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Élite sindacali e classe politica al bivio tra art. 8 e legge sulla rappresentanza

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@bollettinoADAPT, 18 febbraio 2014

Élite sindacali e classe politica al bivio tra art. 8

e legge sulla rappresentanza

di Paolo Tomassetti

Tag: #Fiom #Cgil #rappresentanza #contrattazione

Quando nel 1995 il parapiglia sull’accordo per la mobilità lunga all’Alfa di Arese costò il posto a Susanna Camusso, allora responsabile del settore auto della Fiom, la linea massimalista dei metal-meccanici Cgil era ampiamente condivisa dalla segreteria confederale e dalla base. In ballo, poi, c’era un’intesa che, seppur simbolica, non faceva certo il paio con i protocolli che hanno segnato la storia del sindacato in Italia.

Oggi la crisi delle élite sindacali si consuma all’interno dell’organizzazione più rappresentati-va del lavoro nella totale assenza di una linea di azione condivisa su un accordo che è la carta

costituzionale del sistema di relazioni industriali e che tocca il cuore della rappresentanza: la titola-rità della contrattazione.

La frattura all’interno della Cgil, al pari dei processi di destrutturazione dell’associazionismo im-prenditoriale, fa emergere le disfunzioni di un sistema di relazioni industriali fatto a immagine e somiglianza non solo del sistema politico-istituzionale, conflittuale e inconcludente, ma anche e so-prattutto del modello di capitalismo italiano che la letteratura sulla varietà di capitalismi descrive come terra di mezzo tra economie liberali di mercato e sistemi coordinati.

Il Testo Unico sulla rappresentanza è del resto la massima espressione del dialogo tra i corpi intermedi della società. Che insieme definiscono le regole e i principi fondamentali dell’azione di

rappresentanza e, segnatamente, della principale istituzione del mercato del lavoro: il contratto col-lettivo. Uno straordinario sforzo di coordinamento a livello orizzontale, cui però non corrisponde un pari grado di integrazione verticale del sistema e delle organizzazioni, capace di garantire l’applicazione delle regole definite dal centro che anzi vengono disattese con disinvoltura senza so-stanziali contraccolpi sul piano della responsabilità contrattuale e endoassociativa.

È significativo, in questo senso, il consiglio che Sergio Cofferati ha rivolto alla Camusso che in questi giorni sta compiendo proprio lo sforzo di riaffermare il valore delle regole associative e il pe-so della confederazione sulla categoria: «La Cgil si fermi. Smetta di trattare il dissenpe-so con lo

Statuto e ripristini un passaggio fondamentale, la consultazione di coloro che sono coinvolti

dall’accordo sulla rappresentanza, gli iscritti dell’industria. Il dissenso – conclude – si affronta con la politica e non con i regolamenti interni. L’idea di rispondere a delle obiezioni di merito utilizzan-do lo Statuto mi pare sbagliata».

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www.bollettinoadapt.it 2 Ma la tecnica della politica nella gestione del dissenso ha i suoi tempi. Troppo lunghi. E legittima ogni veto player a sindacare, rivendicare e lamentare. L’eterogenesi dei fini risulta così in una scar-sa esigibilità della contrattazione collettiva e, giocoforza, in una scarscar-sa efficacia del sistema di rela-zioni industriali nel complesso, che esposto alla continua minaccia dell’exit option – a tutti i livelli – produce soluzioni compromissorie, caos e immobilismo.

Ad indicare una possibile via d’uscita è stato Sergio Marchionne al termine dei lavori del Consiglio per le relazioni fra Italia e Stati Uniti tenutosi lo scorso dicembre: «Per l’Italia non è più tempo di

compromessi, bisogna scegliere fra i sistemi economici americano e tedesco». Rimasto

sotto-traccia negli organi di stampa, il monito dell’AD Fiat-Chrysler è coerente con altre raccomandazio-ni proveraccomandazio-nienti dai vertici del Lingotto che negli ultimi anraccomandazio-ni non hanno mancato di sollecitare un

in-tervento legislativo che assicuri certezza delle regole e piena esigibilità della contrattazione collettiva.

Nei sistemi di stampo liberista l’efficacia e l’effettività della contrattazione collettiva deriva dal basso, è regolata dalla legge del mercato ed è garantita dalla prossimità dei centri decisionali

ri-spetto al relativo campo di applicazione. Nei modelli coordinati, invece, l’esigibilità delle regole de-finite dal centro dovrebbe essere assicurata, verticalmente, dall’erga omnes del contratto collettivo, dalla impossibilità di scioperare, anche per i singoli, contro gli accordi raggiunti o, comunque, da una effettiva integrazione tra base associativa e élite.

Un intervento legislativo nell’una o nell’altra direzione non è più rinviabile. Al nuovo Governo

di Mattero Renzi spetta la scelta di imboccare la strada del decentramento spinto sulla scia dell’art. 8, oppure procedere senza indugi al recepimento degli accordi interconfederali sulla rappresentanza in una legge sindacale.

Paolo Tomassetti Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

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