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CAPITOLO II LA COOPERAZIONE SOCIALE E LA ISO 9001

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CAPITOLO II

LA COOPERAZIONE SOCIALE E LA ISO 9001

Dopo aver parlato di qualità e di servizi alla persona viene preso in esame il quadro di riferimento che in questi anni ha fatto da scenario alla nascita e allo sviluppo della cooperazione ed in particolare della cooperazione sociale. Il tentativo è quello di mettere a fuoco gli elementi caratteristici di questa particolare tipo di impresa e di comprendere se e come l'organizzazione cooperativa può scegliere l'investimento della qualità ISO 9001.

1. La cooperazione in Italia e in Toscana

“Alberto Basevi fa cominciare la storia del movimento cooperativo in Italia con l'anno 1854, anno in cui si aprì a Torino il magazzino di previdenza locale Associazione generale degli operai.”28 Il movimento cooperativo ha una sua caratteristica distintiva: il legame con lo sviluppo del movimento dei lavoratori nel quadro della crescita della produzione e degli scambi, dalla prima rivoluzione industriale in poi. Esso presenta delle analogie con fenomeni sociali più lontani nel tempo, come le corporazioni di epoca imperiale romana e poi medievale. Il dar vita, da parte dei lavoratori e dei ceti popolari, a imprese economiche in forma associativa (il fatto, cioè, di porre alla base dell'iniziativa economica il “co-operare”, il “fare insieme”) è da sempre una scelta non solo difensiva, come era stata quella delle corporazioni, con le quali i produttori dei diversi settori difendevano le esclusive e i privilegi, ma attiva e fiduciosa nella possibilità di poter partecipare da protagonisti, non da semplici subordinati, alla crescita dell'economia e della ricchezza.

La cooperazione ha origini comuni con altre due forme di organizzazione del mondo del lavoro: la mutualità e il sindacato. Ha in comune con esse il principio “l'unione fa la forza”, ma si distingue nel modo di attuarlo.

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La società di mutuo soccorso, infatti, allo scopo di coprire i rischi in cui possono incorrere i soci (malattie, disoccupazione, necessità impreviste, etc.) ne ripartisce preventivamente i danni mediante la costituzione di un fondo comune formato dalle quote associative.

Il sindacato, a sua volta, punta innanzi tutto a rafforzare la posizione dei lavoratori nei confronti delle “controparti padronali”: suo fine è quello di liberarli dalla netta subordinazione che consegue all'isolamento individuale di chi vive del proprio lavoro rispetto a chi, possedendo i mezzi della produzione, dispone con ciò del potere di determinare le condizioni in cui lo stesso lavoro si svolge e il livello della sua retribuzione. Il sindacato, dunque, è innanzi tutto un soggetto di contrattazione collettiva.

La cooperazione, invece, finalizza l'unione dei soci alla promozione di un'attività economica a cui essi partecipano tutti insieme: si tratti di aprire un negozio di generi di prima necessità per garantirsi acquisti più a buon mercato, o di dar vita a un cantiere in cui occupare le proprie capacità di lavoro per assicurarsi occupazione e reddito; si tratti di comperare in comune attrezzature e sementi per la propria attività agricola o di procurarsi un'abitazione a condizioni più vantaggiose; siano insomma, i soci, soggetti dell'offerta o della domanda, lavoratori, produttori autonomi o consumatori, in ogni caso quella a cui danno vita è una forma di impresa economica.

Nella cooperazione i soci esprimono, dunque, una forma di previdenza che ricorda quella mutualistica (del resto, ai principi della mutualità si ispira anche la cooperazione) e insieme una volontà di “contare di più mettendosi insieme” analoga a quella che anima il sindacato. Ma la traduzione di tutto questo in impresa è ciò che rende inconfondibile la scelta cooperativa: è il suo contributo specifico alla costruzione di una estesa democrazia economica e sociale.

Nella storia della cooperazione italiana hanno convissuto e spesso si sono sovrapposti due diversi fattori: da un lato la tutela e l'assistenza a strati sociali in crisi o emarginati, dall'altro “la promozione di una peculiare componente dello sviluppo economico, integrato o alternativo rispetto a quello in atto”29

29 Bonfante G., Ciuffoletti Z., Degl’Innocenti M., Sapelli G. Il movimento cooperativo in Italia, Piccola Biblioteca

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Una vicenda più che secolare ha intrecciato e diviso le sorti di cooperazione, mutualità, sindacato. La mutualità è diventata un valore comune all'intera società, fino ad essere assunta dagli Stati come funzione propria in forma di previdenza sociale pubblica, dalle pensioni alla sanità. Il sindacato, per suo contro, si è affermato come il soggetto contrattuale nei confronti non solo del padronato, ma anche dei Governi: la pratica della “concertazione” ne fa uno dei protagonisti delle grandi scelte economiche dei Paesi democratici.

L'esperienza della cooperazione, pur essendo cresciuta in misura a volte notevole, e pur avendo dimostrato di sapersi adattare alle condizioni istituzionali ed economico sociali più diverse, è rimasta però limitata a una sfera minoritaria della società e dello stesso mondo del lavoro. Forse perché è la scelta più difficile: fare impresa senza disporre, alle spalle, di un'accumulazione di ricchezza già consolidata.

Forse anche per questo la storia del movimento cooperativo è stata narrata finora, in Italia e altrove, in modo così frammentario e parziale: non è facile, sulla base dei testi disponibili, farsene un'idea complessiva. Del resto i cooperatori, gente tanto pratica quanto idealista, hanno badato più a fare, a costruire giorno per giorno, che a lasciare memoria di sé.

Nell'ambito di una conferenza sulla cooperazione organizzata dalla Regione Toscana nei giorni 29-30 settembre 1999 Pier Angelo Mori30 ha delineato alcuni tratti tipici delle imprese cooperative. “Al di là delle forme particolari in cui si è manifestata, la cooperazione è quasi sempre sorta come risposta a situazioni di disagio sociale che si è cercato di superare attraverso la solidarietà.”31 Una caratteristica distintiva della cooperazione sembra rimanere ancora oggi la solidarietà. “L’impresa cooperativa educa i soci alla solidarietà.”32 La cooperativa di lavoro, che costituisce oggi la più rilevante per numero di addetti, è un'impresa basata sulla solidarietà tra i lavoratori che nasce come risposta ad una situazione socio economica in cui prevalevano condizioni di lavoro disagiate, salari di mera sussistenza, senza alcuna protezione sociale. Accanto alla solidarietà un altro aspetto

30 Direttore del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Firenze.

31 Queste considerazioni sono state espresse da Pier Angelo Mori nella relazione “L’impresa cooperativa e la sua

funzione economica e sociale nella realtà odierna e nella prospettiva”, pag.1

32 Queste considerazioni sono state espresse da Pier Angelo Mori nella relazione “L’impresa cooperativa e la sua

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cruciale per la cooperazione è rappresentato dal disagio. Esso non solo costituisce il presupposto per la cooperazione sociale ma rimane rilevante anche per le cooperative di lavoro, le condizioni di lavoro, i livelli salariali e il grado di protezione sociale offerto dallo Stato ai lavoratori; oggi sono assai diversi che nell'ottocento e buona parte degli obiettivi originari del movimento cooperativo e dei lavoratori hanno trovato realizzazione, almeno in Europa. Questo però non significa che tutte le cause di disagio siano state rimosse. La cooperazione è inoltre caratterizzata da altre due caratteristiche specifiche: la tendenza a privilegiare l'occupazione delle categorie deboli sul mercato del lavoro (giovani in cerca di prima occupazione, lavoratori espulsi dal processo produttivo, soggetti socialmente disagiati, ecc.) e il radicamento nel territorio. “È questo uno dei tratti distintivi della cooperativa di lavoro: l'azienda si identifica con i lavoratori, che sono assai meno mobili dei capitali, e l'unica causa di ‘uscita’ dall'area locale è di fatto il fallimento.”33 Oltre alle caratteristiche, nell'ambito della conferenza sulla cooperazione, si è parlato dei vantaggi e svantaggi della forma cooperativa. Nella relazione presentata dall’Irpet (Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana)34 uno degli elementi che viene evidenziato a questo proposito fa riferimento all'indivisibilità degli utili e alla carenza di adeguate forme di ricapitalizzazione a disposizione della cooperazione. “A questo sistema viene riconosciuto l'innegabile vantaggio della non tassazione degli utili, che è rimasto l'elemento positivo più evidente di questa forma societaria, ma allo stesso tempo è diventato anche il più grosso limite del sistema cooperativo, perché non potendo dividere gli utili non esercita nessuna forma di attrazione nei confronti dei capitali privati, che potrebbero essere essenziali per la competitività dell'impresa o addirittura la sopravvivenza.”35 Per affrontare questo problema è stata creata la figura del socio sovventore. Questa è stata utilizzata all'interno del sistema cooperativo da parte di imprese più grandi per sostenere quelle più piccole, ma non come

33Queste considerazioni sono state espresse da Pier Angelo Mori nella relazione “L’impresa cooperativa e la sua

funzione economica e sociale nella realtà odierna e nella prospettiva”, pag.3

34 Questa relazione di Mauro Grassi (Irpet) e Silvia Falsino (Collaboratore esterno) “Il sistema cooperativo in

Toscana”, è strutturata in 3 parti: la 1° ricostituisce il quadro quantitativo della cooperazione in Toscana, la 2° è una sintesi ragionata di interviste e dirigenti generali e settoriali del mondo cooperativo, la 3° è il rendiconto, per esteso delle interviste.

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mezzo per reperire capitali. Un altro vantaggio/svantaggio che viene descritto come proprio dell'impresa cooperativa riguarda il modo con cui all'interno di quest'ultima vengono prese le decisioni. Esse vengono prese dal consiglio di amministrazione, il quale le sottopone poi all'assemblea dei soci per l'approvazione. Questo sistema decisionale da una parte rappresenta un vantaggio in quanto permette al consiglio di amministrazione di condividere le scelte con l'assemblea, dall'altra può rappresentare uno svantaggio in quanto i tempi rischiano di essere troppo lunghi. Un altro elemento evidenziato come vantaggio/svantaggio è la tendenza presente nelle persone che lavorano all'interno delle cooperative di sentirsi “tutti un po’ padroni”. Questo fa sì che “da una parte la qualità del lavoro offerto costituisce valore aggiunto all'interno dell'azienda dove, di fatto, non esiste nemmeno una reale conflittualità sindacale perché ogni problematica trova soluzione all'interno della cooperativa, dall'altra, a volte pensare all'azienda anche come propria comporta autonomie decisionali che rischiano di creare più problemi che risolverne.”36

2. La cooperazione sociale

Tra le organizzazioni impegnate nel fornire servizi di interesse collettivo che più si sono diffuse in Italia negli ultimi due decenni, un posto di rilievo spetta alle cooperative sociali.37 Sviluppatesi progressivamente soprattutto nel corso degli anni ottanta, esse oggi rappresentano una componente significativa dell'offerta di servizi sociali nel nostro Paese. Lo sviluppo della cooperazione sociale va collocato e trova spazio nelle peculiare e originario sviluppo - in quanto determinato da ragioni profonde e non da cause esogene quali la crisi del welfare - del terzo sistema nel suo complesso e nell'evoluzione che ha caratterizzato i diversi soggetti che lo compongono.

Lo scenario entro cui si era manifestato questo sviluppo e le ragioni che lo hanno determinato vengono ricondotti a tre macro tendenze38: la crisi e la ridefinizione delle

36 Grassi M. Falsino S., “Il Sistema … op. cit., pag.11

37 Queste considerazioni sono tratte dal volume Imprenditori sociali – Secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia edito dalla Fondazione Agnelli nel 1997

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politiche sociali, l'evoluzione e lo sviluppo dell'area del terzo settore, il manifestarsi di nuove sensibilità all'interno del movimento cooperativo

2.1 Crisi e ridefinizione delle politiche sociali

La nascita e lo sviluppo di cooperative sociali hanno trovato ragione nell'intendimento espresso per gruppi di cittadini autorganizzati di condurre in modo innovativo e partecipato modalità di intervento sociale più rispondenti alle reali esigenze delle comunità locali e, soprattutto nelle persone svantaggiate. La volontà di avviare servizi in chiave preventiva e promozionale, di avvicinare le risposte ai bisogni, di adottare forme di gestione democratica. Queste ragioni a volte sono state poste come alternativa al modello pubblico di produzione dei servizi sociali, altre volte sono state interpretate in uno spirito di collaborazione con gli enti pubblici. Un altro motivo dello sviluppo va ricercato nel freno alle nuove assunzioni nel pubblico impiego a cui si è assistito nel corso degli anni 80. In relazione alla riorganizzazione dello Stato sociale viene ipotizzato39 che le cooperative di servizi alla persona non solo hanno vissuto un'importante sviluppo, ma ne avranno anche in futuro. Le cooperative sociali sono l'interlocutore primario nel processo di affidamento a terzi dei servizi da parte degli Enti Locali. I servizi vengono assegnati mediante l'appalto e questo rappresenta per le cooperative un grosso problema. Le gare avvengono spesso al massimo ribasso e in questo caso la concorrenza non viene da modelli di impresa più efficienti o che producono una qualità più elevata, ma da modelli imprenditoriali in grado di produrre servizi di bassa qualità e di basso costo. Il meccanismo d'appalto non può garantire continuità di lavoro. Questi due aspetti hanno reso e rendono difficile alle cooperative sociali programmare e affrontare investimenti per migliorare i servizi.

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2.2 Evoluzione e sviluppo dell’area del terzo settore

Accanto alle formule tradizionali dell'associazionismo sociale, delle fondazioni e delle iniziative a carattere sociale degli ordini religiosi, sono emersi e si sono affermati il volontariato organizzato e la cooperazione sociale. Progressivamente è cresciuta la consapevolezza di come il termine volontariato non esaurisca la varietà e la complessità di tali iniziative. Sono stati pertanto introdotti altri termini quali terzo settore, terzo sistema, settore non profit, privato sociale, per comprendere l'insieme delle organizzazioni e delle iniziative che si connotano per il fatto di operare secondo logiche e pratiche diverse da quelle dello Stato o delle imprese tradizionali. I primi anni 90 sono stati importanti per le iniziative private operanti con finalità solidaristiche. La legge quadro sul volontariato (266/91) e quella che disciplina le cooperative sociali (381/91) hanno dato riconoscimento a due diverse modalità organizzative per la gestione, in forma privatistica, di attività di interesse collettivo, innovando in modo significativo sia la forma cooperativa che quella associativa.

2.3 Manifestarsi di nuove sensibilità all’interno del movimento cooperativo

Una terza ragione a cui ricondurre lo sviluppo della cooperazione sociale va individuata all'interno del movimento cooperativo italiano. Il raggio operativo della cooperazione è stato esteso a tutto il campo delle politiche sociali, dimostrando progressivamente come tale formula potesse consentire di gestire servizi aventi una certa complessità organizzativa, in modo imprenditoriale, democratico e trasparente. Lo sviluppo della cooperazione sociale va inquadrato e interpretato anche come espressione concreta di fermenti innovativi presenti all'interno del movimento cooperativo. “Sembra che le imprese sociali possano essere considerati il luogo naturale di osservazione di forme sperimentali di gestione e organizzazione: si pensi alla necessità di operare in un ambiente non protetto dove possono esserci carenze di mezzi di supporto o dove lo svolgimento del lavoro richiede agli operatori uno sforzo psichico-fisico di notevole portata, di qui la necessità di ripensare le usuali

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articolazioni o flessibilizzazione dei tempi di lavoro, e le forme di lavoro part-time e di alternanza formazione e lavoro.”40

Anna Terenziani in un articolo41 prende in considerazione quelli che sono gli aspetti distintivi delle cooperative sociali. Per individuare questi elementi vengono presi in esame due documenti:

a) “L'adozione della cooperazione sociale nei settori della malattia mentale per un progetto di qualità”42 elaborato dal team di esperti del progetto qualità del Consorzio Gino Mattarelli (CGM);

b) “Democrazia cooperativa e bilancio sociale”43 relazione presentata da Dino Terenziani, responsabile del settore servizi di Legacoop di Reggio Emilia, a un convegno tenuto a Bologna nel febbraio 1999.

Il primo documento individua i seguenti aspetti: 1. essere impresa

2. essere impresa sociale

3. definire, garantire e dimostrare la qualità del servizio prodotto 4. interagire con il territorio

Il primo punto (essere impresa) rappresenta un presupposto necessario, anche sotto un profilo strettamente logico. La cooperativa deve contare su un'autonomia economica e gestionale ed essere dotata di meccanismi di controllo e di verifica, se vuole essere un soggetto abbastanza stabile e offrire servizi continuativi.

Il secondo punto (essere impresa sociale) si riferisce alla capacità di attrarre risorse, normalmente estranee ai processi produttivi e di realizzare appieno le potenzialità dei soggetti coinvolti e del contesto territoriale in cui opera. Essere impresa sociale vuol dire favorire un clima di dialogo e integrazione fra le persone, essere aperti alla collaborazione con coloro che sono attivi negli stessi campi di intervento e rivolgerle l'azione al benessere

40 Rapporto ISFOL 1997, Edizione Franco Angeli, Milano, 1997, pag,159

41 Terenziani A., I fattori di successo delle imprese sociali in Impresa sociale, 2000

42 L’azione della cooperazione sociale nei settori della malattia mentale e dei minori-materiali per un progetto di qualità.” Documento elaborato dal team di esperti del progetto qualità del CGM 1994

43 “Democrazia cooperativa e bilancio sociale” relazione presentata da Dino Terenziani, responsabile del settore servizi di Legacoop di Reggio Emilia, a un convegno tenuto a Bologna nel febbraio 1999.

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e all’autonomia degli attori inseriti nelle attività produttive della cooperativa o dei suoi utenti.

Con l'esame del terzo punto (definire, garantire e dimostrare la qualità del servizio) si entra in un ambito strettamente legato all'offerta del servizio.

Tuttavia, la cooperativa non ricerca la qualità finale della prestazione, dato che considera il suo raggiungimento strettamente legato all'esistenza di una struttura sociale, organizzativa e operativa partecipata e consapevole. Per dimostrare la qualità raggiunta sono utilizzati vari strumenti di controllo e di verifica tra cui spicca, per importanza, il bilancio sociale. Il quarto punto (interagire con il territorio) esprime la capacità, propria delle cooperative sociali, di individuare le esigenze dell'ambiente in cui sono inserite e attivare le risorse che esso offre. A ciò va aggiunta l'abilità nel collocare la propria rete di servizi in quella più ampia costituita dall'offerta di altri soggetti che in quel territorio operano e intrattenere connessi forme di collaborazione.

Gli aspetti distintivi delle cooperative sociali che emergono dal secondo documento sono: 1. democrazia interna

2. legame con il territorio

3. qualità nell'interesse del cliente 4. meritevolezza.

La democrazia cooperativa consiste nel favorire la partecipazione dei soci alla gestione cooperativa e nell'incentivare il loro protagonismo. L'idea di cooperativa si regge, infatti, sul principio del pari peso decisionale e sul fatto che tutti gli organi di governo sono l'espressione della base sociale. Si può dire che il socio trova nell'appartenenza una gratificazione che determina il miglioramento delle performance individuali e collettive. Il concetto di meritevolezza è più complicato da definire poiché era il risultato di una serie di condizioni: mutualità interna, solidarietà verso le fasce deboli della popolazione, realizzazione di un profitto sociale. Si potrebbe affermare che la meritevolezza sociale sia il risultato del modo in cui le cooperative sociali articolano gli aspetti sopra indicati: sono meritevoli se diventano un buon posto dove lavorare e un valido investimento per la società.

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Lo strumento che anche il gruppo di lavoro aderente a Legacoop indica come migliore per misurare le dimensioni sopra indicate è il bilancio sociale, grazie al quale viene quantificato il valore aggiunto sociale. In quanto parte del terzo settore le cooperative sociali presentano similarità con gli altri soggetti che lo compongono. Perciò per trovare i loro elementi di successo secondo Anna Terenziani, autrice di questo articolo, è necessario avere presenti i punti qualificanti per l'affermazione delle organizzazioni non profit. Essi sono:

- capacità di innovazione e di sperimentazione;

- essere strumento per ampliare le opportunità di scelta per alcune fasce della popolazione; - essere un veicolo per la partecipazione dell'utenza al processo decisionale e al controllo sulla qualità dei servizi;

- la diversificazione delle fonti di finanziamento;

- il clima organizzativo partecipativo e le modalità flessibili e democratiche di gestione del personale dipendente e dei volontari;

- l'offerta di formazione qualificata;

- i rapporti di rete con altri soggetti del terzo settore e la capacità di dar vita a nuove organismi.

Passando riferimento alla ragion d'essere delle cooperative sociali vengono individuati i suoi elementi di successo. Il primo gruppo di indicatori riguarda:

Innovazione: corrisponde alla capacità di soddisfare nuovi bisogni e affrontare quelli già esistenti. “L’introduzione sistematica di innovazioni di successo (nelle modalità, nel modo di concepire il servizio, nella natura stessa del servizio) alimenta la fiducia dei donatori e dei finanziatori e dei clienti/utenti, spingendoli a sostenere l'organizzazione e ha usufruire dei servizi; attrae personale orientato in senso professionale e aperto alla riproduzione e alimentazione del processo innovativo; si riflette positivamente sulla visibilità e reputazione del servizio”.

Gestione “ricettiva”: riguarda l'ascolto e la valorizzazione di coloro che hanno interesse al servizio (dagli utenti agli lavoratori). Essi, indipendentemente dal ruolo, devono essere considerati dei soggetti attivi in grado di contribuire alla definizione ed all’erogazione del servizio.

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Reputazione: la fiducia di cui l'impresa sociale gode è misurabile attraverso le reti di relazioni da essa create. Questo tipo di “riconoscimento territoriale” le permette di avere un impatto positivo sull'ambiente circostante e di essere socialmente e politicamente riconosciuta.

L'insieme dei criteri che fanno invece riferimento ai mezzi di cui l'impresa sociale si serve per raggiungere il successo sono i seguenti:

Clima partecipativo: esso si realizza nel momento in cui coloro che lavorano nell'organizzazione la percepiscono come qualcosa di proprio e si sentono perciò fortemente coinvolti in tutto ciò che accadde al suo interno.

Utile positivo: l'impresa sociale deve sopravvivere economicamente e deve essere gestita in modo che siano assicurate le operazioni presenti, le sue risorse finanziarie e lo spazio per nuovi sviluppi.

Qualità di processo e di percezione: la qualità deve essere riferita ai miglioramenti realizzati in tempi medi all'interno del contesto desiderato. La qualità è prodotta da una serie di aspetti che possono essere in parte analizzati secondo procedure definite, come la certificazione, ma che in parte sfuggono a una chiara individuazione poiché fanno riferimento a percezioni soggettive come il grado di coinvolgimento dell'utenza, la sensibilità degli operatori, la soddisfazione per la prestazione erogata.

Il riferimento normativo fondamentale per le cooperative sociali è dato dalla legge 8 novembre 1991 n. 381 Disciplina delle cooperative sociali, questa legge riconosce loro cittadinanza e sostegno. La Legge 381/91 “ha disciplinato un nuovo tipo di cooperativa sociale che si differenzia dal modello delineato dal codice civile per lo scopo perseguito, individuato nell'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini.”44

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3. La Legge 381/91 Disciplina delle cooperative sociali45

Con il primo comma dell'art.146 è stata riconosciuta una nuova fattispecie di impresa - definibile come impresa sociale - che presenta una sorta di inversione speculare tra i fini e i vincoli/opportunità, rispetto all'impresa ordinaria. Per quest'ultima il fine è quello di crescita economica nel medio-lungo periodo in condizioni di redditività soddisfacente, mentre la soddisfazione dei diversi interlocutori sociali (lavoratori, comunità locale, tutela ambientale ecc.) rappresenta una condizione e un modo per rendere possibile nel tempo la realizzazione dello scopo naturale. Viceversa, scopo della cooperativa sociale è il perseguimento dell'interesse generale della comunità, nel rispetto dei criteri di razionalità economica e di efficiente impiego di tutte le risorse disponibili.

Con la Legge 381/91 è stato così introdotto nell'ordinamento italiano un soggetto sui generis, dotato di una natura allo stesso tempo “pubblica” e “privata”: la cooperativa sociale come impresa sociale. La cooperativa sociale ha sviluppato da un lato la capacità di innovazione, l'uso oculato ed ottimale delle risorse umane e materiali; dall'altro ha recepito come sancisce la norma il fine ultimo di perseguire l'interesse generale della comunità. L'oggetto di tale “interesse generale” è dato dalla promozione umana e dall'integrazione sociale dei cittadini; la legge non fa pertanto riferimento a categorie di soggetti particolari né a bisogni specifici, ma all'esigenza di ogni uomo di realizzarsi come individuo e di integrarsi nella società. Il primo articolo della legge sulle cooperative sociali fa inoltre un chiaro richiamo alla comunità: termine con il quale il legislatore nazionale e più tardi quello regionale ha voluto evidenziare la necessità di “un continuo legame tra la cooperativa ed il territorio in cui agisce.”47 A questo riguardo al livello regionale l'approvazione della Legge 87/97, attuativa in materia di cooperazione sociale della L. 381/91, è stata preceduta dalla

45 Martinelli L., Lepri S. Le cooperative …., op. citata

46 L. 381/91 Art. 1 Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione dei cittadini, attraverso: a) la gestione di servizi socio sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento

lavorativo di persone svantaggiate. Si applicano alle cooperative sociali, in quanto compatibili con la presente legge, le norme relative al settore in cui le cooperative stesse operano. La denominazione sociale, comunque formata, deve contenere l'indicazione di “cooperativa sociale”.

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promulgazione di una legge sulle politiche sociali integrante, la Legge Regionale 3 ottobre 1992 n° 72, “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-sanitari integrati”. Questa legge fa della zona socio sanitaria l'ambito territoriale ottimale per la programmazione ed il coordinamento delle attività svolte dalle istituzioni pubbliche, dalle organizzazioni non profit (tra cui le cooperative sociali), dai soggetti profit che si proiettano verso il sociale e dalle reti informali, al fine di determinare una comunità solidale.

L’Art. 1 della legge, sempre al primo comma, specifica inoltre i due tipi di attività mediante le quali deve essere perseguitato lo scopo della cooperativa:

a) la gestione dei servizi socio sanitari ed educativi (cooperative sociali cosiddette di “tipo A”);

b) lo svolgimento di attività produttive finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate (cooperative sociali cosiddette di “tipo B”).

Con riferimento all'oggetto sociale, la circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 116/92 precisa che ciascuna cooperativa può operare dell'uno o nell'altro campo ma non in entrambi. L’Atto costitutivo o lo Statuto debbono espressamente indicare l'oggetto sociale scelto (servizi socio-sanitari ed educativi, oppure l'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati). La circolare n.153/96 del Ministero del lavoro sembra invece, in modo discutibile, ritenere legittimo anche l'oggetto sociale plurimo, a condizione che le tipologie di svantaggio e/o le aree di intervento siano chiaramente indicate nell'oggetto sociale della cooperativa; che le finalità della cooperativa siano tali da rendere necessario l'esercizio coordinato delle attività socio-sanitarie e di inserimento lavorativo; che l'amministrazione della cooperativa permetta una netta separazione delle attività socio-sanitarie da quelle di inserimento lavorativo, così da consentire le agevolazioni previste per queste ultime.

Le novità principali che riguardano la prima tipologia (“tipo A”) vanno ricercate nella facoltà di operare non solo sul fronte socio-sanitario, ma anche su quello dell'educazione.

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Se poi si aggiunge la possibilità, prevista dall’art.1048 della legge 381/91, di integrare nella compagine sociale professionalità specialistiche, quali ad esempio medici, se ne ricava come essa sia oggi in grado di dire servizi integrati sia in aree di intervento sia per le professionalità impiegate.

Attualmente le cooperative sociali di “tipo A” vantano una buona presenza soprattutto nel campo: dell'assistenza domiciliare a favore di portatori di handicap e di anziani; dei centri diurni (su quasi tutte le tipologie di svantaggio); degli interventi domiciliari a favore di portatori di handicap e minori.

La preferenza per interventi di tipo territoriale e domiciliare trova fondamento in almeno quattro ragioni. Anzitutto, la cooperazione sociale ha da sempre indicato un'opzione preferenziale nei confronti di interventi a forte impronta comunitaria, non richiedendo grandi capitali di investimento iniziali. In terzo luogo, è andata incontro alle richieste di amministrazioni pubbliche intenzionate ad ampliare forme di intervento alternativo al ricovero in istituto. Infine, perché la concorrenza di altri soggetti operanti nel sociale si è rilevata più agguerrita proprio nel campo delle strutture residenziali.

Tra i punti di forza delle cooperative sociali che svolgono servizi socio-sanitari ed educativi vanno annoverati sia il minor costo e la maggiore flessibilità rispetto alla gestione diretta da parte delle strutture pubbliche, sia la disponibilità di personale mediamente motivato e qualificato, sia la capacità di essere significativamente presenti in settori in forte crescita quali l'assistenza domiciliare, sia infine anche se non interamente sfruttata la capacità di coinvolgere gli utenti che il territorio.

Tra i limiti, va rimarcato come una parte ancora rilevante delle cooperative sociali di “tipo A” operi per committenti che progettano e organizzano il servizio. Un altro punto di debolezza delle cooperative sociali di “tipo A” è certamente l'ampia dipendenza economica dalle Pubbliche Amministrazioni. Il limite non sta nella propensione a rivelarsi una

48 L. 381/91 Art.10 “Alle cooperative istituite ai sensi della presente legge non si applicano le disposizioni di cui alla legge 23 novembre 1939, n.1815”. La legge 1815/1939, considera inammissibile qualsiasi forma societaria per l'esercizio delle professioni protratte, il cui esercizio è subordinato all'iscrizione in appositi albi professionali. Ciò al fine di evitare che, per mezzo di società, l'attività professionale possa essere esercitata da persone non munite dei necessari titoli di abilitazione.

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credibile alternativa rispetto alla gestione diretta da parte delle strutture pubbliche (propensione che anzi va ulteriormente raffinata), quanto nell’ancora limitato sviluppo di servizi di interesse diretto per gli individui e le famiglie, per le quali esiste una domanda privata.

L'innovazione introdotta dalla Legge 381/91, in riferimento alle cooperative sociali di “tipo B”, sta invece nell'averle individuate come strumento privilegiato e specialistico per l'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (portatori di handicap fisici e psichici, tossicodipendenti, ex detenuti ecc.); come soggetto titolato a svolgere una formazione professionale “sul campo”, a lavorare per una piena integrazione sociale delle persone in difficoltà e a favorire (se possibile) un loro successivo avviamento lavorativo esterno alla cooperativa.

Questa seconda categoria di cooperative sociali è probabilmente destinata a conoscere, in futuro, uno sviluppo significativo. Ciò a causa delle gravi lacune, in merito all'intervento pubblico e del fatto che i primi esperimenti posti in essere hanno dato risultati addirittura insperati.

A tal fine occorre però che le persone svantaggiate inserite in cooperativa, comunque abbiano un'attitudine sufficiente al lavoro, che la presenza di lavoratori sia tale da garantire lo svolgimento dell'attività e che le cooperative siano gestite tenendo presente sia un progetto complessivo di formazione, sia programmi personalizzati.

In considerazione del fatto che questo tipo di cooperative sociali si propone la duplice sfida di abilitare al lavoro soggetti svantaggiati e di produrre beni e servizi collocabili sul mercato, la legge 381/91 prevede per esse alcune agevolazioni:

- gli enti pubblici possono, in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica Amministrazione, stipulare convenzioni con le cooperative di “tipo B” per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi;

- le aliquote complessive della contribuzione per l'assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale dovute dalle cooperative sociali, relativamente alla retribuzione corrisposta alle persone svantaggiate, sono state ridotte a zero. Tali agevolazioni permettono di trasformare persone diversamente destinate a pesare sulla collettività (in termini di pensioni

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di invalidità, di mancato gettito fiscale, di costi per l'ordine pubblico e la giustizia) in lavoratori produttivi e capaci anche di autonomia economica, con evidente vantaggio economico anche per lo Stato.

Oltre ai punti di forza che le cooperative di inserimento lavorativo sembrano denunciare, vanno rimarcati alcuni aspetti di debolezza, quali una ancora limitata propensione ad operare sul mercato privato, la limitatezza delle risorse per gli investimenti e dello sviluppo e la precarietà di molti contratti con la pubblica Amministrazione, condizionata spesso sia dalla scarsità delle risorse sia dalla mancanza di chiarezza su quale debba essere, anche nell'inserimento lavorativo, il rapporto tra pubblico e privato.

Forse a causa di questi limiti e nonostante le sicure potenzialità del fenomeno, le cooperative sociali di inserimento lavorativo rappresentano una realtà ancora modesta, sia in termini economici sia in termini di lavoratori svantaggiati occupati (soci e non).

Come precisato nella circolare del Ministero del lavoro n.32/92 nella denominazione sociale deve essere contenuta la dizione “cooperativa sociale”.

Pertanto le cooperative già costituite, che non prevedevano questa dizione, hanno dovuto apportare una modifica statutaria.

3.1. La presenza dei soci volontari all’interno delle cooperative sociali

Una novità introdotta dalla legge 381/9149 sta nel fatto di poter operare, come socio, per fini di solidarietà. Per la prima volta infatti, in Italia, è stata riconosciuta la possibilità che

49 L.381/91 Art.2 Oltre ai soci previsti dalla normativa vigente, gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la loro attività gratuitamente. I soci volontari sono iscritti in un'apposita sezione del libro dei soci. Il loro numero non può superare la metà del numero complessivo dei soci. Hai soci volontari non si applicano i contratti collettivi delle norme di legge in materia di lavoro subordinato ed autonomo, ad eccezione delle norme in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con proprio decreto, determina l'importo della retribuzione da assumere a base di calcolo e delle prestazioni relative. Ai soci volontari può essere corrisposto soltanto il rimborso spese effettivamente sostenute e documentate, sulla base di parametri stabiliti dalla cooperativa sociale per la totalità dei soci. Nella gestione dei servizi di cui all'art. 1, comma 1, lettera a), da effettuarsi in applicazione dei contratti stipulati con amministrazioni pubbliche, le prestazioni dei soci volontari possono essere utilizzate in misura

complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti. Le prestazioni dei soci volontari non concorrono alla determinazione dei costi di servizio, fatta eccezione per gli oneri connessi all'applicazione dei commi 3 e 4.

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un socio di un'impresa persegua non solo il proprio interesse, bensì soprattutto l'interesse generale delle comunità locali e, in particolare dei soggetti svantaggiati.

Pur essendo più significativo, in chiave donativa, il fatto che venga prestato lavoro non retribuito, non va dimenticato come il volontario impegnato in cooperativa sociale partecipi anche al rischio di impresa e, di solito, non ottenga alcuna remunerazione dal capitale sottoscritto. Siamo pertanto di fronte a persone che offrono disinteressatamente non solo il loro tempo, ma anche (seppure spesso in maniera limitata, in quanto trattasi di quote di capitale sociale solitamente di dimensioni modesta) loro capitali.

La circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n.116/92 ha precisato che “anche per i soci volontari, condizione per essere socio della cooperativa è la presenza lavorativa che in questo caso è resa gratuitamente”. Se ne ricava come non possano più essere ricompresi tra i soci volontari (e, più in generale, tra i soci) quanti non operano entro la cooperativa, svolgendo un mero ruolo da simpatizzanti e sostenitori.

Con il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 11 giugno 1992, è stata poi assunta a base di calcolo dei premi e delle prestazioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei soci volontari delle cooperative sociali che prestano la loro attività gratuitamente, una retribuzione convenzionale giornaliera in vigore per tutte le contribuzioni dovute in materia di previdenza e assistenza sociale.

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3.2 Cooperativa sociale-Impresa sociale50

Tabella 1.51

L’Economia aziendale, come scienza che studia l’economia degli istituti definiti “aziende” ha sempre evidenziato come tali istituti debbano essere orientati al soddisfacimento dei bisogni umani, eventualmente attraverso il conseguimento di un profitto, quale strumento per il raggiungimento di obiettivi più ampi e complessi (tra i fondatori si rimanda a Zappa, 1957; Onida, 1971).

In quest’ottica, quindi, le organizzazioni non orientate al profitto (o no profit) possono essere definite “aziende no profit” (anp), in quanto hanno un fine istituzionale diverso dal perseguimento di ricchezza economica, ma parimenti alle aziende for-profit, devono operare in regime di economicità e durabilità della gestione, per soddisfare i bisogni umani. A questo scopo l’azienda no profit si pone come fine istituzionale non la creazione di

50 Queste considerazioni sono tratte da Euricse WORKING PAPER N. 027 | 12 LA COOPERAZIONE SOCIALE

IN ITALIA: UN’OVERVIEW, di M. Andreaus, C. Carini, M. Carpita, E. Costa, 2012.

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profitto per gli apportatori di capitale di rischio, ma la creazione di benefici di carattere sociale per beneficiari diversi dagli shareholder (Andreaus, 1996).

Senza entrare nel merito delle interpretazioni sulle ragioni dell’esistenza delle anp52 e dei diversi ruoli che possono avere53, esse sono organizzazioni con fini di carattere etico/sociale nelle quali “il rispetto dell’equilibrio economico nel medio-lungo periodo e di quello finanziario nell’immediato costituisce la condizione di vincolo necessaria a garantire la sopravvivenza, la continuità e lo sviluppo” (Matacena, 2002). In tal senso le anp hanno una “palese finalizzazione […] nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale – in termini aziendali parleremmo di mission sociale” (Matacena, 1999).

Stante la definizione di anp proposta e alla luce delle sue caratteristiche gestionali, è possibile osservare come essa si avvicini alla definizione di “impresa sociale” (Borzaga, Defourny, 2001) che da anni occupa l’attenzione di molti studiosi che si occupano di terzo settore in generale.

Secondo la definizione proposta da Borzaga e Defourny, infatti, l’impresa sociale si caratterizza, tra le altre cose, per avere forma privata ed autonoma ed essere finalizzata alla produzione di beni o servizi di utilità sociale in forma continuativa e sottoponendo i fondatori ed i proprietari ad un livello significativo di rischio economico. Di conseguenza l’impresa sociale altro non è che una particolare tipologia di anp, in quanto con il sostantivo “impresa” definisce qualsiasi azienda che destina allo scambio la propria produzione, distinguendola così dall’azienda di autoproduzione, che attribuisce la produzione a determinati soggetti che si impegnano a coprirne i relativi costi, e dall’azienda di erogazione, che destina la produzione a terzi mediante atti di liberalità che non prevedono alcuna controprestazione.

In questo contesto, si fa forte il dibattito tra impresa sociale e cooperativa sociale, anche alla luce delle recenti evoluzioni nella normativa nazionale.

52 Sul tema si rimanda a Borzaga, Santuari, 1999.

53 Brevemente, nella letteratura anglosassone si distingue tra service-provide role; vanguard role; value guardian role; advocacy role (Anheier, 2005). La dottrina italiana identifica tre possibili ruoli delle aziende nonprofit: di

promozione della tutela di diritti; di redistribuzione di risorse; di produzione di servizi socialmente utili (Matacena, 1999).

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La L.d. 118/2005, il d.lgs. 155/2006 e i successivi decreti attuativi del 24 gennaio 2008 rappresentano un punto di arrivo per la nascita della nuova veste giuridica o “qualifica” dell’impresa sociale, e sono contestualmente un punto di partenza per la diffusione e lo sviluppo a livello nazionale di questa tipologia di organizzazioni. “Poiché a questo risultato si è giunti grazie soprattutto alla volontà e alla tenacia delle organizzazioni di rappresentanza del terzo settore ci dovremmo ora aspettare una entusiastica e massiccia adozione della nuova veste giuridica da parte delle organizzazioni non profit con caratteristiche imprenditoriali e una progressiva crescita di imprese sociali create ex novo. […] Tuttavia, la sensazione che si ricava dai primi commenti degli esperti e dalle diverse componenti del non profit italiano è che la nuova legge non avrà un simile immediato successo” (Borzaga, Scalvini, 2006).

Rileggendo le parole di Borzaga e Scalvini alla luce dell’ultimo rapporto Iris Network dell’ottobre 2009, si osserva come questi autori siano stati premonitori del parziale insuccesso della legge, dato che, come evidenziato dal rapporto Iris Network, ad agosto 2009 le iscrizioni nell’apposito registro della Camera di Commercio ammontavano a 508 con una prevalenza di scuole paritarie con forma giuridica commerciale.

Le ragioni della scarsa risposta di organizzazioni del terzo settore alla legge sull’impresa sociale sono molteplici e sono state analizzate da più punti di vista. Nel corso di questi ultimi anni, infatti, giuristi (Fici, 2006; Fici, Galletti, 2007; Iamiceli, 2009), economisti (Ecchia, Viviani, 2006; Sacconi, 2006) ed aziendalisti (Andreaus, 2006, 2007; Marano, 2006; Rusconi, Signori, 2007; Travaglini, 2006, 2007) hanno fornito il loro contributo al dibattito sull’impresa sociale ed in modo particolare all’analisi dei limiti e delle potenzialità della recente normativa.

In questa sede non si vuole contribuire al dibattito sul “parziale fallimento” della L.d. 118/2005, quanto piuttosto si vuole analizzare il ruolo della cooperazione sociale, quale forma di “impresa sociale di fatto”. Questa tipologia organizzativa è infatti quella che meglio rappresenta le caratteristiche richiamate dal legislatore ed è quindi considerata impresa sociale anche qualora non ne possegga la qualifica giuridica.

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In questo contesto, peraltro in continua evoluzione, il contributo degli studi aziendali è trasversale sia alle cooperative sociali che alle imprese sociali, in quanto entrambe rientrano nella categoria delle anp alle quali si applicano gli schemi concettuali evidenziati in precedenza.

In queste realtà, infatti, il criterio di economicità è il mezzo necessario, ma non sufficiente, per il raggiungimento di fini sociali, in quanto nelle anp “ciò che conta è raggiungere la linea [economica] di sopravvivenza; una volta raggiunta, l’obiettivo è il soddisfacimento dei bisogni del maggior numero possibile di soggetti.”54

3.3 Obblighi e divieti

Alle cooperative sociali si applicano i requisiti mutualistici previsti dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n.1577, la cosiddetta “legge Basevi”.55 Non possono essere distribuiti dividendi superiori all'interesse legale; vi è divieto di distribuire le riserve durante la vita sociale; l'intero capitale - dedotto soltanto il capitale versato e i dividendi maturati - va devoluto a scopi di mutualità e pubblica utilità in caso di scioglimento. Con l'emanazione della legge 59/92 la devoluzione avviene obbligatoriamente a favore di fondi mutualistici.

La legge sulla cooperazione sociale prevede ogni modifica dello Statuto diretta ad eliminare la denominazione di cooperativa sociale; qualora effettuata, essa comporta la cancellazione dall'apposita sezione del Registro Prefettizio e la cancellazione dall'Albo regionale. Prevedendo ciò, implicitamente ammette la possibilità di trasformare una cooperativa sociale in cooperativa ordinaria. È questa una lacuna nella normativa che si può tentare di

54

Andreaus, 1996, op.cit. pag. 78.

55 L.81/91 Art. 3. 1) Alle cooperative sociali si applicano le clausole relative ai requisiti mutualistici di cui all’art. 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n.1577, ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n.302, e successive modificazioni. 2) Ogni modificazione statutaria diretta ad eliminare il carattere di cooperativa sociale comporta la cancellazione dalla “sezione cooperazione sociale” prevista dal secondo comma dell'art.13 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n.1577, come modificato dall’art.6, comma 1, lettera c), della presente legge, nonché la cancellazione dall'albo regionale di cui all’art.9, comma 1, della presente legge. 3) Per le cooperative sociali le ispezioni previste dall’art.2 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n.1577, debbono aver luogo almeno una volta l'anno.

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controbilanciare con previsioni statutarie volte a creare quorum molto elevati per le modifiche dello scopo o con l'espressa dichiarazione dell'automatica messa in liquidazione nel caso di perdita della caratterizzazione sociale.

Il fatto di essere soggette a revisione annuale (invece che biennale, come le cooperative ordinarie) introduce, per le cooperative sociali, un ulteriore elemento di controllo rispetto all'effettiva correttezza amministrativa e in ordine al perseguimento dell'interesse generale della comunità.

Le disposizioni descritte si applicano, in base al dettato dell’art.8 della legge in esame, anche ai consorzi che siano costituiti come società cooperative e con base sociale composta da cooperative sociali per almeno il 70%.

Il D. Lgs. n. 6 del 2003 ha riformato il diritto societario e la disciplina della società cooperativa disciplinata dagli artt. 2511 e seguenti del codice civile. Il nuovo diritto societario distingue tra cooperative a mutualità prevalente, a cui si continuano ad applicare le agevolazioni previste dalle leggi speciali, e quelle a mutualità non prevalente che, invece, non godono delle predette agevolazioni.

Le cooperative sociali che rispettino le norme di cui alla Legge n. 381/91, sono considerate, indipendentemente dai requisiti di cui all’art. 2513 del codice, cooperative a mutualità prevalente.

Le cooperative, per essere considerate a mutualità prevalente, devono prevedere nei propri statuti:

a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato;

b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi;

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c) il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori;

d) l’obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. l’art. 2545 prevede che gli amministratori della società in occasione della approvazione del bilancio di esercizio debbono, nella relazione sulla gestione che accompagna il bilancio stesso, indicare specificamente i criteri seguiti nella gestione sociale per il conseguimento dello scopo mutualistico.

3.4 Persone Svantaggiate

La legge in esame offre, al primo comma dell’art.4, un elenco puntuale delle persone da considerarsi svantaggiate. Nelle cooperative che svolgono le attività all’art.1, comma 1, lettera b), si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex dirigenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli 47, 47-bis, 47-ter e 48 della legge 26 luglio 1975, n.354, come modificati dalla legge 10 ottobre 1986, n.663. Si considerano inoltre persone svantaggiate i soggetti indicati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, con il Ministro dell'interno e con il Ministro per gli affari sociali, sentita la Commissione centrale per le cooperative istituita dall’art. 18 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n.577 e successive modificazioni.

Relativamente alla quota di lavoratori svantaggiati la legge prevede che le persone svantaggiate devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa stessa. La condizione di persona svantaggiata deve risultare da documentazione proveniente dalla pubblica amministrazione, fatto salvo il diritto di riservatezza.

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50

Inoltre con circolare INPS n188 del 17 giugno 1994 viene chiarito che “le persone cosiddette svantaggiate non concorrono alla determinazione del numero complessivo dei lavoratori” e che, pertanto, il calcolo percentuale va fatto rispetto al numero di lavoratori normodotati. Quindi per semplificare: se i lavoratori normodotati in una cooperativa di inserimento lavorativo sono 20, le persone svantaggiate inserite debbono essere almeno 6 (30% di 20).

3.5 Convenzioni

La legge concernente “disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità Europee – Legge Comunitaria ‘94”, approvata dal Parlamento il 25 gennaio 1996, all’art. 20 ha modificato l’art.5 della legge 381/9156 che disciplina le convenzioni tra gli enti pubblici e cooperative sociali di inserimento lavorativo. Al comma 1 si limita la convenzione alla fornitura di beni e servizi “il cui importo stimato al netto dell'Iva sia inferiore alle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici”. Sempre al comma uno si estende la normativa in questione anche agli enti pubblici economici e alle società di capitali con partecipazione pubblica. La possibilità di convenzionamento è allargata anche ad “analoghi organismi aventi sede negli altri Stati

56 L.381/91 Art.5 Gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all’art.1, comma 1, lettera b), ovvero con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità europea per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio sanitari ed educativi, il cui importo stimato al netto dell'Iva sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché siano focalizzate a creare opportunità di lavoro per persone svantaggiate di cui all’art.4., comma uno. Per la stipula delle convenzioni di cui al comma uno le cooperative sociali debbono risultare iscritte all'albo regionale di cui all’art.9, comma 1. Gli analoghi organismi aventi sede degli Stati membri della comunità europea debbono essere in possesso di requisiti equivalenti a quelli richiesti per l'iscrizione a tale albo e risultare iscrittesi nelle liste regionali di cui al comma 3, ovvero dare dimostrazione con idoneo documentazione del possesso dei requisiti stessi. Le regioni rendono noti annualmente, attraverso la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee, i requisiti e le condizioni richiesti per la stipula delle convenzioni ai sensi del comma uno, nonché le liste regionali degli organismi che ne abbiano dimostrato il possesso alle competenti autorità regionali. Per le forniture di beni o servizi diversi da quelli socio sanitari ed educativi, il cui importo stimato al netto dell'Iva sia pari o superiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, gli enti pubblici compresi quelli economici, nonché le società di capitali a partecipazione pubblica, né bandi di gara di appalto e nei capitolati d'oneri è possono inserire, tra le condizioni di esecuzione, l'obbligo di eseguire il contratto con nell'impiego delle persone svantaggiate di cui all’art.4, comma 1, e con l'adozione di specifici programmi di recupero e reinserimento lavorativo la verifica della capacità di adempiere agli obblighi suddetti, da condursi in base alla presente legge, non può intervenire nel corso delle procedure di gara e comunque prima dell'aggiudicazione dell'appalto.

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membri della Comunità Europea”. Di conseguenza la convenzione può essere effettuata solo con cooperative sociali con sede in Italia o con organismi di altri Paesi europei in possesso di “requisiti equivalenti” cioè con il 30% di persone svantaggiate nella compagine lavorativa.

Il comma 4 infine stabilisce che per importi uguali o superiori a quelli indicati al 1° comma non è più possibile il convenzionamente diretto, ma solo una gara aperta a tutte le imprese, nella quale può essere però inserita la condizione di “eseguire il contratto con l'impiego di persone svantaggiate”.

Per quanto riguarda le convenzioni, la Regione Toscana ha provveduto, nel 1997, con la legge 87 ad elaborare schemi di CONVENZIONE-TIPO al fine di rendere uniformi sul territorio della regione i rapporti tra gli enti pubblici e le cooperative sociali.

3.6 Consorzi

Le disposizioni della legge 381/91 si applicano ai consorzi costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali57. Come da circolare del Ministero del Lavoro n.116/92 e successivi chiarimenti è possibile per i consorzi di cooperative sociali comprendere come soci sia le cooperative sociali con attività socio-sanitaria ed educativa, sia quelle di inserimento lavorativo.

Il consorzio territoriale è una forma di aggregazione e coordinamento fra cooperative, una sorta di ‘impresa rete’ caratterizzata dall'autonomia dei singoli membri e dalla loro integrazione.

57 Legge 381/91 art.8

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3.7 Normativa regionale

La legge 381/91 delinea una profonda ristrutturazione delle politiche di welfare: allo stato e agli enti locali spetta, più che la gestione, soprattutto il compito di fornire garanzie di equità, democrazia, trasparenza, nonché di favorire le integrazioni tra i diversi attori. Tale nuova concezione emerge dal testo di legge, che assegna alle Regioni il compito di istituire l'albo58 delle cooperative sociali; di emanare norme volte a loro sostegno sviluppo; di venire a conoscenza dell'esito delle ispezioni annuali a cui le stesse cooperative sono sottoposte; di adottare convenzioni tipo per regolari rapporti tra pubbliche amministrazioni e cooperative.

La Regione Toscana nel 1997 con la Legge n°87 disciplina i rapporti tra le cooperative e gli enti pubblici che operano nell'ambito regionale.

All'articolo 1 viene riconosciuto e valorizzato il ruolo delle cooperative sociali che operano con carattere di solidarietà per la promozione umana e per l'integrazione sociale dei cittadini.

In attuazione della Legge 381/91 la L.R. 87/97 detta norma per l'istituzione dell'albo regionale, per la fissazione dei criteri cui devono uniformarsi i rapporti convenzionali tra enti pubblici e cooperative sociali, per la determinazione delle modalità di raccordo delle attività delle cooperative sociali con quelle dei servizi pubblici, per l'istituzione della consulta regionale per la cooperazione sociale, per la definizione delle misure di promozione, sostegno e sviluppo della cooperazione sociale.

58 L. 381/91 Art.9 Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni emanano le norme di attuazione. A tal fine istituiscono l'albo regionale delle cooperative sociali e determinano le modalità di raccordo con l'attività dei servizi socio sanitari, nonché con le attività di formazione professionale e di sviluppo della occupazione. Le regioni adottano convenzioni tipo per i rapporti tra le cooperative sociali delle amministrazioni pubbliche che operano nell'ambito della regione, prevedendo in particolare, i requisiti di professionalità degli operatori e l'applicazione delle norme contrattuali vigenti. Le regioni emanano altri si norme volte alla promozione, al sostegno e allo sviluppo della cooperazione sociale. Gli oneri derivanti dalle misure di sostegno disposte dalle regioni sono posti a carico delle ordinarie disponibilità delle regioni medesime.

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4. La qualità secondo la ISO 9001:2008

4.1 8 Principi base

La norma UNI EN ISO 9001:2008 ha una struttura che si basa su 8 PRINCIPI BASE.

Gli 8 principi della qualità che sono stati sviluppati per poter essere utilizzati dall’alta Direzione come strumento per condurre efficacemente ed efficientemente un’organizzazione.

I principi della qualità non costituiscono dei requisiti da rispettare (infatti non si trovano nella norma UNI EN ISO 9001:2008)59 ma si riferiscono a quei comportamenti e a quei valori che un’organizzazione dovrebbe avere se davvero vuole implementare un Sistema di Gestione della Qualità.

Gli 8 principi possono essere considerati dei “driver” che la Direzione può utilizzare come guida per migliorare l’organizzazione e per migliorare le sue prestazioni.

4.1.2 Orientamento al cliente60

“Le organizzazioni dipendono dai loro clienti e pertanto dovrebbero capire le loro esigenze presenti e future, soddisfare i loro requisiti e mirare a superare le loro stesse aspettative”61

La competizione è finalizzata ad essere scelti dai clienti. Le organizzazioni, dunque, sono legate indissolubilmente ai loro clienti ed è quindi vitale per loro riuscire ad interpretarne correttamente le necessità presenti e future, soddisfarle e riuscire ad andare al di là delle loro aspettative.

59 punto 4.3 della UNI EN ISO 9004:2000

60 Anche la UNI EN ISO 9001:2008 parla in più punti (5.1 Impegno della Direzione, 5.2 Attenzione focalizzata al cliente,

5.5.2 Rappresentante della Direzione, 5.6.2 Elementi in ingresso per il riesame, 5.6.3 Elementi in uscita dal riesame, 6.1 Messa a disposizione delle risorse, 7.2.3 Comunicazione con il cliente, 7.5.4 Proprietà del cliente) della necessità per le organizzazioni di essere orientate al cliente.

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Tutti, all’interno dell’organizzazione, devono essere consapevoli di quanto sia importante soddisfare i clienti mediante due obiettivi primari:

1) la soddisfazione (che si realizza nel momento in cui l’organizzazione riesce a comprendere i bisogni del cliente e adotta le soluzioni più efficaci per soddisfarli) 2) la fidelizzazione (che è un concetto che non si sviluppa solo al momento dell’evasione di un ordine ma attraversa in modo trasversale tutti i processi interni di un’organizzazione). Il percorso per applicare questo principio è il passaggio dall’espletamento dei semplici requisiti chiaramente espressi (controllo della qualità), al cercare di comprendere i bisogni dei clienti analizzando, ad esempio, i resi e i reclami per prevenire problemi futuri (assicurazione della qualità) fino ad arrivare ad essere in grado di offrire i prodotti/servizi desiderati a prezzi competitivi cercando di cogliere anche le percezioni dei clienti relativamente alle performance aziendali (gestione della qualità).

Vantaggi dell’applicazione di questo principio: • Maggiore flessibilità e velocità nelle risposte • Probabile aumento della quota di mercato • Clienti fidelizzati

Cosa occorre per implementarlo:

• Capire quali sono i nostri “clienti” (si tratta di clienti veri e propri, di acquirenti, di utenti finali, di agenti, di rivenditori, di distributori, di persone che forniscono assistenza o altro?)

• Gestire i rapporti con i clienti in modo sistematico

• Cercare di identificare e comprendere le loro esigenze e aspettative

• Porre attenzione alle relazioni con i clienti ed effettuare sistematiche rilevazioni della loro soddisfazione, allo scopo di accrescerla

• Stabilire obiettivi che siano in linea con le necessità dei clienti e comunicarli a tutta l’organizzazione

• Misurare la soddisfazione dei clienti e agire in base ai dati raccolti (gestire le informazioni di ritorno per migliorare il sistema)

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4.1.2 Leadership62

“I leader stabiliscono unità d’intenti e d’indirizzo dell’organizzazione. Essi dovrebbero instaurare e mantenere un ambiente interno tale che coinvolga pienamente le persone nel conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione”.63

La leadership è la capacità di guidare il cambiamento delle organizzazioni, ispirando confidenza e voglia di offrire il proprio supporto e influenzando le attività altrui per raggiungere obiettivi comuni. Questo principio sottolinea fortemente che i leader che vogliono davvero la qualità devono esser motivati.

Sono i leader che creno un buon ambente di lavoro e che hanno la capacità di coinvolgere le persone in modo partecipativo, sono sempre i leader che creano la cultura, la vision, i valori e la motivazione all’interno di un’organizzazione.

Essere un leader non è facile. Occorrono:

- una vision ben chiara per stabilire un’unità di propositi - capacità di ergersi ad esempio per gli altri

- passione - valori

- conoscenze (saper fare una diagnosi efficace, saper adattarsi, saper comunicare)

- uno stile personale ben individuabile - autorità

- capacità di creare un ambiente adatto al raggiungimento degli obiettivi - coraggio, capacità di mettersi in gioco prendendosi dei rischi

- integrità, una corretta percezione di sè, maturità

62 Anche la UNI EN ISO 9001:2008 parla in più punti (5.3 Politica della qualità, 5.4 Pianificazione, 5.5.3 Comunicazione

interna, 6.4 Ambiente di lavoro) della necessità di una leadership forte.

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- capacità di essere credibile - curiosità

- capacità di mantersi aperto ai feedback, anche quando si tratta di critiche - voglia di imparare e di migliorarsi di continuo

- capacità di costruire relazioni interpersonali e di motivare le persone

- capacità di far coincidere gli obiettivi dell’organizzazione con i propri e con quelli dei collaboratori

Un leader: - pianifica - organizza - guida - coordina - insegna - motiva - fissa obiettivi - è motivato a raggiungerli

Vantaggi dell’applicazione di questo principio:

• Una volta che gli obiettivi sono stati comunicati ed, eventualmente, chiariti, le persone sono più determinate nel loro raggiungimento

• Le attività sono valutate in un unico modo e risultano allineate una alle altre • I fraintendimenti tra i diversi livelli dell’organizzazione tendono a ridursi fino a tendere allo zero

Cosa occorre per implementarlo:

• Stabilire obiettivi chiari, una “vision” alla quale tendere, specificandola attraverso strategie aziendali, e condividerla con i propri collaboratori

• Stabilire valori e modelli condivisi nell'azienda

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sistematica un Sistema di Gestione della Qualità

•Dimostrare impegno verso la formazione e lo sviluppo delle risorse umane • Fornire sistematicamente ad ognuno traguardi stimolanti e lasciare la necessaria libertà per raggiungerli con la necessaria responsabilità. Creare fiducia, dissipando i timori

• Stabilire metodi per incoraggiare, riconoscere e premiare i contributi individuali ai traguardi dell'organizzazione

• Prevedere un possibile sistema di incentivazione basato su premi di risultato che facciano esplicito riferimento anche agli standard di qualità

• Creare un ambiente di lavoro nel quale le persone si sentano coinvolte in prima persona, siano ispirate, incoraggiate e motivate

• Comunicare in modo trasparente per far capire a tutti la direzione nella quale sta andando l’organizzazione ed eliminare la paura dei cambiamenti

4.1.3. Coinvolgimento del personale64

“Le persone, a tutti i livelli, costituiscono l’essenza dell’organizzazione ed il loro pieno coinvolgimento permette di valorizzare le loro capacità per raggiungere le finalità dell’organizzazione.”65

Le persone all’interno di un’organizzazione sono importanti e devono riconoscersi in un gruppo unito da uno scopo comune.

Le indicazioni di questo principio sono rivolte a favorire la motivazione del personale che porta molti vantaggi ad un’organizzazione che intenda intraprendere azioni rilevanti sui processi volti alla soddisfazione del cliente.

64 Anche la UNI EN ISO 9001:2008 parla in più punti (5.5.1 Responsabilità ed autorità, 5.5.3 Comunicazione interna,

6.4 Ambiente di lavoro, 6.2.2 Competenza, consapevolezza e addestramento) della necessità di coinvolgere le persone.

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58

Questo principio dovrebbe aiutare l’organizzazione a passare da un ambiente con processi poco definiti e privi delle istruzioni di lavoro necessarie per il loro supporto (nel quale l’esperienza delle persone è fondamentale), ad un ambiente nel quale le persone sono qualificate e capaci di condurre i processi che sono stati loro assegnati, fino ad arrivare ad avere persone profondamente coinvolte nel proprio lavoro e nella ricerca di miglioramenti costanti e a responsabili che cercano di allineare gli obiettivi dell’organizzazione con quelli personali di ogni collaboratore.

Vantaggi dell’applicazione di questo principio:

• Persone motivate e maggiormente coinvolte nell’organizzazione

• Persone maggiormente responsabilizzate nel raggiungimento delle loro performance

• Sviluppo della creatività personale nel raggiungimento degli obiettivi

Cosa occorre per implementarlo:

• Capire che le persone sono la vera ricchezza dell’organizzazione

• Far capire alle persone che sono tutte importanti nel raggiungimento della qualità • Stabilire per ognuno obiettivi personali con i quali confrontarsi

• Responsabilizzare le persone perché siano in grado di individuare ed affrontare i problemi che impediscono loro di lavorare bene e perché siano propense a cercare di risolverli

• Ricercare in maniera continua occasioni per sviluppare le competenze, le conoscenze e le esperienze dei collaboratori

• Ricordare che quando le persone se ne vanno non lasciano le organizzazioni ma lasciano i propri responsabili

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