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FAUNA E FORESTE GLI ANIMALI SELVATICI DEI NOSTRI BOSCHI

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PAOLO CASANOVA (*) - ANNA MEMOLI (**)

TEORIA E PRATICA DELLA PREDAZIONE ( 1 )

In natura la predazione rappresenta uno dei fattori fondamentali per regolare la densità delle popolazioni animali selvatiche. Tuttavia il rapporto preda-predatore risulta molto complesso per costituzione (reti trofiche) ed è stato definitivamente alterato dal- l’Uomo in modo tale da rendere impossibile la ricostituzione, anche parziale, degli equili- bri iniziali. Questa situazione ha favorito l’aumento dei carnivori «opportunisti», in parti- colare Mustelidi, mentre ha penalizzato quelli più «specializzati», tra cui il Lupo. In que- sto contesto una maggiore presenza del suddetto canide assume un rilievo importante in quanto può contribuire a una selezione qualitativa di tipo genetico dei grossi ungulati.

Parole chiave: preda-predatore; lupo; predazione; popolazione.

Key words: prey-predator; wolf; predation; population.

P REMESSA

La predazione è uno dei processi fondamentali, se non il principale, della biologia e ciò per diversi importanti motivi. Vediamone alcuni, assie- me a O DUM (1971).

È la principale via attraverso la quale si sposta il flusso energetico che parte dal primo livello trofico. L’energia, accumulata sottoforma di alimenti dalle piante, tramite la predazione, si trasferisce, in parte, al secondo livello (pascolatori) per poi raggiungere il terzo, quello dei predatori. Anche il pascolo è quindi una forma di predazione, seppure del tutto particolare.

Consente l’evoluzione e la formazione di specie diverse di piante e ani- mali a causa del suo forte potere selettivo coordinato alle diverse interazioni ambientali. Determina cioè un’accelerazione nel selezionare forme di vita

(*) Docente di gestione faunistica presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali

(**) Dottore di ricerca presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali

1

Gli autori hanno svolto il lavoro in parti uguali.

– I.F.M. n. 2 anno 2007

FAUNA E FORESTE

GLI ANIMALI SELVATICI DEI NOSTRI BOSCHI

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(vegetale e animale) sempre più adatte all’ambiente in cui vivono; in parti- colare quando si verificano repentini mutamenti dell’ambiente stesso.

È, infine, la principale fonte degli effetti dipendenti dalla densità degli individui; effetti che regolano l’accrescimento, positivo o negativo, di quasi tutte le popolazioni animali e vegetali presenti sul nostro pianeta.

Possiamo definire quindi la predazione come il «meccanismo» fonda- mentale per l’evoluzione genetica, fenotipica e numerica delle popolazioni presenti su uno stesso territorio, nello stesso tempo.

T EORIA DEL RAPPORTO PREDA - PREDATORE

Il rapporto preda-predatore fu studiato in modo analitico, anche se teorico, per la prima volta da due matematici, Alfred J. Lotka e Vito Volter- ra, che, indipendentemente l’uno dall’altro, giunsero agli stessi risultati, rispettivamente nel 1925 e nel 1926. I risultati di tali ricerche furono sinte- tizzati in un sistema di due equazioni: le equazioni di Lotka e Volterra.

Ancora oggi queste equazioni costituiscono il punto fondamentale di riferi- mento per spiegare i complessi rapporti che intercorrono fra popolazione predatrice e popolazione predata, anche se, lo ripetiamo, si tratta di un modello matematico puramente teorico.

La curva di accrescimento, presa come base per la ricerca, è stata quel- la dell’accrescimento esponenziale che si ha quando una popolazione può accrescersi senza alcun fattore limitante, con la massima natalità e la mini- ma mortalità; l’equazione di tale curva è data da

in cui: N = numero degli effettivi di popolazione e r = tasso di accrescimen- to; r a sua volta deriva da

dove B (dall’inglese to be born) è il tasso di natalità e D (dall’inglese to die) il tasso di mortalità: ambedue considerati nella situazione più favorevole per la popolazione (senza alcuna resistenza ambientale) e quindi del tutto teorici.

Esaminiamo adesso una popolazione predatrice con un numero di effet- tivi N 1 e una popolazione predata composta da N 2 individui, ambedue poste in condizioni ottimali di accrescimento (accrescimento esponenziale), senza alcun fattore di resistenza ambientale, salvo l’interazione preda-predatore.

In tale situazione, il tasso di natalità del predatore dipende senza dub- bio dal cibo disponibile (cioè dalla densità della preda); sarà quindi uguale a B 1 N 2 dove B 1 rappresenta il tasso di natalità massimo (costante) e N 2 il

D B r =

dt Nr

dN =

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numero di prede. Il tasso di mortalità invece non dipende dalla densità delle prede, ma da quelle che sono le caratteristiche biologiche del predato- re stesso e pertanto sarà anche questo una costante indicata con D 1 .

L’accrescimento teorico della popolazione predatrice risulta quindi:

questa è la prima equazione di Lotka e Volterra.

La seconda si riferisce alla popolazione predata. In quest’ultima la natalità individuale non dipende dalla densità del predatore ma dalla sua capacità riproduttiva e verrà quindi indicata dalla costante B 2 . La mortalità invece è collegata in modo proporzionale all’abbondanza del predatore e si indica quindi con D 2 N 1 .

È molto importante osservare come, nelle due equazioni, il tasso di accrescimento (B – D) dipenda dal prodotto del numero degli individui presenti, in modo molto simile al principio dell’azione di massa nelle rea- zioni chimiche: cioè la velocità di reazione dipende dal prodotto delle con- centrazioni delle molecole reagenti. Semplificando al massimo, la velocità di reazione è proporzionale in modo diretto alla frequenza degli «incontri»

tra molecole la quale, a sua volta, è in funzione del prodotto delle concen- trazioni dei reagenti.

In modo del tutto simile, la velocità con cui si evolvono le popolazioni preda e predatore dipende dalla frequenza con cui l’individuo preda incon- tra l’individuo predatore, nell’unità di tempo.

Sempre in base alle equazioni di Lotka e Volterra, risulta facile calcola- re a quali dimensioni le popolazioni predatore e preda raggiungeranno un

2 1 2 2 2

2 B N D N N

dt

dN =

2 1 2 2

2 ( B D N ) N

dt

d N =

(natalità procapite – mortalità procapite) N dt

N 2 = 2

d

1 1 2 1

1 ( B N D ) N

dt

d N =

1 1 2 1 1

1 B N N D N

dt

dN =

(natalità procapite – mortalità procapite) N dt

dN 1 = 1

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equilibrio. Per definizione, quando una popolazione è in equilibrio abbiamo dN/dt = 0 (cioè le morti eguagliano le nascite) e quindi non vi è incremento numerico. Nella popolazione del predatore, se dN 1 /dt = 0, avremo N 2 = D 1 /B 1

e, in modo analogo, per quella della preda, se dN 2 /dt = 0, si avrà N 1 = B 2 /D 2 . Queste ultime due equazioni generano delle rette se disegnate in un grafico con coordinate N 1 e N 2 , dette curve di accrescimento zero. Tale grafico (grafi- co 1), qui riportato da W ILSON e B OSSERT (1974), può migliorare molto la comprensione di come le due popolazioni interagiscono.

Grafico 1 – Schema dell’interazione preda-predatore in base alle equazioni Lotka e Volterra. In alto il diagramma delle densità correlate delle due popolazioni interagenti. In basso le stesse densità in fun- zione del tempo. (Fonte: W

ILSON

e B

OSSERT

, 1974, op. cit., modificato).

– Scheme of the prey-predator interaction on the basis of Lotka and Volterra equations. On top the

diagram of compared densities of the two interacting populations. Down, the same densities according to time.

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Si evidenzia come a destra della verticale N 2 = D 1 /B 1 il predatore sia in accrescimento perché la preda è più abbondante di D 1 /B 1 e quindi il preda- tore ha una natalità superiore alla mortalità. Spostandosi alla sinistra, si verifica la situazione inversa.

In modo analogo, la preda si trova in accrescimento sotto la curva N 1

= B 2 /D 2 in quanto i predatori sono pochi (meno di B 2 /D 2 ) e di conseguenza la mortalità della preda risulta inferiore alla sua natalità.

Il circolo di frecce rappresenta la variazione nel tempo, in modo coor- dinato, degli effettivi delle due popolazioni. Il grafico in basso evidenzia invece come le suddette variazioni determinino oscillazioni cicliche costanti nel tempo.

In teoria quindi il sistema di equazioni di Lotka e Volterra prevede nelle popolazioni in equilibrio (dN/dt = 0) una serie di oscillazioni cicliche a intervalli regolari, senza che queste si allontanino molto dall’equilibrio suddetto.

Nella realtà tale situazione si riscontra di rado perché è difficile avere un rapporto diretto preda-predatore senza che intervengano altri predatori o altre prede e perché esistono molte variabili non considerate negli esempi riportati: ad esempio la territorialità e il tempo necessario per catturare la preda. L’unico caso documentato di rispondenza, con abbondanti dati e per lungo tempo, è costituito dalla lince (predatore) e dalla lepre polare (preda), in Canada, nella regione della baia di Hudson. Il numero delle pel- licce delle suddette due specie, ricevute dalla Hudson Bay Company fra il 1845 e il 1935, sembra confermare in pieno la teoria di Lotka e Volterra (O DUM , op. cit.).

La rarità dei casi reali deve venire ricercata nella eccessiva semplicità del sistema di equazioni, soprattutto per quando riguarda la dinamica della popolazione preda.

Questa non si riproduce a velocità costante come nella teoria si suppo- ne; a basse densità si evidenziano infatti difficoltà nell’incontrare il partner per la riproduzione; a elevate densità invece si hanno tutti i vari fenomeni collegati alla competizione intraspecifica, all’aumento della mortalità e alla diminuzione della fecondità (M AYNARD S MITH , 1975).

È quindi più opportuno, e anche più realistico, disegnare la curva di accrescimento zero, della preda, convessa invece che con una retta, come viene definita nell’equazione di Lotka e Volterra.

Il grafico 2 è quindi equivalente al grafico 1 solo che nel 2 la curva di accrescimento della preda è stata disegnata convessa, come sopra ipotizzato.

Per semplicità passiamo all’analisi grafica tralasciando il procedimento matematico analitico troppo complesso, come spiegato da W ILSON e B OS -

SERT (op. cit.)

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Nel grafico 2 si ha un ciclo stabile perché la curva di accrescimento zero del predatore taglia ad angolo retto la corrispondente curva della preda, creando quattro situazioni del tutto analoghe al grafico 1. Le frecce, che indi- cano la direzione dei cambiamenti numerici delle popolazioni, si valutano allo stesso modo; si muovono lungo un percorso simmetrico in ogni quadran- te, creando così cicli stabili nel tempo per ambedue le popolazioni.

Se disegniamo un grafico analogo ma con la curva di accrescimento zero della preda in gran parte fuori dalla curva del predatore (nel grafico 2, spostata a sinistra) le due popolazioni tendono verso una notevole stabilità (ciclo smorzato). La preda non rischia mai di estinguersi perché durante la fase di accrescimento non viene interessata dalla predazione.

All’opposto, se la curva della preda giace in gran parte dentro la curva del predatore, si ha una situazione definita esplosiva (ciclo instabile o esplo- sivo), propria di ecosistemi molto semplici con una sola preda e un solo predatore; situazione che porterà in tempi più o meno brevi all’estinzione di ambo le popolazioni soggette a oscillazioni numeriche sempre più ampie.

Infine, l’ultimo caso da considerare prevede una situazione del tutto simile al caso precedente ma con la possibilità per la preda di «rifugiarsi» in

Grafico 2– Rappresentazione dell’interazione preda-predatore (ciclo stabile) come nel grafico 1, ma con la curva di accrescimento zero della preda disegnata convessa. (Fonte: W

ILSON

e B

OSSERT

, 1974, op. cit., modificato)

– Representation of the prey-predator interaction as in graphic 1, but with the zero increase

curve of the prey seen as convex.

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un luogo dove il predatore non ha la possibilità di accesso: è il ciclo stabile con rifugio. Un certo numero di prede si può ritirare nel «rifugio» e quindi sottrarsi all’azione del predatore. Qui possono riprodursi e uscire solo quando la den- sità diventa troppo elevata subendo, solo allora, gli effetti della predazione.

La situazione esplosiva del caso precedente può venire quindi corretta favorendo la formazione di un «rifugio», così che il predatore non possa in alcun caso sterminare la preda.

In natura quest’ultima situazione appare molto frequente ed è il prin- cipale fattore che consente un equilibrio naturale preda-predatore negli ecosistemi non eccessivamente degradati.

Rimane infine da fare un’ultima osservazione: forse la più importante per quanto riguarda l’assestamento faunistico. V OLTERRA stesso (op. cit.) individuò una sorprendente conseguenza delle equazioni del sistema preda- predatore. Se un agente esterno, come ad esempio la caccia, distrugge uno stesso numero di capi delle due popolazioni, la preda aumenterà di numero in proporzione alla quantità di individui eliminati, mentre, viceversa, il pre- datore subirà un decremento analogo. In altre parole se si elimina il 50%

delle due specie, o qualsiasi altra quantità purché uguale per preda e preda- tore, la preda crescerà più rapidamente del predatore.

La spiegazione si ha osservando le due equazioni

il prodotto N 1 N 2 entra nella natalità (B 1 ) del predatore e nella mortalità (D 2 ) della preda. Qualora si riduca N 1 e N 2 della stessa misura, l’effetto apparirà ampliato dal prodotto N 1 N 2 che non in N 1 e N 2 presi singolarmente. Il pre- datore ridurrà quindi la sua natalità andando incontro a una progressiva rarefazione, mentre la preda ridurrà la mortalità di egual misura e quindi subirà un forte e progressivo incremento numerico. Si avrà così una «forbi- ce» che nel tempo allontanerà sempre di più le due popolazioni da qualsiasi forma di equilibrio.

L A PREDAZIONE NELLA REALTÀ

L’elemento più importante per le sue conseguenze pratiche, che emer- ge da quanto esposto, è l’estrema fragilità del rapporto preda-predatore.

L’uomo, una volta turbate le condizioni di equilibrio con le varie attività

2 1 2 2 2

2 B N D N N

dt

dN =

1 1 2 1 1

1 B N N D N

dt

dN =

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(agricoltura, gestione forestale, caccia, allevamenti, ecc.), dovrà ricostruire tali condizioni che ben difficilmente potranno venire raggiunte per vie naturali.

La situazione attuale della nostra fauna, e di quella dei paesi maggior- mente antropizzati, ci fornisce le più ampie conferme. Le principali cause, che hanno inceppato i «meccanismi» di autoregolazione, possono venire riassunte come segue. Innanzi tutto l’azione diretta (caccia) contro i grossi predatori che, come tali, rappresentavano, e rappresentano, un grosso peri- colo per il bestiame domestico allo stato brado: animali quest’ultimi incapa- ci di difendersi, che possono venire abbattuti con poco sforzo, e quindi molto remunerativi dal punto di vista «resa in carne» per la modesta quan- tità di «lavoro» muscolare impiegato.

La caccia di sterminio non solo ha distrutto i rapporti ipotizzati nel paragrafo precedente, ma ha determinato l’estinzione di molte popolazioni di carnivori. Ad esempio, nel nostro Paese, sono scomparsi la lince, l’orso (salvo un piccolo gruppo nell’Adamello-Brenta e una modesta popolazione nel Parco Nazionale d’Abruzzo), la lontra e il lupo; anche se quest’ultimo, negli ultimi decenni, sta riconquistando faticosamente molte zone dell’Ap- pennino favorito dalla sua adattabilità e dall’esodo rurale degli anni ’60 (B OITANI e S ACCODATO , 1979). In via di estinzione si possono considerare anche il gatto selvatico e la martora (C ASANOVA et al., 1993).

Sono scomparsi quindi, o stanno scomparendo, soprattutto i grandi specialisti perché, oltre la caccia di sterminio, la trasformazione degli habi- tat, propria degli ultimi secoli, ha tolto alle suddette specie qualsiasi possi- bilità di ripresa numerica. Basta pensare all’aumento della superficie dei terreni coltivati, alla canalizzazione dei fiumi, alle bonifiche, alle utilizzazio- ni forestali e infine alla capillare presenza dell’uomo su tutto il territorio comprese, spesso, le zone montuose dell’Appennino e della fascia alpina.

La sua presenza comporta inevitabilmente un altro elemento destabi- lizzante: le spazzature, assieme ai ratti che sempre le accompagnano.

I predatori trovano così a loro disposizione fonti alimentari succeda- nee che contribuiscono in modo determinante a diminuire qualsiasi correla- zione fra numero dei predatori e numero delle prede. Quando queste ulti- me scarseggiano, le popolazioni predatrici si rivolgono alle discariche, ai rifiuti alimentari lasciati sul territorio, ai topi, ecc. riuscendo a mantenere elevato il loro successo riproduttivo. I rifiuti alimentari richiedono uno sforzo minimo per la «cattura»: sforzo più che altro impiegato per allonta- nare qualche commensale inopportuno (O DUM , op. cit.).

La situazione ora descritta ha influito invece in modo positivo sui car-

nivori meno specializzati, con ampia capacità di adattamento, come la

volpe, la faina, la puzzola, la donnola e, in parte, come accennato, il lupo.

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Le popolazioni di mustelidi e di volpe hanno così incrementato notevol- mente i propri effettivi fino a diventare invadenti, lasciando poche possibi- lità di sopravvivenza alle loro prede tradizionali che non possono disporre, sul territorio, di un «rifugio» nel senso prima descritto. Si è assistito pertan- to a forti flessioni nelle popolazioni di starna (scomparse), di fagiano, lepre, pernice e altre, penalizzate anche da un’assurda pressione venatoria, dall’in- quinamento genetico e dalle già ricordate trasformazioni dell’ambiente. La volpe, ad esempio, ha quasi quintuplicato le proprie presenze rispetto alla prima metà del ’900, in particolare nelle campagne densamente abitate.

Quest’ultima specie, una volta affrancata dalle prede, è stata ulteriormente favorita dall’esodo rurale (crollo della mezzadria e della piccola azienda a conduzione familiare), perché è cessata la caccia senza quartiere (allora consentita dalla legge) condotta nei suoi confronti dai contadini; osserva- zione del resto valida anche per i mustelidi prima ricordati (C ASANOVA e F INOTELLO , 1983).

Una situazione del tutto particolare si sta verificando nelle zone poste in divieto assoluto di caccia come parchi nazionali e regionali, riser- ve naturali, foreste demaniali, ecc. nelle quali, dopo il ritorno degli ungu-

Figura 1 – Lupo maschio adulto. I caratteri distintivi principali sono: testa larga, orecchie diritte e corte, labbra e arcate sopraciliari chiare, coda grossa con pelo folto e non più lunga dei garretti, riga scura sul davanti degli arti anteriori (riga sciacallina). (Foto P. Casanova).

– Adult male wolf. Its main distinctive characters are: wide head, short and straight ears, light

lips and eyebrow arches, big and thick hair tail, not longer than fetlocks, dark line on the front limbs.

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lati, si osserva un incremento quasi esponenziale delle nuove popolazioni, mentre mancano o stentano ad affermarsi quelle del loro predatore natu- rale: il lupo.

I grossi pascolatori (daino, cervo, capriolo e cinghiale) non sottoposti a predazioni da parte del lupo, unico carnivoro che li può abbattere, né ad alcun prelievo venatorio, per vincoli di legge, stanno raggiungendo densità tali da mettere a rischio la stessa rinnovazione forestale. È il caso del Parco Nazionale dello Stelvio con il cervo, del Parco Naturale della Maremma con daino e cinghiale, delle Foreste Casentinesi con cervo, daino e cinghia- le, della Foresta Demaniale dell’Acquerino con il cervo e praticamente di tutte le altre superfici forestali appartenenti al Demanio, poste nell’Italia centro-settentrionale. Il problema non è di facile soluzione a meno che non si consenta un prelievo venatorio in deroga basato su appropriati piani di assestamento faunistico: ipotesi al momento del tutto improbabile, anche se la più logica.

Le speranze per riequilibrare la situazione ricadono purtroppo tutte e solo sul lupo ma, per quanto abbiamo esposto nel paragrafo precedente, ci sembrano speranze mal riposte.

Il primo elemento negativo, e non da poco, è che le popolazioni preda e predatore, per poter raggiungere un equilibrio, devono evolversi assieme.

Nel nostro caso invece il lupo si insedia su areali in cui le prede si trovano già al massimo della capacità portante (K) ambientale e oltre. Secondo fat- tore negativo, anche se l’espressione non è corretta, sta nel fatto che il lupo, per sua natura, non è un «macellaio». Una volta abbattuta una grossa preda, non caccia fino a che la carcassa non è stata del tutto spolpata, con l’eventuale aiuto della sua compagna e dei cuccioli emancipati; a meno che le «prede» non siano animali domestici, nel qual caso si può avere la strage.

Nella situazione ipotizzata, ci vorrebbe invece un «killer», ruolo non previ- sto in natura per ovvii motivi di economia energetica. Si ricordi inoltre che il suddetto canide non si nutre solo di ungulati ma anche di piccoli mammi- feri, compresi i ratti e i topi in senso lato, di anfibi, rettili, uccelli, uova, carogne, frutta, ecc., come spiegato da M OWAT nel suo celebre lavoro Mai gridare al lupo (1963).

Ancora, una popolazione di lupo, perché possa venire considerata tale,

deve risultare composta al minimo da circa 20 individui in modo da conte-

nere la perdita di geni alleli, che si verifica a ogni generazione (deriva gene-

tica), entro limiti accettabili. Una ventina di lupi possono rappresentare

quattro-cinque nuclei familiari ognuno dei quali necessita, al minimo, di un

territorio pari a circa 200 Kmq (C ASANOVA e F INOTELLO , 1984). In altre

parole in Italia non vi è parco o area demaniale che possa contenere una

popolazione, se pur piccola, di questo predatore. Inoltre, il comportamento

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territoriale, proprio di tutti i grandi predatori, impedisce al lupo di raggiun- gere densità tali da controllare, in modo equilibrato, elevate concentrazioni di prede non territoriali, o poco territoriali, come daino, cervo e cinghiale, a causa del non sincrono sviluppo delle popolazioni preda-predatore, come già detto.

Infine, il lupo, o i lupi, cacceranno, se li trovano, di preferenza animali domestici perché, come si è visto, più redditizi dal punto di vista della resa in carne. Non dimentichiamo che il suddetto canide può percorrere anche 100 Km in una notte per recarsi dalla tana (dove si trova la compagna con i cuccioli) nei diversi territori di caccia delimitati alcune volte in prossimità di allevamenti bradi.

Tutti gli elementi «negativi» ora ricordati possono causare, in determi- nate situazioni, effetti opposti alla scarsa predazione. Se la popolazione del predatore e quella della preda si trovano a convivere in un sistema chiuso, si può verificare un caso simile a quello del ciclo esplosivo con le già spiega- te conseguenze. Questo perché né il predatore (es. il lupo) né la preda (es.

daino o capriolo) hanno altre alternative. I casi reali sono più frequenti di quanto si possa pensare. Superfici forestali di centinaia o anche migliaia di

Figura 2 – Probabile impronta di lupo. Da notare la forma piuttosto allungata, le dita laterali inserite molto indietro e il cuscinetto plantare posto dietro alle dita laterali. (Foto P. Casanova).

– Probable wolf foot print. See the rather elongated shape, the lateral fingers inserted far back,

and the metacarpal pad placed behind the lateral fingers.

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ettari delimitate da mare, grandi fiumi, crinali montuosi impervi, autostra- de, ferrovie, centri abitati, colture agrarie industriali e quant’altro, possono nel tempo condurre all’estinzione della preda, in particolare se questa è molto numerosa (N 2 > K).

La scarsa quantità di pascolo determina un indebolimento degli indivi- dui (es. daino) che vengono così più facilmente catturati. Al diminuire del carico delle prede, non si ha quasi mai un altrettanta rapida ricostituzione della vegetazione pascolata a causa della forte penalizzazione subita. Per- tanto continua la situazione di carenza alimentare per la preda che non rie- sce ad avere un incremento di natalità tale da superare la mortalità dovuta alla predazione, anche se in regresso, con conseguente estinzione di ambe- due le popolazioni.

Da quanto esposto, si potrebbe essere tentati di eliminare definitiva- mente il lupo, come fattore di equilibrio, per passare a una gestione del tutto artificiale degli Ungulati (caccia di selezione), dove questo è possibile, e lasciare le zone protette come si trovano, confidando nell’irradiamento verso l’esterno degli effettivi delle popolazioni di pascolatori in soprannu- mero, in modo poi da controllare anche questi con l’attività venatoria.

Sarebbe un grossissimo errore perché non vi è alcuna tecnica venatoria che possa sostituire in toto la selezione naturale condotta dai predatori, come ha potuto toccare con mano il governo canadese, negli ultimi decen- ni, per quanto riguarda il rapporto lupo-caribù. Il lupo sicuramente preda i soggetti più deboli delle varie popolazioni di Ungulati da lui controllate sia perché questi possono venire catturati con poco sforzo, sia perché il lupo, o i lupi, non sono in grado di raggiungere con l’inseguimento soggetti perfet- tamente sani i quali, sempre e in ogni caso, corrono più veloci del loro pre- datore (in caso contrario le prede si estinguerebbero molto rapidamente) (W ILSON e B OSSERT , op. cit.). E fino a questo ci si può arrivare anche con un’appropriata caccia di selezione.

L’obiettivo invece che l’uomo non potrà mai conseguire con qualsiasi

tipo di prelievo venatorio riguarda l’eliminazione di capi perfettamente sani

ma «meno adatti» di altri a vivere nell’ambiente in cui si trova la popolazio-

ne: cioè con un genotipo, e quindi con un comportamento, diverso, in

senso negativo, da quello dei soggetti perfettamente integrati. Tale diversità

comporta spesso una maggiore vulnerabilità e quindi una minore capacità

di difesa dal predatore. In altre parole, il lupo non solo mantiene sana la

popolazione predata, ma ne accelera anche l’evoluzione genetica e fenoti-

pica positiva, come accennato in premessa, al pari di tutti gli altri carnivo-

ri. Pertanto, in qualsiasi ecosistema l’azione dei carnivori appare fonda-

mentale soprattutto se le loro popolazioni prevedono un adeguato numero

di effettivi.

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In definitiva occorrono dei piani di assestamento anche per i predato- ri: dai più piccoli (donnola, faina, ecc.) ai più grossi come, appunto, il lupo.

La gestione faunistica deve dunque risultare integrata per tutti i livelli trofi- ci, perché esclusioni arbitrarie possono portare nel tempo a gravi inconve- nienti anche a carico del primo livello (produttori di alimenti) e quindi delle foreste.

C ONCLUSIONI

L’azione dei predatori assume un ruolo fondamentale nella gestione delle prede e, anche se da sola non è sufficiente a regolarne la crescita delle popolazioni, riduce le oscillazioni demografiche delle popolazioni predate che, altrimenti, sarebbero molto più rilevanti. L’impatto dell’attività dei predatori risulta più evidente nei sistemi completi; vale a dire quelli in cui le risorse, le prede e i predatori sono vicini alla capacità portante del siste- ma. In essi l’azione dei predatori può anche avviare fenomeni di «mortalità

Figura 3 – Resti di un capriolo predato nella notte da uno o più lupi. I quarti posteriori sono stati completamente asportati insieme a tutti i visceri. Rimane parte della testa scarnificata, la colonna ver- tebrale, brandelli di pelle e un arto anteriore. (Foto P. Casanova).

– Remains of a roe deer predated in the night by one or more wolves. The back quarters have

been completely removed together with all the entrails. Part of the unfleshed head, the spine, skin scraps

and a front limbs have been left.

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compensativa» in quanto, come detto, avviene soprattutto a carico di indi- vidui deboli che, con ogni probabilità, sarebbero comunque morti.

Inoltre, con la loro attività, i predatori determinano la dispersione sul territorio delle prede ed evitano la loro eccessiva concentrazione in alcune aree, con conseguenze negative sulla vegetazione; in particolare sulla rinno- vazione agamica dei boschi ceduati.

Affinché l’azione dei predatori possa svolgere il proprio ruolo di fatto- re limitante delle specie predate, è indispensabile che le popolazioni dei primi si trovino a densità ecologica e comunque in proporzione alle popola- zioni delle prede.

Da quanto detto, appare evidente come una corretta gestione faunisti- ca debba prendere in considerazione sia le specie predatrici (carnivori), sia quelle potenzialmente predabili (erbivori) ed essere realizzata per grandi comprensori, capaci di ospitare le popolazioni delle due componenti.

La pianificazione faunistica deve essere strettamente correlata alla pia- nificazione forestale, per avviare strategie gestionali adeguate alla dinamica delle comunità vegetali e animali. È quindi necessario ricostruire habitat forestali in modo da consentire la riproduzione anche dei predatori, favo- rendo la formazione del sottobosco e regolando la presenza turistica soprat- tutto in inverno e in primavera.

Per quanto riguarda le utilizzazioni, mentre non c’è alcun limite nel caso di tagli di curazione, diradamento e sanitari, il problema si pone nel caso in cui il piano di assestamento preveda interventi massicci su ampie superfici (tagli rasi, tagli successivi). Sono da favorire invece i tagli modulari che consentono interventi su gruppi di piante e che, in ogni caso, favorisco- no la formazione di un sottobosco composto anche dalla rinnovazione delle piante abbattute. Si aumenta molto così la superficie ecotonale che è deter- minante sia per l’offerta del pascolo, sia per l’effetto rifugio su tutte le popolazioni animali.

Nei complessi demaniali, in gran parte governati a fustaie, si potrebbe prevedere l’introduzione di piccoli appezzamenti di ceduo nei luoghi con terreni più superficiali o comunque meno adatti all’alto fusto. Questi cedui, sempre di modeste superfici, andrebbero ad aumentare le fasce ecotonali, in particolare se gestiti con turni brevi.

Non crediamo di dire una grossa sciocchezza affermando come, in

questo momento, il destino del nostro patrimonio forestale, soprattutto di

quello compreso nelle aree in divieto di caccia, sia nelle mani non solo del

selvicoltore (ovviamente) ma anche in quelle del tecnico faunistico che

dovrà avvalersi della «collaborazione» del lupo da integrare con adeguate

tecniche di prelievo selettivo.

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SUMMARY

Theory and practice of predation

Predation is one of the fundamental factors that naturally regulate wild animal population density. The prey-predator connection is very complex (trophic nets) and it has been definitely altered by Man, so that it is impossible to restore, even partially, the initial balances. This situation has favoured the increase of opportunist carnivores but has disfavoured the more specialized ones, including the wolf. In this contest, a more relevant presence of this Canidae is very important because it can help a quality selection of big ungulates genetic type.

BIBLIOGRAFIA

B OITANI L., S ACCODATO A., 1979 – Al lupo, al lupo! Ass. Ital. W.W.F., 13,1.

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