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SUSSIDIO 2020 FORMAZIONE ANIMATORI

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Academic year: 2022

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SUSSIDIO 2020

FORMAZIONE ANIMATORI

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PRESENTAZIONE

I mesi che abbiamo vissuto, sono stati mesi duranti i quali ci siamo sentiti accomunati nel vivere le stesse emozioni, gli stessi stati d’animo nel fronteggiare questa tempesta, così come l’ha definita Papa Francesco, che ci ha colti di sorpresa privandoci non solo della nostra libertà ma soprattutto di quella condivisione sociale e relazionale che caratterizza le nostre vite, i nostri impegni come associazioni, oratori, gruppi e quindi il nostro essere e vivere la Chiesa.

Il silenzio che ha avvolto le nostre città ha così riempito anche i nostri oratori, le nostre parrocchie e le nostre comunità, fino a silenziare anche la nostra vita sacramentale.

L’impossibilità di partecipare all’Eucarestia ha svuotato la nostra vita spirituale creando un senso di smarrimento e una ricerca del sacro che mai avevamo sperimentato.

Ma nonostante ciò, questa tempesta ci ha restituito l’opportunità di rileggere noi stessi, le nostre relazioni e il nostro essere Chiesa. Abbiamo così imparato a decodificare questi mesi per cogliere in essi e in questa situazione decisamente negativa, l’occasione di un discernimento e di un impegno rinnovato per riscoprire quella dimensione missionaria, da lungo tempo sopita, per percorrere nuove strade sulle quali portare l’annuncio del Vangelo che continua a parlare alle nostre vite.

In questo periodo dell’anno, la Diocesi (nello specifico il Centro per l’evangelizzazione) ha pensato di organizzare qualcosa per il tempo estivo, partendo dalla consapevolezza che non si può rinunciare alle attività educative: l’estate per le famiglie e i ragazzi rappresenta un tempo favorevole, generativo di relazioni, incontri, legami. L’attenzione è rivolta ai bambini, agli adolescenti e giovani, per farli sentire, nelle modalità possibili, parte attiva della comunità. È nostro compito collaborare alla missione educativa dei genitori.

Alla luce di quanto detto, è nato il progetto “R-estate in rete”, un’attività estiva che vuole coinvolgere tutte le comunità, in tutti i carismi e ministeri. Il progetto è stato realizzato da un’equipe diocesana, il primo frutto di questo lavoro è stato proprio la collaborazione, la sintonia e la passione che ha permesso alle tante persone che hanno collaborato, di riscoprirsi chiamati ad esserci e a servire la nostra Chiesa.

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INTRODUZIONE

“Fra’ Lui e noi”

Il ritorno alla nostra quotidianità, dopo il lockdown, ci ha fatto riscoprire una natura che

lentamente ha cercato di riprendersi i suoi spazi e, con stupore, abbiamo iniziato ad apprezzarla con la sua bellezza e la sua forza, rendendoci anche conto delle tante ferite che l’essere umano le continua ad infliggere.

Questo stupore ci chiama non solo a riflettere e a rivedere il nostro modo di abitare la Casa Comune, le dinamiche economiche e lo sfruttamento sfrenato delle risorse della Terra, ma a maturare una vera conversione ecologica, integrale, capace di recuperare il legame che unisce l’uomo a tutte le creature e su cui si fonda la sua stessa sopravvivenza. “Fra’ Lui e Noi” sarà così l’opportunità che i nostri ragazzi vivranno per una settimana, per riflettere sull’agonia della nostra Terra, sulle continue devastazioni che in modo irresponsabile e ostinato l’essere umano continua a perpetrare contro tutti gli esseri viventi, ma soprattutto per riscoprire il Creato come un dono da coltivare e custodire. Non si tratta semplicemente di parlare di ambiente, ma di far maturare una vera coscienza ecologica che recuperi il significato originario della Creazione come Casa Comune, come luogo da abitare e custodire.

Gli strumenti:

· La vita di San Francesco D’Assisi, con le sue scelte coraggiose, il suo coltivare grandi sogni e la sua adesione totale al Vangelo, che ci aiuterà a recuperare la consapevolezza di riscoprirci creature chiamate a custodire la relazione con gli altri, col mondo e con Dio;

· L’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco, che ci aiuterà, in continuità con il Magistero sociale della Chiesa, a maturare un nuovo sguardo sull’uomo, sul concetto di ecologia integrale e sul senso di responsabilità. Le parole di Papa Francesco sono, infatti, molto più di un semplice invito ecologista ma una vera denuncia di come i processi produttivi e lo sfruttamento delle risorse non solo hanno deturpato le nostre città, i nostri stili di vita, ma hanno anche alterato il rapporto con il prossimo e con gli ultimi della nostra società;

· Il rapporto con la Parola. Le icone bibliche che accompagneranno le nostre giornate, aiuteranno i ragazzi a capire che una vera conversione ecologica integrale, alla quale ci chiama papa Francesco, non può sussistere se non ha come fondamento la riscoperta del legame con Dio. Nel Vangelo, infatti, troviamo quelle parole di vita che ci

permettono di acquisire la logica di Dio che ci porta a rivedere i nostri stili di vita, il nostro modo di guardare e abitare le relazioni e di amare.

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Alla fine di questo percorso, nella vita di ogni animatore e di ogni ragazzo, l’incontro con San Francesco D’Assisi e l’invito di Papa Francesco nella Laudato si’, possano trasformarsi in un impegno appassionato e concreto per la cura e la custodia del Creato. La Casa Comune è quel luogo che dobbiamo riscoprire per abitare e consegnare alle nuove generazioni, con la consapevolezza che ognuno con un rinnovato e responsabile stile di vita può contribuire a rendere più vivibile!

Contatti

https://www.facebook.com/centroperlevangelizzazione

@pastoralegiovanileag

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https://t.me/centroperlevangelizzazione

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FORMAZIONE ANIMATORI

Chi è l’animatore?

È colui che mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per organizzare attività per bambini o ragazzi, promuovendo la cultura dello stare insieme secondo i valori cristiani.

L’animatore è colui che si mette a servizio quindi non è il protagonista, la star del momento ma piuttosto è impegnato a far emergere le abilità dei bambini per valorizzarli. L’animatore è:

organizzatore, conduttore, coordinatore, motivatore, osservatore e ascoltatore.

Perché fare l’animatore?

Fare l’animatore non è un obbligo ma una scelta. Possono essere tanti i motivi per cui si decide di diventare animatore: c’è un mio amico, mi piacciono i bambini…ma alla base di tutto deve esserci la voglia di comunicare agli altri che c’è qualcosa di più grande nella mia vita.

Come si prepara l’animatore?

Essere animatore vuol dire partecipare con serietà agli incontri formativi; vuol dire confrontarsi con i responsabili e gli altri animatori in maniera costruttiva, nella consapevolezza che lo scambio di opinioni ed esperienze sono anch’essi necessari per migliorarsi. Diventa importante, quindi, assicurare la presenza a questi incontri e portare fino in fondo l’impegno preso. Sono essenziali anche la PUNTUALITA,’ sia per i compiti da svolgere che negli orari di incontro, e la RESPONSABILITA’, in quanto le famiglie devono aver fiducia in chi segue i propri figli.

L’animatore non è perfetto, ma è una persona in CAMMINO; deve prendere coscienza che oltre ad animare ed educare un gruppo di ragazzi, educa in primo luogo sé stesso. In questo cammino non si è soli ma si può contare sul sostegno e sull'aiuto del Don, del responsabile, dell’animatore più grande.

L'animatore non è solo, ma fa parte di un gruppo: l'equipe degli animatori. In un'équipe è importantissima la suddivisione dei compiti, per dividersi il lavoro e far sì che non ci sia chi fa tutto e chi nulla, per evitare il problema del “faccio tutto io”. È importante che i ragazzi vedano e sentano che si è tutti uniti, ma con ruoli e compiti diversi, sappiano che ci siano punti di riferimento ben definiti ai quali rivolgersi per qualsiasi esigenza (e così anche le famiglie!). A tutti viene chiesto di collaborare! La COLLABORAZIONE è l'unica strategia che permette ad un gruppo di funzionare e di crescere di volta in volta.

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Identikit dell’animatore

Per definire meglio la figura dell’animatore e tratteggiare le caratteristiche della sua azione educativa, facciamo riferimento ad alcune parti del corpo…

La mente

Animare significa metterci la testa!

Caratteristica peculiare del ruolo dell’animatore è quella di usare le tecniche di cui è in possesso in modo da rendere gli utenti più protagonisti che fruitori: il suo specifico è il "far fare" in modi divertenti ed espressivi. L'animatore non è solo figura che intrattiene attività relazionali, ma anima e promuove attività creative che concorrono a favorire e a dilatare il campo delle esperienze del fruitore per cui è pure chiamato a dotarsi di competenze tecniche:

d'animazione, di conduzione di gruppi e di tipo organizzativo. L’animatore non pensi: “che gli faccio fare?”, ma piuttosto “che messaggi, che valori trasmetto loro con/nel gioco?”. GIOCARE = EDUCARE.

Le braccia

Animare significa mettere le mani in pasta!

Ad esempio non si può pretendere che disegnando una bicicletta e spiegandone il

funzionamento un bambino sappia andare in bici! Occorre chinarsi tenere la sella e ad imparare ad andare in bici. Serve, è indispensabile essere compartecipi delle attività e delle proposte di animazione. Il gioco è lo strumento per eccellenza dell’Animatore. È un ottimo mezzo per proporre attività, temi e contenuti importanti.

L’educatore/animatore se vorrà far acquisire al bambino il suo messaggio, dovrà usare il più possibile il gioco perché il bambino percepisce ciò che passa attraverso l’esperienza sensibile.

Ma non basta il gioco, non basta cioè essere un profondo conoscitore del gioco e del suo utilizzo. Ecco allora una serie di “qualità” dell’Animatore: buona capacità di organizzazione spazio/temporale, ottime capacità comunicative (chiarezza e semplicità) e di ascolto, capacità di mettersi in gioco, temperamento allegro, attento, sensibile, intraprendente, dinamico,

entusiasta, capacità di resistenza alla fatica e alle tensioni, creatività e fantasia, capacità di improvvisazione e di superamento degli imprevisti, buon livello di autocontrollo, disponibilità, accoglienza, empatia, spontaneità, espressività, autorevolezza, conoscenza di tecniche di conduzione di gruppo e di comunicazione, conoscenza del gioco nelle sue varie forme e obiettivi. Ma non basta ancora… per lavorare con i bambini ci vuole tanto tanto CUORE!

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La pancia

Animare significa emozionarsi!

Al di là delle differenti motivazioni che spingono ciascuno di noi a dedicarsi ad un'attività

d'animazione e di svago esiste alla base dell'azione educativa un comun denominatore: i nostri interventi, le nostre azioni, i nostri modi di agire non sono mai neutri; o sono educativi o sono diseducativi. Significa quindi che non si può NON educare, neppure in una situazione temporale relativamente breve. Essere animatore in qualsiasi iniziativa d'animazione, significa innanzitutto assumere delle responsabilità e l'assunzione di "responsabilità" comporta di riflesso l'instaurarsi di una relazione con qualcuno, con "un altro", un bambino, un giovane, un adulto.

A sua volta ogni relazione instaurata con l'altro è "un'attività", "un'attività educativa" e l'esercizio di questa attività educativa richiede alcune condizioni di base, alcune "qualità"

personali che ogni persona può coltivare per esercitare il ruolo d'animatore che, come abbiamo citato all’inizio, è un lavoro educativo.

Le gambe

Animare significa dinamismo!

L’Animatore è colui che anima…che dà impulso.

È un professionista del gioco e del tempo libero che opera in contesti sociali. È Animatore quella persona, che attraverso la sua fantasia, creatività e allegria si occupa di FAR divertire, FAR fare e FAR esprimere le persone alle quali si rivolge.

Il decalogo

VOLERE BENE AI RAGAZZI

Volere bene non significa tanto fare «smancerie» o semplice «simpatia» nei loro confronti (nel senso che oggi tu mi piaci, mentre domani se mi fai arrabbiare, può darsi che mi diventi

antipatico). Il volere bene è una posizione a priori: indipendente da chi sei ti voglio bene. Ma per educare occorre avere la confidenza dei ragazzi. Se vogliamo bene a loro saremo ricambiati.

NON STANCARSI SE A VOLTE C'È DA «ALLACCIARE LE SCARPE»

Il gesto di «allacciare le scarpe» ad un ragazzo implica il chinarsi, il mettersi in ginocchio di fronte a lui. È simbolo di atteggiamento di servizio: ci ricorda che è sempre il ragazzo al centro del processo educativo. E ci rammenta che bisogna fare un po' di fatica e di sacrificio...

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STARE VOLENTIERI CON I RAGAZZI

Cioè non fare sentire loro che siamo lì temporaneamente come «in prestito», e che abbiamo una cosa più importante da andare a fare da un momento all'altro.

NON AGIRE MAI A TITOLO PERSONALE

Non aspettarti la riconoscenza da nessuno, che se poi c’è tanto meglio; però non lavorare per questa.

DEDICARE TEMPO AI RAGAZZI (NON È MAI TEMPO PERSO)

Dedicare tempo significa «dare valore» al ragazzo. Al di là della personalità e della

comunicatività che un animatore possiede, i ragazzi stanno volentieri con chi dedica loro tempo.

Ne subiscono spesso il carisma e lo imitano, lo cercano.

DARE NOME E COGNOME NELLA VITA AI COMPONENTI DEL PROPRIO GRUPPO

Impara presto e bene tutti i nomi dei ragazzi. Per educare è essenziale conoscere chi vogliamo educare, la sua storia, da che famiglia proviene, la sua cultura, la sua personalità, per sapere sempre come agire nei suoi confronti.

ESSERE UN PO' SPRINT, GIOIOSI...

Se noi siamo contenti non possiamo che essere «contagiosi». E poi quello che conta è lo spirito.

Se siamo «sprint» siamo giovani a tutte le età, viviamo la vita e non ci «lasciamo vivere», siamo spinti a creare amore intorno a noi ed avere anche la forza di rischiare per rendere grande un ideale.

NON VERGOGNARSI

Non sentirsi a disagio nel fare cose strane come balli, imitazioni di animali ecc… o ad essere uno dei pochi che compie la scelta di stare con i ragazzi, andando un po' controcorrente.

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AVERE VOGLIA DI MIGLIORARSI

Nel canto, nel ballo, nell'imparare nuovi giochi, nuove tecniche espressive e aumentare le proprie competenze ecc. Se l'animatore rappresenta un fondamentale strumento educativo, più lo strumento è efficiente, qualificato e più il suo uso sarà sempre più incisivo! Attenzione però a non esagerare! Va bene migliorarsi ma non essere invasivi ed egocentrici.

PENSARE CHE È MEGLIO FARE TROPPO CHE PENTIRSI DI NON AVERE FATTO

L'animatore non deve essere una presenza passiva, che subisce le iniziative e le attività. Non abbiate paura a «lanciarvi», anche se qualche volta non c’entrerete alla perfezione l'obiettivo.

Una cosa è certa: chi non agisce non sbaglia mai...!

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SCHEDA 0

In questo tempo siamo chiamati a metterci in gioco, a dare il nostro meglio per fare scoprire ai ragazzi la bellezza dello stare insieme e del condividere un progetto comune. Le attività estive sono divertimento, gioco di squadra, allegria ma sono soprattutto una straordinaria occasione educativa.

In ascolto della Parola Dal Vangelo secondo Matteo 4,18-22

Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono…

Per riflettere…

Nel Vangelo, Matteo ci narra la scena della chiamata dei primi quattro discepoli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. È interessante annotare che essa avviene non nel Tempio o in qualche luogo religioso e sacro, ma si svolge nella ferialità laica di un lavoro quotidiano molto umile: essi erano intenti a gettare le reti in mare, e l'Evangelista sottolinea infatti che erano pescatori. E ancora più interessante è considerare il fatto che la chiamata del Maestro non stravolge per nulla le loro attitudini ‘professionali', ma le porta ad un piano di perfezione superiore: quei pescatori da allora in poi diventeranno "pescatori di uomini". Essi erano dei modesti lavoratori, eppure proprio a loro Gesù affida una vocazione straordinaria: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini».

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Il centro del brano è molto chiaro: è seguire Gesù. E seguire Gesù è il centro della fede cristiana.

È seguendo lui che la fede diventa realtà, diventa rapporto personale con lui, non solo rapporto di amicizia ma di prassi: lo segui, fai lo stesso cammino, hai lo stesso risultato, diventi figlio. È proprio nel seguire Gesù che si realizza tutto. Seguire Gesù, però, non è un’iniziativa nostra.

Normalmente uno segue un maestro, sceglie il suo maestro, poi giustamente lo abbandona e diventa maestro lui. Ma non siamo noi a scegliere di seguirlo. Lo seguiamo perché chiamati. Il nostro seguire è una risposta alla sua proposta. La vocazione è essere chiamati, chiamati per nome questo mi fa capire chi sono io in realtà, non per gli altri, ma per Dio. I discepoli, così come noi, sono chiamati a essere strumenti di Dio che porteranno il Suo messaggio di salvezza agli altri.

Video riflessione : Intervista doppia di due giovani animatori

Link al video: https://youtu.be/dU1YqaveSq4

Musica

: La matita di Dio dal musical di Madre Teresa

«Tutto è stato opera di Dio. Niente è stato opera mia. Io non sono che una piccola matita nelle mani di Dio». In questa semplice frase è raccolta la vita di dono e di servizio di una piccola suora:

Madre Teresa di Calcutta. Lei ha dedicato ogni suo attimo ai fratelli più poveri, ha offerto una testimonianza viva e vera di ciò che significa essere missionari. Diventiamo anche noi tante matite nelle Sue mani per “scrivere Amore”.

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Testo:

Chi sei?

La matita fra le sue dita.

Chi sei?

Lui scrive e scorre la vita.

Chi sei?

Fa di noi le sue tante matite.

Siamo noi le sue tante matite con cui scriverà. Matite a volontà! Sei tu che scrivendo togli il dolore.

Sei tu, che scrivendo salvi chi muore. Sei tu che lottando scriverai bene.

Se l’amore è l’unica cosa che scriverai Amore a volontà!

La matita scorrerà sul foglio tante righe senza mai uno sbaglio, tanta vita e tanto, tanto amore.

La vita è bella. E tu l’ammirerai? La vita è un sogno. E ne farai realtà. La vita è sfida. E tu l’affronterai. La vita è un gioco. E tu la giocherai.

La vita è amore. E quindi ne godrai. La vita è un inno. E tu la canterai. E la vita è lotta. E tu l’accetterai.

La vita è un’avventura. E tu la rischierai. La vita è proprio vita. E la difenderai. Se l’amore è l’unica cosa che scriverai.

Amore a volontà Sei tu!

La matita fra le mie dita Sei tu!

Lui scrive e scorre la vita Sei tu!

Fa di noi le sue tante matite

Siamo noi le sue tante matite con cui scriverà.

Matite a volontà

Attività di gruppo

: Mi presento… sono l’animatore!

Obiettivo:

I presenti sono invitati a riscoprire il perché scelgono di vivere l’esperienza dell’essere animatori e dell’importanza di farsi dono per gli altri.

Svolgimento:

Singolarmente, ogni animatore sceglierà tra gli oggetti sparsi sul tavolo, quello che rappresenta il tipo di animatore che egli/ella vuole essere quest’anno.

In gruppetti, condividono la scelta.

Si rimane nei gruppetti di prima e viene chiesto loro di inventare una scenetta sul farsi dono per gli altri nella quotidianità come animatore.

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SCHEDA 1

Io, gli altri e il mondo

In questi mesi di smarrimento nei quali sembra sia scesa la sera … “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che ha paralizzato ogni cosa al suo passaggio … Ci siamo trovati impauriti e smarriti.”

Con queste parole Papa Francesco parlava al mondo, in una piazza San Pietro deserta e silenziosa, di una tempesta che ci ha colto di sorpresa smascherando le nostre vulnerabilità e lasciando scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. La pandemia, paradossalmente, si così trasformata in un’occasione di discernimento che ha svelato, come inutili, i tentativi di anestetizzare la nostra umanità riportandola invece sola con sé stessa di fronte a quella continua ricerca di senso e quella sete di Verità.

Ci stiamo così risvegliando da questa tempesta con una nuova consapevolezza e con occhi nuovi, capaci di cogliere la bellezza silenziosa della vita. Questa situazione è divenuta occasione per riabitare le nostre relazioni, come luogo di incontro e d’identità; riscoprire l’inscindibile rapporto che lega ogni essere umano alla natura e allo stesso tempo cogliere il creato come un dono di Dio da custodire.

In ascolto della Parola

Genesi cap. 1, (27-28. 31) cap. 2, 15

Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.

Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra».

Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno…. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.

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Per riflettere…

Il racconto della Genesi ci presenta l’irrompere dell’uomo nella storia del mondo come l’apice e il momento culminante di tutta la Creazione (“Dio vide che era cosa molto buona”) dove l’uomo, non è un qualcosa, ma “qualcuno” in quanto capace di conoscersi, possedersi e donarsi liberamente agli altri. L’uomo ha una dignità infinità (“A immagine e somiglianza di Dio”) perché porta in sé l’incipit della relazione.

Recuperare il senso profondo di questo racconto, significa allora recuperare il progetto originario di Dio, dove l’essere umano ritrova la sua vocazione, il suo legame con la terra, ma soprattutto si riscopre in relazione armoniosa con Dio, il prossimo e tutto il creato.

Nel “coltivare e custodire”, infatti, siamo chiamati a riabitare queste tre relazioni dalle quali non si può prescindere e che sono il presupposto non solo per maturare una vera coscienza ecologica, dove il creato deve essere accolto come un dono da proteggere e custodire, ma anche per ritornare a riscoprire l’altro, il prossimo, il diverso da me, come un dono nel quale e con il quale ogni essere umano, in un donarsi reciproco, conosce veramente se stesso.

Tutto è in relazione: la cura autentica della stessa nostra vita e della relazione con la natura è inseparabile così dalla fraternità. Trascurare l’impegno di coltivare e custodire una relazione corretta con il prossimo, verso il quale ho il dovere della cura e della custodia, distrugge e altera la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la Terra.

L’antropocentrismo dispotico, nel quale l’uomo moderno si rispecchia, spezza questa relazione circolare e guarda l’altro e il mondo come un qualcosa da possedere, soggiogare per giungere ad un benessere che non comprende la condivisione o la solidarietà, ma che si acquista a discapito di tutti e tutto.

(Dalla “Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune.” Capitolo 2 dal n° 62 al n°

100)

Segno

: Un mappamondo e un grande pacco regalo, rappresentano l’invito a riscoprire il creato come un dono da proteggere e custodire, attraverso la riscoperta di un nuovo modo di rapportarci e di guardare a noi stessi e di guardare agli altri.

Video riflessionedalla Terra dei fuochi: Paco Gioia, operatore Caritas della diocesi di Aversa.

Link al video: https://youtu.be/DydHNqAzz_M

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Musica: “Filosofia agricola" di Niccolò Fabi

Concetti solo apparentemente eterei e fugaci, che accolgono invece il senso della vita e quello altrettanto realista della morte uniti a un rispetto doveroso per la natura. Quella di Niccolò Fabi è una poesia minimalista, quasi naif, in cui l’autore non abbandona l’idea della propria caducità, ma anzi ne è pienamente consapevole, e se ne lascia attraversare per intero.

Testo:

Verranno giorni limpidi

Come i brividi Quest’anno Ritorneremo liberi Come quelli che

Non sanno

Chiaro è che non vincerò Contro i cumuli Di memoria

Ma il vento che li agita Sarà l’ultimo ad arrendersi E poi sarà bellissimo

Di te dipingermi l’interno Semmai potessi scegliere Io mi addormenterei d’inverno Più che felice e fertile

Se la filosofia diventa agricola La terra che ci ospita Comunque è l’ultima

A decidere

Se avessi meno nostalgia Saprei conoscere Godermi e crescere Invece assisto immobile

Al mio nascondermi

E scivolare via da qui Come l’acqua passerà…

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Attività di gruppo

: “Con gli occhi del cuore”

Obiettivo

Aiutare gli animatori a capire che l’altro è qualcosa che non ci appartiene e va custodito in profondità.

Introduzione

Il cambiamento al quale ci richiama il racconto della Genesi e al quale fa eco Papa Francesco nella “Laudato sì’”, deve nascere nel cuore, la sede della nostra intimità più profonda dove ognuno si confronta con i propri interrogativi, le proprie ansie e soprattutto dove accogliamo e custodiamo le persone a noi care.

Riconoscere l’altro come un dono che va accolto, significa vivere una relazione di donazione gratuita che non prevedere il contraccambio o il possesso dell’altro. Una relazione autentica è tale solo se è liberante per sé stessi e per gli altri anche e ciò comporta, molte volte, da parte nostra l’impegno ad abitare le relazioni e ad esserci nonostante tutto.

Spesso ci troviamo di fronte alla difficoltà dell’accogliere e del custodire: come lo vive il giovane? E’ disposto ad accogliere e custodire con un atteggiamento di gratuità?

Materiali Un cartellone

Svolgimento

Accogliere nell'amore l’altro, è un impegno. Quando però proviamo a pensare a come testimoniare un simile atteggiamento, le cose si complicano: perché per portare il peso dell'altro nell'amore bisogna, innanzitutto, mettersi in gioco ed attraversarlo.

Si mostrano agli animatori tre schede (o un cartellone), sul quale sono state disegnate tre immagini: uno specchio, un paio di occhiali e degli occhi. Queste saranno tre piste di riflessione che aiuteranno l'educatore nell'introdurre l'argomento: se dobbiamo davvero accogliere l'altro così com’è, custodendone il mistero, allora è necessario uscire da noi stessi.

Innanzitutto dobbiamo professare il nostro essere in uscita uscendo da noi stessi: il rischio, altrimenti, è quello di guardarsi allo specchio. Come questo ci riflette un'immagine pura, limpida, priva di imperfezioni rispetto a ciò che vediamo e perfettamente conosciuta, così un nostro tentare di capire l'altro prendendo a modello noi stessi può risultare fuorviante.

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Il prossimo sarà frastagliato, confuso, non ci garantirà le certezze che pensiamo di vedere in noi stessi: a noi non spetta il compito di capirlo né quello di decifrarlo. Noi dobbiamo solo abbracciarlo: non possiamo andare verso l'altro per poi sopportarlo nell'amore se ci aspettiamo noi stessi dall'altra parte; scadremmo in un atteggiamento egoista e narcisista.

Sicuramente, abbiamo bisogno di cambiare il nostro modo di pensare e di vedere la vita, le nostre convinzioni, il nostro modo di leggere la realtà: vivendo come se portassimo sempre un paio di occhiali con le lenti colorate. Noi siamo sempre convinti dell'esattezza nel nostro vedere i colori, ma spesso questi sono modificati dal colore delle lenti che indossiamo.

Solo che portandola da una vita, non ce ne rendiamo più conto: e quante discussioni e litigate nascono perché partiamo non dalle cose in comune, ma dal nostro modo di interpretare il momento? Non possiamo partire solo da noi stessi: amare l'altro significa partire proprio da lui.

L'atteggiamento che segue chi va verso l'altro con indosso i propri occhiali è quello del dito puntato, a giudicare secondo parametri che sono e rimangono suoi.

Invitare gli animatori a spostare l’attenzione da “quando io accolgo gli altri” a “quando gli altri mi hanno accolto e mi sono sentito amato”. Quante volte ho sperimentato nella mia vita un amore (un familiare, un amico, un educatore, un fidanzato, ecc…) paziente, ovvero un amore che cercava di comprendermi e che allo stesso tempo custodiva ciò che non riusciva a comprendere, senza pretendere di possedermi?

E qui arriva la terza immagine, quella degli occhi: l'esercizio migliore per allenarsi nell’accogliersi nell'amore è quello di provare a posare lo sguardo nella profondità di chi abbiamo di fronte.

Cercare la nostra immagine riflessa in quegli occhi può aiutarci a vivere quello che è il primo incontro, la prima soglia: esattamente lo sguardo del prossimo. Uno sguardo che non necessariamente si concentra su ciò che interessa a noi, che forse appare stanco, che può inumidirsi oppure mostrarsi diffidente. Tutto ciò ha importanza solo dopo che lo avremo cercato.

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Seconda parte

Si può provare a fare personalmente un elenco di cose che, secondo il giovane, gli altri si trovano o si sono trovati a dover un po’ sopportare di lui e che magari non sono del tutto capaci di spiegare. Condividere con il gruppo esclusivamente l’aggettivo che ha rappresentato lo stato d’animo in quella circostanza. Fare questo esercizio su sé stessi può aiutare il giovane a capire come tutti abbiamo l’opportunità di custodire l’altro in questo mistero profondo che non sempre è possibile spiegare, e può renderci più disponibili ad amare l’altro anche laddove facciamo fatica a capirne i limiti e a sperare anche lì dove sembra difficile.

Attività di gruppo: “Che valore?”

Obiettivo

Aiutare gli animatori a riconoscere il valore del prossimo e a vivere le relazioni mettendosi al servizio dell’altro.

Introduzione

“Stimare” vuol dire determinare il prezzo o il valore di un bene, valutare. Nelle relazioni che abbiamo con l’altro che moneta uso? Tratto l'altro come un oggetto o come un tesoro da custodire? Sono duro o benevolo nel valutarlo? Il binomio all'interno del quale ci muoviamo con questa attività è quello tra primeggiare a servire.

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Durata 90/120 min

Materiali

Monete (in fondo alla scheda, da ingrandire e stampare o sostituire con l’immagine di banconote)

Svolgimento Prima parte

Aiutare l’animatore a capire quando si stimi una persona, provando a individuare quali siano le persone della sua vita che maggiormente valuti positivamente e ad individuare quali ne siano i motivi. Si potrebbero individuare tre figure diverse, una famosa, una conosciuta da tutto il gruppo e una che conosce il singolo giovane, col quale egli ha una relazione più o meno profonda. Quali sono le caratteristiche che riescono a individuare in ciascuna di esse che fanno sì che ci sia stima?

Seconda parte

Verranno successivamente consegnate ai giovani tre monete ciascuno, di diverso valore e verrà chiesto loro di assegnare, ad ognuna delle tre figure, una delle monete.

Terza parte

Si inviteranno tutti a scrivere, su ciascuna moneta, il motivo della stima riversata in quella persona; ugualmente, si chiederà loro di pensare ad una persona poco stimata, cercando di riflettere sulle motivazioni di tale valutazione.

Domande per la riflessione:

o Per te cosa significa stimare qualcuno? Chi è che stimi davvero?

o Come tendiamo a valutare una persona?

o Quando “peso” l’altro, sono uno che va con un peso di piombo o sono benevolo?

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Laboratorio: “Con sorella luna e le stelle”

Per vivere la formazione come luogo d’incontro e occasione di riflessione, si potrebbe dare vita a un vero e proprio cineforum all’aperto (a mare, in montagna o anche nel campetto dell’oratorio) attraverso la visione di un film che stimoli il confronto e soprattutto aiuti gli animatori ad approfondire e ad interiorizzare la tematica. La scelta del film, ovviamente deve rispondere alle esigenze di ogni gruppo e alla luce delle modalità di svolgimento dell’incontro.

Filmografia suggerita:

“IL SALE DELLA TERRA” di Wim Wenders e Julien Ribero Salgado, 2014

Sebastiao Salgado è uno dei più grandi fotografi viventi che ha messo al servizio dell’uomo la sua arte e la sua volontà umanistica, per raccontare le contraddizioni della modernità e della sua esistenza ma soprattutto il modello di sviluppo che mette la merce davanti alle persone. Fu una missione umanitaria in Africa a trasformare quello che era un economista in un fotografo in bianco e nero che con libri e mostre ha ottenuto grande considerazione. Il film è la scoperta dei mondi che ci circondano e che spesso osserviamo in pochi secondi di news. Un film che diventa una sorta di preghiera laica dedicato alla moltitudine dell’altro. Dal genocidio del Ruanda al celebre reportage dei cercatori d’oro in una valle di fango, Salgado e gli autori del documentario ci ricordano come l’uomo pensante sia l’animale più crudele della terra. Il documentario non è solo denuncia ma ha anche una sua componente di proposta. Salgado dopo aver constatato l’inumanità del mondo aveva smesso di fotografare. Ma poi grazie alla moglie – scrive Morandini – che “gli propone di riforestare le terre di proprietà della famiglia, trasformate in un deserto da anni di siccità, Salgado scopre che – con anni di duro lavoro – ritrasformando la terra arida nella foresta verde che era un tempo, torna anche la pioggia.

Capisce così che l’uomo può distruggere la vita, ma può anche crearla e torna a fotografare, a ritrarre la natura, gli animali, la Terra”. Il titolo del documentario fa riferimento ad un passo del Vangelo di Matteo “Sei il sale della terra. Ma se il sale perde la sua salinità, come può essere reso di nuovo salato? Non è più buono a nulla, tranne che ad essere buttato fuori e calpestato”. Salgado in portoghese significa “qualcosa di salato”.

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“AVATAR” di James Cameron, 2009

Il film ha contribuito a far aumentare le consapevolezze e il senso comune ecologico e della sostenibilità ambientale. Fantascienza ambientata nel 2154 anche se c’è chi distingue che si tratta di una fiaba ecofantastica. Un ufficiale paraplegico viene mandato sul pianeta Pandora per costituire una formazione di avatar artificiali che combattano contro gli indigeni Na’vi’ per allontanarli dal pianeta e poter disporre del prezioso unobtainium. Una natura che si ribella all’uomo e ne difende le fondamenta. Il film diventa così una perfetta metafora della lotta tra l’uomo bianco, predatore delle risorse della natura, e le popolazioni indigene che quasi sempre soccombono in una lotta impari.

“ERIN BROKOVICH – FORTE COME LA VERITÀ” di Steven Soderbergh, 2000

Legal movie di impegno civile hollywoodiano e di denuncia che arriva forte e d’impatto senza comizi grazie ad un fatto realmente accaduto. Una single, con tre bambini disoccupata, trova lavoro grazie ad un avvocato che ne aveva curato i diritti in una causa. La neofita segretaria per caso trova in un faldone dei dimenticati documenti che provano le colpe di un’industria californiana che ha scaricato una sostanza nociva nella falda acquifera provocando molti tumori.

Palpitante la fase delle ricerche delle prove che sfocia in una gigantesca class action nei confronti di chi ha sostenuto il falso contro la salute pubblica e di chi abita nelle case povere delle province di distretti industriali, che vedono l’americano medio messo in scacco da chi ha al suo servizio potenti studi di avvocati.

“MISSION” di Roland Joffè, 1986

Il film mette al centro il rapporto dell’uomo occidentale e lo sfruttamento e l’espropriazione dei popoli nativi. Un mercante di schiavi spagnolo in cerca redenzione, si unisce alla missione fondata da un gesuita in Sud America con lo scopo di convertire i nativi al cristianesimo e di preservarne le loro abitudini battendosi per evitare che diventino gli schiavi delle piantagioni dei latifondisti europei. Il film si basa su fatti realmente accaduti. Un film pieno di forza epica, di respiro storico, di tensione morale”. Quando vinse a Cannes, nel 1986, molti storsero il naso.

Ma la verità è che questa storia di una comunità di gesuiti assediata insieme agli indios nel Sudamerica alla metà del Settecento è di straordinaria forza emotiva.

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“DOVE SOGNANO LE FORMICHE VERDI” di Werner Herzog, 1984

Ambientato nel deserto australiano, riguarda la vicenda di un territorio conteso tra una compagnia mineraria e i nativi aborigeni con un geologo che si mette dalla parte dei nativi.

Conflitto tra culture che trova nella trama un punto significante nella causa giudiziaria complicata dai problemi di comunicazione dell’unico sopravvissuto di una tribù della quale nessuno conosce la lingua o quando gli aborigeni chiedono di poter far entrare nell’aula un loro oggetto sacro rimasto seppellito per secoli e ottengono che l’aula di giustizia si svuoti. Il film è nato dalla conoscenza del regista della reale vicenda, riadatta in un film che ha anche un profondo rispetto del Sacro.

“INTO THE WILD - Nelle terre selvagge” di Sean Penn, 2007

Into the wild è la libera trasposizione del libro di Jon Krakauer "Nelle terre estreme". Il tema della fuga ma soprattutto quello dell'inseguimento di un qualcosa che faciliti la conoscenza di sé e la ricerca della libertà, fanno da cornice alla vera storia di Christopher McCandless, un giovane benestante che rinuncia a tutte le sue sicurezze materiali per immergersi all'interno della natura selvaggia. Una figura tormentata che non viene dipinta né come giovane avventuriero né come idealista ingenuo. Il film ha una valenza politica nonostante questo non sia l'intento di base. Alle volte, si trasforma in un vero e proprio atto di fede il cui credo fugge da tutto ciò che è religioso in senso stretto per trovare sfogo in una dimensione che è solo e unicamente personale. Tutti le persone che Chris incontrerà lungo il suo peregrinare oltre a colmare un vuoto familiare, fonte di profonde sofferenze, amplificano l'idea di un percorso a stadi funzionale a liberarsi da qualsiasi dipendenza da ogni tipo di comfort e privilegio.

Bibliografia suggerita:

La resilienza del bosco” di G. Vacchiano (Mondadori)

Ogni bosco rivela storie di connessioni: tra alberi e alberi, tra alberi e animali, tra alberi e acqua, o aria, o fuoco. Tra alberi e uomini. E anche, tra uomini e uomini. Dimostrando quanto siamo immersi negli ecosistemi che ci danno la vita. Siamo in relazione con ogni loro elemento. Che ne siamo consapevoli o meno, noi siamo una loro causa e un loro effetto. Le storie che Vacchiano racconta parlano di piante, boschi, foreste, ma soprattutto di noi, di come sapremo immaginare il nostro futuro in relazione all'ambiente che ci circonda.

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“Io, morto per dovere. La vera storia di Roberto Mancini, il poliziotto che ha scoperto la terra dei fuochi” di Nello Trocchia, Luca Ferrari, Monika D. Mancini (Chiarelettere)

Un uomo sapeva già tutto del disastro ambientale nella cosiddetta Terra dei fuochi. Vent'anni fa conosceva nomi e trame di un sistema criminale composto da una cricca affaristica in combutta con la feccia peggiore della malavita organizzata e con le eminenze grigie della massoneria.

Aveva scritto un'informativa rimasta per anni chiusa in un cassetto e ritenuta non degna di approfondimenti, ha continuato il suo impegno depositando, nell'ultimo periodo della sua vita, un'altra informativa. Quest'uomo si chiamava Roberto Mancini, è morto il 30 aprile 2014, ucciso da un cancro. Sarà riconosciuto dal ministero dell'Interno come "vittima del dovere". Un giovane poliziotto cresciuto tra le fila della sinistra extraparlamentare negli anni confusi e violenti della contestazione. Manifestazioni, picchetti, scontri di piazza, poi la scelta della divisa, per molti incomprensibile e spiazzante, per Mancini del tutto naturale. Una grande storia di passione, impegno e coraggio. Questo libro finalmente la racconta tessendo insieme con delicatezza e profondità le testimonianze dei colleghi e della famiglia (la moglie Monika, che ha collaborato alla stesura, la figlia Alessia, che aveva tredici anni quando il papà è morto), i documenti, oltre dieci anni di lavoro alla Criminalpol e la voce stessa di Mancini, che restituisce la sua verità e tutto il senso della sua battaglia umana e professionale.

“C'era una volta il re Fiamma. La Terra dei fuochi raccontata dai bambini” di Angela Marino (Round Robin Editrice)

Angela Marino ha raccolto negli ultimi anni temi e disegni nelle scuole del cosiddetto "Triangolo della morte" della Campania, stando a diretto contatto con insegnanti, genitori e alunni. Dai loro lavori si può capire quanto l'inquinamento, la malattia, la morte siano diventati nella loro immaginazione dei moderni mostri, simili a quelli che nelle favole tradizionali personificano il male.

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SCHEDA 2

“Coltivare e custodire i sogni”

“Voi giovani dovete sognare alla grande”, questo l’appello del Papa che si lega perfettamente all’esperienza di Francesco d’Assisi quando del suo sogno ne ha fatto una regola di vita, spogliandosi e liberandosi di tutti i suoi averi per servire gli ultimi.

Molto spesso i giovani si chiedono quali siano i loro sogni, come poterli realizzare, cosa fare per raggiungerli, ricevendo però dagli adulti risposte deludenti e scoraggianti. Tutti i sogni sono importanti ma quelli dei giovani vanno oltre, sono la speranza per un mondo migliore, il coraggio di portare avanti le proprie scelte nonostante tutte le difficoltà possibili, e per questo che gli adulti ne hanno paura. Hanno paura perché sanno che potrebbero andare lontano o semplicemente perché hanno smesso di sognare.

Molte volte infatti i sogni dei giovani, i loro ideali, le loro battaglie si scontrano con il mondo degli adulti ormai anestetizzato, profondamente segnato dalla logica del guadagno, del consumismo ossessivo, dalla mercificazione della natura e dell’uomo stesso. Una visione della vita squilibrata e incapace di dare ascolto alle nuove generazioni o di preoccuparsi per il loro futuro.

Lo scambio intergenerazionale così invece di sostenere e dare contenuto ai sogni dei giovani, finisce invece per svuotarli e appiattirli, dando vita ad una generazione liquida, incapace di maturare e fare scelte di vita, ma soprattutto di avere e restare fedeli a degli ideali o peggio ancora spendersi per essi.

Aiutare i giovani a sognare significa entrare nella loro vita per trasmettere loro il coraggio, la speranza, la resilienza nel perseguire i loro progetti e la loro idea di mondo; significa sostenerli nel loro cammino di crescita umana, sociale, politica ma soprattutto accompagnarli alla scoperta di quella dimensione spirituale nella quale, come Francesco D’Assisi, possono riscoprire l’arte e l’importanza nel “coltivare e custodire” la loro visione della vita, del mondo e i loro sogni

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In ascolto della Parola

Dal Vangelo secondo Matteo 13, 44-46

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Per riflettere…

Le due immagini evangeliche del tesoro e della perla preziosa vogliono spingere il nostro orizzonte al di là della realtà che ci circonda, delle nostre certezze sulle quali strutturiamo le nostre scelte di vita, ma soprattutto da quella cultura e da quella visione del mondo dove la ricerca della felicità e dell’auto-comprensione di ognuno di noi, si realizza solo attraverso la logica del guadagno e del possesso, che generano, a loro volta, vite svuotate da ogni ideale, schiacciate da un consumismo sfrenato dove l’uomo è contemporaneamente, predatore e preda di se stesso. Così nella dinamicità dell’uomo che trova il tesoro e del mercante che trova la perla preziosa, ritroviamo un agire inverso rispetto alla logica dominante, dove la scoperta di ciò che rende e fa veramente bella la nostra vita rimanda ad un nuovo approccio con gli altri e il mondo, perché genera il desiderio e l’esigenza di liberarsi da tutto ciò che appesantisce la vita e ne distorce il suo significato. Questa esigenza radicale ci fa paura perché si contrappone alla cultura del benessere della nostra società. Nel cuore ricolmo di gioia, dell’uomo che trova il tesoro, ritroviamo così la riscoperta dell’importanza anche dei nostri sogni, dei nostri progetti aperti al mondo, ma soprattutto del sogno a cui Dio ci chiama. Ma più di ogni altra cosa ritroviamo il coraggio di sognare, di credere che nel sogno c’è la nostra vita, il nostro futuro, la nostra possibilità di cambiare il mondo, di riprogettare il nostro cammino e il nostro impegno. Ecco perché le parabole rimandano all’esigenza di liberarsi dalla logica della comodità nella quale molto spesso gli adulti risucchiano le vite dei giovani, per vivere questa gioia fino ad andare controcorrente, a spingere il nostro sguardo oltre l’egoismo, per sognare e fare grandi i nostri sogni coltivandoli e custodendoli nel nostro cuore, ma con la consapevolezza che la loro realizzazione passa dalla nostra capacità di renderli inclusivi, aperti e condivisi agli e al mondo.

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Segno

: Zaino pieno di stelle, rappresenta i progetti, i sogni, il nostro immaginare il futuro.

Come quando si parte per un viaggio, siamo chiamati però a discernere e mettere alla prova i nostri sogni, per capire se ne vale la pena realizzarli.

Video riflessione: Giacomo Pigni, giovane volontario dell'Auser Ticino-Olona neo Cavaliere della Repubblica.

Link al video: https://youtu.be/Ghhq14Hf21Y

Per stimolare e offrire diversi spunti di riflessione, si potrebbe aprire l’incontro, o in un altro momento, attraverso la lettura, sottoforma di monologo a due voci, del testo allegato tratto dal libro di Alessandro D’Avenia: l'arte di essere fragili

Dove sono finite le passioni felici, profonde, durevoli? È ancora possibile risvegliarle in noi o sono definitivamente perdute? Esiste un metodo per la felicità duratura, uno stare al mondo che dia il più consenso possibile alla vita senza rimanere schiacciati dalla sua forza di gravità, senza soccombere a sconfitte, fallimenti, sofferenze, anzi trasformando questi ultimi in ingredienti indispensabili a nutrire l'esistenza? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un'arte della gioia quotidiana?

Arte è ciò che chi ha talento per la vita, cioè tutti ma proprio tutti, può imparare a migliorare giorno per giorno, perché ogni tappa sia illuminata, guidata e riscaldata da un fuoco che non si spegne, quello della passione felice di essere al mondo come poeti del quotidiano e non stremati superstiti o pallide comparse.

Pensiamo alle stelle: nessuno di noi si sottrae al rito delle stelle cadenti, perché almeno una notte ogni anno tutti vogliono sentirsi parte di una storia infinita, nella quale al cadere di una stella si leva un desiderio, come se i nostri sogni fossero collegati con i movimenti dell'universo secondo una logica perfetta. In quel momento sentiamo di meritare la bellezza e si fa strada in noi la fiducia che la vita quotidiana possa diventare il terreno fertile per coltivare i nostri desideri, perché fioriscano. Sono attimi che mi piace definire di

“rapimento”, improvvise manifestazioni dalla parte più autentica di noi, quel che sappiamo di essere a prescindere da tutto: risultati scolastici o universitari, successi lavorativi, giudizi altrui e l'esercito minaccioso di fatti che vorrebbero costringerci entro i confini della triste ragione dei senza sogni. In una notte di stelle la parte più vera di noi cerca di farsi spazio, anche se spesso ci affrettiamo a convincersi che sia stato solo un gioco o un sogno

“campato in aria”. Ma in realtà, io vi dico che la parte più vera di noi è una casa da poter abitare ovunque, con le fondamenta al contrario, appese a una stella, non cadente, ma luminoso riferimento per la nostra navigazione nel mare della vita.

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Solo la fedeltà al proprio rapimento rende la vita un'appassionante esplorazione delle possibilità e le trasforma in nutrimento, anche quando la realtà sembra sbarrarci la strada.

Si può lottare per essere felici quando tutto il mondo resiste e la corrente è contraria. Se un seme non spera nella luce non mette radici, ma sperare è difficile, perché richiede consapevolezza di sé, apertura e tanti fallimenti. Sperare non è il vizio dell'ottimista, ma il vigoroso realismo del fragile seme che accetta il buio del sottosuolo per farsi bosco.

Un adolescente senza meraviglia è un adolescente senza rapimento, come un'arte senza meraviglia è tecnica fredda o provocazione effimera. Quando ci si meraviglia appare uno splendore ancora impreciso, che spinge la nostra attenzione ad andare oltre. Meravigliarsi è, infatti, come presentire o intravedere un'intera storia in un primo sguardo quando ci si innamora.

L'adolescenza si vive appieno attraversando fino in fondo la crisi che riempie di interrogativi, quali? Come si fa a vivere, come si fa a sognare, come si fa ad amare, come si fa a trovare Dio, come si fa a trovare la propria strada, come si fa a non soccombere di fronte al dolore...Così mi sono convinta che gli adolescenti non hanno domande: sono domande.

E' nell'eccesso dell'adolescente che si mostra e si nasconde il fuoco della speranza o della disperazione. Uno crea, l'altro distrugge. Ma è lo stesso fuoco.

L'adolescenza è la tappa dell'informe che cerca la forma, del caos che cerca l'ordine, della speranza che cerca l'esperienza e dell'impossibile che cerca il possibile.

Ma come si fa a rimanere fedeli al proprio rapimento, come si fa a continuare a sperare senza perdersi, schiacciati dai limiti che la vita impone? Solo spaccando quell'armatura di paure che impedisce di capire che l'arte da imparare in questa vita non è quella di essere invincibili e perfetti, ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili e imperfetti.

Solo la bellezza crea speranza nel cuore e nella mente dell'uomo. La modalità con cui lo fa è duplice: maestà e semplicità. Sembrerebbero in contraddizione, ma in realtà sono solo due manifestazioni della pienezza, del compimento, della fioritura dell'essere. Che cosa è più maestoso di una stella e più semplice della sua luce? La vita non è mai povera, povero è il nostro sguardo, incapace di leggere la realtà su più livelli, perché non sono attivati i nostri spazi interiori più profondi.

Se l'adolescenza è l'età fatta per scoprire per cosa valga la pena vivere, la maturità è il momento in cui ci si scontra con ciò che, nella vita di tutti i giorni, ci fa sperimentare la morte mentre cerchiamo di realizzare ciò per cui vale la pena vivere: un progetto, una relazione, un lavoro... Le due vie che si aprono alla maturità sono: creare e distruggere.

Distruggere è l'atto creativo di chi ha perso speranza nella propria originalità, nel bello che è venuto a portare nel mondo, nella novità che è per sé e per gli altri. A distruggere ci si può

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dedicare con lo stesso slancio e trasporto del creare.

Solo l'amore ci perdona di essere come siamo. Quegli occhi che fra milioni si posano solo su di noi, come a dirti “scelgo di guardare te, tra tutti” ci tirano fuori dall'anonimato, dalla terra degli sbagliati e degli invisibili, aggiungendo la dimensione della profondità alla nostra vita, perché ci raggiungono dove originiamo. Quello sguardo ci perdona di essere come siamo, ci permette di abbassare le difese per lasciarci amare, ci rivela che andiamo bene così, con le nostre insufficienze e fragilità. E la prima cosa che racconteremo a quegli occhi a tu per tu non sarà certo quanto siamo bravi e belli, i nostri risultati, ma proprio quanto siamo piccoli e fragili, perché finalmente abbiamo trovato qualcuno capace di guardare la nostra nudità senza farci sentire nudi, bensì vestiti proprio di noi stessi. L'amore non si riduce a un moto di reazione; è azione: risponde a un appello e prende l'iniziativa, liberamente, lotta per rendere quel valore ancora più reale.

Non possiamo avere un destino e una destinazione, senza un amore che abbia fede in noi prima che noi in lui. Questo amore, io l'ho trovato in Dio.

Forse se ognuno di voi questa sera spegnesse tutte le luci e guardasse il cielo in silenzio, saprebbe che la bellezza e la gratitudine ci salvano dallo smarrimento.

Forse sapreste che solo uno è il metodo della faticosa ed entusiasmante arte di dare compimento a se stessi e alle cose fragili, per salvarle dalla morte: l'amore.

Questo è il segreto per rinascere. Questa è l'arte di essere fragili.

Musica: “Sono sempre i sogni a dare forma al mondo” di Luciano Ligabue

Sono sempre i sogni a dare forma al mondo. Con questa frase Luciano Ligabue, ci riporta a rileggere ed a reinterpretare i nostri sogni come la possibilità, l’occasione per cambiare la realtà in cui viviamo: sono i sogni a fare il mondo. L’autore in quell’: "Io non lo so”, dà voce a quella ricerca di senso, a quel Mistero che abita i nostri sogni e la nostra stessa vita e che ci chiama a trasformare i nostri sogni, i nostri progetti nell’opportunità di dare forma al mondo: tutte le imprese, tutte le cose realizzate, qualsiasi cosa abbia plasmato il mondo nel quale viviamo è passata attraverso il sogno di qualcuno che poi l’ha realizzato. Accostando sogno e realtà si riesce ad avere una visuale dall’alto che consente di individuare tutte le possibilità e di fare le scelte più accurate per concretizzarle. È importante vivere i sogni, perché ci permettono di guardare con occhi sempre nuovi il frammento di mondo che vorremmo creare o cambiare, senza stanziarsi in una speranza illusoria che non porta a nulla. Il sogno nasce dal cuore, prende forma nella mente ed è solo lavorandoci, modificandolo e ricreandolo che possiamo farlo crescere e avvicinarlo alla realtà.

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Testo:

Io non lo so quanto tempo abbiamo quanto ne rimane Io non lo so che cosa ci può stare Io non lo so chi c’è dall’altra parte non lo so per certo So che ogni nuvola è diversa so che nessuna è come te

Io non lo so se è così sottile il filo che ci tiene Io non lo so che cosa manca ancora Io non lo so se sono dentro o fuori se mi metto in pari So che ogni lacrima è diversa so che nessuna è come te Sono sempre i sogni a dare forma al mondo sono sempre i sogni

a fare la realtà sono sempre i sogni a dare forma al mondo e sogna chi ti dice

che non è così

e sogna chi non crede che sia tutto qui Io non lo so

se è già tutto scritto come è stato scritto Io non lo so che cosa viene dopo Io non lo so

se ti tieni stretto ogni tuo diritto

So che ogni attimo è diverso so che nessuno è come te

E a giornata finita a stanchezza salita a salute brindata provi a fare i conti A giornata finita alla fine capita a preghiera pensata tu ti prendi il tempo che

sono sempre i sogni a dare forma al mondo sono sempre i sogni a fare la realtà sono sempre i sogni

a dare forma al mondo e sogna chi ti dice che non è così e sogna chi non crede che sia tutto qui

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Attività di gruppo: “Ti racconto il mio sogno.”

Obiettivo

Aiutare gli animatori a capire che i sogni si “coltivano e custodiscono” attraverso la loro condivisione con gli altri per imparare a farli crescere e a realizzarli.

Introduzione

Ciò che caratterizza i giovani è la loro vitalità, la loro voglia di vivere il mondo ma soprattutto di cambiarlo, renderlo sempre migliore e più giusto rispetto a come l’hanno trovato.

Il loro cuore è così abitato da tanti progetti, tanti sogni, idee che molto spesso si frantumano facendo i conti con la realtà o perché, nel loro cammino di crescita, non hanno trovato maestri (adulti) capaci di sognare insieme a loro, di sostenerli nel mettere alla prova i loro sogni, finendo anzi per risucchiarli nella logica dell’egoismo e del disimpegno sociale, fino a soffocare così i loro propositi.

“Coltivare e custodire” i propri sogni, diventa così l’esercizio quotidiano di chi, con uno sguardo sempre attento alla realtà che vive, non perde mai la speranza e trasforma il suo progetto, non nella ricerca della propria comodità, ma nel luogo dove si può ricercare e costruire il bene comune.

Tutto ciò rende “grandi” i nostri sogni perché li rende capaci di essere fecondi, attraverso una condivisione che include gli altri (perché coinvolti o perché beneficiari) ma che allo stesso tempo genera speranza ed entusiasmo nel cuore di chi inizia a progettare la sua vita e i suoi sogni e in con loro che continuano a spendersi per essi.

Svolgimento:

Vengono invitati, come testimoni, alcune persone che hanno coltivato e fatto dei loro sogni l’occasione per rendere migliore le proprie comunità, perché resilienti e animati da una grande speranza con la quale hanno saputo superare ogni difficoltà. Ad esse verrà chiesto di

raccontare e dare voce alla passione con la quale sono riuscite a realizzare i loro progetti e che continua a caratterizzare il loro impegno. Si tratta così di dare vita ad un confronto

intergenerazionale per poter cogliere nella vita dell’altro, l’incipit per imparare a “coltivare e fare tesoro” dei propri ideali e delle proprie scelte di vita. Sarebbe opportuno, pertanto, coinvolgere persone impegnate in diversi ambiti: politica, cura dell’ambiente, scuola, volontariato, imprenditoria e impegno ecclesiale.

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Questo momento di confronto può svolgersi con due modalità:

Se i testimoni sono due o uno, vengono presentati e prendono la parola una per volta:

Tempo dell’ascolto. Successivamente gli animatori avranno la possibilità di interagire con loro attraverso delle domande libere: Tempo del confronto.

Se i testimoni sono tre o più di quattro, gli animatori vengono suddivisi in sottogruppi tanti quanti sono i testimoni invitati. Ciò permetterà una maggiore interazione e di conseguenza la possibilità di cogliere e conoscere e capire meglio il testimone, le sue scelte e il suo sogno.

In entrambe le modalità, per coinvolgere e presentare in modo creativo i testimoni, si potrebbe creare un’ambientazione che racconti la vita, le scelte e il sogno degli stessi. In questo caso sarà necessario contattare prima dell’incontro gli ospiti (testimoni) e chiedere loro di far aver agli organizzatori, i seguenti materiali attraverso i quali si racconteranno:

Una foto da bambino

Una foto a lavoro (può essere anche un'immagine che dia l'idea del loro lavoro) Una foto di una persona importante nella loro vita

Una foto di famiglia

La canzone preferita che lo rappresenta Citazione di un film o libro preferito

Una frase che esprima un consiglio da lasciare ai giovani.

Laboratorio: “Con sorella luna e le stelle

Per vivere la formazione come luogo d’incontro e occasione di riflessione, si potrebbe dare vita a un vero e proprio cineforum all’aperto (a mare, in montagna o anche nel campetto dell’oratorio) attraverso la visione di un film che stimoli il confronto e soprattutto aiuti gli animatori ad approfondire e ad interiorizzare la tematica. La scelta del film, ovviamente deve rispondere alle esigenze di ogni gruppo e alla luce delle modalità di svolgimento dell’incontro.

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SELMA – LA STRADA PER LA FELICITÀ (2014) Regia di Ava DuVernay

Dai tormentosi viaggi sulle navi negriere alla marcia per la libertà in Alabama, passano circa 450 anni di storia. 450 anni bui per il popolo afroamericano, neri, come la tratta che tra il XVI e il XIX secolo li condusse forzatamente in America, come schiavi al servizio dei bianchi. Ma nella primavera del 1965, una serie di eventi drammatici cambiò per sempre la storia americana e il concetto moderno di diritti civili, quando un gruppo di coraggiosi manifestanti, capitanati da Martin Luther King Jr., portò a termine una marcia pacifica in Alabama, da Selma a Montgomery, per ottenere l’imprescindibile diritto umano al voto per la popolazione di colore.

L’iniziativa della marcia fu naturalmente ostacolata dai vertici conservatori del potere politico, che cercarono di reprimerla con la forza. La violenza degli scontri, gli attacchi sanguinari contro i manifestanti, la determinazione e la fede della gente nelle strade, sono drammaticamente messi in scena da Ava DuVernay, che ha voluto raccontare questa pagina incancellabile della storia con un’immediatezza senza compromessi, per dare un affresco vivido e realistico della battaglia di un’ intera comunità e della battaglia personale, tutta interiore, del Dr. King, rappresentato non solo icona come di coraggio, ma anche come uomo con dubbi e incertezze, angosce e timori, accanto a determinazione, fede e autorità, smontando il mito del leader e ponendo l’accento sull’aspetto umano, reale, dando un taglio psicologico alla narrazione. Ma il film non è incentrato solo sulla figura di King: protagonista è anche la gente che ha reso possibili i suoi tre mesi a Selma, senza la quale non si sarebbe arrivati al Voting Act del 1965, conquista di un movimento collettivo, e non lavoro di un solo uomo. La pellicola porta poi finalmente alla luce le storie vere di donne coraggiose, cuore pulsante del movimento: Annie Lee Cooper che colpisce con un destro lo sceriffo stendendolo al suolo, Amelia Boynton, malmenata brutalmente durante la prima marcia, Coretta Scott, moglie di King, donna stoica e coriacea, nonostante le indicibili sofferenze cui è costretta. “Selma” arriva al pubblico come un pugno sul cranio, con un’immediatezza viscerale. Non è un film sul dramma di un popolo, è universale, rompe gli argini e si estende a qualunque genere, razza o religione.

LA RICERCA DELLA FELICITÀ (2006)

Chris Gardner (Will Smith) è un venditore pieno di iniziativa nella San Francisco degli anni '80.

Suo figlio Christopher (Jaden Smith) lo adora, mentre ha qualche problema con la compagna.

Molto dipende dal fatto che Chris non riesce a fare fortuna e, quando la moglie li abbandona, Chris e il piccolo vanno a New York, ma le cose, se possibile, peggioreranno. Per Chris la strada verso la propria realizzazione e la felicità si fa sempre più difficile... Non solo uno dei film motivazionali più belli in assoluto, ma anche di crescita personale, sul lavoro e sulla vita e con un gran significato, che raccontano come non si deve mollare mai: esordio all'estero alla regia per Gabriele Muccino, che con La ricerca della felicità racconta il sogno americano discostandosi dal suo cinema più conosciuto. Will Smith regge interamente sulla sua figura un'opera di grande speranza e che trasmette la determinazione per non mollare mai.

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IL DIRITTO DI CONTARE (2016) Regia di Theodore Melfi

"Il diritto di contare" è basato sul romanzo di Margot Lee Shetterley, “The Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race”, e s’incentra sulla storia delle tre donne afro-americane, calcolatrici nel campus aereospaziale della NASA a Langley, Virginia, dove il loro talento, le loro capacità e l’ardente desiderio di riscatto hanno posto le basi per la vittoria americana della competizione per lo spazio contro l’allora Unione Sovietica. Si tratta in particolare della matematica Katherine Johnson, l’ingegnera Mary Jackson e la responsabile del settore IBM Dorothy Vaughn, rispettivamente interpretate da Taraji P.

Henson, Janelle Monáe e Octavia Spencer. Le vicende si sviluppano sullo sfondo degli Stati Uniti anni Sessanta: è il periodo della segregazione razziale, nonostante i proclami e i primi provvedimenti governativi e presidenziali; di JFK e Martin Luther King, della sua battaglia per il riconoscimento dei diritti civili della popolazione afro-americana; degli episodi di violenza, delle forti contraddizioni, della Guerra Fredda, della corsa al predominio aereospaziale; gli anni che prefigureranno i grandi movimenti di protesta del ’68, e l’impresa di Armstrong nel ’69. In questo scenario si inseriscono le ambizioni, la rassegnazione, le delusioni, i sogni di queste tre geniali donne e, con loro, di tutta la comunità afro-americana.

L’ATTIMO FUGGENTE (1989) Regia di Peter Weir

Il professor John Keating, docente di letteratura che nel 1959 arriva nell'austero e conformista collegio maschile di Welton in Vermont. Appassionato di Walt Whitman, Keating tiene infiammate lezioni di poesia e invita i suoi giovani studenti a esprimere liberamente creatività e aspirazioni. I ragazzi sono rapiti dai suoi insegnamenti e rifondano la clandestina "Setta dei poeti estinti" (Il titolo originario del film è "Dead Poets Society"). Presto però i metodi del professore entrano in collisione con le rigide regole del collegio e dopo il tragico suicidio di uno dei ragazzi Keating è allontanato. Ma prima di andare via, riceverà dagli studenti un commovente omaggio.

La pellicola è un inno alla ribellione e al libero pensiero ed esalta la potenza salvifica della poesia. Indimenticabile la scena in cui il professore invita i ragazzi a "cogliere l'attimo" e la sequenza finale in cui i ragazzi salgono sui banchi e salutano Keating pronunciando il verso di Whitman "O capitano! Mio capitano!".

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