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CAPITOLO I Storia del rapporto tra Alchimia e letteratura inglese: una breve introduzione storica

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CAPITOLO I

Storia del rapporto tra Alchimia e letteratura inglese: una breve

introduzione storica

1. La definizione di ‘alchimia

Nella definizione di Faivre1 l‟ “alchimia” è un corpus filosofico dottrinale a sua volta

suddivisibile in due aspetti: uno propriamente teorico-filosofico e uno teorico-pratico. Come dottrina pratica, l‟alchimia è un insieme di istruzioni tecniche da applicare, all‟interno del laboratorio, per trasformare chimicamente i metalli vili (spesso il piombo) in altri più nobili (l‟oro) oppure per la fabbricazione di elisir, della pietra filosofale o della panacea di tutti i mali. Per raggiungere questi scopi, l‟alchimista intraprende un processo (Opus Alchemicum) suddiviso in più fasi (nigredo, albedo, citrinitas e rubedo) e consistente nella progressiva purificazione chimico-fisica di una misteriosa sostanza nota come prima materia, in ultima materia (Faivre 2006, p. 16). Come dottrina teorico-filosofica, essa consiste in un complesso codice metaforico attraverso il quale la cultura esoterica ha modellizzato nel tempo i processi di purificazione in atto nell‟opera alchemica e nell‟anima dell‟alchimista. Essa consiste, infatti, in un processo di trasformazione che porta i metalli a diventare oro e lo spirito dell‟alchimista a purificarsi in seguito alle fasi di distruzione e rinascita.

Dal punto di vista storico e culturologico, uno dei pregiudizi che, secondo Faivre, ha sempre perseguitato l‟alchimia è l‟idea preconcetta che essa abbia un carattere monolitico, sia quindi priva di un‟articolazione interna, o di uno sviluppo diacronico o sia persino identica nelle diverse culture. Del resto, molti resoconti (cfr. Faivre, Dictionary of Gnosis and Western Esotericism alla voce “Alchemy”) sulle sue origini non fanno altro che rafforzare l‟idea di una tradizione unitaria e immutabile, storicamente e culturalmente. In realtà, continua Faivre, la grande eterogeneità dei trattati alchemici prodotti e trasmessi nel corso dei secoli, dimostra esattamente il contrario. Questa eterogeneità è talmente estesa e

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stratificata da indurre gli storici a ipotizzare l‟esistenza di varie scuole e correnti di pensiero all‟interno del termine più generale di „alchimia. Ad esempio, alcuni alchimisti,

come Arisleus, autore della Turba Philosophorum, erano interessati prevalentemente alla produzione della pietra filosofale, altri, come Rupescissa e più tardi Paracelso, sminuivano invece questo aspetto in favore delle applicazioni mediche, altri ancora, come Durandus e Agrippa enfatizzavano le implicazioni teologiche e gnostiche del lavoro alchemico (Faivre 2006, p. 13).

Ciò detto, non esiste, dunque, una unica alchimia, ma sarebbe più corretto parlare di diverse alchimie distinguendone l‟aspetto teorico, quello pratico, quello medico e quello mistico. Allo stesso tempo, è possibile tuttavia individuare numerose varianti come, ad esempio, i simboli della pietra filosofale o dell‟elisir, oppure la struttura dell‟Opus Alchemicum, che si ripresentano nel tempo, conferendo a questa tradizione diversificata e apparentemente caotica, una forte coesione e una straordinaria continuità.

1.1. Le due alchimie: essoterica ed esoterica

L‟ignoto autore di The Mirror of Alchimy (trad. 1597) definisce l‟alchimia sia come un‟arte che come una scienza fisica, avente a che fare con la trasformazione dei corpi “imperfetti”, i metalli, in corpi superiori, attraverso l‟uso di un misterioso elisir. Per secoli questa concenzione dell‟alchimia come attività tecnica, quindi praticabile anche dai profani, fu la più diffusa e accreditata. Roger Bacon scrive che tale tipo di alchimia, di natura „essoterica, “teaches how to make the noble metals, and colours, and many others

things better or more abundantly by art then they are made in nature”. Essa è un insieme di procedure pratiche utili alla produzione dei metalli nobili, con modalità che, secondo Bacon, sarebbero persino migliori di quelle operate dalla natura.2 Altri trattati importanti,

come quelli di Thomas Tymme,3 fanno tuttavia intuire l‟esistenza, accanto a quella pratica,

anche di un latro tipo di alchimia: quest‟ultima parte dal presupposto che il processo alchemico e ogni sua fase abbiano una corrispondenza e un effetto immediato non solo sulla materia ma anche sullo spirito e che più precisamente esercitino precisi effetti

2 R.BACON, Opus Tertium in E.J.HOLMYARD, Alchemy, Penguin, Harmondsworth 1957, p. 120.

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trasmutativi nella sfera interiore dell‟adepto. Questa seconda tipologia di alchimia è detta

esoterica.

Sia che si tratti di alchimia esoterica sia che si tratti di alchimia essoterica un‟importante parola chiave è „trasmutazione. Con questo termine si designa, nel codice alchemico, un

processo lungo e complesso che dal punto di vista essoterico consiste nella trasformazione dei metalli comuni in altri più nobili, come l‟argento e l‟oro, grazie all‟azione della pietra filosofale, mentre da quello esoterico esso corrisponde a una trasformazione di tipo gnostico e mistico, cioè nella conversione dell‟uomo comune, l‟adepto stesso, in un filosofo illuminato spiritualmente elevato.

L‟idea di “trasmutazione” in sé si basa sul concetto, che Abraham4 fa risalire ad

Aristotele, di materia prima e dei quattro elementi acqua, terra, fuoco e aria (più un quinto introdotto per equilibrare gli altri) che possono essere convertiti l‟uno nell‟altro. Se i metalli derivano dalla stessa materia prima originaria, allora essi possono essere sciolti in quella sostanza e impressi in una forma nuova e più pura per creare oro o argento. L‟alchimista deve saper trovare un equilibrio tra i vari principi, operare cioè una sintesi dinamica grazie alla quale gli opposti saranno uniti, ma manterranno ciascuno caratteristiche proprie.

2. L’alchimia nella cultura europea: dal XII al XVII secolo

Dalla definizione di alchimia sopra proposta, è possibile evincere come questo codice culturale consista in una lunga tradizione che dall‟antichità si è diffusa progressivamente, permeando capillarmente la nostra cultura.

Questo avviene all‟incirca tra il XII e il XVII secolo grazie alle traduzioni dall‟arabo di manoscritti alchemici. Generalmente accadeva che fossero proprio i membri del clero ad essere particolarmente interessati alla materia, anche se sono pochi quelli che produssero a loro volta testi a tematica alchemica: alcuni dei primi occidentali coinvolti in questa

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produzione furono il monaco domenicano Alberto Magno (1193-1280) e il monaco francescano Roger Bacon (1241-1291).5

L‟influenza dell‟alchimia nella cultura europea prosegue nel tempo fino a raggiungere il suo apice nel Rinascimento, periodo in cui questo corpus dottrinale acquisisce grande popolarità, diffondendosi in Italia ma soprattutto in Inghilterra.6 Qui la rete interculturale

di testi è immensa rispetto a quelle di altri Paesi: essa includeva sia copie di moltissimi lavori risalenti all‟epoca egiziana ed ellenistica, sia manoscritti alchimistici originali ad opera di autori occidentali. Tra questi ultimi, uno dei più conosciuti è Nicolas Flamel (1330-1418) che nel Le Livre des figures hiéroglyphiques (1612) si occupa della produzione dell‟oro. Quest‟ultima è secondo lui direttamente funzionale al raggiungimento di scopi di tipo religioso: «every man knew how to make gold to his own will, that they might live, […] in imitation of the holy Patriarks» (p. 46), a ulteriore dimostrazione dell‟intreccio pressoché inscindibile, tra le correnti esoterica ed essoterica nella tradizione alchimistica occidentale.

2.1. La metodologia di Linden

L‟influenza dell‟immaginario alchemico nella cultura europea è evidente specialmente in campo letterario. Questo aspetto è stato studiato con particolare attenzione da Stanton J. Linden, le cui indagini ci sono di grande utilità per lo studio del rapporto tra alchimia e tradizione letteraria europea e si sono rivelate di fondamentale importanza per l‟analisi, qui proposta, della presenza del codice alchemico nell‟opera di Donne e Vaughan, i quali hanno avuto un ruolo notevole nella diffusione della materia alchemica in Europa.

Linden, nel suo Darke Hierogliphicks. Alchemy in English Literature from Chaucer to the Restoration, si prefigge di ricostruire in prospettiva diacronica e sincronica, la storia dell‟influenza esercitata dall‟alchimia sulla letteratura europea:

My intentions are to examine literary reflections of alchemy in an attempt to discover their meanings, explore their contribution to literary art, and investigate the insights

5 A.LEMBERT, op. cit., p. 16.

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they provide into important but obscure habits of thought present in English culture from the late Middle Age to the Restoration.7

Nel tracciare questa storia Linden propone anche una griglia ermeneutica attraverso la quale diviene possibile classificare i testi letterari in base al diverso atteggiamento che i vari autori hanno manifestato di volta in volta rispetto all‟alchimia e le modalità di attivazione di questo codice culturale nelle opere letterarie. Nella sistematizzazione di Linden questi diversi approcci sono di tre tipi: satirico, convenzionale e “ibrido” (Linden 1996, p. 32)

Il primo approccio, quello satirico, presenta l‟alchimia disforicamente mettendo in luce gli aspetti materialistici e utilitaristici finalizzati alla produzione dell‟oro metallico. L‟approccio satirico è esemplificato da Chaucer, il quale nel “Canon‟s Yeoman‟s Tale” (Canterbury Tales, 1475) descrive come loschi gli affari di due canonici, i quali appunto praticano l‟alchimia. L‟effetto satirico emerge già nel Prologo (vv. 556-719) e in particolare nella presentazione tramite un rovesciamento comico del Canon come personaggio ridicolo e di cui viene messa in luce l‟abbondante sudorazione: “His forehead dropped as a stillatorie” (v. 580). Successivamente, egli è paragonato a un alambicco che distilla la materia durante il processo alchemico. L‟equiparazione tra sudorazione e distillazione alchemica genera appunto l‟effetto satirico in questione. Non sappiamo se Chaucer fosse davvero contrario all‟alchimia. Quello che leggiamo nel suo testo è però il fatto che egli ridicolizzi l‟alchimia soltanto quando questa è esercitata dagli adepti corrotti, i canonici appunto, uomini del suo tempo che, spinti dal più gretto materialismo, coltivavano pericolose illusioni sia nelle proprie menti che in quelle dei loro fedeli (Linden, pp. 47-8). Un ulteriore esempio di condanna alla pratica essoterica lo ritroviamo negli epiteti che lo Yeoman usa per designare l‟arte alchemica come “cursed craft” (v. 830) o “silly elvish lore” (v. 845). Nel testo, quindi, sembra che la satira sia scagliata contro chi pratica una forma corrotta dell‟alchimia, contro i ciarlatani spiritualmente corrotti dal demonio: non a caso lo Yeoman deliberatamente associa l‟alchimia fraudolenta e gli alchimisti al diavolo (“devil”, v. 1238).

Un altro autore che impiega il codice alchemico in maniera satirica è il tedesco Desiderius Erasmus, considerato lo scrittore più significativo del periodo grazie alla

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raccolta Colloquies (1518). Qui l‟alchimia costituisce una delle isotopie portanti: questa centralità si può ravvisare nel “Beggar Talk” dove la materia è considerata una forma di ciarlatanesimo e in “Alchemy” in cui essa è associata al campo semantico della follia. La particolarità dei Colloquies sta nel modo in cui il soggetto è trattato: la materia elevata viene giustapposta a personaggi “bassi”, quindi producendo prima un rovesciamento comico per poi perseguire un effetto fortemente satirico per via del collegamento più serio con problematiche sociali (come ciarlatanesimo e follia).8

Agli inizi del Seicento Ben Jonson (che vedremo tratterà l‟alchimia anche secondo l‟approccio ibrido) utilizza la materia alchemica in modo satirico con due scopi: commentare la corrotta natura umana e attaccare la ricerca alchemica della perfezione (Linden, pp. 118-19). “The Alchemist”, una commedia del 1610, condensa motivi e immagini derivati dalla tradizione alchemica per porre l‟accento sulla fragilità umana e presentare l‟alchimia come ridicola e i suoi adepti come sciocchi. Per Jonson l‟alchimia è “a pretty kind of game, somewhat like tricks o‟the cards, to cheat a man, with charming” (vv. 180-82): è una sorta di gioco che può avere effetto solo sugli uomini più deboli che ne sono perciò ammaliati e portati a credere all‟esistenza della perfezione tanto professata dagli alchimisti.

Il secondo tipo di trattamento letterario della materia alchemica individuato da Linden, è quello convenzionale, si tratta di un uso del codice alchemico finalizzato a mostrare erudizione attraverso l‟utilizzo di un lessico tecnico sofisticato, spesso di difficile comprensione. Nella maggior parte dei casi, si trattava di autori che non avevano mai praticato l‟alchimia direttamente e che introducevano nelle loro opere termini ricavati dall‟immaginario alchemico, traendoli dalla letteratura appartenente a questa tradizione, per arricchire alcune isotopie fondamentali. Nei sonetti di Shakespeare, ad esempio, l‟alchimia è usata per suggerire bellezza e ricchezza: nel Sonetto 33 sono presenti parole chiave quali “golden” (v. 3), “green” (v. 3), “pale” (v. 4) che fanno pensare a riferimenti alchemici all‟oro, al sale, al bianco dell‟albedo, la fase dell‟opus durante la quale il composto viene purificato per poi rigenerarsi nelle fasi successive. Proprio questo è quello che accade all‟io poetico, il quale dopo una “Disgrace” (v. 8) iniziale (“My sun […] The region cloud hath mask‟d him from me now”, vv. 9 e 12) assume un atteggiamento positivo che

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fa presagire l‟imminente miglioramento (“Yet him for this my love no whit disdaineth”, v. 13). Ritroviamo in Shakespeare anche riferimenti all‟elisir, come in “potions […] Distilled from limbecks” (Sonetto 119, vv. 1-2).

L‟ultima tipologia di trattamento letterario dell‟immaginario alchemico, individuata da Linden, è quella cosiddetta “ibrida” e che consiste nella combinazione dei primi due approcci, quello satirico e quello convenzionale. Un esempio di questa tipologia è costituito dal “Mercury Vindicated” (1616) una courtly masque (forma drammatica creata per l‟intrattenimento della corte) che l‟autore, Ben Jonson, rende veicolo di satira. In questo testo compaiono riferimenti puramente tecnici all‟alchimia: il componimento è considerato un mezzo attraverso il quale investigare il potenziale artistico dell‟alchimia. L‟attacco alla materia da parte di Jonson è inscindibile dalla feroce critica al materialismo e alla società del tempo. Quest‟ultima è presentata come un grande alambicco in cui si trovano vegetali e minerali come “adders tongue, tilt-bane, nitre of clyents, tartar of false conveyance […] to which they added tincture of conscience with the faeces of honesty” (vv. 166-69). L‟ibridazione si realizza, dunque, nella combinazione della satira sociale con il lessico tecnico alchemico che risulta utile a designare la società. La peculiarità del “Mercury Vindicated” sta nel possesso della visione dell‟adepto il quale con la sua immaginazione può vedere ciò che succede nell‟alambicco e trasmetterlo al pubblico ancora oscurato dal velo dell‟ignoranza.

Oltre a queste tre modalità di ricezione dell‟immaginario alchemico in letteratura, alcuni testi alchemici pubblicati nel primo Seicento si concentrano su aspetti più spirituali e filosofici, combinando, attraverso l‟uso di allegorie e metafore, il tema alchemico con quello mistico. Linden9 individua questa caratteristica nel Tillage of Light (1623), il cui

autore, Scot, pur negando la possibilità di trasmutazione, ammette che natura e arte, se combinate, possono condurre alla perfezione (“glorious perfection”, v. 5).

Nella prima metà del Seicento sono soprattutto i poeti metafisici (Donne, Herbert e Vaughan) a dare un contributo fondamentale allo sviluppo del rapporto tra alchimia e letteratura. Dato che la produzione artistica metafisica, in particolare quella di Donne e Vaughan, costituisce l‟oggetto privilegiato della presente ricerca, occorrerà a questo punto focalizzare meglio l‟attenzione su questo particolare fenomeno letterario, ricostruendone

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prima di tutto i tratti distintivi sul piano storico-letterario e successivamente la natura della stretta relazione con l‟immaginario alchemico.

3. La poesia metafisica

A Samuel Johnson va riconosciuto il merito di aver coniato l‟espressione „Metaphysical,

un termine del linguaggio descrittivo letterario con cui egli, in The Life of Cowley (1779-1781), identifica uomini di grande cultura che “instead of writing poetry they only wrote verses” (p. 18). Essi erano uomini di cultura che intendevano dimostrare le loro conoscenze e la loro erudizione e che, a differenza di ciò che era accaduto per altri movimenti letterari, non si erano mai riuniti in un gruppo né avevano mai codificato la loro visione estetica in un manifesto. Marenco chiarisce che l‟attribuzione dell‟etichetta “metafisico” a un componimento poetico sia riconducibile a determinate costanti formali e contenutistiche: la concentrazione semantica, il frequente manifestarsi di sapere filosofico e scientifico (astronomico, medico, giuridico, alchemico), l‟uso del conceit, una metafora ardita e, infine, l‟uso del wit ossia la formalizzazione, sul piano pragmatico, dell‟arguzia.10

Queste ultime due caratteristiche sono universalmente riconosciute come le colonne portanti della poesia metafisica. Il conceit è, come nota Garner, “a comparison whose ingenuity is more striking than its justness”.11 Ritiene inoltre che un paragone diventi un

conceit quando “we are made to concede likeness while being strongly conscious of unlikeness” (Garner 1961, p. 23). Si tratta, quindi, di un‟associazione di idee in apparenza inconciliabili in quanto appartenenti ad ambiti esistenziali diversi, ma che vengono presentate come equiparabili analogicamente. Il wit invece, come afferma Smith stesso, “focuses an interest in rendering of our ambiguous state when sensation and idea interfuse in the language itself, opening an absolute consequence in the momentary encounter, and registering the shock of metaphysical predicaments in the play of the sense”.12 È la capacità del testo di indurre tramite l‟arguzia un cortocircuito interpretativo

fra il piano emotivo e intellettuale, facendo sperimentare al lettore un piacevole effetto di

10 F.MARENCO, Storia della civiltà letteraria inglese, in II volumi, vol. I, UTET, Torino 1996, p. 811.

11H.G

ARDNER, The Metaphysical Poets, Oxford University Press, Oxford 1961, p. 23.

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disorientamento cognitivo e ponendolo in una posizione non tanto di recettore passivo del testo, quanto di fruitore attento e compartecipe della semiosi del testo stesso.

Diversi anni dopo T.S. Eliot, celebre nel suo saggio sui Metaphysical Poets,13 libererà

definitivamente dall‟oblio i poeti metafisici, definendoli un modello di poesia ideale, e soprattutto fornendo una definizione più operativa e analiticamente produttiva delle consuetudini scrittorie di questo importante gruppo di artisti. Egli ritiene che nelle loro opere questi poeti esprimano idee e concetti in strutture tutt‟altro che semplici. Questo meccanismo dà vita a poesie che non presentano una spiegazione chiara dei termini messi a confronto ma richiedono, invece, grande agilità da parte del lettore nella fruizione e nell‟interpretazione del testo che si sviluppa in rapide associazioni. Il funzionamento della poesia metafisica e del suo modello comunicativo viene definito da Eliot come una “immediately sensual apprehension of thought or a transformation of thought into feeling”14 ossia un‟interazione particolare tra thought (intelletto), il concetto puro, la logica

solida e l‟insieme di moduli estetici socialmente condivisi che fa da struttura alle poesie, e il feeling (emozione), la passionalità e l‟emotività che ciascuno dei testi metafisici trasmette. Nella definizione di Eliot la particolarità di questa produzione, e il suo valore sono dovuti appunto a questa capacità di disciplinare, attraverso la sistematizzazione tecnico-formale (thought), le complessità altrimenti impalpabili e caotiche dell‟emozione (feeling), quindi di dare un solido apparato cognitivo alle psicodinamiche del sé.

Questi due poli sono collegati dall‟oggetto della passione dei poeti: il pensiero. Il loro thought, essendo ciò che li distingueva da tutti gli altri, doveva essere trasmesso in maniera innovativa, quindi non con filosofia o freddezza ma con passionalità.

3.1. Come si struttura il rapporto tra alchimia e poesia metafisica

Vediamo ora di che natura è il rapporto tra poesia e alchimia. Quest‟ultima si inserisce nella poesia metafisica come uno dei più importanti codici culturali in essa attivati. I testi metafisici, infatti, si caratterizzano per una forte intertestualità e di conseguenza

13 T.S.ELIOT, “Review of Metaphysical Lyrics and Poems of the Seventeenth Century: Donne to

Butler”, ed. By Herbert J. Griegson, Clarendon Press, Oxford 1921, in The Times Literary Supplement: October 1921, pp. 12-9.

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presentano un‟ampia commistione di codici: si passa dalle allusioni bibliche a quelle riconducibili alla cultura classica, dalla filosofia alla teologia, dal folklore alle credenze popolari, dalle nozioni di giardinaggio ed erboristeria sino alle tecniche di guerra e tortura e, appunto, al codice alchemico. Forse l‟elemento che più di ogni altro accomuna il testo alchemico a quello metaforico si colloca sul piano pragmatico e consiste nella capacità di esercitare un effetto cognitivamente trasmutativo e fortemente psicagogico sul lettore. Questo avviene attraverso le procedure comunicative tipiche del linguaggio opaco, a sua volta caratteristico della comunicazione simbolica e in base alle quali la trasmissione dell‟informazione testuale avviene tramite omissioni (o blanks)15 che attivano la logica

inferenziale del lettore.

Il codice alchemico che permea i componimenti è percepibile a due livelli: a livello della diction, quindi il lessico vero e proprio, la terminologia alchemica specifica e a livello dell‟imagery che, attraverso la metafora, propone al lettore idee e concetti alchemici.

3.2. L’immaginario alchemico

L‟immaginario alchemico che entra a far parte della poesia metafisica si manifesta testualmente attraverso il riferimento a un codice composito che comprende lessemi, simboli e intere isotopie, che presuppongono, nella maggior parte dei casi, un‟approfondita conoscenza da parte dell‟autore, non solo di tecniche legate alla produzione dei metalli nell‟ambito dell‟alchimia essoterica, ma anche di un gran numero di dottrine che a diverso titolo entrano a far parte del campo di interesse di questo circuito culturale. La prima dottrina a cui spesso si fa riferimento in questi testi, come presupposto, è quella degli elementi risalente al testo Sulla Natura di Empedocle d‟Agrigento (ca. 500-430 d.C.) e successivamente ripresa da Aristotele (Abraham 1998, p. 68). Secondo questa dottrina, tutte le cose del mondo sono costituite da quattro elementi: acqua, fuoco, aria e terra. Questi ultimi non si presentano così come li conosciamo ma sotto forma di principi astratti che emanerebbero quattro proprietà: caldo, freddo, secco e umido. Ogni elemento possiede almeno due di queste qualità e ne ha una in comune con gli altri in modo che

15 W.ISER, L’atto della lettura. Una teoria della risposta estetica, il Mulino, Bologna 1987 (1976), p.

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ciascuno di questi si possa trasformare nell‟altro.16 La dottrina degli elementi è ad esempio

presupposta in “To Mr Rowland Woodward” (1593-4?) di John Donne, in cui l‟io poetico afferma che i corpi (“our bodies”, v. 2) sono costituiti da “all th‟el‟ments” (v. 2): terra (“earth”, v. 3), fuoco (“fire”, v. 5) e aria (“air”, v. 9).

La seconda dottrina, questa volta più attinente allo specifico ambito alchemico riguarda i tria principia di Paracelso (1493-1541) che starebbero alla base della struttura del cosmo: il primo corrisponde al principio attivo dello Zolfo (“Sulphur, or living male”),17 associato al

colore rosso e al polo maschile e analitico. Il secondo principio, opposto e complementare al primo, è quello passivo del Mercurio (“Mercury, or living female”)18 associato al colore

bianco e al polo femminile, e spesso alle componenti aggreganti e sintetiche dell‟esperienza, come quelle spirituali e vitalistiche. Infine il terzo principio, che interverrebbe come catalizzatore e ponte fra i primi due, è il sale.19 Questa dottrina è ad

esempio presupposta in “Disorder and Frailty”, di cui ci occuperemo più approfonditamente nel capitolo III e il cui autore, Vaughan, ne modellizza le prime tre stanze proprio su ciascuno di questi tre principi paracelsiani. Nella prima (vv. 1-15) il simbolo maschile, nel suo essere attivo, è modellizzato come viaggio del pellegrino alla ricerca dell‟elevazione della sua “brutish soul” (v. 3). Nella seconda stanza (vv. 16-30), invece, l‟energia vitale del simbolo femminile viene espressa grazie alla metafora organica che descrive lo spuntare di un fiore (“bud”, v. 17) dall‟argilla (“clay”, v. 17). Infine, nella terza stanza (vv. 31-45), la stella (“star”, v. 45), simbolo dell‟uomo perfetto (Abraham 1998, p. 190), ci riconduce al sale, principio che porta all‟unione di anima e corpo e alla realizzazione dello scopo alchemico a cui concorre tutto il testo cioè la pietra filosofale.

Di grande importanza, nella visione del mondo alchimistica, è poi il processo di sintetizzazione dell‟oro o crisopoeia che consisteva nell‟aggiungere al composto una polvere o un elisir dalla natura misteriosa con la capacità di trasformare il metallo vile con l‟effetto di nobilitarlo. Questo risultato poteva anche essere raggiunto con l‟ausilio della pietra filosofale. Riguardo a tale processo, Faivre ritiene che, soprattutto all‟inizio del XVII secolo, ci fosse più attenzione e interesse nel rappresentarlo figurativamente che nella

16 L.ABRAHAM, op. cit., p. 68.

17 L.ABRAHAM, op. cit., p. 193.

18 Ibid.

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descrizione degli esperimenti in laboratorio. Il procedimento era scaturito da diverse fasi, ognuna delle quali era marcata da un colore simbolico. Il punto di partenza (darkness) o prima materia è costituito dalla sostanza misteriosa di cui sono fatte le cose del mondo e che viene collocata nell‟alambicco. La prima fase è quella detta di nigredo, è associata ai simbolismi della distruzione e della putrefazione ed è esemplificata dal colore nero, a sua volta associato, a seconda delle versioni, alla testa di corvo (caput corvi).20 La fase di albedo,

identificata dal bianco simbolico e da immagini quali la Regina Bianca, il giglio e la rosa bianca, vede la purificazione del composto con l‟aggiunta di liquido. Segue una fase intermedia, non sempre presente nei trattati, il cui colore è il giallo: la citrinitas. Il processo termina con la fase di rubedo. Quest‟ultima è simboleggiata dal rosso e da immagini quali la rosa rossa o il Re Rosso. Durante tale fase avviene la trasformazione vera e propria del composto che inizia a irradiare luce essendosi trasformato in pietra filosofale o elisir. Nella poesia metafisica, allusioni alla fase di nigredo sono, ad esempio, ravvisabili in “A Nocturnal Upon St. Lucy Day, Being the Shortest Day” di John Donne (di cui ci occuperemo ampiamente nel capitolo II). Nel testo questa parte del processo alchemico, attivata tramite l‟allusione alla “darkness” (v. 18), assume il valore espressivo di momento di passaggio dalla vita alla morte con successiva rinascita dell‟io poetico, stabilendo quindi una forte analogia con quanto accade al composto alchemico durante la cruciale fase di nigredo, tramite la scomposizione e ricomposizione chimica finalizzata al suo rinnovamento.

3.3. La metafora religiosa

Molti alchimisti moderni mettono in luce uno stretto rapporto tra l‟alchimia e l‟ambito religioso (Faivre 2006, p. 13). Il linguaggio alchemico è infatti spesso intrecciato inestricabilmente al codice religioso. Quest‟ultimo è rintracciabile nei diversi riferimenti, accanto a quelli alchemici, a concetti religiosi cristiani, come la Morte, la Resurrezione, la glorificazione, e a parallelismi tra l‟opus e la vita di Cristo. Lo stesso potere della pietra filosofale di purificare i metalli è spesso associato alla liberazione degli uomini dal peccato

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compiuta da Dio tramite Cristo. Questo particolare intreccio di codici è molto evidente nella poesia metafisica dove l‟alchimia è impiegata come mezzo per trasmettere idee cristiane. Herbert, in particolare, crea quelli che potremmo definire come veri e propri dispositivi di comunicazione trascendentale, capaci cioè di mettere in contatto l‟uomo con Dio. Ne è un esempio “Prayer II”:21

Of what an easie quick accesse,

My blessed Lord, art thou! how suddenly May our requests thine eare invade!

(vv. 1-3)

La preghiera è vista come un meccanismo di trascendenza che, come nel processo alchemico, permette la trasmutazione spirituale. Tutto ciò si verifica a patto che il testo sia considerato prima di tutto come spazio dell‟attività inferenziale del lettore, cioè a patto che chi fa uso di tale preghiera (“our requests”, v. 3) sia in grado di comprendere il testo nella sua interezza. Solo quando questo processo inferenziale si sarà compiuto, il lettore sarà finalmente in grado di accedere al senso occulto del testo, completando il processo comunicativo trascendentale in maniera diretta e intuitiva (“quick accesse”, v. 1), elevandosi dalla materia allo spirito.

Anche i processi alchemici vengono riletti in chiave cristiana. Si pensi, a titolo d‟esempio, a quanto avviene in questi versi herbertiani:

This is the famous stone That turneth all to gold:

For that which God doth touch and own Cannot for lesse be told.

(G. Herbert, “The Elixir”, vv. 21-4)

Cristo è qui equiparato alla pietra filosofale (“stone”, v. 21) sulla base dell‟analogia tra l‟effetto che egli ha sugli uomini nel purificarli liberandoli dal peccato originale e l‟effetto trasmutativo esercitato dalla pietra filosofale sui metalli vili. La Passione e la Morte di Cristo sono quindi rese analoghe alla fase distruttiva dell‟Opus, quella di nigredo, a cui seguiranno la purificazione della materia (albedo) e la trionfale formazione dell‟oro (rubedo). Le trasmutazioni metalliche (“The famous stone that turneth all to gold”, vv.

21 H.WILCOX, The English Poems of George Herbert, a cura di Helen Wilcox, Cambridge University

Press, Cambridge (UK) 2007. D‟ora in avanti tutti i componimenti herbertiani citati saranno tratti da questa edizione.

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2) corrispondono così a trasmutazioni spirituali nell‟individuo e possono essere lette in chiave soteriologica. La ricerca del “gold” (v. 22) diventa così ricerca di “God” (v. 23), in un pun metafisico che va ben oltre il mero artificio retorico arguto e ardito.

L‟esempio letterario, sopra proposto, mette in rilievo un generale e diffuso interesse, da parte di molti pensatori di quest‟epoca, nelle implicazioni sacre della materia alchemica, tramite, appunto, il costante ricorso alla metafora di Cristo come lapis (Linden 1996, p. 201): i passaggi della preparazione della pietra sono quindi associati agli episodi del Vangelo (la natività di Cristo, alla sua Crocifissione e alla sua Resurrezione). L‟analogia arriva ad estendersi anche al resto della Bibbia, tramite numerose allusioni alla Creazione e al Giudizio Finale. Per la mentalità del tempo, alchimia e religione non erano infatti sentite come incompatibili e, anzi, Lutero stesso non disapprovava questo intreccio di visioni del mondo:

The science of alchymy I like very well, and, indeed, „tis the philosophy of the ancients. I like it not only for the profits it brings in melting metals, in decocting, preparing, extracting, and distilling herbs, roots; I like it also for the sake of the allegory and secret signification, which is exceeding fine, touching the resurrection of the dead at the last day. For, as in a furnace the fire extracts and separates from a substance the other portions, and carries upward the spirit, the life, the sap, the strength, while the unclean matter, the dregs, remain at the bottom, like a dead and worthless carcass; even so God, at the day of judgment, will separate all things through fire, the righteous from the ungodly.22

Da quanto è stato detto emerge con evidenza come all‟epoca fosse anche ben chiara la doppia natura, esoterica e religiosa, delle metafore alchemiche (“The allegory and secret signification”) e come questo fosse perfettamente chiaro anche a Lutero. Da protestante egli nega l‟intercessione della Chiesa nel rapporto tra l‟uomo e Dio e ricorre quindi all‟alchimia nelle sue varianti essoterico pratica (“I like it […] for the profits it brings in melting metals, in decocting, preparing, extracting, and distilling herbs, roots”) e in quella esoterico-filosofica (“I like it also for the sake of the allegory and secret signification, which is exceeding fine, touching the resurrection of the dead at the last day”)

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Quindi, proprio come la pietra filosofale che purifica i metalli lasciando sul fondo dell‟alambicco la materia impura (“carries upward the spirit, the life, the sap, the strength, while the unclean matter,

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the dregs, remain at the bottom”), analogamente farà Dio nel giorno del Giudizio, quando separerà i giusti dagli empi (“will separate […] the righteous from the ungodly”).

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