeno, non solo per area geografica, ma anche per ti- pologia di spostamento. Dall’Europa, polo di grande attrazione, passando per l’analisi delle diverse zone di partenza, si giunge a un esame delle sfide politiche per il domani rappre- sentate dai flussi migratori, spiegan-

A

nalizziamo quattro servizi sul tema del viaggio, con approcci molto diversi tra loro: «Se ti affacci a un belvedere, di colpo capisci tutto. Di te» (Io donna, 21 aprile); «Petra, la mia rosa del deserto» (Donna moderna, 11 aprile); «India per principianti» (Va- nity Fair, 9 maggio); «Visitare tutto il mondo a zero euro? Si può.

Ma c’è da zappare» (il Venerdì, 13 aprile).

Ciascuno presenta il rapporto tra il viaggiatore e i nuovi mondi esplorati in maniera differente.

Il belvedere è il luogo simbolo del primo articolo, firmato dallo scrittore Andrea Bajani: punto privilegiato di pura osservazione, spesso preparato allo scopo (una panchina, una balaustra, una ringhiera...), dal quale il mondo (paesaggio naturale o antropizza- to) va osservato, come se un diaframma invisibile ci separasse da ciò che vediamo, esterno a noi. Ma nel quale possiamo trovarci, perché a volte è per questo che esploriamo il mondo. Come recita il sottotitolo: «Davanti a un ghiacciaio in Patagonia, a una valle ca- nadese o magari al Duomo di Firenze, resistete alla tentazione di fotografare e perdetevi nell’orizzonte. Perché solo così scoprirete il vostro limite (e il vostro potere)».

nel secondo servizio fa capolino il miraggio del viaggio sicuro: co- sì la proposta di un tour in un Paese dell’agitato Medioriente viene chiosata ricordando che andare in Giordania «è come andare in Svizzera». In grado di offrire una rassicurante distanza da turbo- lente vicende umane, questo Paese «è un deserto tagliato da au- tostrade dritte e ben tenute, ma di colpo, in certe zone, diventa un giardino di aranci, [e] si copre di cedri, di eucalipti, di pistacchi».

Il viaggiatore/giornalista (Antonella Boralevi) attraversa una realtà quasi virtuale, dove le poche fotografie si concentrano sui fasti architettonici del passato, privi di qualsiasi presenza umana.

Il terzo testo immerge il lettore nel «caos indiano», a partire dalla capitale: «Bici, carretti, motorette, gente a piedi, animali», «tutti cercano di vendere tutto, tutti insistono. C’è carne esposta, spe- zie fosforescenti. Voci, rumori, profumi. Un bazar unico». Qui si è dentro una realtà viva, con i suoi rischi e «pure il ragazzino sul risciò gialloverde che sgasa lungo il Janpath (il Viale del popolo) riconosce che senza specchietti retrovisori, in questo marasma è necessaria un po’ di “Good luck”». L’itinerario proposto si svolge nel nord dell’India e garantisce, accanto a rassicuranti strutture alberghiere di alto livello, «esperienze particolari e approfondimen- ti della realtà locale per i viaggiatori»: un singolare mix di turismo di lusso e volontà di conoscere da vicino complessità e contrad- dizioni della «più grande democrazia del mondo».

nel quarto servizio la proposta è quella di «diventare per un breve periodo contadini alla pari, ricevendo cibo e alloggio in cambio di lavoro in fattorie biologiche», attraverso l’associazione britannica Wwofer con gruppi attivi in 53 Paesi (vedi anche pag. 70 in questo numero di Popoli). In questo modo il viaggio in una diversa cultu- ra viene fatto dentro le sue pratiche quotidiane.

Così, dall’ascesi alla zappa, ognuno può scegliere il suo modo di partire senza dimenticare, come scriveva Proust quasi un secolo fa, che «il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi».

Elvio Schiocchet e Maria Grazia Tanara

CARTA CANTA L’«altro» nella stampa periodica italiana

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GIUGNO-LUGLIO 2012 POPOLI 63

SUL COMODINO DI...

Stefano Allievi: le lettere di Silvano Agosti da un Paese che (purtroppo) non c’è

P

ersonaggio poliedrico e dalle passioni trasversali, Silvano Agosti è cineasta e documentarista (che per diffondere i film che ama gestisce il cinema Azzurro Scipioni nel quartiere Prati a Roma), ma anche un prolifico letterato.

Di recente sono incocciato per caso, e in maniera straniante, nel suo Lettere dalla Kir- ghisia (L’immagine 2004, pp. 139, euro 10).

Ascoltando la radio, sono inciampato nella meritoria trasmissione di Radio 3 Fahrenheit, dove avevano da poco cominciato a leggere alcuni brani del libro.

non sapendone nulla, ho immaginato fosse un reportage o un libro di viaggi. E mi ero sorpreso a sorprendermi di non sapere nulla degli interessantissimi esperimenti sociali che si andavano facendo in quel remoto lembo di terra, di cui ero convinto di conoscere l’esistenza ma che avrei colloca- to sulla carta geografica solo con qualche approssimazione.

Ho capito solo dopo, quasi dispiaciuto, che il libro è in realtà un’originale rielaborazione del classico tema dell’Utopia felice: la descrizio- ne di un Paese ideale allo scopo di educarci

a volere un Paese reale diverso da quello in cui viviamo.

Ho cercato senza successo il libro nella mia città, e poi me ne sono dimenticato. Finché l’ho trovato per caso altrove. E l’ho divorato.

È un libro semplice, si legge in poco tempo, ed è persino scritto a caratteri molto più ampi del normale: per cui non ci sono scuse. Ma nella loro semplicità queste lettere, che descrivono un Paese in cui non si studia ma si impara, perché non c’è la scuola ma tanti parchi di istruzione (e dove i genitori pranzano spesso insieme ai figli dopo le tre ore mattutine di lavoro), in cui ci sono due governi (uno che si occupa della gestione della cosa pubblica, e uno del miglioramento della medesima), dove non c’è un esercito, ma con i soldi delle armi e delle prigioni si dà da mangiare ogni giorno a tutti gli abitanti, e infine dove, se ci si sente soli e si vorrebbe fare l’amore, ci si appunta un fiore azzurro sul petto, sono come tarli che ti si insinuano nella mente, e ti fanno dire: davvero, ma perché non potrebbe essere così? E guardando alla nostra vita quotidiana, e allo stato di quella collettiva, il chiodo, ogni tanto, fa male.

Sociologo dell’Università di Padova, Stefano Allievi è tra i massimi esperti della presenza islamica in Europa, tema su cui ha condotto ricerche internazionali e ha pubblicato numerosi saggi (il più recente è La guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso, 2011). Fa parte del Gruppo di consulenza editoriale di Popoli.

T

ra i numerosi concorsi letterari pre- senti in Italia, ce n’è uno davvero me- ritevole per il suo impegno costante nel far conoscere al pubblico italiano la ric- chezza espressiva delle giovani scrittrici migranti. Si tratta di Lingua madre (www.

concorsolinguamadre.it), giunto nel 2012 alla settima edizione (ne abbiamo parlato anche nel numero di gennaio).

nove i premi assegna- ti lo scorso 14 mag- gio, tra cui il Premio speciale Torino Film Festival, andato ad Aminata Aidara, padre

senegalese e madre bresciana. Laureata in Antropologia culturale ed Etnologia presso l’Università di Torino, è impegnata in un dottorando e lavora come educatri- ce in una scuola.

Il suo racconto Ciao, sorella sarà pubbli- cato nei prossimi mesi nell’antologia di Lingua madre che ogni anno raccoglie i racconti delle scrittrici finaliste. Riportia- mo un estratto della motivazione del pre- mio ad Aminata Aidara: «Un racconto che s’interroga su condizioni e traumi diversi e allarga il tema dell’emigrazione a una sfera psicologica generale. Un incrocio di sguardi, un intreccio di storie, tra dif- ficoltà e riconoscimento, che catturano e coinvolgono con efficacia».

BABEL Radici straniere, parole italiane do come sia possibile definire una

strategia che porti beneficio ai Paesi di origine, a quelli di accoglienza e agli stessi migranti. [Vallardi, Mila- no 2012, pp. 80, euro 15]

Fondazione Ismu

Diciassettesimo Rapporto sulle

migrazioni 2011

Forte battuta d’arresto nel 2011 nella crescita della presenza straniera in Italia rispetto all’anno precedente.

È il primo significativo dato che

emerge dal Rapporto Ismu (Istituto di

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64 POPOLI GIUGNO-LUGLIO 2012

Leggere

chiesa oggi e domani Edwidge Dandicat

«Quando il boia è in famiglia»

«F

orse questo è l’inizio della follia… perdonami per quello che sto dicendo. Leggilo in silenzio, in silenzio». È la dedica dell’ultimo libro di Edwidge Dandicat, scrittrice haitiana della diaspora, fuggita a new York dal 1981, all’età di 12 anni, per lasciarsi alle spalle la dittatura dei Duvalier, padre e figlio.

Il profumo della rugiada all’alba, da poco uscito per Piemme, premiato negli Usa con lo Story Prize, racconta l’atroce scoperta da parte di una figlia (Ka) della reale identità del padre ad Haiti: non era un per- seguitato, come aveva fatto credere, ma un torturatore al servizio delle squadre della morte dei Duvalier, i terribili tonton macoutes. non la preda, dunque, ma il cacciatore. Un romanzo toccante, che intreccia le storie di emigrazione delle vittime haitiane e, tramite la voce di Ka, affronta il senso di spaesamento di fronte a un orrore che diventa im- provvisamente casalingo, familiare.

Il suo romanzo è corale, una polifonia di voci. Perché questa scelta stilistica?

Mi ha permesso di avere contemporaneamente più voci e più punti di vista. Questo genere di fiction mi piace molto in quan- to si può vedere una stessa storia o esperienza da diverse angolazioni. E questo è qualcosa di molto vicino a quello che

viviamo nella vita reale, a come sperimentiamo molte cose nella nostra vita quotidiana.

Tutti i protagonisti, a partire dal papà e dalla mamma di Ka, hanno paura di ciò che le persone potrebbero chiedere loro, hanno paura dei loro incubi e di ricordare il passato. È un’eredità che la dittatura ha lasciato alla popolazione haitiana?

La dittatura ha lasciato un’eredita terribile di persone ferite, un’eredità che prosegue purtroppo ancora oggi. Sebbene ciascuno di noi ne sia stato colpito, non penso che, come nazione, siamo ancora riusciti ad affrontare completamente la questione. Forse coloro che vivono lontano da Haiti, come i personaggi del mio libro e come tanti artisti e scrittori, hanno questa consapevolezza e questa capacità, perché in sostanza questa dittatura è ciò che ha dato inizio all’esilio dei nostri genitori e in molti casi anche al nostro.

Che cosa pensa della situazione attuale di Haiti?

È una situazione veramente complicata con una lunga storia.

Haiti è stata indebolita sia dall’interno che dall’esterno, e come sempre i più poveri tra i poveri soffrono maggiormente ogni volta che il Paese è in crisi. Spererei di non vedere più le persone soffrire a causa di abusi o per il colera, portato dal personale delle nazioni Unite. Vorrei tanto poter vedere gli hai- tiani avere un’opportunità per metter a frutto le loro potenzia- lità e vivere realmente la vita che i nostri antenati sognavano quando si spesero per far nascere la prima Repubblica nera dell’emisfero occidentale.

studi sulla multietnicità), uno degli strumenti imprescindibili per cono- scere la realtà di 5,4 milioni di im- migrati che vivono nel nostro Paese.

Con l’incalzare della crisi economica in Italia e in Europa i nuovi ingressi si sono contratti, mentre si osservano i segni di un maggiore radicamento della popolazione straniera, come il calo degli irregolari e l’aumento degli studenti. Oltre ad analizzare i vari aspetti della realtà migratoria in Italia, il Rapporto approfondisce anche lo scenario internazionale, segnato dalle novità della primavera araba. [FrancoAngeli, Milano 2012, pp. 358, euro 23]

15-17 giugno Rimini

Mare di libri, festival dedicato alla letteratura per ragazzi, con finestre su realtà internazionali.

www.maredilibri.it

fino al 21 giugno Roma Letterature 2012, Festival internazionale alla Basilica Massenzio. Tra i numerosi ospiti stranieri, l’israeliano Amos Oz (7 giugno) e l’indiano Jeet Thayil (21).

30 giugno

Ultimo giorno per partecipare al concorso di poesia Migrazioni, organizzato da Rabdomante - Association of Contemporary Art and Culture.

www.stendhaal.altervista.org

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GIUGNO-LUGLIO 2012 POPOLI 65

Guardare

U na delle opere più in- tense e complesse del Festival di Cannes 2011 (Gran premio della Giuria, ex aequo con Il ragazzo con la bicicletta dei fratelli Dar- denne) è stata C’era una volta in Anatolia (Bir Za- manlar Anadolu’da) di Nuri Bilge Ceylan, già autore di un capolavoro impegnati- vo e potente come Lontano (Uzak).

Come quasi tutti i film dell’autore turco, anche C’era una volta in Anatolia richiede uno sforzo da par- te dello spettatore (i tempi dilatati, la lunghezza di ol- tre due ore e mezza), sforzo ripagato da un racconto visivo-sonoro struggente e universale.

I rimandi vanno da Cechov (i dettagli rivelatori, l’uma- nità di certi personaggi) ad Antonioni (il mistero dell’uomo, la noia, il fi- nale aperto), fino al quasi omonimo Céline: tutto il film è una sorta di lungo e disperato «viaggio al ter- mine della notte», in cui realismo e febbrili sogni a occhi aperti sono impastati insieme. Ceylan ci costrin-

ge a riempire i silenzi, a colmare i vuoti e le ellis- si, ad ascoltare il fruscia- re degli alberi, il vento e le profondità della notte che, come insegna Fellini, pare ci parlino, basta met- tersi ad ascoltare. Obbliga ad andare oltre le parole vuote di certi personaggi e cercare di cogliere più senso dai loro volti, da una frase mozzata, un discorso interrotto. Come nella vita, a volte la verità emerge dall’inatteso, quando l’uo- mo smette finalmente le maschere sociali.

C’era una volta in Anatolia, dal 15 giugno nelle sale italiane, è una sorta di po- liziesco metafisico, in cui le vere indagini, più che il ritrovamento di un cada- vere, riguardano il mistero dell’uomo, della morte, del- la violenza e del dolore.

In una notte buia, le steppe illuminate solo dai fari ab- baglianti delle auto, alcuni poliziotti sono alla ricerca del cadavere di un uomo assassinato e sepolto nella campagna sperduta, popo- lata solo da cani randagi e corvi. Campi lunghissimi,

timo osservatore, capace di giudizi critici, ma anche di rara umanità. È l’unico che cerca di dare il conforto di una sigaretta al sospettato in manette.

L’opera di Ceylan ha una forza unica e universale nel restituire la vita di un gruppo di uomini stanchi e letteralmente perduti. Il resto è l’oscurità della cam- pagna che pare vivere e vibrare come nella realtà.

Scrive Céline in Viaggio al termine della notte (Cor- baccio 2005, p. 191): «E la notte con tutti i suoi mostri entrava allora in ballo tra mille e mille rumori di gole di rospo. La foresta aspet- ta solo il loro segnale per mettersi a tremare, fischia- re, muggire da tutte le sue profondità...».

Luca Barnabé

C’era una volta in Anatolia

nelle sale a metà giugno un film noir ambizioso e intenso di uno dei più apprezzati registi turchi

il nero tagliato dai fanali in movimento. Un poliziot- to in primo piano parla, ma le labbra restano chiuse, udiamo le sue parole fuo- ri campo, come fosse già morto a sua volta e parlas- se da un altrove.

Il sospettato (chiamato quasi sempre con un nu- mero di matricola anziché con il nome) nasconde un segreto, ma anche questo resterà appena accennato.

La struttura del film è quella in «tre atti». I veri protago- nisti - oltre alla notte - sono tre uomini diversi, uno per atto: un poliziotto, un pro- curatore, un medico. Tutti e tre sono provati dal dolore o da un lutto che emerge dal- le chiacchiere in auto o dai loro sguardi segnati dalla vita. Dei tre, il medico pare il più lucido: silenzioso, ot-

Les Rencontres d’Arles

D

al 2 luglio al 23 settembre tornano Les Rencontres d’Arles (www.rencontres- arles.com), uno dei più importanti festival mondiali di fotografia, giunto alla 43ª edizione.

Sparsi per l’antica città sul Rodano, 60 mostre e 50 stage per fotografi e appassionati, all’interno di antichi monumenti, come il Cloître Saint-Trophime o il Théâtre antique, o siti d’eccezione come il Musée Réattu o, per contrasto, negli storici Ateliers, le dismesse officine ferroviarie, originale esempio di archeologia industriale.

La settimana di apertura, dal 2 all’8 luglio, vede Arles trasformarsi in un laboratorio a cielo aperto: seminari, proiezioni, incontri con i grandi della fotografia, presentazioni di portfolio, didattica per ragazzi, concorsi e premiazioni, visite guidate, spazi per editori e collezionisti, lezioni, e molto altro.

Ogni anno un tema diverso anima i Rencontres: il 2012 è «Une école française», dedicato all’influenza e allo stile dell’École nationale superieure de photografie (Ensp), nata ad Arles su impulso del festival stesso. Centinaia le opere in mostra dei migliori talenti della scuola.

E poi, il sottotema «Diversités», con il ceco Josef Koudelka e la mostra «Gitans, la fin du voyage», il regista israeliano - in veste di fotografo - Amos Gitaï, artisti quali Klavdij Sluban e Laurent Tixador, con la loro ricerca alle isole Kerguelen (Oceano indiano del Sud) e la collezione di Jan Mulder sui fotografi latinoamericani.

Alessandra Abbona

Eventi

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66 POPOLI GIUGNO-LUGLIO 2012

Guardare

di normative su temi sui quali la legislazione na- zionale è carente; stru- menti sanzionatori; sen- tenze della Corte di giusti- zia europea; strumenti di moral suasion.

L’Europa che tutela l’am- biente

- I blogger hanno mostrato apprezzamento per l’azione di tutela degli obiettivi di Kyoto; mag- giori perplessità, invece, sono state mostrate nei confronti dell’atteggia- mento della Commissione verso gli Ogm, giudicato ambiguo sia dai sostenito- ri sia dagli avversari del- le biotecnologie applicate all’agricoltura.

L’Europa come motore di sviluppo

- Viene valoriz- zata, in particolare, l’azio-

DOCUMENTARI a cura di BiblioLavoro - Cisl Lombardia

Una selezione su terra e lavoro LES HÉRITIÈRES, SANS TERRE

Regia di Marcel Wynands. Belgio 2001, 28’ (francese e portoghese)

Un incontro con Ilda, Carla, Lourdès e Maria, militanti del Movimento Sem Terra del Bra- sile, là dove i proprietari lasciano incolti anche migliaia di ettari. La vita di queste donne tra lavoro nei campi, campagne di sensibilizazione e resistenza contro le espulsioni.

DICHCHI NA DEBO NA! NON CEDEREMO NÉ ORA NÉ MAI!

Regia di Danilo Licciardello. Italia, 2008, 30’ (sott. italiano)

La resistenza dei contadini indiani di Singur (Bengala occidentale) contro l’esproprio forzato delle loro terre a opera del governo locale per favorire grandi imprese auto- mobilistiche come Tata e Fiat è raccontata dai diretti protagonisti nonché da artisti, scrittori, economisti, sindacalisti che sostengono la loro lotta. La storia di una Spe- cial Economic Zone (Sez) e l’altra faccia del boom economico indiano.

ITOCULO 2009

Regia di Nuno Ventura Barbosa. Portogallo-Mozambico 2009, 64’ (port., sott. ingl.) Il documentario osserva in modo profondo lo sviluppo di un progetto agricolo, nell’entro- terra mozambicano, che ruota intorno a una piantagione di anacardi. Il regista ci permet- te di conoscere il luogo e la vita dei suoi abitanti nel corso di un’intera giornata.

SULLA STRADA PER BAGAN

Regia di Francesco Uboldi. Italia 2005, 7’30’’ (sott. italiano)

Sulla strada che dal monte Popa conduce a Bagan - la principale destinazione turisti- ca della Birmania - un contadino racconta le sue fatiche quotidiane. Seguendolo nel lavoro e ascoltando le sue parole emerge lo scenario sociale e politico di un Paese schiacciato da cinquant’anni di dittatura opprimente.

Per il prestito dei video:

BiblioLavoro (libri - video - archivi storici), tel. 02.24426244 - bibliolavoro@cisl.it

L’Europa specchiata nei blog italiani

I risultati della ricerca sull’immagine

dell’Europa nei nuovi media commissionata all’Osservatorio di Pavia dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri

A cura dell’Osservatorio Media Research di Pavia

È stata presentata l’8 maggio a Roma, in oc- casione dello Young Inter- national Forum, la ricerca L’Europa e le istituzioni europee nei blog italiani, realizzata dall’Osservato- rio di Pavia. Attraverso l’analisi qualitativa dei blog (tutti i post pubblicati nel 2011 dai primi trenta blog italiani - per accessi e visibilità - su temi poli- tici, economici e sociali), sono state individuate le

modalità con le quali l’im- magine dell’Europa è stata connotata. La ricerca met- te dunque in luce come la blogosfera guardi alle istituzioni europee.

L’Europa supplente della politica italiana - L’Euro-

pa, per i blogger italiani, è, innanzitutto, l’unica isti- tuzione in grado di porre la politica italiana (forse) di fronte alle sue inade- guatezze. Questo avviene attraverso: la produzione

ne di stimolo delle aree in crisi attraverso i fondi strutturali.

L’Europa della burocrazia

- Vengono sottolineati al- cuni aspetti - a dire il vero pochi e marginali - della legislazione europea ecces- sivamente burocratici (ad esempio, la normativa sui saldi commerciali e quella sul divieto di propagan- dare le proprietà idratanti dell’acqua minerale).

L’Europa che tutela i con- sumatori

- È indubbia- mente l’area in cui la va- lutazione dell’azione delle istituzioni comunitarie è più positiva: si sottoline- ano l’apertura di inchieste per abuso di posizione do- minante a carico di grandi monopolisti comunitari ed extracomunitari e le sen- tenze della Corte di giu- stizia europea su questioni che regolano i rapporti tra consumatori e fornitori di beni o servizi.

L’immagine che però pre-

domina nella ricostru-

zione della blogosfera,

nell’anno che è stato ana-

lizzato, è quella dell’Euro-

pa «che non c’è», l’Europa

dei governi che sostitui-

sce, quando i temi diven-

(9)

GIUGNO-LUGLIO 2012 POPOLI 67

C

è un luogo a Milano dove tutto l’anno la cultura è al servizio della solidarietà e di una certa visione etica, dove tematiche scomode spesso evitate sono portate in scena. I luoghi della solitudine, dell’emarginazione, le storie quotidiane di chi non ha voce possono riecheggiare da un palco. È lo Spazio teatrale No’hma (www.nohma.it) di via Orcagna, un edificio dismesso dell’acquedotto e riconvertito in teatro per tutta la cittadinanza, uno spazio aperto a chiunque voglia conoscere l’arte nelle sue molteplici sfaccettature. Da qui la scelta di utilizzare risorse e sponsorizzazioni in modo da offrire spettacoli sempre gratuiti. non c’è biglietto: basta prenotare in tempo per assistere agli spettacoli che, da ottobre a giugno, si svolgono il mercoledì e il giovedì sera. Una scelta ammirevole, dato il periodo di generali difficoltà economiche e carenza di fondi pubblici.

no’hma: un nome che si ispira alle Lettere di Plutarco, in cui si fondono intelletto, pensiero (nous) e sangue, linfa (ema), come elemento essenziale alla vita. Fu Teresa Pomodoro (nella foto), attrice, drammaturga, già collaboratrice di Giorgio Strehler,

scomparsa nel 2008, a fondare con la sua passione civile questo spazio aperto alle contaminazioni. La sua eredità artistica è ora custodita e portata avanti dalla

sorella Livia, noto magistrato, e dal regista Charlie Owens, braccio destro di Teresa e direttore artistico dello Spazio.

La stagione artistica 2011/2012 del no’hma si conclude il 27 e 28 giugno con il Concerto dedicato a Teresa, preceduto da alcune serate del ciclo I colori della vita.

In novembre si terrà la 4ª edizione del Premio internazionale Teatro dell’Inclusione, organizzato insieme al Comune di Milano, un riconoscimento allo spettacolo che meglio dà voce a emarginazione, periferie, migranti, l’abbattimento di muri culturali (vincitore 2011, Mandiaye N’Diaye con Nessuno può coprire l’ombra).

tano davvero importan- ti, l’Europa dei popoli e dell’Unione, le istituzioni europee «assenti» o prigio- niere delle decisioni dei grandi Paesi nelle emer- genze: la crisi economica e la gestione dei proble- mi migratori e geopolitici nati in seguito alla crisi del Nord Africa. In par- ticolare, vengono sottoli- neate l’inadeguatezza e la debolezza delle istituzioni europee rispetto ai gover- ni nazionali e l’assenza di legittimazione democrati- ca e di rappresentatività delle stesse.

I blogger suggeriscono (o invocano esplicitamen- te) percorsi per porre ri- medio a queste carenze strutturali. Il primo è per una sempre più massiccia cessione di competenze

dalla periferia al centro, soprattutto nelle materie in cui la centralizzazione delle decisioni potrebbe portare razionalizzazioni e maggiore capacità di in- tervento: la politica fisca- le, la politica monetaria, la gestione della politica estera e dei fenomeni mi- gratori. Il secondo è per un maggiore coinvolgimento democratico dei cittadini nelle decisioni dell’Unione e, soprattutto, dell’euro- zona.

Per i blogger del nostro Paese, l’immagine media- tica dell’Ue e delle sue isti- tuzioni, dunque, è quella di un ente che si occu- pa (anche piuttosto bene) dell’ordinaria amministra- zione, ma che non ha gli strumenti e la forza poli- tica per diventare soggetto

attivo negli scenari nazio- nali degli Stati membri e nello scenario internazio- nale quando i problemi da affrontare e da risolvere diventano molto grandi e colpiscono l’interesse (o il possibile consenso eletto- rale) dei maggiori Paesi dell’Ue.

Le considerazioni più negative, insomma, non sono per come l’Europa è, ma per come l’Europa non è e dovrebbe inve- ce essere, se non fosse paralizzata dagli interessi nazionali e dalla miopia (che quasi tutti i commen- tatori definiscono «autole- sionista») di governi e di popoli ancora incapaci di affrontare la complessità del mondo privilegiando un’ottica comune.

Vittorio Cobianchi

Fino al 1º luglio Torino

Al Museo di Scienze Naturali la mostra del National Geographic Italia, Il senso della vita. www.mrsntorino.it

12-21 luglio

Porto Sant’Elpidio (Fm)

XXIII Festival internazionale del Teatro per Ragazzi.

www.iteatridelmondo.it

23-29 luglio

Marzamemi (Sr)

XII Festival internazionale del Cinema di Frontiera.

www.cinemadifrontiera.it

INVITO A TEATRO

Spazio No’hma

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68 POPOLI GIUGNO-LUGLIO 2012

Ascoltare

gemme nascoste. Se ne è accorto l’appassionato in- glese Chris Menist che, trovandosi nei negozi di antichità di San’a, la capi- tale yemenita, ha scoperto un tesoro. Ovvero una se- rie di vinili, principalmen- te 45 giri, delle grandi voci del passato. Ne è nata una compilation dal titolo Qat, Coffee and Qambus: Raw 45s from Yemen (2011).

Di recente, però, il vento rivoluzionario ha toccato anche questo piccolo Sta- to, portando in piazza la popolazione. Una giovane band si è fatta notare in Change Square, la piazza Tahrir di San’a,

con canzoni inneggianti al- la libertà e al- la democrazia.

I tre ragazzi, capeggiati da Ahmed Asery, studente di me- dicina, si sono dati il nome 3 Meters Away,

come la distanza di sicu- rezza dalle cariche del- la polizia da mantenere durante le manifestazioni.

Ahmed, Omr e Hussan la cantano chiara, con suoni reggae e blues, utilizzando

chitarra, basso, percus- sioni, armonica e le loro voci limpide. I loro video mostrano volti puliti che si esibiscono per una folla esclusivamente maschile.

La segregazione dei sessi è la norma nel Paese, anche se non mancano le fan in niqab (velo totale) che timidamente fanno capo- lino in qualche spettacolo.

Le loro composizioni sono contro il regime e per la libertà, come Galas, The beginning of change, Inha- le Freedom, o anche con- tro il fondamentalismo, per esempio They cut my brown hand. Il loro impe-

gno si rivolge anche a cause ambientaliste:

il 22 aprile hanno tenuto un concerto per l’Earth Day.

Chiusi nelle an- tiche abitazioni della capitale, dove la corrente elettrica manca per molte ore al giorno, i 3 Meters Away provano i loro pezzi al lume di candela e con strumenti acustici. La passione per la musica è più forte di ogni ostacolo.

Alessandra Abbona

I migliori cantanti al mondo probabilmente sono yemeniti. Può sem- brare assurdo per un orec- chio occidentale «drogato»

da sonorità di stampo an- glosassone e voci uguali in ogni dove. Ma non è lonta- no dal vero. In particolare gli ebrei yemeniti han- no da sempre

sviluppato un talento unico per la musica e il canto. Ec- co qualche no- me, per avere un’idea, di ar- tisti israeliani originari dello Yemen: Noa e Ofra Haza (deceduta nel

2000), molto note a livel- lo internazionale per aver cantato anche in inglese;

oltre alle voci straordina- rie di Zohar Argov (morto in circostante tragiche per droga) e Ahuva Ozeri (che ha perso l’uso delle corde vocali a causa di un tu- more), star in patria, ma purtroppo non sufficien- temente conosciuti oltre confine.

C’è poi un fenomeno nuo- vo, anch’esso di origine yemenita-israeliana: Ra- vid Kahalani. Il suo en- semble si chiama Yemen Blues ed è un progetto che miscela la voce acuta e

quasi infantile di Kahalani con una ricca serie di stru- menti: oud, chitarre, bassi, trombe e tromboni, flauti, viole e violini, percussioni arabe e latine. In concer- to nei vari festival, teatri e music hall in giro per il mondo, il carismatico Ravid, che canta in ebrai-

co e arabo, è quanto di più affascinante ci sia per avvici- narsi alle so- norità - benché contaminate da blues, reggae e afro-jazz - del Paese della pe- nisola arabi- ca. Il disco di debutto porta il nome della sua band:

Yemen Blues (2011). Non è un caso, poi, che la mag- gior parte dei cantanti di successo israeliani abbia sangue yemenita o irache- no (altra terra di grandi voci).

Detto questo, nello Yemen di oggi, dove gli ebrei ri- masti sono poche deci- ne e vivono in condizioni tali che a tutto pensano fuorché a cantare, ci sono artisti di rilievo con ori- gini non ebraiche. Sono musicisti che difficilmente riescono a incidere dischi o a farsi conoscere fuori dal Paese. Esistono però

Yemen, la musica fuori dal coro

La scuola musicale yemenita, che ha sempre sfornato voci uniche, oggi si è messa

al servizio delle rivolte della Primavera araba

QAT, COFFEE AND QAMBUS: RAW 45S FROM YEMEN 2011

YEMEn BLUES YEMEN BLUES 2011

Ahmed Asery, leader dei 3 Meters Away

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STRUMENTI

Garmon

I

l garmon, meglio noto come organetto diatonico russo, è una delle tante declinazioni internazionali della fisarmonica. Come tutti gli aerofoni di questo tipo è uno strumento a mantice, dotato di bottoni per suonare con- temporaneamente la melodia e l’accompagnamento: di questi, 25 sono tasti dai suoni bassi, disposti su tre file, e 25 sono tasti dai suoni alti, disposti su due.

La sua storia, a differenza di quella di altri strumenti popo- lari che hanno radici antichissime, è recente: gli organetti diatonici risalgono infatti alla prima metà dell’Ottocento e nascono nell’Europa occidentale. Il garmon, anche noto come bayan, è la versione «oltre cortina» della fisarmoni- ca ed è ancora più giovane, essendo un adattamento di quella occidentale esportato nell’Est. Ebbe una diffusione straordinaria in tutta la Russia, ma anche nelle regioni caucasiche e centroasiatiche.

Abbiamo garmon diversi per quasi ogni provincia e Stato:

dal Volga al Cabardino-Balcaria, dalla Georgia all’Uzbeki- stan, dalla Cecenia all’Azerbaijan. Grande uso ne viene fatto in ambito tradizionale: per ricorrenze quali matrimoni, nascite, celebrazioni di feste nazionali o locali. I repertori sono generalmente pensati per la danza e sono piuttosto allegri e coinvolgenti. I più diffusi erano storicamente (e sono tuttora) costruiti a Tula e nella regione omonima. A

testimoniare l’importan- za di quell’industria è il fatto che, fino alla metà degli anni Sessanta, ol- tre il 50% dei garmon o bayan russi provenivano dalle fabbriche di quella zona. La maggior parte dei grandi gruppi folklo- ristici russi e delle Re- pubbliche ex sovietiche - compresa l’orchestra dell’Armata Rossa - uti- lizzava e utilizza i pregia- ti Tulskaya garmon, così come oggi conservatori, istituti musicali e acca- demie.

Dove e come sentire il suono di questo organetto? In Italia vive un virtuoso di bayan: Vladimir Denissenkov (nella foto), con formazione accademica ed esperienza presso la Filar- monica di Mosca, che ha spesso suonato con Moni Ovadia e Ludovico Einaudi. In Israele, invece, la Alaev Family, una famiglia di ebrei uzbechi di Bukhara, sta mietendo suc- cessi nei festival folk di tutto il mondo padroneggiando molteplici strumenti, tra cui il garmon.

a.a.

S

amia Oursana e il suo collega Khalid Chaouki da ottobre si stanno cimentando in un programma nuovo nel panorama radiofonico: ItaliaDue (giovedì, ore 13, Radio Popolare Roma, www.radiopopolareroma.it).

«È un programma non sulle seconde generazioni, ma delle seconde generazioni - spiega Samia -. Vogliamo far conoscere all’Italia le seconde generazioni e raccontare l’attualità italiana dal nostro punto di vista». Samia e Khalid sono nati in Marocco, ma sono cresciuti in Italia. Hanno frequentato la scuola in Italia e si sentono italiani. Samia studia ancora all’università mentre Khalid, giornalista, è responsabile del network del Pd «nuovi italiani».

Questo programma è figlio di La voce araba, che si occupava della cultura araba. Poi, con la Primavera, c’è stato un primo cambiamento: si è deciso di focalizzare l’attenzione sul mondo arabo in Italia. Ma gli autori si rendono conto che restava una trasmissione di prima generazione. Così il programma cambia nuovamente e diventa appunto ItaliaDue. In ogni puntata, si affronta sempre un tema d’attualità e vengono presentati progetti legati alle seconde generazioni. Il 1° maggio, per esempio, è stato realizzato un programma sull’attualità lavorativa italiana nel contesto migratorio. Questa estate, ItaliaDue darà spazio alle tante iniziative culturali romane.

3 luglio Roma

Emir Kusturica & The no smoking band in concerto al Laghetto di Villa Ada

www.villaada.org

9 luglio Milano

All’Arena civica si esibisce il pianista e compositore brasiliano Sérgio Mendes.

www.myspace.com/

sergiomendes

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S e credete che l’agri- coltura biologica sia da supportare, valorizzare, far conoscere e diffonde- re come cultura della so- stenibilità, quale miglior occasione che provare di- rettamente un’esperienza in una fatto-

ria biologica?

È sufficien- te iscriversi all’associazione Wwoof Italia, che fa par- te del circuito internazionale

World Wide Opportunities on Organic Farms (www.

wwoof.org). Il Wwoof è na- to 35 anni fa da un’intui- zione di una signora lon- dinese, Sue Coppard, che si impegnava a lavorare in una fattoria in cambio di weekend gratuiti in cam- pagna.

L’idea si è estesa a diverse aziende agricole britanni- che e poi a diversi Paesi nel mondo.

Essere wwoofer (così si chiama il viaggiatore-visi- tatore) dà diritto di essere ospitati in Italia e nei Paesi esteri. Tra essi, Madaga- scar, Mongolia, Pakistan, Palestina, Vietnam (ognu- no di questi Paesi ha una fattoria biologica che ade- risce al progetto), Cambo- gia, Mali, Senegal (due fat- torie per Paese), Thailandia

(18 fattorie), Sudafrica (33 fattorie) e Kenya (addirit- tura 45 fattorie). Le fattorie biologiche e biodinamiche ospitano gratuitamente i wwoofers, offrendo vitto e alloggio in cambio della lo- ro disponibilità a imparare

le tecniche d e l l’a g r i- c o l t u r a biologica e a dare un aiuto nel- la gestione della fat- toria. Per diventare wwoofers biso- gna essere maggiorenni e versare 25 euro all’asso- ciazione Wwoof Italia, la cui sede è a Castagneto Carducci (Livorno, info@

wwoof.it).

Ovviamente possono iscri- versi anche le fattorie, ma solo se sono al 100% bio- logiche. In questo modo possono diventare aziende ospitanti (per sapere come diventare host è possibile consultare il sito: www.

wwoof.it). In Italia ci sono un centinaio di fattorie di medie-piccole dimensioni che aderiscono al progetto:

dall’azienda Monteombra- ro di Zocca (Mo), all’inter- no del Parco naturale dei Sassi di Rocca Malatina, a quella di Zafferana Etnea, ai confini del Parco nazio- nale dell’Etna.

Wwoofer, ovvero contadino alla pari

Attraverso l’associazione Wwoof è possibile trascorrere un periodo in fattorie biologiche, offrendo in cambio il proprio lavoro

15-23 luglio Artena (Roma)

La Società internazionale di biourbanistica organizza «Summer School»: convegni sugli effetti dell’architettura e dell’urbanistica sulla salute delle persone.

www.biourbanistica.com

16-29 luglio Lecce-Otranto

«Economie illegali, mafie e globalizzazione finanziaria», è il tema di Ole 2012, rassegna internazionale per promuovere la legalità.

www.ole2012.org

Benvivere

70 POPOLI GIUGNO-LUGLIO 2012

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T

ra le iniziative più importanti tese a favorire una migliore integrazione tra le diverse tipologie di produ- zione di energia alternativa e le nuove tecniche costrut- tive, c’è il Solar Decathlon, competizione internazionale biennale di architettura «green» organizzata dal 1999 dal Dipartimento Usa per l’Energia. La «competizione»

prevede che venti Paesi concorrenti presentino al- trettanti prototipi di abi- tazioni a basso impatto ambientale e si impegni- no a superare dieci «pro- ve» riguardanti l’efficien- za energetica. Dal 2010, il Solar Decathlon ha una sua edizione europea: la prossima si svolgerà il 13 giugno 2012 a Ma- drid.

Al prestigioso appunta- mento sarà presente per la prima volta anche un

team italiano, costituito da rappresentanze dell’Universi- tà Roma 3 e de «La Sapienza». Da oltre un anno il gruppo di lavoro sta mettendo a punto il progetto «Med in Italy», dove l’abbreviazione Med, che sta per Mediterraneo, allude anche al marchio dei prodotti italiani (Made in Italy). Il «Med in Italy» è il progetto ambizioso di una casa

che produce sei volte più energia di quanta ne consumi (immettendo nella rete elettrica l’eccedente) e risparmia una quantità di CO2 pari a un bosco di 120 alberi.

L’abitazione vanta altri primati: le parti essenziali pos- sono essere costruite in otto giorni e montate in due, dimostrandosi così un sistema ottimale anche per la rea-

lizzazione di insediamenti di emergenza, è pensata per essere costruita con materiali locali, ricicla- bili e resistenti, la cui adattabilità alle variazioni climatiche è massima.

L’edizione 2011 dell’ini- ziativa è stata vinta da un team americano dell’Uni- versità di Virginia Tech.

Quest’anno «Med in Italy»

si confronterà con case provenienti da altri 14 Paesi: Brasile, Cina, Da- nimarca, Egitto, Francia, Germania, Gran Bretagna, Giappone, norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Spagna e Ungheria. L’auspi- cio è che il «Mediterranean way of life», lo stile di vita mediterraneo, sostenuto dal progetto italiano, trovi il consenso e il successo che merita.

Roberto Desiderati

Le Olimpiadi verdi dell’abitare

SOLIDEE

N

el 2005, alcuni manager italiani specializzati in infor- matica, convinti che l’accesso alle tecnologie possa migliorare la qualità della vita, hanno fondato Informatici senza frontiere. Oggi i soci della Onlus sono circa 300, divisi in 10 sezioni regionali. Hanno progetti informatici attivi sia sul territorio italiano sia nei Paesi in via di sviluppo.

In Ecuador stanno realizzando il progetto «ControlInfantil», un software open source (software i cui autori permettono l’appor- to di modifiche da parte di altri programmatori) che permetterà di monitorare la di crescita dei bambini indigeni.

In Etiopia hanno portato avanti il progetto «Shashamane», che prevede l’allestimento di due aule informatiche per una scuo-

la di 800 bambini. Prima la scuola, situata nella zona rurale, era dotata solo di due computer per l’intero

plesso che accoglie bambini dall’asilo alla terza media.

In Congo, infine, hanno creato una connessione satellitare che permette ai medici degli ospedali di Kimbau e Lumbi di realizzare il teleconsulto e la telemedicina.

Info: www.informaticisenzafrontiere.org

Se la tecnologia diventa solidale

GIUGNO-LUGLIO 2012 POPOLI 71

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72 POPOLI GIUGNO-LUGLIO 2012

Gustare

C i vuole solo una spa- da, il fuoco e il tempo infinito della pampa. L’asa- do argentino, al pari del churrasco brasiliano, altro non è che carne (ottima carne) salata e cotta per ore. Non sarebbe neppure il caso di scomodare l’arte culinaria perché qui non ci sono artifizi, se non quello di infilare la carne in uno spiedo verticale, collocato a fianco della brace in modo da garantire una cottura lenta, uniforme e soprattut- to (almeno così dicono gli argentini) priva di grassi

nocivi. Non ci sono don- ne, ma solo l’asador che, di volta in volta, girerà lo spiedo e, con una spa- da affilata, taglierà a fette sottili le parti già cotte per servirle. La conoscenza che è richiesta è l’abilità nel ri- conoscere il taglio di carne e nell’alimentare il fuoco.

L’asado non è cucina dome- stica, ma dell’aria aperta. È parente prossimo del cuero, il modo arcaico di cuocere l’intera mucca avvolta nella propria pelle e sepolta in una fossa con la brace. È la cucina del gaucho, l’abi-

Il gaucho, l’asado e l’anima della pampa

nell’arte di cuocere la carne allo spiedo si può leggere lo spirito libero e coraggioso degli allevatori argentini e uruguaiani

Adal

A

veva scelto di essere medico, ma il destino lo ha dirottato verso la ristorazione. Gaber Kidane, eritreo di Asmara, si è laureato in medicina e, assicura lui, per qualche periodo ha lavorato negli ambulatori, ma la passione per la cucina è stata più forte di ogni altra cosa. E così, da 23 anni, manda avanti, insieme al figlio, il ristorante africano Adal a Bologna. «Ad Asmara - ricorda - studiavo al liceo scientifico. Ma mi piaceva il mondo della cucina. Così sono riuscito a convincere i miei genitori a farmi frequentare i corsi serali della scuola alber- ghiera. È stato un po’ faticoso, ma alla fine sono riuscito a

prendere i due diplomi. nonostante ciò ho deciso comunque di studiare Medicina. Grazie a una borsa di studio sono potu- to venire in Italia e iscrivermi all’Università di Bologna».

Mentre studia decide però di aprire un locale di cucina africana. «Era il 1989 - racconta - e a Bologna c’erano pochi ristoranti etnici. Così ho pensato potesse essere interessan- te e redditizio aprirne uno africano. Ha avuto subito succes- so. Per qualche tempo ho lavorato anche come medico, ma poi ho deciso di dedicarmi interamente alla cucina, il locale richiedeva un impegno a tempo pieno».

Il menù prevede piatti dell’Africa orientale, ma anche nor- dafricani e senegalesi. La clientela è italiana e africana. «Da qualche tempo - spiega Gaber - abbiamo un servizio take away. Così molti africani vengono da noi ad acquistare piatti singoli che poi consumano a casa propria. Molti di loro vengo- no per acquistare le due qualità di pane che produciamo gior- nalmente: l’ingera (pane soffice a forma rotonda composto di farine esotiche teff e mascelà) e l’himbascià (pane lievitato, fatto con farina di grano aromatizzata con semi di finocchio)».

I prezzi sono abbastanza contenuti. Una cena completa costa circa 18-19 euro.

ADAL Via Vasari 7, Bologna

RETROGUSTO Locali etnici con una storia dietro

tante della pampa, l’uomo libero, individualista co- raggioso. Fascino della vita autentica, essenzialità pu- ra... o barbarie? Domingo Faustino Sarmiento, lette- rato, educatore e presidente della Repubblica argentina dal 1868 al 1874, non cede al mito del gaucho: lo pensa

piuttosto come la metafora

dell’anticiviltà, dell’involu-

zione che si verifica nelle

sterminate pianure del Pae-

se, dove affoga e si perde lo

stile europeo delle città. E

scrive: «Il male che tormen-

ta la Repubblica argentina

è l’estensione; il deserto la

circonda da tutte le parti e

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GIUGNO-LUGLIO 2012 POPOLI 73

trova finalmente pace: ne La vuelta de Martín Fierro, città e pampa, legge e guer- ra, cibo selvaggio e cibo domestico si incontrano.

Anna Casella Paltrinieri

le si insinua nelle viscere,

la solitudine, la desolazione senza un’abitazione uma- na». Solo il gaucho sa vive- re nel nulla estremo delle praterie argentine dove «la civiltà è del tutto irrealiz- zabile e la barbarie norma- le», ma per questo si espone alla violenza: «il gaucho sarà un malfattore o un caudillo secondo il corso che prenderanno le cose…»

(Facundo. O civilización y barbarie, 1845).

Invece, un altro poema fondamentale della lette- ratura argentina riabilita il gaucho: il Martín Fierro di José Hernández (1872).

«Venía la carne con cuero, la sabrosa carbonada…», ri- corda il gaucho leale e co- raggioso, ridiventato poeta, che si rifugia a vivere con gli indios della frontiera, gli stessi contro i quali era stato mandato a combatte- re. In questa «bibbia gau- cha», come è stata defini- ta, l’abitante della pampa torna a essere l’immagine dell’identità argentina, del- la sua anima più tenace e della sua storia epica. E

9-10 giugno Berlino

Bio Messe, fiera internazionale dei prodotti biologici.

www.biomesseberlin.de

13-24 giugno Genova

Al Porto Antico, nell’ambito della rassegna Suq Festival, pranzi e cene multietnici.

www.suqgenova.it

La ricetta

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ASADO ARGENTINO CON CHIMICHURRI L’asado si prepara con un taglio intero di carne di manzo allo spiedo su un fuoco di legna. La carne può essere lomo (lombata), bife de chorizo (bistecca), bife ancho (sottofiletto) oppure entrañas o achuras (interiora), chinchulín (intestino tenue) e tripa gorda (intestino crasso), chorizos (salsiccie) e morcilla (salsiccie di sangue).

A fine cottura la carne viene spalmata di chimichurrí, una salsa con olio, aceto, aglio, cipolla, peperoni, origano, basilico e limone.

SORSEGGI

Ataya

P

er i senegalesi più che una bevanda è un rito che si consuma a fine pasto o nelle giornate calde, seduti sotto un albero. Per l’importanza che riveste nella cultura e nella cucina senegalese, l’ataya, il tè senegalese, può essere accostato al caffè napoletano o al mate argentino.

La preparazione non è diversa da quella di un normale tè, cioè l’infusione di foglie in acqua bollente. La differenza sta nella scelta delle foglie. La miscela ne deve comprendere di tre differenti qualità: una più forte e amara, una più dolce e una molto dolce. Le foglie di tè vengono poi mescolate a quelle più piccole, ma dalla

fragranza intensa, di menta fresca. Il tutto viene fatto bollire in una teiera di metallo smaltato che si chiama barada.

L’ataya si beve in bicchierini di vetro (poco più grandi di quelli in cui in Italia si serve la grappa) e va consumato con la schiuma che si forma alzando e abbas- sando la teiera mentre si versa. Secondo alcuni, la schiuma sarebbe importante perché eviterebbe alla polvere di mescolarsi con la bevanda.

Il tè va servito secondo un rituale definito che rispecchia i ruoli gerarchici della società senegalese: è offerto sempre prima agli ospiti, ma seguendo un ordine generazionale, dai più anziani ai più giovani.

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74 POPOLI GIUGNO-LUGLIO 2012

Inter @ gire

K apir Atiira è un pic- colo villaggio del di- stretto di Ngora, in Ugan- da. Quasi la metà della popolazione è costituita da bambini di età inferiore ai 15 anni, anche perché do- po quell’età si diventa im- mediatamente grandi, se è vero che la qualità della vita te ne consente al mas- simo 50. Lì le persone de- vono affrontare ogni gior- no molte difficoltà, prime fra tutte il fatto che un terzo della popolazione ha contratto il virus dell’Hiv/

Aids e quasi la metà viene colpito dalla malaria.

Kapir Atiira non ha una clinica, quella più vicina è a Soroti, a 20 chilometri dal villaggio. Ma poi ci sono un clima instabile, la siccità, le inondazioni del fiume Awoja e soprattutto la memoria di un terribile evento: il saccheggio subi-

to durante l’ultima guer- ra da parte della Lord’s resistance army, gruppo di guerriglieri guidato dal sanguinario Joseph Kony, che ha tolto al villaggio il bene più prezioso e la principale fonte di sosten- tamento, il bestiame. No- nostante tutto questo, fino ad oggi Kapir Atiira non ha mai ricevuto alcun aiu- to da nessuna organizza- zione o governo, compreso quello dell’Uganda.

I bambini a Kapir Atii- ra giocano come gli altri bambini del mondo, ma smettono di farlo presto.

A 15 anni una «donna» di- venta madre e il suo bam- bino dopo dieci anni pro- babilmente avrà già finito di studiare. Solo 55 bam- bini di Kapiir Atiira finora hanno potuto continuare gli studi frequentando la scuola di un villaggio vi-

La solidarietà è un gioco

È una app scaricabile gratuitamente, si chiama

«Raise the village» e fa il verso a «Farmville», celebre gioco di Facebook. Ma qui l’obiettivo è costruire un vero villaggio in Uganda

nEW CHARITY ERA

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