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GOVERNO DEL TERRITORIO E DISCIPLINA GIURIDICA DEI BOSCHI E DELLE AREE PROTETTE

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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments       71 (2): 67‐68, 2016 

© 2016 Accademia Italiana di Scienze Forestali 

PRESENTAZIONE DEL VOLUME

GOVERNO DEL TERRITORIO E DISCIPLINA GIURIDICA DEI BOSCHI E DELLE AREE PROTETTE

Il 3 marzo u.s. all’Accademia Italiana di Scienze forestali è stato presentato il volume “Governo del territorio e disciplina giuridica dei boschi e delle aree pro- tette” scritto dall’accademico Alberto Abrami e pubblicato da Aracne Editrice.

Sono intervenuti Giovanni Cordini, Alberto Germanò, Carlo Alberto Graziani e Michele Sanfilippo.

Il titolo del libro evidenzia che per governare il territorio è necessario, anzi indispensabile, far riferimento a una specifica disciplina giuridica in grado di indi- care i criteri e gli obblighi che devono essere rispettati dai responsabili della ge- stione dei boschi e delle aree protette. La materia è assai complessa per gli argo- menti in questione, soprattutto in un momento in cui si sono verificati importanti e decisivi cambiamenti negli organi di controllo del settore forestale. I relatori si sono soffermati su questi cambiamenti con varie argomentazioni.

Da sinistra a destra: A. Germanò, O. Ciancio, G. Cordini, C.A. Graziani (foto M. Gajo).

Bisogna però anche dire che in un momento di profondi cambiamenti am- bientali, economici e sociali il legislatore si è posto il problema se continuare a percorrere la strada del passato o immettersi in una autostrada per accelerare in senso gestionale le necessità che emergono sul piano operativo con grande rapi- dità e alle quali si aggiungono i mutamenti culturali avvenuti a partire dagli anni settanta del secolo scorso.

Nella coscienza della società civile il governo del territorio è divenuto un

punto focale sul quale forse non si pone sufficiente attenzione. È utile ricordare

che per un ventennio, a partire dagli anni cinquanta, si è operato con rilevante

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68 O. CIANCIO IFM LXXI – 2/2016

impegno e con principi tecnici di notevole valore al fine di riportare il bosco laddove era scomparso per i danni verificatisi nel corso e a seguito del secondo conflitto mondiale. La difesa del suolo in quegli anni è stato un motivo di asso- luta urgenza. La creazione di altre aree protette è divenuta patrimonio culturale e ha acquisito la volontà degli organismi territoriali di operare in tal senso. Lo mettono in evidenza i principi esposti nel libro in esame.

L’A. è un giurista che conosce molto bene i problemi del territorio per aver insegnato nell’Università di Firenze e, in particolare, nella Facoltà di Agraria.

Dalla lettura del libro questo dato emerge con chiarezza ed è elemento caratte- rizzante del testo. L’analisi di alcuni importanti argomenti che hanno portato a contrasti significativi tra Stato e Regioni, talvolta appianati e chiariti dalla Corte Costituzionale, dicono chiaramente come la gestione del bosco sia stata da sem- pre motivo di studio giurisdizionale.

L’esame che l’A. fa del D. Leg. n. 227 del 2001, alla elaborazione del quale l’Accademia Italiana di Scienze Forestali ha dato un contributo significativo e determinante, chiarisce le sostanziali differenze innovative rispetto al R.D.L. n.

3267 del 1923 e costituisce un punto di riferimento per i giuristi del settore e per tutti coloro che sono interessati all’argomento. In merito alla casistica della bio- diversità, a quella della classificazione delle foreste e di tutte le questioni di ordine generale che interessano l’intero territorio nazionale, l’A. sostiene la necessità che di questi argomenti sia lo Stato ad occuparsene.

La tutela dell’ambiente e dell’ecosistema è un argomento che riguarda lo Stato mentre le Regioni hanno il dovere di promuovere le aree protette e, nel caso dei boschi, il diritto di gestirli ai fini finanziari ed economici con un approccio tec- nico che non intacchi la funzionalità dell’ecosistema. Le aree protette hanno il ruolo di conservazione del paesaggio, della biodiversità e di tutte le peculiarità che le caratterizzano. Alcuni le definiscono uno splendido laboratorio ove si può applicare un approccio scientifico di preservazione.

L’altro argomento svolto nel libro riguarda la definizione della proprietà bosco.

Bene privato e al contempo bene di interesse pubblico per le funzioni che esercita e le utilità che svolge in favore della collettività. La giurisdizione deve contempe- rare la loro salvaguardia nell’interesse soprattutto delle generazioni future.

La partecipazione alla presentazione del libro di illustri personaggi che auto- revolmente operano nel settore degli studi giuridici sta a dimostrare quanto im- portante sia l’interesse per il libro in un ambito particolare dove la conoscenza giuridica si associa a quella dei boschi e delle aree protette. Un libro che mette insieme diverse discipline, accomunando la materia giuridica a quella inerente la qualità della vita. Ma un ringraziamento va all’A. non solo per aver attraversato con grande perizia un settore ampio e complesso, ma anche per aver attirato l’attenzione di tutti coloro che si occupano di discipline giuridiche e, al tempo stesso, di tutto un mondo che si occupa con passione di foreste, territorio e am- biente. Non è cosa di poco conto e non capita spesso.

O

RAZIO

C

IANCIO

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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments       71 (2): 69‐71, 2016 

© 2016 Accademia Italiana di Scienze Forestali 

GIOVANNI CORDINI (*)

LEGISLAZIONE FORESTALE E SVILUPPO SOSTENIBILE

(*) Professore Ordinario di Diritto Pubblico Comparato e Diritto dell’Ambiente e Direttore del Diparti- mento di Scienze Politiche e Sociali nell’Università degli Studi di Pavia.

Il volume che oggi presentiamo è pubblicato nella collana “Diritto e Am-

biente” che ho l’onore di dirigere presso la Casa Editrice Aracne di Roma. Mi ha

fatto molto piacere accogliere il testo di Alberto Abrami nella collana. Oltre alle

intrinseche qualità dell’opera, infatti, si deve sottolineare l’interesse che riveste

un libro che, nel commentare criticamente la legislazione forestale, consente an-

che di rilevare le molteplici connessioni tra questa materia e i principali svolgi-

menti del diritto ambientale. Da qualche tempo nei corsi universitari e nei con-

vegni è uso avvalersi dei supporti elettronici offerti dalla tecnologia. Molte riviste

giuridiche sono ormai pubblicate solo on-line. I volumi inseriti nella collana di

Aracne sono tutti anche disponibili in formato elettronico. Se le tecnologie ap-

plicate all’editoria hanno esteso le possibilità di usufruire dei testi e reso possibile

conservare in vita e pubblicare, in tempi rapidi, alcune prestigiose riviste che, in

ragione dei costi, difficilmente avrebbero potuto essere edite nelle forme tradi-

zionali, tuttavia io resto ancora affascinato dal libro, inteso in senso tradizionale

e mi piace poterlo sfogliare, segnare i passi più interessanti, ricordarmi di una

frase arricciolando l’angolo di una pagina. Per questa ragione sono lieto di diri-

gere una collana che consente, tuttora, di posare un libro sul tavolo e mostrarlo

ai presenti, come abbiamo potuto fare in questa occasione. Il testo di Alberto

Abrami, anzitutto, è un utile e quasi unico compendio didattico per gli studi giu-

ridici in materia forestale. L’Autore, infatti, si avvale dell’esperienza maturata in

molti anni d’insegnamento universitario per offrire un inquadramento completo

ed efficace della materia. Lo fa senza trascurare di sottolineare i passaggi critici,

di mettere in luce i limiti e le aporie di un quadro normativo complesso che

ricopre un lungo arco temporale. Il volume, inoltre, consente di mettere in rela-

zione la disciplina concernente il bosco con temi più generali, propri del diritto

ambientale segnalati, soprattutto in ambito internazionale e comunitario, con

espressioni come “qualità della vita” e “sviluppo sostenibile”. In particolare, in

questo mio intervento vorrei fermare l’attenzione su quest’ultimo concetto che

ha costituito l’asse portante del dibattito svolto in occasione dei più importanti

appuntamenti globali in tema di ambiente: da Stoccolma a Rio (1992 e 2012); da

Johannesburg (2002) alla COP21 di Parigi 2015. L’attribuzione di un significato

giuridico alla nozione “sviluppo sostenibile”, che ricorre in molti testi costitu-

zionali e legislativi, comporta il riconoscimento che lo sviluppo e la crescita

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70 G. CORDINI IFM LXXI – 2/2016

dell’economia sono forieri di benefici collettivi apprezzabili solo se contribui- scono a migliorare la “qualità della vita”, dunque, solo se sono “sostenibili per l’ambiente” che, a sua volta, riesce essenziale per l’esistenza stessa dell’uomo.

Poiché la Terra ha un’origine anteriore alla presenza degli esseri umani un ap- proccio corretto alle tematiche ambientali deve consentire di riflettere sulla ne- cessità che noi, uomini del tempo presente, preserviamo l’ambiente, in quanto consapevoli di essere solo dei temporanei custodi di un patrimonio che dovrà essere trasmesso a chi verrà dopo di noi. Questa considerazione è stata tradotta in forma giuridica dal costituzionalismo recente con riferimento ai “diritti delle future generazioni”. Il bosco costituisce una figura emblematica per qualsivoglia approccio alla definizione di sostenibilità come viene messo appropriatamente in luce nel testo di Abrami. La protezione dell’ambiente, in effetti, in ambiti an- tropizzati, non può mai essere scissa dai problemi dello sviluppo economico e dipende, in larga misura, dalla stato delle nostre conoscenze che, nell’era tecno- logica, sono in continuo e vorticoso divenire. Ne deriva l’esigenza di favorire una propensione “dinamica” nella tutela giuridico-ambientale del bosco. La legisla- zione ambientale, poi, è condizionata dalle molte variabili che incidono sulla qua- lità della crescita economica e contribuiscono a determinare, in concreto, la no- zione di “sostenibilità” ambientale delle attività umane tendenti allo sviluppo.

Sembra opportuno premettere che la definizione giuridica del concetto di “svi- luppo sostenibile”, come quella di “ambiente”, è problematica, perché, da una tale configurazione dello sviluppo è possibile fare derivare una molteplicità di alternative. Già il termine “sviluppo” si presta a vari e difformi significati e può essere utilizzato in distinti ambiti. L’accostamento con l’aggettivo “sostenibile”

rappresenta una complicazione, dato che induce a considerare limiti e condizioni

dello “sviluppo” che non possono essere classificati in modo oggettivo ed in

senso universale Se mutano il contesto storico, le condizioni economiche e l’am-

bito sociale, cambiano anche i significati. L’accezione utile per il giurista è quella

che meglio configura il rapporto tra lo scopo da conseguire, i mezzi leciti e i

limiti, posti attraverso regole, mentre per lo storico, il politologo, il sociologo e

l’economista la relazione, sopra citata, può assumere altri significati. Si rende ne-

cessario, perciò, il ricorso ad un convenzione, che renda possibile la compren-

sione ed il dialogo tra le scienze. In questa sede accademica fiorentina, ove le

componenti che si occupano del bosco sono tutte presenti, non è necessario

fornire dimostrazioni circa l’utilità del costante dialogo interdisciplinare. In tal

senso, da un lato, è bene essere consapevoli circa il senso relativo delle nozioni

impiegate, dall’altro lato, è opportuno verificare se è possibile fare riferimento a

un comune significato da attribuire al concetto di “sviluppo sostenibile”. Il se-

condo obiettivo deve essere, in particolare, proposto per i diversi profili giuridici,

dai quali può essere esaminata la problematica ambientale. Dagli insegnamenti

che si possono trarre confrontando la dottrina che si occupa di diritto interna-

zionale si ricava l’idea che lo “sviluppo sostenibile” debba essere posto in rela-

zione alle risorse ambientali primarie e alla loro limitata disponibilità, tenendo

sempre in considerazione il rapporto tra espansione economica, crescita della

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LEGISLAZIONE FORESTALE E SVILUPPO SOSTENIBILE 71

popolazione ed ambiente. Non servono dimostrazioni per rilevare come la pro-

tezione e lo sviluppo del patrimonio forestale rientrino, a pieno titolo, nella con-

figurazione giuridica della “sostenibilità ambientale”. La definizione teorica e

l’applicazione pratica dei criteri di distribuzione delle risorse, in grado di rispet-

tare le compatibilità tra la crescita economica, lo sviluppo industriale e la prote-

zione dell’ambiente, sono ben presenti nell’impostazione seguita da Alberto

Abrami laddove l’A. si propone di delineare i contenuti e le finalità della legisla-

zione forestale. Il rapporto Brundtland del 1987, riassumendo i temi oggetto

delle precedenti occasioni di dibattito in sede internazionale, proponeva una no-

zione di sviluppo sostenibile intesa a prospettare un nuovo indirizzo per la poli-

tica ambientale, connettendola strettamente all’esigenza di contemperare la cre-

scita economica con la protezione dell’ambiente. Negli anni successivi questo

tracciato è stato costantemente ripercorso in tutte le principali occasioni di di-

battito e di confronto. Di conseguenza riesce importante osservare che intorno

alla problematica suscitata dalla riflessione in tema di sviluppo e ambiente il vo-

lume di Abrami consente al lettore di riflettere, approfondire e discutere sulla

base di uno studio rigoroso e documentato.

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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments       71 (2): 72‐76, 2016 

© 2016 Accademia Italiana di Scienze Forestali 

ALBERTO GERMANÒ (*)

IL DIRITTO FORESTALE NEL LIBRO DI ALBERTO ABRAMI

(*) Professore Ordinario di Diritto Agrario Comparato, Università La Sapienza, Roma.

Alberto Abrami ci invita regolarmente a riflettere su una materia - il diritto attinente alle foreste - che non è trattata da molti giuristi, né dagli agraristi che potrebbero vantare di essere i più titolati ad occuparsene perché i diritti sui bo- schi e la selvicoltura sono oggetto del diritto agrario, né dagli amministrativisti che avanzano pretese di primogenitura con riferimento alle prime leggi forestali e ai vincoli che da esse sono stati imposti sulle foreste.

Ed è perciò che io intendo ricordarVi - come anteprima di quanto Vi dirò - che Alberto Abrami ha pubblicato, nel 1987, il volume “La disciplina normativa dei terreni forestali”; poi, nel 1993, il volume “I territori forestali. Dal vincolo idrogeologico al vincolo ambientale”; quindi, nel 2000, il volume “Il regime giu- ridico delle aree protette”; nel 2005, il volume “Manuale di diritto forestale e dell’ambiente territoriale”; ed infine, nel 2014, il volume “Governo del territorio e disciplina giuridica dei boschi e delle aree protette”, cioè il volume che oggi Vi stiamo presentando.

Non si tratta - per Alberto Abrami - solo del desiderio di offrire agli studenti delle facoltà (oggi, dei Dipartimenti) di scienze agrarie dei testi di studio. Invero, a me sembra che i detti volumi siano manifestazione del suo amore - sì, del suo amore - per la branca del diritto che ha insegnato, del sentimento con cui “rive- ste” il suo modo di esprimersi come maestro.

Il volume, che oggi nella sede di questa prestigiosa Accademia italiana di Scienze Forestali stiamo presentando, è stato da me già recensito sulla rivista Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente: sicché certamente mi ripeterò.

Comunque mi preme dirvi subito due cose: primo, cosa io ho visto nel testo;

secondo, come la materia è trattata da Alberto Abrami.

Se dovessi cercare il tratto sottostante ai vari capitoli del volume, direi che i primi quattro capitoli hanno, come fil rouge, la nozione di “bosco” e la sua disci- plina. Gli ultimi quattro capitoli hanno per filo di Arianna il tema del “territorio”

e del suo governo, spaziando dalla bonifica alla difesa del suolo, dai distretti idro-

grafici alle autorità di bacino, dalle definizioni comunitaria e italiana di ambiente

al risarcimento del danno ambientale, dalle Comunità montane al verde urbano

e cittadino, fino ai parchi e riserve statali e regionali e agli strumenti di pianifica-

zione a loro tutela.

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IL DIRITTO FORESTALE NEL LIBRO DI ALBERTO ABRAMI 73

Tornerò a parlarvi del fil rouge “bosco” e, per qualche specifico tema, del fil rouge “territorio”. Ora mi preme subito segnalarvi il modo - direi, lo “stile” - con cui Alberto Abrami tratta i vari argomenti, perché esso è particolarmente coe- rente a quello che io ritengo che debba fare un giurista: non affermare regole come verità dogmatiche, ma spiegarle nella motivazione del loro nascere e nella loro evoluzione storica, e pertanto offrire criteri per la loro interpretazione anche da un punto di vista a dir così politico, in modo che il lettore possa avere suffi- cienti argomenti per una propria valutazione critica delle regole e dei suggeri- menti che l’Autore offre.

Dunque - come ho già accennato - il “bosco” e la sua disciplina è il fil rouge dei primi quattro capitoli.

Così ci viene detto che la “vecchia” legge forestale del 30 dicembre 1923 n. 3267 è ancora vigente con il riconoscimento del valore globale delle foreste a tutela del territorio montano; e che il più recente d.lgs. 18 maggio 2001 n. 227 di orien- tamento e modernizzazione del settore forestale è da intendersi come legge-qua- dro per le legislazioni forestali regionali, le quali, pertanto, devono tenere conto che la proprietà forestale - già “demanio” forestale - è un bene “indisponibile”

per la sua necessaria rispondenza a quei fini che già la legge del 1923 aveva posto in evidenza.

L’Autore allora chiarisce che oggi il fine della gestione delle foreste è un’utilità sociale di respiro più ampio di quello produttivistico dell’estrazione del legname, e ciò non solo perché in essa concorre il tradizionale fine della difesa del suolo e della tutela del territorio espresso nel vincolo idrogeologico, ma anche perché si è aggiunto quello della tutela dell’ambiente espresso nel vincolo paesaggistico. Rile- vante, allora, in questa disamina è la proprietà forestale che è definita una proprietà che obbliga, con la conseguenza che i limiti dei vincoli idrogeologico e paesaggi- stico che incidono sull’attività economica quando essa viene esercitata nelle aree boscate, non sono indennizzabili pur implicando una diminuzione di valore, in quanto il bene forestale “nasce” con quei limiti e che con quei limiti vive.

Posta la definizione di bosco - termine che, per espressa statuizione del d.lgs.

227/2001, è sinonimo di “foresta” e di “selva” - e risolto il problema nato dalla formula “taglio colturale” utilizzata dalla legge Galasso per escludere la necessità dell’autorizzazione paesaggistica - trovando conferma nella successiva pronuncia della Corte costituzionale l’opinione già dal nostro Autore altrove espressa - me- rita che io Vi dica come Alberto Abrami abbia affrontato il problema della ge- stione delle foreste da parte delle Regioni che ne sono divenute proprietarie e che di norma l’hanno delegata alle Comunità montane o ai Comuni, così “spez- zettando” in una serie minuta di interventi quello che, nella visione della legge del 1923, doveva avere un contenuto unitario e globale.

L’Autore insiste sul “servizio pubblico” che tutti i boschi dovrebbero svol-

gere, sicché essi - soprattutto se di proprietà in mano pubblica - non dovrebbero

servire solamente per procurare un’entrata ai proprietari, ma essere organizzati

come presidii per la salute fisica dei cittadini per l’assorbimento delle polveri

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74 A. GERMANÒ IFM LXXI – 2/2016

sottili e come luoghi di ricreazione e di svago per i residenti, anche in conformità con il diritto comunitario che ha istituito la c.d. certificazione forestale diretta a garantire, nel mercato, che l’impresa selvicolturale si preoccupa della sostenibilità della gestione delle foreste. Ed è in questo quadro di “servizio” pubblico svolto dal bosco che il tipico fine delle foreste appare ad Alberto Abrami essere - e ciò fin dai primi momenti legislativi ed ora nel d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 o Codice dei beni culturali e del paesaggio - la ragione degli interventi normativi della nostra Italia; ed è in questo quadro di servizio ambientale per le generazioni attuali e per quelle future che Alberto Abrami giustifica la gestione antica e nuova delle foreste da parte delle collettività che ne sono titolari nelle varie fattispecie dei c.d. usi civici, indivisibili, inalienabili, inusucapibili e destinati all’attività agro-silvo-pastorale.

È però evidente come non abbiano lo stesso tempo la funzione produttivi- stica dei boschi - un tempo “lungo” - e la funzione di protezione dell’ambiente e del paesaggio da parte del bosco - un tempo “zero” perché continuo - quando si parla dell’impresa forestale di proprietà privata. Quando una parcella del podere è costituita da un bosco, o quando l’intero fondo è gestito con una arboricoltura da legno, si ha certamente un’impresa di coltivazione del fondo ex art. 2135 c.c. Il punto da esaminare riguarda la diversa ipotesi in cui l’unico fondo appartenente ad un proprietario sia costituito da una foresta, dato che per aversi “impresa” è necessario che l’attività di produzione sia rivolta al mercato. Certamente assurge ad impresa la coltivazione selvicolturale di un fondo che ha una dimensione di parecchi ettari che rende possibile un piano di assestamento il quale consente di ottenere un sufficiente prodotto legnoso a scadenza annuale. Tuttavia, è proprio questo modo di organizzazione e programmazione della gestione del bosco che consente di intravedere l’impresa per il mercato anche nell’ipotesi di un bosco coetaneo di pochi ettari il cui frutto viene ottenuto ogni 70-80 anni (ed anche oltre) e, quindi, una sola volta nel corso della vicenda umana del suo titolare.

Vengo ora al fil rouge del territorio che tiene avvinti i quattro capitoli finali, ma scelgo di riferire solo due dei vari argomenti trattati da Alberto Abrami.

Innanzitutto, mi riferisco all’esposizione della normativa sul trasferimento delle foreste alle Regioni con il mantenimento, nella cura dello Stato, di alcune foreste costituite in riserva naturale, nonché all’esposizione della normativa sull’Azienda di Stato per le foreste demaniali e sul Corpo forestale dello Stato.

Interessante è la ricostruzione storica del “passaggio” della proprietà delle antiche foreste pubbliche dallo Stato alle Regioni. Orbene, nell’iniziale momento di tale “passaggio” varie località comprese nell’ambito delle foreste demaniali (fra cui, alcune site nella nostra Toscana) vennero costituite in “riserve forestali”

in forza di competenze dello Stato riferibili, sostanzialmente, alla protezione e

alla tutela dell’ambiente. Proprio questo “residuo” di competenze permise allo

Stato di imporre legittimamente - come poi riconobbe la Corte costituzionale

con le sentenze n. 79 e n. 219 del 1972 - vincoli di tutela e di destinazione su

alcuni territori boscati, i quali così non vennero “trasferiti” e restarono nella cura

dell’Azienda statale per le foreste demaniali.

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IL DIRITTO FORESTALE NEL LIBRO DI ALBERTO ABRAMI 75

Complementare al trasferimento della proprietà delle foreste già statali alle Regioni è stata la soppressione dell’Azienda di Stato per le foreste demaniali, le cui funzioni vennero trasferite, anch’esse, alle Regioni ex art. 68 della legge 616/1977. Ma all’Azienda statale per le foreste demaniali fu, in un primo mo- mento, confermata la gestione delle “riserve forestali” di competenza statale e di tre dei cinque Parchi nazionali. Poi tale gestione fu affidata al Corpo forestale dello Stato a cui, per l’art. 2, lett. g) della legge n. 36/2004, fu assegnata la tutela e salvaguardia delle riserve naturali statali riconosciute di importanza nazionale o internazionale e degli altri beni destinati alla conservazione della biodiversità.

Quindi, la gestione delle riserve naturali ricadenti all’interno dei parchi nazionali fu affidata agli stessi Enti Parco. Infine, la legge n. 394/1991 ha provveduto a dettare la disciplina delle riserve naturali statali.

Oggi, probabilmente - e ciò per la giurisprudenza della Corte costituzionale sulle materie regionali trasversalmente soggette alla competenza dello Stato in forza della lettera s) del comma 2 del nuovo art. 117 Cost. ancora vigente - po- tremmo confermare la validità dell’intervento dello Stato sulla costituzione delle

“riserve forestali” nell’ambito dei boschi trasferiti in proprietà delle Regioni. Ma quel che è certo è che alcune foreste rimasero nella cura dello Stato e dei suoi 28 Uffici territoriali per la biodiversità organizzati nel quadro del Corpo forestale dello Stato.

A questo punto, nel volume di Alberto Abrami, si ferma la lunga vicenda storica del trasferimento di circa 330.000 ettari di foreste dallo Stato alle Re- gioni. Ma ora vi è il recentissimo testo del decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 1° febbraio scorso. In forza di tale normativa il Corpo forestale viene assorbito dall’Arma dei Carabinieri, a cui viene devoluta la tutela e salvaguardia delle riserve naturali statali, mentre - al fine di salvaguardare le professionalità esistenti, le specialità e l’unitarietà delle funzioni dell’ex Corpo forestale dello Stato - è prevista la istituzione, nell’ambito delle competenze dell’Arma dei Carabinieri, di reparti dedicati all’espletamento di compiti parti- colari in materia di tutela dell’ambiente, del territorio e delle acque e nel campo della sicurezza nel settore agroalimentare. Avremo, perciò, reparti di carabinieri forestali; forse qualcosa di simile ai Nas, ai Ros, ai Carabinieri dedicati alla lotta contro i ladri di arte e contro i tombaroli. Comunque, penso che Alberto Abrami riprenderà presto a raccontarci il seguito di questa operazione di “tra- sformazione” di un settore - quello della cura e della tutela delle foreste - che nel periodo in cui era in mano dello Stato tramite l’Azienda statale delle foreste demaniali e il Corpo forestale dello Stato, non ha demeritato. D’altronde non posso nascondervi che siffatta operazione ad Alberto Abrami non è mai parsa retta da fini di interesse generale, se è vero che ha addebitato alla Regione To- scana, nel cui territorio ricade oltre un terzo dell’intero patrimonio oggetto del trasferimento, di non essersi mostrata particolarmente interessata a tali beni, considerandoli all’atto pratico come “un fardello, invece che come una dote”

(pag. 87).

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76 A. GERMANÒ IFM LXXI – 2/2016

Ora, voglio dirvi del secondo argomento che vi ho promesso e che “estraggo”

dai quattro ultimi capitoli il cui filo conduttore è il governo del territorio.

È un argomento sostanzialmente nuovo perché previsto dalla recente legge 14 gennaio 2013 n. 10 recante “norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”.

Trattasi, appunto, dell’argomento degli spazi verdi all’interno delle città, che fa parte - nella ricostruzione di Alberto Abrami - della disciplina del governo dello spazio urbano determinata da motivazioni di natura ambientale correlate alla tu- tela fisio-psichica dei cittadini che vi vivono.

Oggi si è al di là delle prescrizioni urbanistiche degli spazi pubblici attrezzati a parco realizzabili dai Comuni che li hanno previsti nei rispettivi piani regolatori.

Oggi vi è la necessità che le amministrazioni comunali tengano conto che la qualità della vita dei rispettivi cittadini è minacciata da un ambiente inquinato ed alienante.

La materia del “governo del territorio” è una delle materie concorrenti elen- cate nel comma 3 dell’ancora attuale art. 117 Cost,: ed è per tale competenza legislativa di principio che lo Stato ha emanato la legge n. 10/2013, che ha dato ad Alberto Abrami l’occasione di rilevarne la scarsa capacità di incidere sulla realtà delle nostre città.

Se si pensa che la legge statale, nei suoi articoli di apertura, si preoccupa di ripristinare la “giornata nazionale degli alberi”, di confermare l’obbligo dei Co- muni di porre a dimora un albero per ogni bambino nato nella rispettiva circo- scrizione amministrativa, di tutelare gli alberi monumentali e di salvare le albera- ture di particolare pregio paesistico, storico e culturale, c’è da dubitare che i Co- muni provvedano a promuovere l’incremento di spazi verdi urbani e di cinture verdi intorno alle conurbazioni. Così, rilevando che quest’ultima disposizione non ha contenuti di precettività, si comprende il leggerissimo tono di ironia con cui Alberto Abrami tratta l’argomento. Se poi si considera che il verde urbano potrebbe essere gestito ad orto, c’è da sospettare che gli alimenti che da essi si otterranno potrebbero essere inquinati dai fumi degli impianti di riscaldamento delle vicine case, dagli scarichi delle auto percorrenti le vie finitime e dalle cimi- niere delle industrie poste probabilmente nelle immediate vicinanze.

Per concludere desidero rendere merito ad Alberto Abrami per l’ordine che ha dato alla materia della disciplina dei boschi e delle aree protette che non è certamente una materia semplice, proprio perché intrisa da disposizioni vecchie e nuove senza adeguata sistemazione.

In conclusione, il volume di Alberto Abrami è un buon libro, che vi invito a

leggere.

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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments       71 (2): 77‐85, 2016 

© 2016 Accademia Italiana di Scienze Forestali 

CARLO ALBERTO GRAZIANI (*)

I BOSCHI E LE AREE PROTETTE TRA GOVERNO DEL TERRITORIO E QUESTIONE DEI BENI COMUNI

(*) Professore Ordinario di Diritto Civile; Università di Macerata e di Siena.

1. Il valore di un libro è dato anche dalla capacità di suscitare l’interesse del lettore. Dico subito che il libro di Alberto Abrami (Governo del territorio e disciplina giuridica dei boschi e delle aree protette, Aracne ed., 2014) mi ha interessato perché ha incontrato in più punti sia il mio impegno di studioso sia la mia esperienza poli- tica e istituzionale nel settore della conservazione della natura.

Ritengo innanzi tutto che il rilievo e l’originalità del libro risiedano nel riferi- mento al governo del territorio e nel collegamento tra il diritto forestale e altri settori come l’urbanistica, per la quale è lo stesso A. a parlare di “stretta compe- netrazione” (p. 39), la difesa del suolo, la montagna, il verde urbano, l’ambiente in generale e le aree protette.

Da questo collegamento emerge in tutta la sua complessità la questione del rapporto tra conservazione e sviluppo: questione cruciale che certo oggi non può dirsi risolta dal vigente quadro legislativo e che chiama in causa un altro rapporto - quello tra tutela e valorizzazione dell’ambiente quale emerge dall’art. 117 - og- getto di un’interpretazione riduttiva e troppo spesso strumentale che guarda alla valorizzazione in termini esclusivamente economicistici tradendo la complessità e la pregnanza del concetto stesso di valore. Il tradimento, anche se non viene chia- mato con questo termine, traspare, come vedremo tra breve, dalle pagine del libro.

È significativo che il collegamento venga effettuato da A.A. proprio perché egli ricopre il ruolo di specialista nel campo della dottrina giuridica e in partico- lare della dottrina agraristica: certo, vi sono anche altri studiosi che negli ultimi decenni si sono cimentati nel diritto forestale - da Alberto Germanò a Michele Tamponi, a Francesco Adornato - ma solo lui ha dedicato l’intera vita e l’intera opera a questo settore. Per questo può porsi in un angolo visuale in grado di illuminare l’intera scena e offrire così un contributo originale.

Scrivere di diritto forestale è come piantare alberi: serve a curare l’ambiente.

Permettetemi un paragone ardito. A.A. è un po’ come Elzéard Bouffier, quell’uomo semplice e straordinario che nel racconto di Jean Giono arricchito dai disegni di Tullio Pericoli

1

- l’uno e gli altri così pieni di poesia e di amore per la terra - piantava da solo gli alberi e piantando gli alberi contribuiva a curare l’ambiente. Anche da noi, non molto tempo fa, c’è stato un uomo - ne accennerò

1 Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi, con annotazioni a margine di Tullio Pericoli, Salani, Milano 1998.

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- che ha piantato alberi e lo ha fatto realmente facendo capire l’importanza del bosco e contribuendo così a curare l’ambiente e il volto del nostro paese. A.A.

non ha piantato alberi, ma ha studiato il diritto delle foreste e ha contribuito a far comprendere il mondo degli alberi.

Vorrei accennare solo ad alcuni aspetti del libro: il processo di regionalizza- zione e la dialettica Stato-regioni che, con riferimento al diritto forestale, si col- lega strettamente al ruolo del Corpo forestale dello Stato; le aree protette; il bo- sco tra oggetto di proprietà e bene comune.

2. L’A. ricostruisce il processo di regionalizzazione e lo fa dal punto di vista del trasferimento dei beni forestali statali alle regioni, del contenzioso costituzio- nale che lo ha accompagnato (pp. 77ss) e della vicenda dell’Azienda di Stato per le foreste demaniali di cui ripercorre anche la storia (pp. 68ss). L’analisi si carat- terizza per la valutazione espressa all’insegna del realismo.

Con riferimento alle sentenze della Corte costituzionale che avevano respinto i ricorsi regionali nei confronti dei decreti attuativi della prima legge delega (n.

281 del 1970) e in particolare del decreto n. 11 del 1972 in materia di agricoltura e foreste, A.A. condivide dal punto di vista tecnico-giuridico le critiche mosse unanimemente dalla dottrina, ma ritiene che il giudizio della Corte non potesse essere diverso per evitare che il nuovo istituto regionale si ponesse sin dal suo nascere in contrapposizione con lo Stato centrale. La sua analisi si svolge in nome di un’idea di “regionalismo dolce” che egli ritiene propria del costituente,

“leggibile nei lavori parlamentari”: l’idea della regione “come un organismo avente il compito di avvicinare i cittadino alle Istituzioni nello svolgimento di funzioni che non si ponessero in contrasto, quanto in una posizione di comple- mentarietà con lo Stato” (p. 80).

Su tale processo, che per quanto riguarda le regioni ordinarie ha oramai quasi mezzo secolo, occorre oggi riflettere senza quei paraocchi ideologici adoperati troppo spesso anche dalla dottrina giuridica. Mi riferisco in particolare - e lo faccio in termini autocritici

2

- al dibattito sulla regionalizzazione delle aree pro- tette e a quello sulla regionalizzazione del CFS: il primo ha frenato per molto tempo l’emanazione della legge quadro (la 394 del 1991); il secondo ha costituito una delle cause dell’indebolimento del Corpo e di conseguenza una premessa per l’ingiustificato smantellamento imposto dall’attuale Governo. Aggiungo che oggi distorsioni anch’esse ideologiche, ma di segno contrario, sospingono verso un orizzonte esasperatamente centralistico.

2 Nel passato ho sostenuto la causa della regionalizzazione dei parchi anche nazionali (v. ad es. Parchi nazio- nali e regioni, Materiali per la legge quadro, a mia cura, Quaderno n. 4 dell’Istituto di legislazione agraria “A. De Feo”, ed. Monteverde, Roma 1981, passim). Mi sia permesso un ricordo personale a conferma della neces- sità di una riflessione autocritica su certi eccessi ideologici: non dimenticherò mai il dubbio amaro sulla difesa a oltranza del regionalismo espressomi confidenzialmente un giorno (era la fine degli anni Settanta) da Donatello Serrani che pure era uno dei più fervidi sostenitori dell’ordinamento regionale e con il quale in quegli anni, immediatamente precedenti alla sua prematura scomparsa, avevo la fortuna di collaborare.

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I BOSCHI TRA GOVERNO DEL TERRITORIO E QUESTIONE DEI BENI COMUNI 79

Mi limito a riprendere una considerazione dell’A. significativa per il suo rea- lismo. Esaminando i risultati del trasferimento alle regioni delle competenze sta- tali in materia di foreste, egli sottolinea come la gestione di questo settore sia rimasta troppo a lungo ancorata ai principi della legislazione del 1923 (r.d.l.

n.3267): nei trent’anni dall’avvento delle regioni a statuto ordinario i governi che si sono succeduti non sono riusciti nemmeno a presentare un progetto di legge quadro

3

; occorre aspettare la legge di orientamento e modernizzazione del 2001 (d.lgs. n. 227) per avere una disciplina che guardi a un panorama completamente cambiato in cui emerge come centrale la questione ambientale e che si sostituisce a quella cultura produttiva propria della gestione tradizionale del bosco. Grande - scrive - è la responsabilità del Ministero dell’Agricoltura e Foreste che “non ha mai ritenuto necessario di provvedere mediante l’esercizio della funzione di in- dirizzo e coordinamento” nei confronti delle regioni (p. 53); ma anche le regioni - aggiunge - non possono sottrarsi alle loro responsabilità dal momento che troppo spesso si sono limitate a delegare le loro competenze sui beni forestali alle comunità montane e addirittura ai comuni e così si è assistito a una frammen- tazione che ha impedito e continua a impedire una gestione unitaria di quei beni e cioè “una politica, a livello regionale, della proprietà pubblica forestale” (p. 87): i casi della Toscana - dove insiste una parte assai rilevante dei boschi costituenti il patrimonio indisponibile dello Stato - e dell’Umbria sono particolarmente signifi- cativi. Nello stesso tempo egli nota addirittura il rischio di una deriva privatistica nella gestione delle foreste un tempo statali e ora trasferite alle regioni e delegate agli enti subregionali a causa dell’art. 7 del d.lgs. 227 secondo cui determinate im- prese possono ottenere la gestione delle aree silvo-pastorali pubbliche (p. 89).

L’A. sembra così delineare un’evoluzione della gestione dei beni forestali - dallo Stato, alle regioni, agli enti subregionali, ai privati - che egli considera in termini critici e che, potrei aggiungere, oggi si colloca nel quadro di quell’ondata neoliberista che sta avanzando e che appare inarrestabile.

Ma il problema storico è quello del rapporto Stato-regioni: perché, in una materia che è stata di precisa competenza regionale lo Stato ha continuato a ge- stire una parte qualitativamente molto importante del patrimonio forestale ita- liano? Si è trattato di una lotta di potere tra lo Stato che, attraverso l’ex Azienda di Stato per le foreste demaniali (e in quell’ex risiede la pervicacia della burocra- zia, ma insieme la sottigliezza formalistica che caratterizza la nostra formazione giuridica), ha inteso trattenere a tutti i costi sotto la propria ala i circa 70.000 ettari di foreste esistenti nelle riserve naturali dello Stato a fronte dei 350.000 ettari trasferiti alle regioni a statuto ordinario? Non sarebbe stato meglio, “con uno sguardo all’interesse nazionale, conservare la struttura dell’Ente e regiona- lizzarlo nei suoi organi direttivi, oltreché nelle finalità” (p. 83)?

Certo, se io dovessi guardare all’oggi - quando resta ancora inattuata la previ- sione dell’art. 31, comma 3, della legge quadro sulle aree protette (legge 394 del 1991) secondo cui la gestione delle riserve naturali che ricadono all’interno dei

3 Eppure la Direzione generale dell’economia montana e delle foreste aveva elaborato un progetto di legge cornice siffatto: v. A. Alessandrini, Il Tempo degli Alberi, ed. Abete, Roma 1990, p. 246.

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parchi nazionali deve essere affidata agli enti parco - la risposta non potrebbe che essere quella secondo cui in questi decenni si è svolta effettivamente una lotta di potere.

Invece la risposta di A.A. è, pure in tal caso, segnata dal realismo: anche se da parte dello Stato ci fosse stata la volontà di mantenere posizioni di potere, occorre riconoscere che l’amministrazione statale si è presa “cura di garantire, con una azione coordinata dal centro, la biodiversità vegetale e animale, e quindi la diversità genetica e i differenti habitat in relazione alle varie classificazioni di foreste, per finalità di ricerca scientifica e perciò di interesse nazionale, oltre che di educazione alla natura” (p. 87); un risultato dunque - egli fa capire - che non si sarebbe potuto ottenere con una gestione attribuita alle singole regioni.

Vi è poi, però, anche una risposta per così dire tecnico-giuridica che comun- que ha giustificato un’interpretazione restrittiva della citata legge di delega del 1970: la difesa del suolo, che è di interesse nazionale e non è circoscrivibile entro confini amministrativi, esigeva necessariamente una gestione statale quale poteva essere assicurata solo dal Ministero dell’agricoltura e per esso dal CFS (p. 165).

3. Scrive A.A., nella sua analisi sul Corpo, sintetica, ma chiara e interessante:

“Il CFS, ossia gli uffici forestali, per unanime consenso, avevano ben meritato (…) dell’interesse generale fin dalla loro istituzione e per tutti i decenni di attività.

Tant’è che si è potuto affermare, e a ragione, che il paesaggio forestale in Italia è stato creato dal CFS attraverso i rimboschimenti e le sistemazioni dei bacini montani” (p. 165).

Si tratta di un giudizio che, se rapportato all’intera storia della gestione fore- stale del CFS, è forse troppo generoso perché trascura, ad esempio, la profonda involuzione burocratica del Corpo quando era stato trasformato nella Milizia nazionale fascista o la paralisi a cui quest’ultima aveva ridotto i quattro parchi nazionali affidati alla sua gestione o i silenzi di fronte ai tagli indiscriminati effet- tuati dalle ditte forestali nell’ultimo dopoguerra che hanno inferto ferite pro- fonde alla montagna italiana le cui cicatrici sono rimaste per decenni e alcune sono giunte fino a noi.

Il giudizio è invece da condividere per il periodo precedente al fascismo e a partire dagli anni Ottanta quando si è assistito a una profonda trasformazione anche culturale del Corpo e a una sua modernizzazione. Ed è anche per questo che il suo smantellamento, oltre tutto deciso quasi di soppiatto, appare stupefa- cente nella sua assurdità, specchio del progredire altalenante della politica italiana negli ultimi lustri: mancanza di visione a lungo termine, scelte che restano alla su- perficie dei problemi, effettuate al solo o prevalente scopo di épater le bourgeois. Solo così si può spiegare come in quindici anni si sia potuti passare dalle proposte di regionalizzazione del Corpo alla decisione di accorparlo all’Arma dei Carabinieri.

In tal modo si tradisce una storia che inizia nel lontano 1821, che è stata co- munque importante e che negli ultimi anni ha portato il CFS a diventare stru- mento strategico per affrontare alcune delle questioni decisive dell’epoca attuale;

in tal modo si mortifica anche la professionalità e la passione di tante persone

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I BOSCHI TRA GOVERNO DEL TERRITORIO E QUESTIONE DEI BENI COMUNI 81

che sono impegnate quotidianamente in compiti particolarmente complessi.

Nello stesso tempo si trascura il fatto che la trasformazione del Corpo da forza di polizia soggetta a ordinamento civile a forza di polizia soggetta a ordinamento militare muta lo status delle persone coinvolte, cioè dei forestali, e finisce per lederne alcuni diritti fondamentali costituzionalmente protetti.

Ma il più grave è che questo tradimento sta avvenendo nel silenzio totale di chi istituzionalmente avrebbe dovuto e dovrebbe intervenire per tutelare il Corpo. Sono convinto che al tempo dell’altro personaggio che, come Elzéard Bouffier, piantava alberi e lo faceva realmente in tutta Italia e nello stesso tempo contribuiva in maniera decisiva a trasformare il CFS - mi riferisco ad Alfonso Alessandrini capo del Corpo dal 1981 a 1995 - non sarebbe stato possibile nean- che prospettare un’operazione di questo genere.

4. Il rapporto tra conservazione e valorizzazione segna il modello di area na- turale protetta accolto dalla legge quadro n. 394 del 1991: se i parchi storici erano fondati prevalentemente su un regime di divieti, il nuovo modello - secondo A.A.

che dedica alle aree protette l’ultimo capitolo - “intende conciliare la conserva- zione dell’area protetta con la sua utilizzazione per attività di carattere sociale e cioè educative, formative, di ricerca e ricreative, ed allo stesso modo per attività produttive, purché compatibili con la protezione dell’ambiente” (p. 265).

Il rapporto, posto correttamente in questi termini, viene però troppo spesso impostato secondo quell’interpretazione economicistica del concetto di valoriz- zazione alla quale ho accennato all’inizio: di qui la teoria, che rischia di diventare dominante, dei parchi come aziende specializzate nella produzione del made in Italy il cui successo è legato alla capacità di generare risorse finanziarie. E se è vero che, come afferma l’A., “dare un significato economico alle aree protette è indubitabilmente un valore” perché comporta anche la possibilità di uno svi- luppo eco-sostenibile delle popolazioni locali, è pur vero che “una sottolineatura dell’atteggiamento economicistico” non deve finire per negare il valore della

“protezione della natura (…) in sé e per sé” e per dare spazio a uno sviluppo qualunque esso sia (p. 285). Si intravedono in queste parole la critica all’impo- stazione che attualmente sta emergendo e la consapevolezza che proprio nella complessità del concetto di valore deve essere collocato il ruolo delle aree pro- tette: il valore è dato non solo dall’aspetto economico, ma dalla natura, la cui conservazione costituisce l’oggetto della funzione fondamentale e caratteriz- zante delle aree protette, e da quegli altri aspetti che formano oggetto della fun- zione “sociale” e che sono previsti dalla vigente normativa e precisamente, per riprendere le parole di A.A., educazione e formazione, ricerca scientifica, ricrea- zione, quest’ultima - mi permetto di aggiungere - nel significato alto del termine che guarda al rapporto profondo tra la persona e la natura.

In questa luce deve essere letto il nuovo art. 117 Cost. che affida la tutela

dell’ambiente e dell’ecosistema (comma 2, lett. s) alla competenza esclusiva dello

Stato e la valorizzazione dei beni ambientali a quella concorrente tra Stato e re-

gioni (comma 3): ciò significa che le regioni hanno il dovere di promuovere le

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82 C.A. GRAZIANI IFM LXXI – 2/2016

aree protette - ivi comprese quelle nazionali - proprio per il ruolo complesso che esse sono chiamate a svolgere. In questa luce, a mio avviso, si scopre anche il significato vero dello sviluppo sostenibile: terminologia oramai abusata che ri- schia di coprire qualsiasi operazione quando a essa viene attribuita una valenza prevalentemente, se non esclusivamente, economica e che invece acquista senso e prospettiva se pone al centro la persona umana con il complesso dei valori che a essa si connettono.

Altri aspetti di questo capitolo occorre evidenziare per il loro interesse, a par- tire dalle considerazioni relative alla soppressione del Programma triennale e del Comitato nazionale delle aree protette e al ritardo registrato dalla Carta della na- tura, “strumento tecnico di fondamentale importanza al fine di individuare lo stato dell’ambiente del Paese” ancora oggi incompiuto malgrado gli ingenti stan- ziamenti inizialmente attribuiti (p. 270). Considerazioni critiche - così a me ap- paiono - nei confronti della modifica di un’importante parte della legge quadro operata, anche qui per motivi che ritengo prevalentemente ideologici, dalla ri- forma Bassanini (d.lgs. 112 del 1988 in attuazione della legge 59 del 1997): la critica trova purtroppo giustificazione e conferma nelle conseguenze negative che quella soppressione e quel ritardo hanno avuto e continuano ad avere sull’in- tero sistema delle aree protette.

Analizzando poi l’art. 6 della legge quadro sulle misure di salvaguardia l’A.

sottolinea, forse anche in virtù della sua sensibilità di studioso del settore, “come l’attività agricola ottenga un esplicito riconoscimento, com’è nella natura delle cose, ai fini della conservazione del territorio”: essa infatti costituisce l’unica at- tività per la quale è possibile un mutamento di destinazione del territorio, ad eccezione però - sottolinea, sia pure problematicamente - della “trasformazione della coltura forestale in coltura agraria in senso stretto che potrebbe contrastare con il divieto che riguarda l’alterazione degli equilibri ecologici” (p. 272) data la funzione ecologica svolta dal bosco. Vorrei però aggiungere che lo squilibrio ecologico viene causato anche da quell’agricoltura che utilizza pratiche aggres- sive nei confronti del territorio.

Proprio sotto questo aspetto appare doppiamente errata la scelta, che sta emergendo nel dibattito sulle modifiche della legge quadro in corso presso la Commissione ambiente del Senato, di inserire nel Consiglio direttivo dei parchi nazionali un rappresentante delle organizzazioni agricole: non solo perché non può essere il Consiglio la sede delle rappresentanze degli interessi di settore, ma anche perché l’agricoltura compatibile con l’ambiente - che certamente è e deve continuare a essere attività fondamentale in quasi tutti i parchi naturali (nazionali e regionali) - è quella che si avvale di pratiche non aggressive, a partire dall’agri- coltura biologica; ma poiché l’agricoltura aggressiva è quella economicamente più forte e perciò dominante sul piano sindacale e politico, vi è il fondato rischio che nei Consigli vengano nominati i suoi rappresentanti.

Il probabile inserimento della componente corporativa fa risultare ancora più

stridente la soppressione della componente scientifica, compiuta dal dpr 73 del

2013 e confermata dal dibattito in Commissione senatoriale, che comporta il

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I BOSCHI TRA GOVERNO DEL TERRITORIO E QUESTIONE DEI BENI COMUNI 83

grave “rischio di deprimere l’attenzione naturalistica” (p. 274) e che, aggiungerei, contraddice la storia italiana dei parchi e una prassi delle aree naturali protette esistente in tutte le aree protette del pianeta che si fondano su quello che si po- trebbe definire come approccio scientifico alla gestione.

A proposito dell’agricoltura compatibile con l’ambiente, A.A. accenna a un’interessante questione che riguarda le zone di riserva integrale, nelle quali cioè l’ambiente naturale deve essere conservato nella sua integrità (art. 12 della legge 394): l’esclusione di ogni attività produttiva dovrebbe comportare forme risarci- torie nei confronti dei proprietari con la conseguenza che, considerati i magri bilanci di parchi, quelle zone finirebbero per riferirsi alla sola proprietà pubblica agro-silvo-pastorale e perciò per ridursi ad aree di modesta estensione. Ora, a parte che anche in caso di proprietà pubblica si pone un problema di indennizzo (a volte risolto dagli enti parco con l’affitto di boschi e pascoli di proprietà co- munale) e che la proprietà pubblica in molte aree montane del nostro paese è assai estesa, l’interesse della questione ruota attorno ai concetti di integralità e di integrità: “non riteniamo - scrive l‘A. - che sarebbero incisi gli equilibri naturali e le caratteristiche originarie dell’area” (p. 279) per ogni forma di attività produt- tiva. Esemplifico: l’attività di allevamento ovino nei pascoli di alta montagna non incide necessariamente, qualora le greggi non entrino in conflitto con la fauna protetta, sugli equilibri naturali, ma anzi può comportare la conservazione di equilibri secolari e pertanto la riconduzione di quei pascoli al più rigoroso regime di tutela previsto per le zone di riserva integrale potrebbe essere funzionale all’azione generale del parco.

Mi sia permessa una breve considerazione sulla funzione che oggi devono svolgere le aree protette. Anche se il libro non fa diretto riferimento a quanto sto per dire, sono gli stimoli che la sua lettura mi ha provocato a consentirmelo.

Le aree protette sono state e restano eccezionali serbatoi di biodiversità, ric- che di paesaggi e di bellezza: mantengono pertanto la loro funzione tradizionale di baluardo fondamentale di conservazione, che anzi, riducendosi drammatica- mente il territorio naturale, deve essere ulteriormente potenziato. Ma oggi si sco- pre sempre di più un altro importantissimo ruolo delle aree protette e in parti- colare dei parchi che tra le aree naturali sono le più complesse: i parchi (nazionali e regionali) costituiscono degli straordinari laboratori dove si sperimenta una ge- stione territoriale in armonia con l’ambiente che pone al centro il rapporto tra la persona e la natura; diventano pertanto modelli di uno sviluppo effettivamente sostenibile, non interpretabile in senso meramente economicistico e che per- tanto fa riferimento a quell’insieme di valori cui prima ho accennato: modelli complessi fondati sulla partecipazione democratica e su metodologie che si ba- sano, come ho detto, su un approccio scientifico ai problemi gestionali.

5. La proprietà forestale è tema affascinante per il civilista, come ha dimo- strato il lavoro fondamentale di Michele Tamponi

4

. Concluderò dunque con

4 M. Tamponi, Una proprietà speciale (lo statuto dei beni forestali), Cedam, Padova 1983.

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84 C.A. GRAZIANI IFM LXXI – 2/2016

tale tema, anche se il libro meriterebbe un più ampio approfondimento: mi limito però a dar conto molto brevemente di tre aspetti che ritengo particolar- mente interessanti perché si ricollegano alla questione dei beni comuni oggi di grande attualità.

Mi riferisco innanzi tutto al richiamo, ripreso da un lavoro di Alberto Mura

5

, alla tesi esposta dal Ministro Salvatore Majorana Calatabiano (nonno del grande fisico Ettore Majorana) nel corso della presentazione al Parlamento della legge del 1877 (n. 3917): il vincolo idrogeologico non è soggetto a indennizzo perché permette co- munque la coltura forestale e quindi non impedisce l’esercizio del diritto di proprietà;

esso invece costituisce “la naturale limitazione delle ragioni della proprietà”, al di là delle quali non esiste il diritto, ma l’abuso di esso in danno alla società (p. 15). Sot- tolineo “limitazione naturale”: non si tratta cioè di limitazione imposta dalla legge e perciò, secondo il linguaggio dottrinario, di “conformazione” della proprietà.

Mi riferisco inoltre alla riconduzione della proprietà forestale all’interno di quella che è stata definita “proprietà di beni ad uso controllato da parte della Pubblica Amministrazione” (Giannini): si tratta di proprietà vincolata perché soddisfa interessi generali (in questo caso quelli per i quali viene apposto il vin- colo idrogeologico) al pari di altre proprietà che sono anch’esse vincolate perché soddisfano interessi generali di altro tipo, come la proprietà dei beni compresi nelle aree protette o quella dei beni archeologici o artistici. La proprietà vincolata comporta l’attribuzione alla P.A. “del potere di emettere, nel rispetto del dettato costituzionale della funzione sociale della proprietà, provvedimenti idonei a ge- nerare soggezioni e obblighi in capo al privato”. La conseguenza - questa è la notazione dell’A. che si collega al precedente aspetto - è che “i limiti all’utilizza- zione di tali beni da parte del proprietario sono intrinseci ossia connaturati ai beni medesimi e non imposti dall’esterno” (p. 31s).

La natura di proprietà vincolata - aggiungo - chiama in causa anche quelle funzioni del bosco, oggi qualificate servizi ecosistemici, alle quali allude A.A.

quando afferma che il bosco - “ben al di là della dimensione estetica e a prescin- dere dalla stessa funzione idrogeologica” - è “presidio per la salute fisica, come nel caso dell’assorbimento delle polveri sottili, ma anche psichica” dei cittadini (p. 91s). È questo dunque un altro profilo che riconduce il bosco tra i beni og- getto di proprietà vincolata.

Il terzo aspetto è dato dal riferimento a Giacomo Venezian e al suo lavoro del 1909 su “La questione del vincolo forestale”: l’appropriazione privata dei beni of- ferti dalla natura, come i boschi, si può giustificare - questi scrive - solo a condi- zione che il privato non menomi quei beni perché su di essi insiste anche “il diritto della consociazione politica sul territorio sul quale la vita ha base” e pertanto non sarebbe “sovranamente ingiusto” il vincolo, “ma l’indennità che fosse corrisposta per un vincolo inteso ad assicurare la consistenza del suolo”. A.A. ha il merito di riproporre (p. 34s) il pensiero di questo grande giurista che, individuando il “diritto della consociazione politica” si collega direttamente alla questione dei beni comuni.

5 A. Mura, Ordinamento forestale e problemi montani, Giuffrè, Milano 1973, p. 16.

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I BOSCHI TRA GOVERNO DEL TERRITORIO E QUESTIONE DEI BENI COMUNI 85

Non è certamente questa la sede per affrontare tale questione, anche perché su di essa si è scritto tanto, forse troppo. Mi limito pertanto a rilevare che la proposta di legge delega per la modifica dell’art. 810 del codice civile elaborata dalla Commissione Rodotà e datata 14 giugno 2007, la quale è diventata oramai un riferimento obbligato per il dibattito in corso, inserisce “le foreste e le zone boschive”, al pari dei “parchi come definiti dalla legge”, tra i beni comuni, tra i beni cioè che “esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona” e che “devono essere tutelati e salva- guardati dall’ordinamento giuridico anche a beneficio delle generazioni future”;

di tali beni, i cui “titolari” possono essere soggetti sia privati che pubblici, deve in ogni caso essere garantita la “fruizione collettiva, nei limiti e con le modalità fissati dalla legge”

6

.

Resta, a mio avviso, aperto il problema del significato e della portata della natura comune di beni che comunque rientrano nella titolarità di soggetti pub- blici o privati; resta cioè aperto il problema di sciogliere quella che appare come una contraddizione tra natura comune e titolarità individualizzata.

Personalmente ho cercato di affrontare tale problema in maniera diversa ri- spetto a chi autorevolmente, offrendone un’impostazione per così dire autentica, ha sottolineato l’esigenza di un “cambio di paradigma” e di un profondo muta- mento concettuale in base al quale “al posto del soggetto astratto della modernità occidentale compare il ‘costituzionalismo dei bisogni’ ”

7

: ho ritenuto invece, re- stando ancorato alle categorie astratte, di configurare un contenuto massimo della proprietà “oltre” il quale il titolare non può andare non per limiti posti dalla legge, e in quanto tali conformanti il diritto, ma perché la proprietà per sua natura non può ricomprendere nel suo contenuto la facoltà di incidere sulla vita della terra (e perciò anche della terra boscata e delle aree protette), sulla sua bellezza, sul paesaggio che la ricomprende: proprio in quell’“oltre” ho ritenuto di ravvi- sare il bene comune

8

. Ma - ripeto - non è questa la sede per insistere sul punto.

Mi scuso per questo riferimento personale, ma è proprio l’interesse suscita- tomi dal libro che mi ha indotto a farlo. Anche per tale ragione, nel concludere, voglio ringraziare il collega e amico Alberto Abrami.

6 V. la proposta della Commissione Rodotà in M.R. Marella (a cura di), Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Ombre corte, Verona 2012, pp. 161ss. Dopo la caduta del Governo Prodi, che aveva costi- tuito la Commissione, la proposta non ha purtroppo avuto seguito

7 S. Rodotà, Beni comuni: una strategia globale contro lo “human divide”, postfazione a M.R. Marella (a cura di), cit., pp. 310ss e spec. 324, 332.

8 Mi sia permesso di rinviare al mio lavoro La terra: oggetto di possesso o bene comune?, in Archivio Scialoja-Bolla, 2013, pp. 22ss

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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments       71 (2): 86‐91, 2016 

© 2016 Accademia Italiana di Scienze Forestali 

MICHELE SANFILIPPO (*)

QUANDO IL BRUCO DIVENTA FARFALLA:

IL DIRITTO FORESTALE DA CENERENTOLA A MATERIA PRINCIPE DEL COSTITUZIONALISMO

(*) Club Giuristi per l’Ambiente.

Alberto Abrami, illustre caposcuola, fiorentino, del diritto forestale e ambien- tale offre, di pari suo, una ricostruzione aggiornata e sistematica degli istituti coinvolgenti i diversi tipi di aree protette, in generale, ed in specifico relativi ai territori forestali, che ha il pregio della organicità, dando una visione corale del sistema della tutela forestale. L’opera, infatti, oltre che per i già menzionati profili organici e sistemaci, risulta pregevole, per l’attenta ricostruzione del complesso sistema normativo, ben scansionando gli istituti coinvolti sia sotto il profilo lo- gico che temporale. Direi che sotto questo profilo ricostruttivo, l’opera sembra, quasi, di tipo anglosassone, ovvero quei testi che hanno l’umiltà di accompagnare il lettore sin dagli albori, senza dare alcunché di già saputo, che spesso nasconde la dotta sicumera dell’ignoranza. Orbene, leggendo il testo ci si rende conto che è un’opera compiuta, che siamo di fronte ad un vero ed autentico manuale. L’edi- tore, ha editato un’opera che rimarrà nel tempo proprio per la completezza della stessa, a prescindere dalla mutevolezza delle norme, che potranno impolverarla, ma rimarrà e diventerà pietra miliare della disciplina.

Attualità: sistema vincolistico e difesa del suolo

Risulta, poi, profondamente attuale, specie per ciò che attiene alla questione, poco dibattuta dagli e negli organi di informazione, ma di primaria importanza, del ruolo ed attualità del significato della presenza di una “Proprietà forestale pubblica”, da mettere in relazione, da un lato con il sistema vincolistico forestale e dall’altro con l’esigenza della difesa del suolo.

Alla ricerca di un punto di equilibrio fra: il rispetto delle ragioni economiche con la “rilevanza giuridica dell’ambiente”

L’Autore, ha il pregio di non avventurarsi in meandri delle dovute scelte di fondo, ma implicandole, prova a dare una risposta ricostruttiva del sistema, al fine di fornire gli strumenti del mestiere per una razionale e costituzionalmente rispettosa soluzione che armonizzi il rispetto delle ragioni economiche con la

“rilevanza giuridica dell’ambiente”.

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QUANDO IL BRUCO DIVENTA FARFALLA: IL DIRITTO FORESTALE 87

Approccio asettico non ideologico

Risulta di particolare pregio la circostanza che l’Autore non si avventura in facili proclami ed apriorismi ideologici, ma, con grande equilibrio, sviscera an- che le ragioni della produzione, quale strumento di tutela, direi proattiva, delle esigenze della tutela del bosco e del suolo, in ottica di generale tutela dell’am- biente.

Direi che il nucleo centrale dell’opera in commento sia stato descritto. Non deve, però, considerarsi di minor pregio la ricostruzione dei profili più periferici, rispetto al detto nucleo centrale.

L’autore, si interroga, ricostruendo l’istituto dei parchi e riserve naturali, sulla loro rilevanza e sulle ipotesi di riforma.

Inoltre, vi è una pregevole attività ricostruttiva, con una puntigliosità da fine artigiano, come fosse un incastonatore di preziosi, del tortuoso percorso della legislazione della montagna e della presenza delle discusse Comunità montane.

“Verde urbano” e periurbano alla politica e legislazione europea: il tema infrastrutturale Parimenti, l’amico Alberto Abrami, si e ci proietta nel cuore del disegno eu- ropeo, accomunando il “verde urbano” e periurbano alla politica e legislazione europea. Questa vicinanza sistematica, nella lettura, è parimenti centrale, quasi un implicato altro nucleo dell’opera, in quanto proietta, con una malcelata invo- lontarietà, il lettore verso il disegno infrastrutturale, ove il ruolo del verde sia urbano che periurbano rappresenta il fulcro dei progetti infrastrutturali dell’Unione Europea.

Questo snodarsi dell’opera intorno ai descritti due nuclei - le ragioni della rilevanza pubblica, nella declinazione della proprietà pubblica del patrimonio fo- restale, armonizzata con la descritta tutela proattiva, ed il tema europeo infra- strutturale - danno all’opera ricostruttiva un tocco di novità, pur radicato in una corposa tradizione accademica, che traspare anche nelle stesse modalità lingui- stiche e redazionali.

Illustrate le impressioni e le chiavi di lettura da parte del commentatore, ve- diamo, in dettaglio una descrizione della pregevole opera, che sarà sicuramente una dei capisaldi della materia per gli anni a venire.

Opera sistematica

È, innanzitutto, dicevamo, opera sistematica che è capace di inglobare nel

complesso delle norme costituenti il diritto forestale, anche la legislazione sulla

montagna ed istituti, come gli usi civici e le comunioni familiari, che di per sé

non potrebbero, a rigore essere definite forestali, ma che di certo, quanto meno,

orbitano intorno all’ordinamento forestale. Tematica, questa, dell’uso comune,

implicata dagli usi civici, che, nel prossimo futuro rappresenterà una delle que-

stioni di maggior rilevanza, basti pensare alla tematica delle reti locali ed al pas-

saggio da una economia competitiva ad una cooperativa, conseguente alle inno-

vazioni tecnologiche.

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88 M. SANFILIPPO IFM LXXI – 2/2016

Né rimangono esclusi dal volume i diversi orientamenti relativi al significato giuridico di ambiente come pure la disamina legislativa avente ad oggetto il risar- cimento per il danno provocato all’ambiente.

La menzionata ricostruzione storica del regime giuridico dei territori boscati viene, pregevolmente, scansionata temporalmente attribuendo rilievo a tre mo- menti legislativi fondamentali: il primo dei quali risale all’inizio degli anni ’20, ed è costituito dal testo base tuttora in buona misura vigente, il secondo vede la luce nella metà degli anni ’80, ed il terzo si verifica all’inizio degli anni 2000 me- diante il quale viene corretto ed integrato in modo significativo il testo unico n.

3267 del 1923 alla luce di una nuova, rispetto alla normativa originaria, conce- zione del ruolo del bosco e delle sue finalità, non più limitate all’interesse idro- geologico, ma alla globalità delle sue funzioni. Vi è infatti nel regio decreto del 1923 la coincidenza tra protezione del suolo e tutela del bosco nel senso che quest’ultimo è protetto solo nella misura in cui risulta utile alla difesa del territo- rio. Strumento fondamentale per raggiungere questa finalità è il vincolo idrogeo- logico, mediante il quale si vuole evitare che, “con danno pubblico,” si verifichino denudazioni perdita di stabilità del terreno e alterazione del regime delle acque.

Il vincolo viene imposto sui “terreni di qualsiasi natura e destinazione”, sicché, rileva Abrami, piuttosto che di una normativa forestale si dovrebbe parlare del decreto n.3267 del 1923 di una legge idrogeologica.

Abrami, poi, puntualizza e spiega, con la consueta maestria, che il vincolo idrogeologico non ha valore assoluto, ma relativo, nel senso che il terreno bo- scato può essere trasformato in altra destinazione produttiva qualora vi sia l’au- torizzazione dell’Autorità amministrativa che ritenga il mutamento della destina- zione compatibile con la presenza del vincolo.

L’Autore evidenzia una situazione fattuale rivelatrice di come la normativa del 1923, interpretata alla lettera in suo dettato di particolare rilevanza come quello dell’art. 7, avesse avuto l’effetto che fino a tutti gli anni ’60, il divieto di trasformazione del terreno boscato vincolato fosse stato costantemente inteso dall’Autorità amministrativa unicamente in relazione alla coltura agraria o più esattamente in relazione alle diverse specie di coltura agraria. Solo con l’inizio degli anni ’70, con un assunto del supremo Consesso della giustizia amministrativa, verrà data un’interpretazione estensiva dell’art. 7 del decreto n.

3267 del 1923 che permetterà di sottoporre ad autorizzazione ogni

trasformazione del terreno boscato a prescindere dal tipo della successiva

destinazione che potrà essere la più diversa. La caratterizzazione del decreto del

1923 nel senso della difesa del suolo, viene rilevata da Abrami non solo sotto il

profilo della prevenzione del danno attraverso l’imposizione del vincolo

idrogeologico che prevede divieti di non fare, ma anche mediante interventi in

positivo a carico dello Stato come le sistemazioni idraulico- forestali attraverso il

rimboschimento dei bacini montani, le opere di rinsaldamento degli argini dei

fiumi, le opere idrauliche eventualmente occorrenti ecc. Nonostante questa sua

accentuazione dell’aspetto di protezione idrogeologica del territorio, al decreto

n. 3267 del 1923 si è sempre guardato come all’unica legge forestale esistente:

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