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Una mostra In collaborazione con Main Partner

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Academic year: 2022

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Ufficio stampa Lucia Crespi tel. 02 89415532/338 8090545 lucia@luciacrespi.it Ufficio stampa Comune di Milano Elena Conenna elenamaria.conenna @comune.milano.it

Una mostra In collaborazione con Main Partner

Ufficio stampa Lucia Crespi tel. 02 89415532/338 8090545 lucia@luciacrespi.it Ufficio stampa Comune di Milano Elena Conenna elenamaria.conenna @comune.milano.it

Una mostra In collaborazione con Main Partner

Premessa

Dal momento che questa mostra presenta la donna prevalentemente in un contesto profano, è necessario iniziare con una premessa: due magnifici quadri presentano le protagoniste femminili dell’Antico e del Nuovo Testamento. Eva e Maria hanno avuto un’influenza decisiva nel determinare il ruolo della donna nella società cristiana lungo l’intero corso della storia, incluso il Cinquecento veneziano.

Accanto alla pura, casta figura della madre di Dio, nell’importante opera giovanile di Tiziano, in un meraviglioso dipinto del giovane Tintoretto vediamo Eva, “la donna delle origini”, ritenuta unica responsabile della perdita del Paradiso. Il gesto di Eva sembra oltrepassare Adamo, e rivolgersi allo spettatore, per invitarlo a sua volta a percorrere “la via della conoscenza”. Nella Genesi ebraica (1,26-28) la donna era equiparata all’uomo come parte della Creazione, e i Progenitori erano destinati l’uno all’altra; successivamente, però, in ambito ellenistico, Eva viene sottomessa al compagno Adamo, e questo rapporto trova il culmine nella letteratura patristica.

A partire dalla La cité des femmes (1405), opera della poetessa veneziana in terra di Francia Christine de Pizan, le scrittrici del Quattro e Cinquecento si sono mosse in difesa di Eva contro le tradizionali accuse misogine, con vari argomenti, in parte molto ingegnosi e anche ironici, dando così avvio al movimento conosciuto come

“querelle des femmes”.

Ritratti

Rispetto a quanto avviene in altre regioni d’Italia, nella prima metà del XVI secolo le donne veneziane delle classi agiate appaiono solo raramente in veri e propri ritratti.

Il sistema oligarchico della Serenissima non approva il culto della memoria intrinseco nel ritratto, e in modo particolare la rappresentazione delle donne. Al contrario, nelle città rette da signorie principesche si allestivano gallerie con i volti dei membri della famiglia, a partire dagli antenati; i ritratti delle fanciulle venivano poi inviati ad altre corti per dare avvio alle trattative per i matrimoni dinastici.

I ritratti reali di donne di mano di Tiziano ritraggono dunque personalità di case principesche non veneziane, come Isabella d’Este, marchesa di Mantova, sua figlia Eleonora Gonzaga, duchessa di Urbino, o la fanciulla di Capodimonte, forse legata alla famiglia Farnese. Altri ritratti vengono per lo più identificati come donne della famiglia di Tiziano, come forse sua sorella o le figlie Emilia e Lavinia.

Questi ritratti “reali” pongono questioni riguardanti la mimesis verso l’aura delle donne raffigurate, visto che Tiziano ha ritratto anche donne di altissimo rango, fino all’imperatrice Isabella, senza averle mai viste in realtà.

È solo nella Terraferma veneziana, a Brescia, Bergamo, Verona, che possiamo trovare una cultura ritrattistica più vivace.

Gli splendidi vestiti e i preziosi gioielli di questi dipinti contrastano con le leggi suntuarie, che intendevano controllare l’eccessiva ostentazione, e che sono state tanto frequentemente emanate quanto inefficaci.

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Le “Belle veneziane”

All’inizio del XVI secolo si diffonde nella pittura veneziana un genere di ampio successo, a metà strada tra il ritratto reale e quello ideale. Le “Belle veneziane”, soggetto ambito dai collezionisti di tutta Europa, sono donne affascinanti che guardano l’osservatore con occhi vivaci, giocherellano con i gioielli o con i capelli, indossano abiti sontuosi e compiono gesti che possono apparire invitanti o moderatamente lascivi.

Negli ultimi quarant’anni questi dipinti sono stati oggetto di una forte polarizzazione nell’interpretazione: sono ritratti più o meno idealizzati di spose promesse o novelle, oppure si tratta invece di cortigiane, nobili rappresentanti della prostituzione, che con queste pose promuovono le proprie grazie? Attributi e gesti sembravano indicare sia l’una che l’altra direzione: da una parte, si nota la presenza degli anelli gemelli, che simboleggiano il fidanzamento; dall’altra, la raffigurazione a seno scoperto è stata a lungo ritenuta prova eloquente di amore venale, di corpo in offerta. Recenti riletture, tuttavia, suggeriscono di interpretare questa posa esplicita non come un invito al sesso ma come il casto desiderio di “aprire il cuore”, mostrando con piena sincerità il proprio sentimento.

“Apri il cuore”

I dipinti con una ragazza a seno scoperto sono stati a lungo considerati ritratti di donne di piacere o cortigiane:

varie testimonianze letterarie suggeriscono tuttavia una strada diversa, che porta a interpretare questo gesto come una via per “aprire il cuore” e sottolineare così la sincerità dei propri sentimenti.

Nel Dialogo dei colori (1565) Lodovico Dolce descrive ad esempio un dipinto di Raffaello con una donna che apre il vestito per indicare il cuore come sede della verità dei sentimenti e della fedeltà dell’animo; e L’arte de’

cenni di Giovanni Bonifacio conferma ulteriormente questa tesi. Scritta nel tardo Cinquecento (ma pubblicata solo nel 1616), questa importante “enciclopedia dei gesti” riassume una vasta gamma di osservazioni su comportamenti collettivi e sul linguaggio non verbale. Oltre alle interpretazioni nuove dello sguardo dell’amata, o del suo giocare con i capelli, particolarmente rivelatrici sono le descrizioni del seno esposto come dichiarazione d’amore sincera, “a cuore aperto”.

La “Laura” di Giorgione, dipinta nel 1506, è il primo esempio di questo tema, destinato a svilupparsi durante tutto il XVI secolo. La giovane donna prende il nome dalle fronde d’alloro (“lauro”) sullo sfondo: schiude la falda dell’abito rosso, e lascia cautamente spuntare un seno. L’atteggiamento delicato e lo sguardo limpido e lontano non alludono in alcun modo alla lascivia o a una smaccata offerta sessuale.

Nel contesto del fidanzamento, poi, l’atto di mostrare il seno è oggi riconosciuto come un suggello della promessa di matrimonio (come accade nei dipinti di Bernardino Licinio esposti in questa sala e nella successiva).

Coppie

Alle soglie del Cinquecento nasce a Venezia e si diffonde in Europa un tema di successo: dipinti, o anche sculture, che rappresentano affettuose attenzioni fra coppie di amanti: baci, carezze, sguardi languidi, scambio di doni. Nell’arte nordica, spesso questa situazione viene caricata di significati morali, come immagini: sono scene di amore venale, oppure raffigurano grottesche differenze di età o di aspetto tra gli amanti.

Anche nella pittura veneta non sempre è facile cogliere il significato nascosto, lasciato in una voluta ambiguità:

se si tratti di scene di corteggiamento, di sincere effusioni di autentica e reciproca passione, oppure se si alluda a scene di prostituzione e di amore a pagamento. Collane, monete e strumenti musicali giocano spesso un ruolo simbolico.

Eroine e sante

L’esempio classico di Lucrezia

Modelli di virtù eroiche, ma anche cariche di attraente sensualità: la storia antica e le Sacre Scritture offrono ad artisti e committenti un’ampia scelta di figure femminili esemplari. Il mondo classico, e in particolare l’antica Roma, propone la nobile matrona Lucrezia, disposta a togliersi la vita per difendere il proprio onore dopo aver

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subito violenza da parte di Sesto Tarquinio: la tela di Veronese e quella giovanile di Tiziano (Lucrezia e suo marito) celebrano la fermezza con cui Lucrezia affronta il suicidio, il pugnale che affonda tra vesti sontuose e carni fiorenti. Legata allo stesso mito ma del tutto diversa è l’opera tarda di Tiziano (Tarquinio e Lucrezia), che – con grande sensibilità e modernità – mostra invece la violenza brutale dell’uomo e la sofferenza fisica e morale della donna.

Eroine e sante

Modelli dalla religione

La “casta Susanna”, beatamente nuda mentre si rinfresca a una fontana, è l’oggetto di concupiscenza di due anziani guardoni: il pretesto per il soggetto è biblico, ma Tintoretto lo interpreta in una chiave del tutto profana, in un capolavoro assoluto, in cui non manca un pizzico di umorismo.

Più sanguinarie sono le figure della coraggiosa Giuditta e della seducente Salomè, che fanno letteralmente

“perdere la testa” agli uomini. Giuditta è la più famosa tra le “donne forti” della Bibbia, capace di affascinare e poi di decapitare il possente nemico Oloferne, combinando l’arte tipicamente femminile della seduzione con una fermezza e con un coraggio solitamente considerati attributi “virili”.

Fra le sante cristiane, un ruolo particolare è affidato a Maria Maddalena, la prostituta pentita diventata una delle prime e più intense fedeli di Cristo: in una fortunata serie di versioni, Tiziano ha saputo trovare un prezioso accordo tra bellezza e devozione, seduzione e preghiera, fascino e mortificazione.

Letterati, polemisti, scrittori d’arte

Venezia è la capitale dell’editoria europea del Cinquecento. Le geniali soluzioni tipografiche adottate da Aldo Manuzio allargano la cerchia dei lettori e delle lettrici, che gradiscono in modo particolare la maneggevolezza di libri di piccolo formato.

L’attività editoriale è anche sostenuta da un dibattito intellettuale ricco e vario, in cui spesso non manca il sapore vivace della polemica. Il mondo delle lettere e quello delle arti figurative sono strettamente intrecciati, in parte per l’amicizia che lega fra loro alcuni dei protagonisti (come nel caso celebre di Tiziano e Pietro Aretino), e in parte perché i temi affrontati trovano un pubblico appassionato: i rapporti tra pittura e scultura, la supremazia del disegno o del colore, il rinnovamento espressivo parallelo della lingua letteraria e delle arti figurative, il sottile antagonismo tra Venezia e la cultura tosco-romana, e ovviamente l’eterno desiderio di confrontarsi sulla bellezza, di cercare di definirla e di rappresentarla.

La forma letteraria preferita è il dialogo: una esile cornice narrativa, entro la quale i protagonisti esprimono opinioni e si confrontano vicendevolmente; ne è un celebre esempio Il Cortegiano, bestseller scritto da Baldassar Castiglione, pubblicato in diverse edizioni.

Nel corso del Cinquecento sono numerosissime le pubblicazioni che vedono protagoniste le donne, oggetto di un’attenzione, anche da parte degli scrittori uomini, quale non si era mai vista prima, né si vedrà in seguito: in trattati, dialoghi, poesie e romanzi le donne giocano molto spesso un ruolo di primo piano, sia che ne vengano esaltate le qualità, sia che al contrario si metta in discussione il loro ruolo nella società.

Donne erudite. Scrittrici, poetesse, cortigiane

Solo nel corso del Cinquecento le donne entrano in numero significativo nel mondo letterario, fino a quel momento riservato prevalentemente agli uomini. Grazie a genitori “illuminati”, le figlie di nobili e cittadini cominciano ad acquisire una formazione umanistica che consente loro di cimentarsi in vari campi: poesia petrarchesca, orazioni, lettere, trattati, dialoghi e molto altro. Significativo è tuttavia il fatto che molte delle loro opere vennero pubblicate postume.

Le donne sposate si potevano dedicare alla scrittura solo raramente: molte letterate erano infatti nubili, o sposate in età matura, o vedove.

Dal canto loro, anche le cortigiane (prostitute di alto rango) potevano ottenere un’educazione elevata: è il caso di Tullia d’Aragona e Veronica Franco, diventate famose poetesse, e qui presentate nei ritratti del Moretto e di

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Domenico Tintoretto.

La padovana Giulia Bigolina è la prima donna a scrivere un romanzo, Urania, il cui prezioso manoscritto è conservato alla Biblioteca Trivulziana di Milano: la protagonista si traveste da uomo e inizia un viaggio avventuroso pieno di avvenimenti curiosi.

Gaspara Stampa è famosa per l’amore non ricambiato per Collaltino di Collalto, che diventa nelle sue poesie l’irraggiungibile oggetto del desiderio, in una sorta di petrarchismo rovesciato.

Importanti contributi per il dibattito di genere (riacceso a fine Cinquecento da un pamphlet misogino di Giuseppe Passi) sono il dialogo di Moderata Fonte, pubblicato postumo con il titolo Il merito delle donne, e quello scritto da Lucrezia Marinelli, La nobiltà, et l’eccellenza delle donne, co’ diffetti, et mancamenti de gli huomini.

Gli amori degli dei Venere e Adone

Nella pittura di soggetto mitologico, una pagina molto intensa è la vicenda di Venere e Adone, tema affrontato spesso dagli artisti: eccellente occasione per rappresentare una splendida donna, perdutamente innamorata, ma anche opportunità per mettere in guardia sui rischi dell’amore. La dea della bellezza (Afrodite per i greci, Venere per i romani), infatti, si graffia per errore con una freccia del figlio Cupido: e come noi mortali, prova quanto sia intensa la puntura dell’Amore. Si innamora di un bellissimo ragazzo, Adone: nasce una passione ardente, destinata però a essere breve. Adone parte per una battuta di caccia al cinghiale: per una funesta premonizione, Venere cerca invano di trattenerlo. Adone verrà mortalmente travolto dal cinghiale: l’unica consolazione per Venere sarà tingere di rosso i petali degli anemoni, per ricordare sui fiori il sangue sparso dell’amato.

Gli amori degli dei Le conquiste di Giove

La cultura del Rinascimento ha particolarmente apprezzato Le Metamorfosi, il poema in latino composto da Ovidio all’inizio del primo secolo dopo Cristo: una fantasiosa e ricchissima raccolta di miti, personaggi, amori distribuita in quindici densi capitoli. Più volte tradotto, interpretato, “moralizzato” in chiave cristiana e illustrato in miniatura o in incisione, il libro ha offerto moltissimi spunti agli artisti. Gli ingegnosi travestimenti adottati da Giove per ottenere pieno successo nelle ripetute e fortunate avventure amorose sono temi frequenti nell’arte del Cinquecento. Non si tratta tuttavia solo di trasferire in pittura l’antico testo letterario:

maestri come Tiziano e Tintoretto trovano nella poesia e nel mito non l’occasione per uno sfoggio di erudizione, ma conferme sulla eternità delle passioni umane. Il mito di Europa (con Giove che assume l’aspetto di un candido toro) offre a Paolo Veronese l’occasione per un dipinto sontuoso, in cui il brivido dell’eros pervade lo splendore spettacolare delle forme, dei colori, della natura.

Allegorie

Sospese fra le nuvole della leggenda e del mito, bellissime donne rimandano a figure allusive, a scene allegoriche, a raffinate evocazioni letterarie e simboliche. La cultura del Rinascimento ama il gioco sofisticato degli emblemi, i riferimenti criptici, i codici espressivi.

La tela ottagonale è inserita nel soffitto dell’atrio della Libreria Marciana, la nobilissima biblioteca costruita da Jacopo Sansovino di fronte al Palazzo Ducale di Venezia. È stata dunque concepita per accogliere un pubblico di visitatori colti, predisposti a cogliere i rimandi alla letteratura e le sottigliezze umanistiche, ma capaci di apprezzare anche come Tiziano abbia saputo dare forma e corpo al soggetto erudito (variamente identificato come rappresentazione della Sapienza o della Storia), offrendo all’allegoria una concreta fisicità e una credibile forza di sentimenti.

Anche sotto questo aspetto si può riconoscere l’importanza che per Tiziano ha avuto l’universo femminile, in tutti i suoi aspetti. La moglie Cecilia, la sorella Orsa, la figlia Lavinia hanno accompagnato la vita del pittore

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lungo i decenni e le generazioni, presenze costanti e decisive per aprire a Tiziano una diversa visione del mondo: quella affettuosa, intensa, determinata degli occhi di una donna.

Oltre il mito

Dipinta quasi alla conclusione del lungo percorso creativo di Tiziano, Ninfa e pastore sembra esprimere la sintesi del suo “credo” nella forza primordiale della donna. È lei infatti che domina la scena: sdraiata su un fianco su un vello d’animale, in mezzo a un paesaggio che sembra quasi lo scenario di un cataclisma, gira la testa verso l’osservatore; sembra ascoltare, alle sue spalle, un giovane coronato di foglie con un flauto tra le mani.

Lo sguardo languido, stanco ma consapevole, sottolinea che è solo lei, la donna, a comprendere la forza del destino, della natura, che regna sopra la civilizzazione, l’amore e l’arte.

Nei dipinti mitologici, da lui stesso definiti “poesie”, Tiziano prende spunto dai racconti delle Metamorfosi di Ovidio o da altri autori: qui, invece, sembra mancare un riferimento letterario specifico. Non è più necessario interpretare il tema come Diana ed Endimione, Venere e Anchise, Dafne e Cloe, Paride ed Enone, o Bacco e Arianna: il messaggio fondamentale sembra quello della supremazia della donna genitrice nell’Universo.

All’inizio di questa mostra, la Eva dipinta da Tintoretto invita il visitatore a percorrere “la via della conoscenza”;

questa “ninfa” gli chiede ora di comprendere quanto Tiziano e i suoi colleghi pittori e poeti abbiano contribuito ad esaltare l’importanza della donna nella società, sulla via di un domani femminile.

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