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CAPITOLO III

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Academic year: 2021

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CAPITOLO III

I COMPITI DEL MANAGER

3.01 Management: livelli e tipi.

Molti sono i modi per rappresentare la struttura organizzativa aziendale e quindi la conseguente suddivisione di ruoli, funzioni e responsabilità; il modo più immediato è certamente quello della piramide aziendale.

Ovviamente le strutture organizzative sono tutte diverse e a seconda del tipo di azienda che andremo ad osservare troveremo piramidi più o meno appiattite. Potremmo ad esempio partire dall'individuare l'impresa privata dove potrebbero essere presenti solo poche figure quali l'imprenditore-proprietario al vertice e qualche operaio alla base; non evidenzieremo dunque la presenza di livelli intermedi.

All'estremo opposto, realizzato dalla grande azienda, troveremo una piramide formata da molti livelli, che a grandi linee e solo a scopo didattico potremmo suddividere in tre:

- la punta della piramide: formata dal CEO (Chief executive order, presidente

del consiglio di amministrazione, Presidente) e dall' Alta direzione (vice-presidenti, direttore generale),

- la parte centrale della piramide: dove troveremo i manager che in base ai distinti livelli di responsabilità e autorità si suddivideranno in:

- top management o vertice strategico, che comprende un ristretto numero di persone (il presidente, l'amministratore delegato, il direttore generale, ecc.) che esercita la sua autorità e la sua responsabilità su tutta l'azienda; responsabile delle decisioni strategiche e quindi dei risultati globali dell'attività, della supervisione sull'operato dell'intera struttura e dei rapporti tra la stessa e l'ambiente circostante;

- middle management, rappresentato da quei soggetti che hanno responsabilità e autorità solo su alcune parti della struttura (le unità organizzative); risponde per il suo operato al top management perché ricopre posizioni intermedie tra questo ed il livello operativo. Occupano tale posto nella scala gerarchica i responsabili

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delle direzioni intermedie ai quali si usa attribuire il titolo di direttore seguito dalla specifica della funzione direttore del personale, direttore finanziario, ecc.). In alcune strutture, nel middle management, si arriva ad evidenziare una ulteriore suddivisione tra manager di primo (capo ufficio, capo infermiere), secondo (capo servizio, capo settore) e terzo livello (capo divisione, direttore di reparto).

In generale tra i ranghi manageriali possiamo osservare che il numero degli appartenenti a ciascun livello decresce mano a mano che si sale nei livelli della piramide e contemporaneamente decresce il numero dei subordinati che costoro controllano.

- la base della piramide: occupata dal personale non direttivo, cioè dai quadri (figure che svolgono il ruolo di collegamento tra gli operai o gli impiegati ed i manager) e tutta la massa dei dipendenti appartenenti all'organizzazione, tra i quali esiste una grande divergenza di status e di trattamento economico. Generalmente questo livello comprende posizioni dove è richiesta una pesante prestazione fisica ma con limitata professionalità (operai, manovali, ecc.) oppure dove invece è richiesta una elevata professionalità ma in campi molto specifici (tecnici, ricercatori, ecc).

3.02 Le competenze del manager: funzioni, attività, abilità e ruoli.

Ricordando la definizione di management già citata nel primo capitolo, secondo la quale esso consiste nello svolgere tutte le attività necessarie per gestire le risorse umane, finanziarie e fisiche al fine di raggiungere gli obiettivi organizzativi, osserviamo che il manager per compiere il suo dovere deve svolgere le quattro funzioni giudicate dagli studiosi come sempre presenti nell'attività di qualunque manager, ossia le funzioni di:

- pianificazione, - organizzazione, - guida,

- controllo;

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- gestionali - personali, - tecniche, - interazionali;

sfoggiando almeno quattro delle sue principali abilità: - concettuali,

- tecniche, - gestionali,

- di relazioni umane;

interpretando, infine, i quattro ruoli di: - formatore,

- realizzatore, - leader, - diplomatico.

3.03 La funzione di pianificazione.

" La pianificazione si può definire come il processo con il quale si stabiliscono gli obiettivi e si determina quale è il modo migliore per conseguirli. Essa è considerata da molti la funzione direttiva principale, perché procede logicamente le altre funzioni direttive (organizzazione, guida e controllo)".59 "La pianificazione, possiamo dire, che nasce con la facoltà umana di ragionare e di valutare le conseguenze delle azioni correnti".60

E' con la rivoluzione industriale e con la conseguente evoluzione nel modo di produrre che la pianificazione incrementa la sua importanza e diviene assolutamente necessaria al fine della sopravvivenza dell'organizzazione stessa perché i processi produttivi richiedono sempre più risorse e l'approvvigionamento si fa sempre più complicato, le aziende si espandono ed i dipendenti aumentano.

Le fasi

Essa deve essere organizzata in più fasi, che possiamo così suddividere:

59 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 214 60

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1. stabilire gli obiettivi di base,

stabilire cioè i livelli che si intende raggiungere in termini di redditività, di progetti da realizzare, di quote di mercato ecc;

2. individuare quali fattori potrebbero condizionare il raggiungimento degli obiettivi,

consiste nello stabilire sia quali fattori possano aiutare il conseguimento degli obiettivi, come le mosse dei consumatori ed il loro potere di acquisto, per poi studiare le varie ipotesi che potrebbero verificarsi, in modo da organizzarsi per sfruttarle al meglio, sia quali potrebbero invece rallentarlo o addirittura impedirlo;

3. definire il metodo migliore per il raggiungimento degli obiettivi,

questa è la fase finale e consiste cioè nello stabilire le scadenze dei risultati nonché le responsabilità e gli incarichi da attribuire ai singoli partecipanti al progetto.

Le ragioni

La pianificazione deve guardare al futuro, essa si rende sempre più necessaria perché i mercati sono in continua evoluzione e le aziende non devono solo reagire ai problemi che questi cambiamenti portano ma devono cercare di prevenirli, devono essere in grado di prendere decisioni che migliorino le loro performance per non trovarsi ad adeguarle semplicemente alle decisioni altrui o agli eventi del mercato, come avvenne invece negli anni '80 per le case automobilistiche americane che furono letteralmente spiazzate dall'invasione sul mercato statunitense da parte delle auto giapponesi, piccole, efficienti e poco costose. Il management non deve sprecare energie a rincorrere i problemi ma deve utilizzarle per prevenirli o sfruttarli a proprio favore ed è per questo che alla pianificazione è richiesto di essere: attiva, creativa, energica e lungimirante.

I modi

A seconda del tipo di struttura organizzativa che l'azienda possiede, la pianificazione potrà essere:

- centralizzata, cioè far capo ad una sola unità organizzativa o alla società capogruppo, nel caso che esistano delle filiali;

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- decentralizzata, quando siano previste cioè unità di pianificazione autonome, che potranno essere sia i singoli reparti o le divisioni ma anche le singole filiali esterne.

Le correlazioni

Come già detto la pianificazione è la prima delle quattro funzioni direttive ed è strettamente correlata con le altre.

Essendo la funzione organizzazione un processo che coordina le risorse (finanziarie, materiali e umane) al fine di conseguire gli obiettivi aziendali, osserviamo che è la funzione pianificazione ad offrirle le informazioni necessarie sui quantitativi di risorse disponibili e su come impiegarli nel modo più efficiente ed efficace.

Anche la funzione guida presenta una stretta correlazione con la funzione pianificazione dovuta al fatto che proprio quest'ultima le fornisce i dati necessari a guidare e motivare i dipendenti in quanto capace di individuare le migliori combinazioni tra fattori produttivi, forza lavoro e risorse disponibili.

Infine osservando la funzione controllo notiamo che proprio questa svolge una forma di supporto alla funzione di pianificazione allor quando valutando le performance effettivamente realizzate mette in luce l'irrealizzabilità dei piani programmati o la cattiva applicazione di questi da parte dei manager. A seguito dei controlli può accadere che i piani debbano essere rivisti e le performance modificate, da queste decisioni scaturiranno ovviamente nuovi controlli e probabilmente nuovi piani.

Lo scopo dei piani previsti è quello di utilizzare nel modo più efficiente le risorse a disposizione al fine di raggiungere gli obiettivi stabiliti, grazie al controllo questi piani possono subire degli adeguamenti ma alla funzione pianificazione spetta anche il compito di rivedere gli obiettivi se diviene chiara la loro irrealizzabilità.

L'organizzazione deve poi definire i piani al fine di offrire ai manager le indicazioni generali alle quali fare riferimento per prendere le decisioni su come gestire sia le relazioni interne (ad esempio come meglio guidare, gestire e controllare il personale), sia quelle esterne.

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Tipi di piani

Dopo aver raccolto i dati ed averli elaborati i manager devono passare alla realizzazione vera e propria dei piani. Essi, in funzione del tempo possono essere così suddivisi:

- piani di breve periodo,

essi presentano un breve orizzonte temporale che può oscillare dal giorno all'anno e sono i piani realizzati dai manager di livello inferiore;

- piani di medio periodo,

presentano un orizzonte temporale maggiore che va da un anno fino a tre e alla loro realizzazione partecipano i manager di medio livello che però, è necessario precisare, non si astengono dalla realizzazione di quelli di breve.

- piani di lungo periodo,

il loro orizzonte temporale è molto esteso e va dai tre ai cinque anni. Ad occuparsi della loro stesura sono i dirigenti di alto livello che partecipano comunque anche alla realizzazione dei piani di medio e saltuariamente anche a quelli di breve.

Alla luce di quanto detto, è importante osservare, che la pianificazione è compito di tutti i manager ma a seconda dell'autorità e della responsabilità di costoro, varierà il carattere dei piani che porranno in essere; questo non significa però che un manager di alto livello si occuperà esclusivamente di pianificazione di lungo periodo, egli si troverà obbligatoriamente a prendere decisioni giornaliere o ad offrire la propria esperienza per la preparazione dei piani a medio termine.

I piani, soprattutto quelli a medio e lungo periodo hanno bisogno di continui aggiornamenti, che dipendono dalle risorse e dalle informazioni a disposizione ma soprattutto dalla precisione che la direzione aziendale ricerca negli stessi. Generalmente più l'organizzazione basa i propri risultati sulla buona esecuzione dei piani più spesso essi saranno revisionati, ma naturalmente, se i piani in questione saranno di lungo termine sarà maggiore l'intervallo di tempo che passerà tra le verifiche e l'esecuzione degli aggiornamenti.

Classificazione dei piani

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- piani strategici.

Riguardano l'organizzazione nel suo generale, nello specifico individuano:

- l'ambito dell'attività aziendale, cioè che tipi di attività vuol realizzare l'impresa e in quale settore di mercato di vuole inserire, in una parola la mission, cioè "la ragion d'essere e il."…." fine ultimo",61 ,"il ruolo che l'organizzazione intende svolgere nel suo sistema economico e sociale".62 La pianificazione strategica inizia proprio con l'individuazione della mission, allor quando vengono stabiliti i prodotti da realizzare o i servizi da offrire ed individuati i clienti da soddisfare; - gli obiettvi che la stessa si pone, ovvero i fini a cui mirano le attività svolte e che altro non sono che i riferimenti generali offerti sia alla funzione di pianificazione che alle altre funzioni manageriali. Generalmente ogni organizzazione mira a più obiettivi nel lungo periodo quali la redditività, la qualità della produzione, la qualità di rapporti con i propri stackholder o la conquista di una certa quota di mercato. La definizione degli obiettivi è una fase molto importante della pianificazione strategica perché poi è in base ad essi che verranno decise le strategie. Gli obiettivi strategici, come anche la mission sono definiti in termini generali e non quantitativo-numerici (come vedremo invece per quelli d'orientamento o tattici), ma indicando i traguardi verso cui far convergere le strategie risultano comunque efficaci nella loro funzione;

- le strategie, che intende utilizzare l'impresa per adattarsi o evolversi in funzione dei cambiamenti del mercato o dell'ambiente che la circonda, in modo da adeguare le attività svolte agli obiettivi da raggiungere nel quadro generale della mission individuata. Al fine di un'ottima pianificazione si rende necessario individuare i fattori che possono influire sull'organizzazione e capire quale influenza sia attuale che futura potrebbero avere sulla stessa, i manager devono riuscire a formulare le loro strategie osservando il quadro sociale, economico, tecnologico, legale ed ambientale esterno alla loro struttura, osservando contemporaneamente l'ambiente interno e quindi l'insieme delle risorse finanziarie disponibili, ma anche le gerarchie esistenti ed i rapporti

61 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 271. 62

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comportamentali, in modo da avere sempre il massimo delle informazioni a loro disposizione per essere, eventualmente, in grado di modificare le strategie da attuare al fine di conseguire gli obiettivi stabiliti nonostante le mutazioni dei fattori interni e o esterni.

Nelle piccole imprese è il titolare, al massimo coadiuvato dai suoi più stretti collaboratori, a realizzare la pianificazione strategica ma più l'azienda si espande più la realizzazione di questa funzione diviene complessa, fino ad arrivare addirittura a richiedere l'intervento di più livelli manageriali.

- Piani d'orientamento.

Sono piani che generalmente restano in vigore per molto tempo in quanto abbastanza stabili sia per natura che per contenuto.

I più comuni sono:

- le politiche, con questo termine intendiamo riferirci ad enunciati generali che vengono poi utilizzati dai manager come basi di orientamento nel decision-making63 e durante le pratiche di controllo sull'operato di collaboratori e dipendenti. Le politiche, nella maggior parte dei casi, sono definite in modo formale, ma altre volte sono desunte dall'azione dei manager; esse infatti possono essere espresse in forma scritta, orale, ma anche tacita. Il loro scopo è quello di garantire stabilità all'organizzazione nonché coerenza ed omogeneità alle attività che essa pone in essere; sono però solo delle linee guida per i manager e non delle imposizioni (come le regole) e devono essere da costoro interpretate secondo le circostanze che si presentano. Un esempio di politica aziendale lo possiamo riscontrare nelle aziende che decidono che le posizioni lavorative che si liberano debbano essere rimpiazzate da personale interno. Questa politica non è impositiva, nel caso che una posizione richieda il possesso di caratteristiche specifiche, non presenti in nessun candidato interno, renderà comunque possibile

63 Il Decision-making è un processo svolto da chiunque, tutti i giorni, e consiste nel trarre vantaggio

dalle opportunità che si presentano. Quello manageriale nel particolare lo si può definire come una cosciente scelta di una linea d'azione da intraprendere tra un determinato numero di alternative possibili, al fine di perseguire il risultato desiderato, assumendosi ovviamente le responsabilità e le conseguenze della scelta effettuata. Per maggiori informazioni: AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Ed. FrancoAngeli – 2010 – pag 307 e seguenti

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l'assunzione di un soggetto esterno ma spingerà anche i manager a formare ed istruire il personale in funzione di una futura, possibile, promozione, perché, ovviamente, il continuo ricorrere a personale esterno contrasterebbe con le politiche interne dettate dall'alta dirigenza;

- le procedure, quando è necessario che le performance e le tecniche esecutive vengano realizzate in una determinata successione occorre che le procedure da seguire siano ben specificate dalla direzione aziendale. Le procedure riguardano generalmente attività che per loro natura sono molto ripetitive. Soprattutto per quelle miranti alla realizzazione di performance articolate in più passaggi è richiesta la forma scritta che, tra l'altro, facilita poi l'archiviazione delle informazioni. Se le procedure si basano sulle abitudini del passato o se sono copiate da altre realtà, potrebbero anche risultare inutili, cosa che comunque potrebbe succedere anche a quelle ben realizzate per l'organizzazione in questione se non venissero mai adeguate ai cambiamenti o aggiornate al mutare delle circostanze. Un esempio di procedure previste, sono i manuali che vengono fatti studiare in alcune organizzazione (soprattutto giapponesi) che prevedono ed insegnano ogni singolo gesto ed ogni singolo atteggiamento che un commesso deve eseguire dal momento in cui vede entrare un cliente al momento del congedo da esso. Le procedure hanno come effetto positivo di semplificare la gestione dei dipendenti, di renderne più efficiente il coordinamento e più facile il controllo;

- le regole, tra i piani d'orientamento quelli delle regole sono i più semplici da realizzare ma anche i più dettagliati. Essi stabiliscono tutto ciò che si può e che non si può fare in determinate circostanze. "Generalmente" sono l' "espressione dettagliata d'una politica che va rispettata in ogni singola circostanza. Quando non sono ammesse deroghe, né variazioni, il piano diventa regola e spesso una violazione comporta una pena".64

Alcuni esempi di regole sono: i divieti di fumo in certe aree aziendali, l'obbligo di indossare un determinato abbigliamento, come la divisa aziendale o il casco protettivo nei cantieri edili.

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- Piani tattici.

Sono piani rivolti ai casi particolari e alle situazioni non ripetitive, quindi molto più stabili e meno generici di quelli d'orientamento (cioè le politiche, le procedure e le regole) che forniscono invece norme generali da adeguare a seconda delle situazioni. I piani tattici sono espressi in forma di:

- programmi, sono piani riferiti al complesso di attività da porre in essere al fine di seguire le linee di condotta di base stabilite dall'alta dirigenza. I programmi principali riguardano:

-la ricerca, lo sviluppo e la realizzazione di nuovi servizi o di nuovi prodotti, - l'elaborazione dei budget delle vendite, dell'andamento delle scorte o delle necessità finanziarie,

- la formazione e lo sviluppo dei dipendenti;

- progetti, sono parti più specifiche dei programmi che assumono quindi una caratteristica di maggior specificità e sono ovviamente realizzabili ogni qual volta un programma possa essere diviso in parti o fasi indipendenti l'una dalle altre. Per esempio il programma di un'azienda energetica può essere quello di ridurre la sua dipendenza da un fornitore estero ed il progetto da attuare di conseguenza sarà quello di sfruttare fonti alternative (ricerca di nuovi giacimenti o utilizzo di argille bituminose);

- budget, tutte le organizzazioni, comprese le famiglie, usano i budget, in forma più o meno elaborata. Sono piani più dettagliati per esprimere, in genere sotto forma monetaria, gli obiettivi più generali stabiliti dai programmi aziendali. I budget sono dei semplici preventivi finanziari (di spesa), ma mediante dei controlli intermedi permettono alla dirigenza di verificare la coerenza delle attività svolte con gli obiettivi da raggiungere.

Esistono degli ostacoli alla pianificazione che possiamo individuare: - nella difficoltà di fare previsioni.

Un piano risulta utile fino a che le ipotesi sulle quali si basa sono realizzabili, occorre quindi osservare che la sua attendibilità e quindi quella delle previsioni in esso presenti si riducono mano a mano che si allontana nel tempo il periodo al

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quale esse si riferiscono. Come possibile soluzione i manager potrebbero già prevedere dei piani alternativi da poter attuare a seconda dell'evoluzione delle varie situazioni anche in considerazione del fatto che quando i dati utilizzati per realizzare la pianificazione non provengono dalla semplice esperienza dei manager allora è probabile che siano stati raccolti con il sistema della ricerca di mercato che però richiede tempo ed è quindi soggetta al rischio di risultate già obsoleta una volta terminata.

- Nelle novità di una situazione.

Per preparare i piani i manager cercano di focalizzarsi sugli aspetti ripetitivi degli eventi e durante l'applicazione degli stessi cercano di controllare le situazioni in modo da mantenerle all'interno di binari già noti e studiati. La novità di una situazione genera dunque incertezza nella realizzazione del piano e difficoltà a mantenerlo invariato nel tempo.

- Nella rigidità di applicazione dei piani.

Una delle funzioni dei piani d'orientamento è quella di fissare degli obblighi a favore di costanza e linearità di comportamento, ovviamente però, a scapito della flessibilità decisionale dei manager. Spesso gli stessi manager che hanno contribuito alla realizzazione del piano lo vorrebbero modificare, ma altrettanto spesso risultano riluttanti a cambiare le loro stesse decisioni perché una volta stabilita una linea di condotta faticano ad accettare di doverla modificare. L'unica soluzione a questo problema è quella di stabilire già in anticipo la revisione periodica dei piani.

- Nel costo da sostenere per realizzare i piani.

La pianificazione è molto costosa perché richiede enormi risorse sia materiali che umane che finanziarie: nasce conseguentemente l'esigenza di valutarne costi e benefici per aiutare i manager a capire se essa risulta sufficientemente conveniente e redditizia.

- Nel fatto che gli obblighi che scaturiscono possono essere causa di mortificazione dello spirito di iniziativa dei dipendenti.

Quanto più la pianificazione è accurata e dettagliata, tanto più lo spirito d'iniziativa di manager e dipendenti ne risulta mortificato. Una possibile

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soluzione potrebbe essere quella di far partecipare il più attivamente possibile sia i quadri intermedi che i lavoratori, ai cui ruoli la pianificazione si rivolge, alla realizzazione dei piani stessi, in modo da inserire anche i loro suggerimenti e renderli più partecipi delle decisioni stesse.

Presenta però altrettanto ovviamente dei vantaggi, quali:

- offre un valido aiuto all'organizzazione ad adeguarsi ai cambiamenti aziendali, - aiuta i manager a chiarire il quadro operativo aziendale,

- aiuta l'allocazione delle responsabilità, - facilita il coordinamento tra i diversi settori,

- fa risparmiare tempo, ovviamente quando ben realizzata, - aiuta a diminuire gli errori nel decision-making.

La pianificazione quindi, come abbiamo appena visto, presenta sia vantaggi che svantaggi ma in definitiva resta sempre assolutamente conveniente. Le aziende che la utilizzano, anche se solo in forma modesta, risultano assolutamente più competitive di quelle che la rifiutano.

I vari fattori che possono influenzare il processo della pianificazione sono di due tipi:

- non controllabili, ovvero quelli che non presentano delle cause dirette di causa-effetto e che quindi sono difficilmente prevedibili e controllabili come l'andamento demografico o la situazione politica.

- controllabili, ovvero quelli sui quali i manager attraverso le loro decisioni hanno la possibilità di influire, tipo le attività di ricerca o la localizzazione degli uffici.

Gli obiettivi della pianificazione

Gli obiettivi presenti nella pianificazione sono i risultati che l'intera organizzazione intende raggiungere, per cui la loro definizione deve avvenire in maniera molto cauta ed accurata. Sappiamo che l'alta dirigenza realizza la pianificazione di lungo periodo con la quale stabilisce gli obiettivi generali aziendali e che poi i dirigenti di medio livello ed i quadri si dedicano ai piani di medio e breve nei quali a loro volta stabiliscono degli obiettivi più contenuti. Si

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profila quindi l'esistenza di una gerarchia di obiettivi. (facciamo un esempio: se l'obiettivo aziendale è quello di ottenere 10 miliardi di euro di utile, la direzione commerciale dovrà mirerà a ottenere 30 miliardi di ricavi, l'area del Nord Italia mirerà a 14 miliardi di ricavi, la regione Piemonte a 9 miliardi di ricavi ed il singolo venditore 500 milioni di ricavi).

Da indagini effettuate dagli studiosi Locke e Latham si è capito che gli obiettivi difficili e impegnativi possono motivare a tal punto i dipendenti da generare un miglioramento delle performance, purché vengano condivisi da costoro perché percepiti come possibili e raggiungibili.

Inoltre se sono obiettivi misurabili garantiscono al manager la possibilità di realizzare un efficace controllo; i suoi compiti infatti gli richiedono di osservare se gli stessi si stiano mantenendo raggiungibili e nel caso che questo non stia avvenendo, gli richiedono di porre in essere degli interventi correttivi per ristabilire la situazione ideale.

3.04 La funzione di organizzazione.

Quando un gruppo di individui lavora insieme per perseguire uno o più obiettivi comuni nascono delle relazioni d'autorità e di responsabilità ed è allora che si inizia a parlare di organizzazione. Fondamentale all'interno di ogni organizzazione è il coordinamento delle risorse disponibili al fine di garantire un loro efficace impiego per il conseguimento degli obiettivi stabiliti dalla funzione pianificazione.

Il successo del management dipende dallo scegliere le persone giuste, assegnare loro il giusto compito riconoscendogli la dovuta autorità e attribuendogli la piena responsabilità sull'uso di quest'ultima.

Le organizzazioni migliori presentano quasi sempre una struttura organizzativa formale, basata sull'esistenza di un organigramma utile a rappresentare come il lavoro venga suddiviso tra le diverse unità, quali siano i livelli di management e quelli della burocrazia e come si sviluppi la catena di comando. Accade spesso però, che da una reale osservazione della realtà aziendale, si evidenzi che l'organigramma proposto risulti essere una rappresentazione non perfetta delle

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relazioni esistenti all'interno delle organizzazioni e che risultino dilagare dei rapporti informali di forza e autorità non previsti originariamente.

La funzione organizzazione deve mirare a sfruttare il principio di sinergia, deve cioè concentrare la propria attenzione sul fatto che indirizzando e coordinando bene l'attività di più persone, farà loro ottenere risultati certamente superiori a quelli che altrimenti otterrebbero lavorando singolarmente.

Alla base dell'applicazione di questo principio c'è la divisione del lavoro, secondo la quale suddividendo un certo lavoro in compiti parziali e quindi più semplici e facendoli svolgere alle persone più indicate si possono ottenere rendimenti migliori rispetto a ciò che si otterrebbe facendo svolgere ad ogni membro del gruppo il lavoro generale.

Per dare risultati positivi, la divisione del lavoro richiede la specializzazione dei dipendenti, ma anche di professional (tecnici, esperti) e manager, in modo che ogni individuo venga chiamato a svolgere il lavoro per il quale è più qualificato.

La catena di comando

"La catena di comando indica le relazioni d'autorità e di responsabilità che legano superiori e subordinati nell'intera organizzazione. Essa va dal presidente-proprietario giù giù fino all'ultimo lavoratore".65

Uno dei principi enunciati da Henry Ford è quello dell'unità di comando, che prevede che ogni soggetto appartenente ad un'organizzazione debba dipendere solo dal suo superiore diretto e solo a lui debba rispondere per il suo operato. L'unità di comando favorisce la comunicazione e l'attribuzione delle responsabilità, ma affinché questo sia possibile è necessario che sia estremamente chiara. Il metodo utilizzato per rendere formale e leggibile sia la catena di comando che le relazioni d'informazione è l'organigramma aziendale, che altro non è che uno schema che graficamente illustra la struttura organizzativa aziendale, composto da:

- rettangoli, che rappresentano gli organi, le unità o i reparti,

- linee, che sono la rappresentazione delle relazioni gerarchiche tra gli organi, le unità o i reparti.

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Tra gli organi si distinguono quelli di:

- line, che hanno autorità gerarchica sui sottoposti,

- staff, che sono elementi di solo supporto agli organi di line (segretarie). Il loro contributo consiste nell'incrementare l'efficacia e l'efficienza del lavoro svolto dai manager di linea.

In genere nelle piccole aziende la struttura che si presenta è molto appiattita, presentano cioè un solo livello direzionale come nell'esempio qui riportato.

In aziende di tipo manifatturiero che spesso lavorano con linee di montaggio troviamo più facilmente la struttura a due livelli direzionali.

Nelle aziende che presentano un alto contenuto tecnologico quasi sempre troviamo una struttura a più livelli, certamente più idonea a gestire un'attività che presenta un'ampia varietà di prodotti.

Un altro importante aspetto organizzativo riguarda il numero di dipendenti che ogni manager può essere chiamato a gestire, cioè l'ampiezza dell'area di gestione, il cui controllo è fondamentale al fine di impedire che l'eccessivo numero di subalterni si traduca in una inefficiente azione direttiva.

Lo studioso V. A. Graicunas propose addirittura, nel 1933, una espressione matematica. Altri studiosi sono poi giunti alla conclusione che il numero adeguato dei subordinati dipende da vari fattori quali la dimensione dell'organizzazione, il livello di tecnologia utilizzato, il tipo di attività svolta. E' comunque importante osservare che un ridotto numero di subordinati per ogni singolo manager fa aumentare il numero dei manager stessi e quello dei livelli gerarchici. La proliferazione del numero di quest'ultimi può però causare un ritardo nella trasmissibilità delle informazioni, nonché una loro possibile distorsione, che si amplificherà con l'aumento dei passaggi. Da non sottovalutare inoltre l'aumento che subiranno i costi nel caso di aumento dei livelli gerarchici, ed il fatto che se presenti in numero eccessivo i manager potrebbero anche risultare sprecati. Per tutti questi motivi si osserva che la maggior parte delle organizzazioni, di dimensioni non eccessive, tende a mantenere una struttura piramidale piuttosto piatta.

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D'altra parte anche l'eccesso del numero dei subordinati comporta dei problemi. L'ampiezza eccessiva dell'area di gestione può portare il manager a non riuscire a seguire tutti i suoi sottoposti, causando insicurezza in loro e trasmettendo un senso di inappropriatezza. Egli stesso può trovarsi a non svolgere le atre funzioni che gli competono per seguire. consigliare e controllare tutti i suoi sottoposti. Si è comunque osservato che i manager non devono avere tutti lo stesso numero di sottoposti, anzi generalmente i manager di primo livello ne hanno molti soprattutto in quelle aziende dove il lavoro risulta essere molto ripetitivo, standardizzato, poco qualificato e soprattutto manuale.

Per cercare di determinare il giusto numero di soggetti da assegnare ad un unico supervisore, occorre infatti prendere in considerazione molteplici fattori quali: - la complessità delle funzioni.

Più sono semplici e ripetitive, maggiore può essere il numero dei subordinati; - il grado di precisione che si desidera ricevere dalla supervisione.

Minore è il grado di supervisione e di coordinazione richiesto, maggiore può essere il numero dei subordinati:

- l'esigenza di pianificazione del manager.

Minore è l'esigenza di pianificazione, maggiore può essere il numero dei subordinati;

- l'assistenza offerta dall'organizzazione.

Maggiore è l'assistenza di cui gode il manager, ad esempio di tipo tecnologico (computer a disposizione), ma anche l'attenzione posta nella selezione e nella formazione dei lavoratori, maggiore può essere il numero dei subordinati.

Lowrence e Lorsch, due degli studiosi che più si sono dedicati a questo tema, sono giunti alla conclusione che la struttura organizzativa non è definibile a priori ma deve essere studiata caso per caso; non sono mai riusciti infatti a trovare una plausibile correlazione tra il numero di subordinati collegati ad un manager e un altro qualunque fattore tipo il settore di attività o la qualità o la quantità di tecnologia in uso all'interno dell'azienda.

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Nel definire il numero dei livelli occorre non dimenticare di prendere in considerazione l'aspetto della soddisfazione dei manager. Gli studiosi hanno infatti osservato che i manager di alto livello risultano essere più soddisfatti del loro lavoro quando appartengono a strutture piramidali poco appiattite, mentre i manager di basso livello risultano esserlo quando appartengono a strutture molto appiattite.

Una volta stabilito in quale posto collocare il manager e stabilito il numero dei suoi subordinati, egli verrà autorizzato ad esercitare una determinata autorità attraverso l'uso della delega.

" La delega è il processo che porta i manager ad affidare certe attività ad altre persone, nella loro organizzazione, con l'autorità necessaria ad effettuarle. L'autorità è il diritto di fare qualcosa, o di farla fare a qualcun altro, per il conseguimento degli obiettivi dell'organizzazione".66

" Chi delega la sua autorità ad un'altra persona non si solleva dalla responsabilità che è associata a quell' autorità".67

" La responsabilità è l'obbligo che si costituisce quando un subordinato accetta la delega d'auorità che il capo gli conferisce".68

Un manager si trova molto spesso a delegare il proprio lavoro e questo gli permette di svolgere più agevolmente i suoi compiti prioritari, come la pianificazione ed il coordinamento delle varie unità. D'altra parte essa risulta essere positiva anche per i dipendenti che la ricevono perché permette loro di crescere e svilupparsi; un buon dirigente deve sapersi contornare di persone capaci di assumersi responsabilità più impegnative nel caso che se ne verifichi la necessità.

Purtroppo alcune volte si manifestano delle reticenze da parte del manager a delegare o da parte dei subordinati ad accettarle. I timori più diffusi nei manager sono:

66 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 394 67 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 412 68

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- la paura di sentirsi meno potenti e di perdere il privilegio dell'autorità decisionale,

- la paura che il dipendente possa mal esercitare l'autorità che gli viene delegata, - la paura che il subordinato possa svolgere un lavoro qualitativamente inferiore di come avrebbe fatto il manager stesso,

- la paura che il subordinato possa svolgere un lavoro qualitativamente superiore di quello che avrebbe svolto il manager stesso,

- la paura che il lavoratore non voglia espandere la propria autorità ma si senta obbligato ad accettare la delega.

Quando le reticenze provengono dai subordinati, invece, i motivi possibili sono: - perché ricevere la delega significa vedere aumentare le proprie responsabilità e forse le possibilità di ricevere rimproveri,

- perché possono ritenersi poco all'altezza dell'incarico ed aver paura di andare incontro a situazioni di stress,

- perché temono di essere logorati dal fatto di essere più in vista e di dover dimostrare una maggior produttività.

3.05 La funzione guida e sviluppo.

Organizzazione e pianificazione sono due funzioni importantissime ma necessitano dell'appoggio della funzione guida per poter assumere un reale ruolo all'interno dell'organizzazione. La pianificazione infatti, nonostante la realizzazione di ottimi piani, risulterebbe inefficace se la funzione guida non fosse in grado di metterla in moto efficientemente.

"E' la funzione direttiva, o di guida, che mette in moto l'organizzazione e che dà vita e significato, per così dire, ai suoi piani e alle sue strategie".69

Dal lato pratico questa funzione consiste nel comunicare con i dipendenti, nel formarli e motivarli.

E' agli inizi degli anni '50 con l'avvento delle teorie behavioriste applicate all'attività manageriale che si inizia a parlare dell'importanza della

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comunicazione, perché ci si iniziò a rendere conto che questa costituiva uno dei problemi fondamentali per i manager.

"La comunicazione è il processo con cui si trasferiscono significati da una persona all'altra, in forma di idee o di informazioni".70

Essa non deve essere vista come un semplice trasferimento di dati tra soggetti appartenenti ai diversi livelli di una stessa organizzazione o tra unità organizzative di una stessa impresa collocate in aree geografiche diverse, ma deve comportare un certo grado di interazione tra i soggetti che la pongono in essere.

La comunicazione non è solo parlare, è accompagnare il discorso con gesti più o meno volontari, espressioni del viso e variazioni di tonalità nella voce.

Da vari studi effettuati, è stato osservato che proprio alla comunicazione, in tutte le sue varie forme (parlare, ascoltare, scrivere, leggere) i manager dedicano la maggior parte del loro tempo. In una intervista a Jack Welch, che è stato un chief executive officer della General Motor, egli ha definito così il mestiere del manager: " gira instancabilmente in lungo e in largo, nell'organizzazione, per incontrare questa o quella persona… Si sobbarca di ore ed ore di faccia a faccia, fa innumerevoli passi, avanti e indietro….una serie di incontri con esseri umani da capire e convincere, attraverso un processo interattivo che non ha mai fine".71

Passiamo ora ad analizzare brevemente i tre tipi di comunicazione attuabili all'interno di qualsiasi organizzazione:

- la comunicazione formale.

Questo tipi di comunicazione prevede una successiva suddivisone tra: - comunicazione verso il basso.

In genere segue l'andamento della catena di comando e riflette dunque le relazioni sia di autorità che di responsabilità previste negli organigrammi. I messaggi verso il basso possono avvenire sia in forma scritta che orale e possono provenire sia dal diretto superiore sia da guide e manuali o avvenire attraverso

70 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 492 71

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messaggi affissi nelle bacheche o da presentazioni di relazioni scritte o di incontri di gruppo o individuali.

Riguardano generalmente informazioni sugli obiettivi, le politiche, le regole e le procedure aziendali o le nomine ed i trasferimenti, oppure i provvedimenti decisi in seguito alle analisi delle performance;

- comunicazione verso l'alto.

Consiste in un feedback di dati e informazioni che si spostano dalla base fino ai vertici, generalmente costituita dalle relazioni sulle performance (quindi sui risultati), da richieste d'assistenza o di informazioni, da espressioni di sensazioni e giudizi o da proposte e consigli miranti alla risoluzione di alcuni problemi e quindi al miglioramento delle performance stesse;

- la comunicazione laterale o orizzontale.

Avviene tra colleghi o unità di pari grado o livello. Ha soprattutto la funzione di coordinare le mansioni di più soggetti i quali devono essere certi di poter interagire con i loro pari per poter compiere al meglio il loro lavoro. Alcuni esempi possono essere la riunione di comitati o la creazione di project team (gruppi di progetto), o task forces.

- La comunicazione informale.

Oltre alla comunicazione formale, quella cioè che segue i canali previsti dall'alta direzione esiste però anche quella informale, che non si avvale di questi canali, ma che risulta essere altrettanto importante ed efficiente per il flusso di informazioni. Utile per superare la noia sul lavoro, per cercare di convincere gli altri a svolgere determinate mansioni o per ottenere informazioni utili non ottenibili con i canali convenzionali.

La così detta voce di corridoio è la forma più conosciuta di comunicazione non formale, le informazioni passano da un soggetto all'altro o come si suol dire di bocca in bocca molto velocemente seguendo percorsi contorti e non prevedibili, ma da studi effettuati in aziende americane, queste informazioni sono risultate molto attendibili, efficaci e di veloce trasmissione.

Il buon manager sa di non dover impedire la circolazione di queste voci ma anzi dovrebbe essere in grado di indirizzarle al fine di usarle per il raggiungimento dei

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suoi scopi. In alcune organizzazioni infatti, dove egli funge da collegamento tra varie unità, potrebbe capitargli di aver accesso ad informazioni di una unità che potrebbero essere utili anche all'altra e viceversa e questo potrebbe tradursi in un aumento del suo prestigio sia agli occhi dei dipendenti appartenenti a queste unità che a quelli dell'alta dirigenza.

Sia la comunicazione formale che quella informale possono avvenire in maniera scritta. verbale, non verbale e tecnologica.

La forma scritta è costituita da piani, programmi, documenti di ogni genere quali bigliettini, promemoria, manuali o annunci appesi in bacheca. Lascia una traccia evidente della sua presenza ma risulta essere lenta e talvolta si contrappone al desiderio di comunicazione, perché spesso non permette a chi riceve l'ordine di manifestare la propria idea.

La forma verbale al contrario è più veloce ma non lascia tracce dell'avvenuta comunicazione. Si esprime con parole accompagnate dalla forma non verbale (gesti, tono della voce, ecc)

La comunicazione non verbale è quella che non fa uso di parole ma che spesso ha più peso di quella scritta. E' formata:

- dal linguaggio dei segni, cioè da luci, da cartelli stradali che indicano le direzioni o da gesti (quale il saluto militare, come forma di rispetto verso un superiore),

- dal linguaggio delle movenze (gesti, espressioni del viso) e delle azioni, che generalmente sono le espressioni della sfera razionale (quando puntiamo un dito in genere vogliamo esprimere un rimprovero, quando ci avviamo alla porta vogliamo segnalare che il colloquio è terminato); o dall'espressione degli occhi che spesso dicono più delle parole: a volte lo sguardo inespressivo dell'interlocutore ci comunica che egli non ha capito ciò che gli abbiamo detto, - dal linguaggio degli oggetti, quali disegni, diagrammi, abiti; la comunicazione formale può, ad esempio, prevedere la divisa, (i tecnici dell'Ibm, ad esempio, devono sempre vestire in giacca e cravatta o capi simili se sono donne e devono andare dai clienti in auto e mai con il furgone),

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- dal così detto paralinguaggio che concerne il modo di parlare (espressione dell'emotività) e quindi il tono di voce, il volume, la rapidità dell'eloquio.

Abbiamo infine la comunicazione realizzata con i mezzi elettronici, che negli ultimi anni ha ricoperto un ruolo sempre crescente. Essa vede:

- l'uso dei personal computer.

Una volta i manager si dovevano affidare a dei tecnici per la raccolta dei dati la loro classificazione e trascrizione, dalle stampe effettuate dai loro subordinati estrapolavano le informazioni utili alle loro decisioni. Oggi invece sono in grado da soli, con enormi risparmi di tempo e riduzione di costi, di elaborare i dati, immagazzinarli ed utilizzarli nel momento del bisogno,

- l'uso dei messaggi di posta elettronica,

Questa soluzione ormai molto utilizzata negli ultimi anni ha il triplo vantaggio di presentare la forma scritta, di essere veloce e di garantire la possibilità di risposta immediata da parte del ricevente il messaggio,

- l'uso delle teleconferenze e delle videoconferenze.

Attraverso gli attuali dispositivi tecnologici più interlocutori possono colloquiare contemporaneamente al telefono (teleconferenza), magari anche vedendosi (videoconferenza) pur trovandosi in luoghi molto distanti tra loro,

. l'uso di reti di computer.

Con questo sistema più computer sono collegati in modo da permettere a chi li usa di condividere i programmi, accedere a data base comuni o scambiarsi informazioni,

- l'uso del telelavoro.

L'uso intensivo dei computer e la facilità di collegamento al computer principale dell'azienda ha reso possibile lavorare da casa, garantendo una forte riduzione dei costi, sia per le aziende (occorrono meno uffici), che per i lavoratori (non spendono soldi e tempo per il pranzo fuori e i trasferimenti da e per il lavoro) che per l'ambiente (meno lavoratori si spostano in macchina, meno inquinano). Un lato negativo può essere il fatto che le aziende considerano questi lavoratori come soggetti autonomi per cui non vengono loro garantiti i diritti dei lavoratori

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dipendenti; godono però di elasticità di orario, cosa molto ben vista soprattutto dalle donne.

Vediamo brevemente come funziona il processo di comunicazione, considerando che esso viene utilizzato da individui con diversi background a livello di istruzione, di idee, di cultura e di bisogni.

Partiamo dalla prima fase, quella della fonte del messaggio, per renderci conto che generalmente questo parte perché qualcuno sente il bisogno di manifestare una propria idea, un proprio bisogno o anche solo per offrire informazioni.

La seconda fase consiste nella scelta della forma da dare al messaggio, che potrà essere trasferito in forma orale o scritta, ma anche mediante gesti o azioni. E' importante ragionare su cosa si vuole comunicare e con quale forza, per cui occorre adattare il messaggio al livello intellettuale, agli interessi o anche ai bisogni del ricevente. Occorre pensare però anche alle conseguenze che il messaggio può generare per ridurre al minimo o anche evitare totalmente quelle non desiderate; ecco quindi che il manager deve essere molto cauto nello scegliere le giuste parole, che al di là del loro significato, possono avere effetto diverso sulle differenti persone in ascolto. Da non trascurare poi che in alcuni case a ricevere il messaggio non è la persona a cui esso è destinato, (vedasi l'esempio della segretaria che riceve un messaggio telefonico da recapitare al capo), in questi casi occorre essere particolarmente precisi e chiari al fine di evitare che il messaggio venga travisato e quindi mal riferito.

Si passa poi alla terza fase, quella della scelta del canale da utilizzare per la comunicazione in oggetto. Questa può avvenire in modo orale con un colloquio diretto, con una telefonata o un video registrato oppure durante una riunione con più partecipanti. La forma orale vede come lati positivi la sua velocità di trasmissione e l'interazione tra le parti che permette al ricevente di esprimere immediatamente il suo pensiero in merito, si crea cioè il cosi detto feedback (la risposta), che altro non è che la sesta fase della comunicazione, ma come lato negativo presenta la volatilità, perché non lascia prove.

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Quest'ultimo problema può essere superato attraverso l'uso della forma scritta (promemoria, affissioni in bacheca, consegna di manuali, di lettere o di comunicati) che però risulterà essere lenta e soprattutto non permette alla sesta fase (quella del feedback) di potersi manifestare direttamente ed immediatamente. Per attutire quest'ultimo problema molti manager sono soliti ricorre all'invio di messaggi di posta elettronica.

La quarta fase consiste nella ricezione del messaggio, non c'è trasmissione finché non c'è ricezione.

La quinta è la fase della comprensione. Sappiamo che il messaggio potrà essere percepito in maniera diversa in funzione dell'intelligenza, della cultura o della sensibilità del ricevente e dunque per ovviare alla possibilità che sia stato mal interpretato è bene che il manager favorisca una risposta da parte del ricevente e crei ancora una volta uno scambio di informazioni e dunque di nuovo ricerchi la creazione del feedback.

La sesta fase, quella del feedback (la risposta), a cui abbiamo già, più volte, fatto riferimento, risulta essere importante a tal punto che quasi tutti i manager cercano di favorire la creazione di un ambiente che la stimoli, prendendo essi stessi l'ìniziativa di domandare al subordinato se tutto quello che è stato detto gli è chiaro e se si sente di ripeterlo, lasciando anche che il dipendente ponga domande o aggiunga particolari che ritiene utili. Colui che lascia liberi i subordinati di prendere una parte delle decisioni o che accetta di ascoltare i loro consigli, realizzerà una comunicazione di tipo bidirezionale che gli garantirà di ottenere informazioni utili al raggiungimento dei suoi obiettivi e di realizzare quello che viene definito il management partecipativo, molto ben visto dalle ultime teorie in merito. Un buon manager ovviamene deve anche saper ascoltare e fare ciò che Shakespeare nel I atto dell'Amleto fa dire a Polonio allor quando costui cerca di ben consigliare il figlio Laerte: "presta orecchio a tutti, ma riserva a pochi la tua voce".72

Abbiamo detto che un buon manager deve saper ascoltare i propri sottoposti (ma non solo loro ovviamente) e questo significa innanzi tutto che dovrebbe

72

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trattenersi nel parlare per lasciare spazio all'espressione di pensiero di costoro, dovrebbe inoltre essere in grado di metterli a loro agio in modo che si sentano veramente liberi di confidarsi, dovrebbe mostrare interesse per quanto stanno dicendo (per cui non deve compiere altre azioni contemporaneamente), dovrebbe far loro delle domande per dimostrare la propria attenzione, non dovrebbe né arrabbiarsi né polemizzare e ancora dovrebbe cercare di eliminare qualunque fonte di distrazione che li circondi (non giocare con penne od oggetti vari che potrebbero essere causa di distrazione; chiudere la porta se c'è del rumore nelle stanze adiacenti).

Esistono però delle barriere alla comunicazione, che possiamo suddividere in due gruppi:

- le barriere organizzative, tra le quali troviamo: - le barriere dovute al numero di livelli organizzativi.

Un esperto in merito, semplicemente osservando l'organigramma aziendale, potrebbe indicare in quali punti di esso si verificano più di sovente gli errori di comunicazione. Più un'azienda si espande più la sua struttura si appesantisce e con essa i livelli gerarchici, all'aumentare dei livelli, aumentano i passaggi a cui un messaggio viene sottoposto, dopo ognuno di essi il messaggio potrà risultare arricchito o travisato di parte del suo significato. Se un manager si dovesse trovare a dover inviare un medesimo messaggio a molte persone, magari appartenenti a livelli gerarchici diversi, una soluzione molto pratica per evitare che esso venga distorto con i vari passaggi e quindi male interpretato, potrebbe essere di inviare il medesimo video messaggio a tutti i destinatari;

- le barriere dovute all'autorità manageriale.

A volte il fatto che un soggetto sia il supervisore di un altro può interferire con la loro comunicazione, non rendendola sincera. Il primo potrebbe non voler apparire debole o insicuro ed il secondo potrebbe non offrire informazioni che potrebbero metterlo in cattiva luce;

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In ogni organizzazione sono presenti degli aspetti di specializzazione, ma possono essere causa di problemi e di fraintendimenti. La diversità di interessi da perseguire, di funzione svolta o il gergo usato può far sentire, tra loro, gli specialisti di settori diversi come degli estranei. Esempi di fraintendimenti e malumori possono derivare dalle diverse funzioni svolte dai diversi soggetti, sommate alla mancanza di conoscenza delle esigenze pratiche delle mansioni altrui, (è il tipico caso degli scontri tra settore commerciale e settore amministrativo) oppure dai termini eccessivamente specifici (gergo) usati dal tecnico di una funzione per colloquiare con il tecnico di un'altra che non conoscendoli, non li capisce.

- le barriere dovute all'eccesso di informazioni.

Un manager deve essere sempre cauto ed equilibrato nel momento in cui passa informazioni ai sottoposti, a volte l'eccesso di input inviati, magari anche in maniera un po’ confusa, può essere causa di indecisioni o addirittura di blocchi, - Le barriere interpersonali.

Anche se non esistessero le barriere organizzative i manager dovrebbero comunque lottare contro altre cause di fraintendimento nella comunicazione con i collaboratori quali:

- il modo in cui il messaggio potrebbe essere percepito.

La percezione è il processo attraverso il quale attribuiamo un significato a ciò che si trova intorno a noi o a ciò che ci viene detto. L'esperienza ci condiziona molto nella nostra percezione, al punto che, se sentiamo il fischio di un treno ci aspettiamo di vederlo passare. Ognuno di noi colleziona una serie di esperienze personali che inevitabilmente lo condizionano nel momento in cui si trova ad interpretare un messaggio, è possibile quindi che ad una medesima frase, vengano attribuiti, da persone diverse, significati diversi;

- la percezione selettiva.

Il nostro modo di percepire gli eventi e le cose che ci circondano è condizionato dagli schemi di riferimento che ognuno di noi ha, questo provoca una reale limitazione della percezione. Il manager deve dunque cercare di conoscere più

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profondamente i suoi collaboratori, almeno in ambito lavorativo, per capire come essi vivono e percepiscono le loro mansioni;

- lo status di chi comunica.

Il messaggio viene valutato da chi lo riceve anche in funzione della stima e della fiducia che egli ha nei confronti di chi glielo invia. Per accettare un messaggio (soprattutto se contiene un ordine) occorre considerare il mittente come attendibile, competente, credibile e sincero;

- le carenze d'ascolto.

Il manager non deve imparare solo ad inviare messaggi facilmente comprensibili ai collaboratori, ma deve educarsi anche a riceverli, deve imparare cioè ad ascoltare, deve mettere i dipendenti a loro agio, lasciarli parlare senza interromperli, lasciarli liberi di esprimersi senza far loro pressioni. L'ascolto purtroppo richiede tempo e maggiori sono le responsabilità che il manager ha, minore è il tempo a sua disposizione, è importante quindi che impari a gestirlo al meglio;

- imprecisioni di linguaggio.

E' importante pesare bene le parole che si usano all'interno di un messaggio, cercando di prevenire le diverse interpretazioni a cui potrebbero essere soggette. Spesso una parola può avere più significati. Parlare troppo o parlare troppo poco può inoltre causare confusione nella ricezione;

- le barriere linguistiche.

Con l'espansione dei mercati e le forti migrazioni dovute anche al calo demografico verificatosi in alcuni paesi, quello della lingua è divenuto uno dei problemi più attuali. I manager di molte organizzazioni hanno visto aumentare il loro organico di origine straniera, soprattutto ai livelli più bassi della piramide aziendale. Una soluzione potrebbe essere quella di utilizzare un traduttore, ma questo comporterebbe enormi perdite di tempo, incertezza sull'effettiva fedeltà della traduzione, nonché la perdita del contatto diretto con l'interlocutore. La soluzione più pregevole sarebbe quella di far studiare più lingue ai futuri manager. Un superiore che conosce le lingue può capire anche cosa i suoi

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dipendenti stranieri si dicono tra di loro e sfruttare a proprio vantaggio questa opportunità.

L'importanza che in molte delle più grandi organizzazioni viene attribuita alla comunicazione è testimoniata dall'assunzione di veri e propri "esperti di comunicazione" che affiancano quadri e dirigenti, soprattutto quelli di primo livello che sono quelli a cui la gran massa dei dipendenti fa riferimento diretto, specialmente per lo svolgimento di operazioni che non sono di routine, quali la gestione dei licenziamenti e dei trasferimenti o anche l'emissione di provvedimenti disciplinari, in altre occasioni si usa ricorrere all'utilizzo di nastri registrati, attentamente preparati, per presentare al personale le informazioni sulle mansioni da svolgere o gli eventuali aggiornamenti.

La comunicazione serve al manager per informare i collaboratori di quali siano i loro compiti e di come dovranno essere svolti, ma serve anche per motivarli.

3.06 La funzione di controllo.

Fino ad ora abbiamo osservato che la funzione di pianificazione è efficace se le attività vengono ben organizzate tra di loro, che quella di organizzazione è efficace quando si usano strutture e relazioni adeguate e che quella di guida è efficace quando la supervisione della performance è ben realizzata. Tutte queste funzioni possono però perdere gran parte della loro efficacia se non vengono adeguatamente controllate.

"Il controllo si può definire come il processo con il quale si garantisce il conseguimento degli obiettivi generali dell'organizzazione e degli obiettivi particolari dei singoli manager. Esso consiste principalmente nel fare in modo che le cose avvengano così come sono state previste nei piani aziendali."73

Un esempio semplicistico può esserci di molto aiuto. Bisogna pensare al controllo aziendale come all'insieme di indicazioni e di cartelli stradali che ci indicano se siamo ancora sulla strada giusta o se abbiamo sbagliato, se ci

73

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confermano che siamo sulla strada giusta, ci rassicureranno, altrimenti ci permetteranno di correggere la direzione imboccata per errore.

Il controllo potrà essere di tipo totale (detto anche cibernetico) o parziale. Nel primo caso abbiamo che il sistema oltre a rilevare l'errore lo corregge anche (come può avvenire nel caso di un sistema antincendio che oltre a rilevare la presenza del fuoco, aziona automaticamente gli estintori). Nel secondo caso invece il sistema rileva l'errore ma non provvede alla sua correzione (gli estintori non vengono quindi automaticamente azionati).

La funzione di controllo presenta collegamenti con tutte le altre funzioni, ma soprattutto con quella di pianificazione tanto che, la prima fase del processo di controllo è proprio una fase di pianificazione. Potremmo dire che, la pianificazione studia la rotta da tracciare , ma spetta al controllo farla mantenere. Controllare significa fare continui raffronti tra i risultati effettivi e gli standard previsti dai piani, ma non bisogna sottovalutare che anche la funzione di controllo deve essere controllata. Occorre essere in grado di capire se il sistema sta fornendo informazioni puntuali e tempestive, se i rapporti realizzati sono precisi e se le performance vengono controllate e misurate con la giusta frequenza.

Tipi di controllo I tipi di controllo attuabili sono tre:

- il controllo a feedforward. (alimentazione in avanti )

E' un controllo di tipi aggressivo che mira a porre in essere l'intervento correttivo prima del verificarsi del problema stesso. La Motorola per esempio invia i propri tecnici direttamente negli impianti dei fornitori per assicurarsi che il controllo sulla qualità venga effettuato prima della spedizione dei pezzi stessi. Una piccola sartoria può ad esempio decidere di osservare le pezze di tessuto prima di iniziare a tagliarle per fare degli abiti su misura in modo da eliminare quelle difettose prima del taglio stesso, risparmiando tempo e denaro. Questo tipo di controllo permette al management di correggere le situazioni correnti al fine di riuscire a raggiungere gli obiettivi precedentemente individuati.

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Cerchiamo di suddividere in quattro fasi questo tipi di controllo:

1) individuare gli obiettivi: costi, ricavi, livelli di produzione, servizio qualità, 2) individuare i fattori critici all'ottenimento di quegli obiettivi: le condizioni meteorologiche che potrebbero influenzare i trasporti o la qualità dei macchinari e la loro efficienza,

3) individuare le circostanze che potrebbero causare dei problemi, anche basandosi su esperienze passate: il prolungarsi di una situazione di maltempo che potrebbe causare ritardi nei trasporti o il continuo verificarsi di guasti ai macchinari,

- individuare un piano di prevenzione dei problemi individuati o al limite di prevenzione del danno: non potendo influenzare il clima si può però prevedere la possibilità di utilizzare strade alternative in caso di maltempo prolungato in certi luoghi o per i macchinari, avere cura di fare una regolare manutenzione.

- Il controllo in concomitanza o screening.

Come si può desumere dalla parola questo tipo di controllo avviene contemporaneamente all'attività che deve essere controllata. E' il caso del pilota d'aerei che si trova a correggere la rotta o del camionista che avendo sbagliato strada inverte la direzione.

- il controllo a feedback o a posteriori.

Avviene quando l'attività a cui mira il controllo in realtà è già terminata; potrebbe quindi sembrare un controllo inutile perché non più in grado di garantire azioni correttive per tornare agli standard ma in realtà funge da fonte d'informazione per i preventivi futuri. Esempi di questo controllo sono i provvedimenti disciplinari o le valutazioni periodiche delle performance; se quest'ultima è stata scadente occorre capire cosa è successo e perché e cosa si dovrà evitare o, al contrario, si dovrà fare in futuro per poterla migliorare fino ai livelli desiderati.

Tutti e tre i tipi di controlli sono utili, però spetta all'alta dirigenza decidere in quali occasioni applicare un sistema ed in quali applicarne un altro, perché

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dipende anche dal tipo di attività che svolge l'azienda e se essa si presta o meno al monitoraggio continuo. Una società che ha molti venditori rischia, facendo loro riempire molti moduli tutti i giorni nella speranza di tenere sempre sotto controllo il loro operato, che essi tralascino la cura del cliente per mancanza di tempo.

Tutti e tre i processi di controllo possono suddividersi in quattro fasi: 1) definizione o pianificazione degli standard di performance.

E' in questa fase che si osserva in maniera molto evidente il collegamento tra la funzione di pianificazione e quella di controllo, infatti definire gli standard è compito della pianificazione ma di solito viene considerato come la prima delle fasi del processo di controllo perché altro non è che la sua base di partenza. Avendo già affrontato quindi l'argomento dell'individuazione da parte dei manager degli obiettivi aziendali allor quando abbiamo illustrato la funzione di pianificazione, adesso passeremo a definire il significato di standard.

Per standard intendiamo: "un'unità di misura che possa fungere da riferimento nella valutazione dei risultati".74

Considereremo standard, quindi, sia gli obiettivi aziendali come le quote di mercato o i traguardi di qualunque genere, sia i margini di utile o il rispetto delle scadenze.

Possiamo distinguere tra standard:

- fisici: quantità di prodotti, qualità di prodotti o servizi, numero di clienti; - monetari: costi del lavoro, ricavi di vendita, utili lordi;

- temporali: velocità di esecuzione dei compiti, tempistiche di consegna dei prodotti.

Tutti questi standard li possiamo qualificare come quantificabili, dato che sono esprimibili in unità, in euro o in numeri, ma ne esistono anche di non quantificabili, come riuscire ad assumere persone valide o promuovere i migliori, riuscire a trasmettere ai propri dipendenti livelli minimi di abbigliamento, igiene personale, comportamenti nei confronti dei colleghi.

74

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2) Misurazione delle performance.

Se non si passasse poi alla fase di misurazione delle performance, stabilire gli standard sarebbe stato inutile. Essi indicano dunque cosa deve essere misurato e quale livello deve raggiungere la performance per essere considerata sufficiente. Occorre però che sia noto anche quante volte la performance debba essere misurata (ore, giorni, anni) e quale forma debba avere questa misura (una telefonata, un rendiconto scritto). Nel prendere queste decisioni il manager deve tener conto sia dei costi (se il controllo di una performance è molto costoso, non può avvenire tutti i giorni), sia del fatto che la misura stabilita per valutare la performance sia facilmente comprensibile ai dipendenti. Esempi di misure e di loro sistemi di controllo possono essere:

- l'osservazione diretta, come quella del supervisore che segue direttamente l'attività di uno o più subordinati;

- i rendiconti o rapporti sia scritti che orali;

- le verifiche automatiche, come i contatori automatici di pezzi prodotti installati su alcuni macchinari;

- le ispezioni o le campionature, come le valutazioni effettuate dai professori in sede d'esame.

3) Raffronto tra performance e standard.

La performance di per se non ha significato, ma lo acquista nel momento in cui quella effettiva viene rapportata a quella pianificata ed è proprio a questo che serve la funzione di controllo. Una volta evidenziato lo scostamento, si può decidere di analizzarlo per comprendere perché si è verificato, ma si può anche decidere di non proseguire oltre con le analisi perché lo scostamento stesso non viene ritenuto particolarmente importante.

4) Realizzazione di eventuali azioni correttive.

In seguito a queste analisi si può decidere poi di variare gli standard previsti,

magari riducendoli perché giudicati effettivamente irraggiungibili o

aumentandoli per il motivo opposto, ma anche di modificare il sistema di controllo che potrebbe non essere perfetto.

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