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CAPITOLO 2 – LE CAUSE SCATENANTI DELLE FUSIONI TRA BANCHE 2.1 Introduzione

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CAPITOLO 2 – LE CAUSE SCATENANTI DELLE FUSIONI TRA BANCHE 2.1 Introduzione

L’aumento della competitività e dei competitors effettivi o potenziali a seguito dell’abbassamento delle barriere all’entrata, l’armonizzazione legislativa, la spinta all’integrazione dei mercati finanziari internazionali, innescata e alimentata dal progresso tecnologico nel trattamento delle informazioni, l’introduzione della moneta unica, la globalizzazione e un forte impulso verso il commercio internazionale hanno portato un forte cambiamento nel settore creditizio italiano ed internazionale.

Di fronte a tali processi di cambiamento relativi all’integrazione economica e finanziaria a livello mondiale, gli Organi di Vigilanza e i legislatori dei principali paesi, da un lato, hanno rimosso molti vincoli legislativi e incoraggiato il processo di ristrutturazione del comparto bancario, anche favorendo processi di concentrazione; dall’altro, hanno ridisegnato i compiti dell’Autorità di Vigilanza al fine di preservare la “stabilità del sistema” nella nuova cornice legislativa e rafforzato la vigilanza a tutela della concorrenza.

L’affermarsi delle nuove strategie necessarie di fronte al mutato contesto competitivo, e possibili grazie al mutato contesto regolamentare, hanno imposto – specie in Italia – una rivoluzione organizzativa e culturale.

A partire dagli anni Sessanta, le Autorità di Vigilanza, hanno avvertito la necessità di stimolare la concorrenza nel sistema bancario italiano, attraverso provvedimenti volti a correggere le contraddizioni di un sistema impermeabile agli impulsi del mercato.

Un primo segnale di svolta è stato introdotto dal recepimento della prima direttiva comunitaria di coordinamento in materia bancaria con il d.p.r. n. 350/85, introducendo la cosiddetta “liberalizzazione degli sportelli bancari”, favorendo, in tal modo, la crescita della concorrenza. Un’altra tappa fondamentale, già affrontata nel precedente capitolo, è stata rappresentata dalla legge n. 218 del 30 Luglio 1990, nota come “Legge Amato”, consentendo agli enti creditizi pubblici di trasformarsi in società per azioni, e ciò per favorire fenomeni concentrativi ritenuti indispensabili per fronteggiare il rischio di perdita di competitività del nostro sistema bancario in un contesto internazionale. Inoltre, si è introdotta la disciplina del gruppo creditizio quale forma organizzativa giudicata indispensabile per far fronte alla maggior complessità gestionale derivante dall’ampliamento dei propri ambiti operativi.

La definitiva consacrazione del profilo imprenditoriale dell’attività creditizia viene sancita nel decreto legge n. 481 del 1992 e nel successivo e conseguente Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Di particolare interesse è il primo comma dell’art. 5 del Tub, che recita “le

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autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti dal presente decreto legislativo, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia.”

Dagli stessi principi guida del Tub ha tratto ispirazione il Testo Unico della finanza (Tuf) che concede alle banche la facoltà di operare anche nell’ambito dei servizi di investimento, quali la negoziazione di strumenti finanziari per conto proprio o di terzi, il collocamento con o senza garanzia, la ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari, la mediazione e la gestione di patrimoni individuali.

Da ciò si può dedurre come siano progressivamente cadute le barriere normative all’entrata e come si siano sempre più attenuate le separazioni istituzionali tra i diversi settori dell’attività finanziaria.

Un altro fattore che ha contribuito a spiegare l’evoluzione dello scenario competitivo del sistema bancario italiano è riconducibile ai nuovi orientamenti della domanda di servizi bancari e finanziari. Una prima spiegazione è riconducibile ai mutamenti di natura strutturale della domanda espressa dalle famiglie, in particolare, alle variazioni delle caratteristiche demografiche in determinati stadi del ciclo vitale; ma anche all’evoluzione degli stili di vita e dei modelli culturali di riferimento degli individui, derivanti non solo da una maggiore integrazione tra le diverse culture regionali, ma anche dall’innato istinto all’emulazione dei soggetti.

Anche i mutamenti nell’organizzazione del sistema produttivo nazionale, in particolare alla politica del lavoro, hanno inciso molto sulla propensione al risparmio delle famiglie italiane.

Per quanto riguarda il settore della pubblica amministrazione, dopo essere stato per lungo tempo il maggiore assuntore netto delle risorse finanziarie del paese, a partire dal 1994, lo stesso ha intrapreso un cammino virtuoso, e ciò grazie soprattutto ai nuovi indirizzi di politica economica resisi indispensabili per poter partecipare all’Unione monetaria europea.

Il settore delle imprese, infine, ha manifestato un andamento altalenante. In merito alle imprese di maggiori dimensioni, dai dati provenienti da un’indagine campionaria condotta da Mediobanca1, emerge un forte orientamento delle realtà produttive all’indebitamento bancario, tipicamente a breve termine, un modesto ricorso a strumenti di debito di mercato e, infine, una scarsa rilevanza dei mezzi propri. Le imprese di medie dimensioni presentavano una maggiore esposizione debitoria a breve termine, conseguente sia a un maggior ricorso al canale creditizio tradizionale, sia al più intenso utilizzo del credito di fornitura, una maggiore incidenza delle

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Mediobanca, Dati cumulativi sulle società italiane, anni vari. Si tratta di un’indagine condotta sulla base dei bilanci aggregati di un “campione” di società, composto nel 1999 solamente dalle società che si caratterizzavano per una dimensione media pari a 350 miliardi di lire di fatturato con 697 dipendenti.

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passività consolidate e, infine, livelli inferiori in termini di capitalizzazione. Con riferimento alle piccole imprese, queste assumono prevalentemente modelli proprietari di tipo familiare, e costituiscono il modello tipico dell’impresa italiana. Quest’ultime si contraddistinguono per il fatto di presentare, oltre al cronico indebitamento a breve termine nei confronti del sistema bancario, una pressoché esclusiva raccolta dei capitali di rischio presso i componenti della famiglia proprietaria.

Le operazioni di fusione ed acquisizione hanno assunto, negli ultimi decenni, un ruolo sempre più cruciale nell’evoluzione e nella configurazione del settore bancario mondiale. I processi di concentrazione bancaria rappresentano, inoltre, un fenomeno complesso la cui analisi, per le molteplici variabili e determinanti che vi possono influire, risulta non sempre lineare. Tale complessità è spiegata, principalmente, dalle differenti determinanti che li ispirano, dai numerosi effetti che producono e dalle diverse forme tecniche di aggregazione utilizzabili. Ogni banca, opera all’interno di un contesto socio-economico contraddistinto da una serie di fattori ambientali che ne condizionano l’attività. In questi ultimi anni tali fattori sono mutati velocemente e ciò ha contribuito a rendere le scelte strategiche adottate dagli intermediari bancari sempre più cruciali per il loro successo.

2.2 Fattori incentivanti il processo di consolidamento

Nell’ambito della problematica relativa alle motivazioni che spingono le banche verso operazioni di consolidamento è possibile, quindi, distinguere determinanti correlate a variabili ambientali o di contesto, tra le quali rientrano l’innovazione tecnologica, sia informatica sia finanziaria, la deregolamentazione del settore bancario, l’introduzione dell’euro, e la globalizzazione delle economie; da determinanti strategiche legate a singole operazioni o a singoli mercati, da ricondurre a fattori di ordine aziendale, manageriale, organizzativo e, spesso, da obiettivi di adeguamento alle citate condizioni ambientali.

Tab. 2.1 Le variabili incentivanti il processo di consolidamento bancario

Variabili ambientali (oggettive) Variabili strategiche (soggettive)

Innovazione tecnologica Comportamenti emulativi

Innovazione legislativa Comportamenti difensivi

Introduzione dell’euro Comportamenti opportunistici

Globalizzazione Crescita dimensionale

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L’interagire di tali fattori ambientali ha provocato un affievolimento delle barriere all’entrata nel settore bancario dei principali paesi mondiali e ha posto le condizioni per l’ingresso di banche estere e di imprese provenienti dagli altri comparti dell’intermediazione finanziaria. Conseguenza di ciò è stata la progressiva intensificazione della concorrenza e i connessi pericoli di erosione delle quote di mercato possedute, che hanno spinto le banche a ricorrere ad un intenso processo di ristrutturazione finalizzato al recupero di efficienza e redditività. Gli intermediari bancari hanno così intrapreso sempre più spesso operazioni di crescita esterna attraverso processi di mergers and acquisitions (M&A), considerate iniziative efficaci al conseguimento di tali obiettivi e, più in generale, all’incremento della performance2.

L’aumento nel numero di operazioni di fusione ed acquisizione avvenuto negli ultimi vent’anni nel settore bancario è stato il frutto, come detto poc’anzi, di numerosi fattori propulsivi che cercheremo di analizzare in dettaglio.

2.2.1. Le variabili ambientali

La spinta alle concentrazioni nel sistema finanziario è riconducibile a diversi fattori. Alla base di queste iniziative si possono collocare le determinanti esogene che hanno modificato le condizioni strutturali del mercato e le modalità di generazione di performance: le determinanti ambientali.

2.2.1.1. Innovazione tecnologica e finanziaria

L’innovazione tecnologica e finanziaria è tra le determinanti strutturali più importanti per i processi di fusioni ed acquisizioni, poiché contribuisce in maniera continuativa e in porzione significante al cambiamento del contesto competitivo dove operano le banche.

L’ingresso in nuove aree di business ed in nuovi mercati di riferimento è sempre più dipendente dal grado di tecnologia fruibile dagli intermediari. La dilatazione dei mercati geografici in cui questi operano è, infatti, per molti aspetti, conseguenza dell’intenso processo di sviluppo tecnologico che ha interessato il settore delle telecomunicazioni e dell’informatica.

L’eccezionale incremento della velocità, della quantità e delle tecniche di elaborazione dell’informazione hanno influito in maniera sostanziale sulla qualità e sui costi delle attività di

2

“M&A are changing the structure of the European banking sector. However, they are not a driving force for change themselves. M&As are responses to the driving forces for change and to change in market structure. The driving forces include, for instance, information technology, disintermediation and the integration of international capital market, where the creation of the single currency is especially relevant in Europe”. Si veda European Central Bank, Merger and acquisitions involving the EU banking industry – facts and implications, December, 2000.

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produzione, negoziazione e distribuzione dei servizi finanziari3. Tali cambiamenti hanno reso evidente i vantaggi che le banche hanno tratto dall’innovazione tecnologica che, da strumento di ottimizzazione dei processi di lavoro, è diventata un fattore competitivo del mercato dei servizi finanziari.

L’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle banche trova applicazione su due livelli entrambi fondamentali per il raggiungimento dell’efficienza e della competitività4. Sul fronte interno, per quel che riguarda la ristrutturazione dei processi, in termini di risorse umane, di risorse finanziarie e di assetto organizzativo; sul fronte esterno, in termini di posizionamento sul mercato e di modalità di contatto della clientela, attraverso la messa a punto di strategie innovative, sollecitate da un contesto che impone tempi sempre più ridotti nell’offerta di prodotti e servizi5. La capacità contributiva è dunque condizionata dalla tempestività con la quale si risponde agli impulsi di mercato.

Sul versante relativo ai processi, l’investimento in nuove tecnologie informatiche (Information and Communication Technology) consente il conseguimento di significativi risparmi di costo, in particolare nelle operazioni retail relative all’investimento in valori mobiliari e ai servizi di incasso e pagamento. I vantaggi sono essenzialmente dovuti al fatto che i costi totali dei processi automatizzati risultano essere di gran lunga inferiori rispetto all’impiego di tecniche labour-intensive6, anche in vista della conseguente riduzione di personale preposto a tali processi7. Inoltre, la raccolta e l’elaborazione centralizzata delle informazioni consente lo sfruttamento di significative economie di scala. I processi produttivi ad alto contenuto tecnologico, infatti, necessitano di ingenti investimenti iniziali e presentano di regola rilevanti costi fissi dovuti alla manutenzione e all’aggiornamento tecnologico stesso. A questa situazione fa però riscontro un costo marginale per singola transazione quasi nullo, e pertanto i costi medi decrescono fortemente nella misura in cui i costi fissi vengono ripartiti su un grande numero di operazioni8.

E’ importante rilevare, inoltre, l’effetto sostituzione che la tecnologia può determinare nei confronti di altri fattori nelle combinazioni produttive e distributive dell’intermediazione bancaria. A tal proposito, assumono particolare rilevanza due fenomeni9. Primo, la sostituzione della tecnologia al lavoro in svariate fasi dei processi produttivi tipici dell’intermediazione (rilevazioni, archiviazione, elaborazione e consultazione dei dati) è stata, ed è tuttora, un fenomeno

3

La Torre M., Le concentrazioni bancarie. Riflessi gestionali e dinamiche di mercato, UTET, Torino, 2000.

4

Comana M., La concentrazione del sistema bancario italiano, Cacucci Editore, Bari, 2003.

5

Mottura P., Gli intermediari finanziari, Egea, Milano, 2006.

6

Attività che fa prevalentemente uso del fattore lavoro (diversamente dalle attività capital intensive).

7

BCE, The effects of technology on the EU banking system, July, 1999.

8

Convenzione Interbancaria per i Problemi dell’Automazione, Rilevazione sullo stato di automazione del sistema creditizio, Roma, Aprile, 2005.

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irrinunciabile. Secondo, la surrogazione della tecnologia rispetto ad altri fattori (oltre al lavoro) nelle combinazioni caratteristiche della trasmissione dei dati e delle informazioni sia all’interno dell’intermediario, sia fra l’intermediario ed il mercato, con l’effetto di affiancare, ed a volte rimpiazzare, i canali distributivi tradizionali (sportelli), con i canali distributivi tecnologici (point of sales, phone banking, remote banking, internet banking).

L’analisi riportata nel lavoro del Gruppo dei Dieci10 evidenzia ulteriori aspetti del cambiamento provocati dal progresso tecnologico sottolineando che lo sviluppo dell’Information and Communication Technology ha avuto un forte impatto anche sulla gamma dei prodotti finanziari offerti alla clientela. Lo sviluppo di Internet e di postazioni automatiche (ATM-Automated Teller Machine) ha creato dei nuovi canali distributivi elettronici, rendendo possibile alle banche di allargare la loro capacità di espansione nei mercati e di facilitare, quindi, l’offerta di un ampio spettro di servizi e prodotti ad un più grande numero di clienti. Secondo lo studio della European Central Bank (ECB), infatti, la filiale non rappresenta più l’unico e principale veicolo di contatto con il cliente. Le banche stanno ponendo particolare attenzione alla diversificazione dei canali fra i quali hanno rilievo il telefono (telephone banking), con la creazione di call center, le reti, prima fra tutte Internet (internet banking) ed altri canali utilizzati per l’offerta di servizi di natura informativa o dispositiva. La caratteristica comune a questi nuovi canali è quella di fornire tutti i servizi bancari tradizionali ed anche servizi innovativi. Tutto questo è effettuato senza prevedere il contatto fisico con il cliente, che quindi interagisce con la propria banca a distanza, attraverso strumenti di comunicazione remota. Proprio per questo lo studio citato parla di remote banking e, con specifico riferimento alla clientela retail, di home banking11.

In conclusione anche l’ultimo rapporto della Convenzione Interbancaria per i Problemi dell’Automazione12 (CIPA) ha sottolineato come l’innovazione tecnologica sia risultata cruciale nel favorire la dinamica delle operazioni di fusione e acquisizione tra banche. Il notevole incremento dei costi fissi, dovuto proprio alle nuove tecnologie dell’informazione, ha spinto, infatti, le banche a tentare di ripartire questi oneri su una clientela sempre più numerosa. A tal proposito, i processi di M&A si rivelano, a sua volta, i più rapidi per raggiungere dimensioni competitive adeguate, dal momento che sembrano essere in grado di garantire alle banche quel salto tecnologico necessario per una rapida diffusione di nuove opportunità di sviluppo.

10

Gruppo Dei Dieci, Il processo di consolidamento nel settore finanziario, 2001.

11

Con il termine inglese home banking (banca da casa) vengono indicate quelle operazioni bancarie effettuate dai clienti degli istituti di credito tramite una connessione remota con la propria banca, funzionalità resasi possibile con la nascita e lo sviluppo di Internet e delle reti di telefonia cellulare.

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Nell’adozione dell’information tecnology, le banche hanno dunque iniziato a seguire un approccio liberatorio e innovativo. Da una parte alcune fra le nuove modalità distributive, e precisamente i servizi di home e corporate banking, consentono alla banca di superare i confini – spaziali e temporali – della propria attività. Esse “liberano” la produzione/erogazione dei servizi dai limiti di tempo intesi come orari e giorni di apertura, e dai limiti spaziali definiti dalla rete di sportelli tradizionali.

Dall’altra parte, gli stessi canali elettronici e quelli che nascono dalla combinazione di computer e telefonia (telephone banking) rappresentano una forma di innovazione, sia di processo (per l’impatto sui meccanismi di interazione con il cliente, sulle modalità di fruizione dei servizi, sulle politiche di marketing e altro), sia di prodotto (in termini di natura e qualità dei servizi offerti) e possono essere utilizzati come valide armi competitive.

2.2.1.2 L’impulso normativo e la deregulation

Accanto all’innovazione tecnologica, un ulteriore fattore chiave nello stimolare il processo di cambiamento del settore bancario può essere individuato nel processo di deregolamentazione dell’attività creditizia che, negli ultimi vent’anni, ha interessato buona parte delle principali economie. Nella maggior parte di queste, la struttura della regolamentazione finanziaria è mutata da un sistema bank-oriented, nel quale le banche costituiscono la figura predominante di intermediari del risparmio e pressoché l’unico canale a disposizione delle imprese per attingere al credito, ad un sistema market oriented, che pone le banche in competizione con altri soggetti finanziari e permette alle grandi imprese di ricorrere all’autofinanziamento mediante l’emissione diretta di azioni.

Di tale processo, di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo, è stato fattore determinante l’impulso normativo che si colloca principalmente all’inizio degli anni novanta e che quindi precede il decennio considerato. Riepilogando brevemente:

Il 30 luglio 1990 (Legge n° 218 – “Amato”) vengono emanate “Disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli Istituti di credito di diritto pubblico”, che prevedono l’esercizio dell’attività aziendale sotto forma di S.p.A., consentendo:

a) la riduzione delle differenze tra diversi tipi di aziende e l’adozione di formule organizzative più snelle e moderne;

b) il ricorso ad aumenti di capitale sociale, anche mediante emissioni azionarie collocabili presso terzi;

c) la rivalutazione dei cespiti aziendali (immobili e partecipazioni) utilizzabile ai fini degli ammortamenti civilistici (ma non fiscali) e dei parametri operativi “Bankitalia”;

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d) le concentrazioni aziendali, in presenza di agevolazioni fiscali;

e) l’aggregazione, nei gruppi creditizi polifunzionali, di società bancarie con altre operanti nel credito speciale e nel c.d. parabancario13.

Il 10 ottobre 1990 (Legge n° 287) viene regolata la competizione in ambito bancario attraverso norme riguardanti la tutela della concorrenza e del mercato.

Il 17 febbraio 1992 (Legge n° 154 – Minervini) vengono stabilite le norme per la trasparenza degli operatori dei servizi bancari che regolano aspetti fondamentali del rapporto banca – impresa quali la pubblicità, la forma, il contenuto, l’integrazione, la modifica delle condizioni contrattuali, la decorrenza delle valute, le comunicazioni periodiche e le fidejussioni.

Il 1° gennaio 1993 (come legge italiana n° 481 del 14 dicembre 1992) entra in vigore l’Atto Unico Europeo, che sancisce il principio della libertà di movimento dei capitali, il principio del mutuo riconoscimento, e il principio dell’home country control.

Il 1° settembre 1993 (D. L. n° 385) entra in vigore il “Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” (TUB) che comprende norme concernenti la definizione delle Autorità di controllo, la finalità e i contenuti della Vigilanza, l’attività e l’organizzazione delle banche, l’individuazione dei diversi soggetti operanti nel settore finanziario con specifica autorizzazione, la trasparenza delle condizioni contrattuali nei riguardi della clientela e i controlli circa l’emissione dei valori mobiliari.

La deregulation degli ultimi due decenni appare un fattore chiave scatenante il cambiamento nell’assetto del sistema. Alla ridefinizione del quadro regolamentare del sistema sono da ricondurre:

- l’estensione dei confini dell’arena competitiva, oltre il comparto domestico, per effetto del venir meno dei vincoli alla libera circolazione di persone, beni/servizi e capitali per effetto della creazione del Mercato unico europeo. Il processo di deregolamentazione del settore finanziario, è stato anche determinante nel favorire l’affievolimento delle tradizionali barriere operative che separavano le diverse attività finanziarie. La possibilità di varcare confini prima proibiti e di entrare in nuove aree di business ha stimolato il

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Il settore parabancario (o near banking), ricomprende una grande varietà di attività ed operazioni finanziarie, economiche, commerciali, legate al settore bancario, che portano ad un completamento dei tradizionali rapporti fra banca e clienti.

Si tratta di “servizi collaterali di natura finanziaria”, introdotti negli anni ‘70 e che si sono sviluppati e differenziati nel tempo in relazione alle diverse esigenze della clientela. Le banche ed in primo luogo quelle di maggiori dimensioni, hanno curato lo sviluppo del settore parabancario, realizzando una strategia di diversificazione delle attività e creando a fianco della tradizionale intermediazione creditizia, nuove aree d’affari. Ad esempio: le società di leasing, di factoring e di credito al consumo.

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consolidamento tra banche con specializzazioni differenti14. All'avvicinamento fra intermediari creditizi con business differenti si è accompagnata una tendenziale assimilazione fra i prodotti e le attività svolte dalle diverse istituzioni finanziarie.

- l’eliminazione dei vincoli alla libera concorrenza tra intermediari, anche su scala internazionale, attraverso la riduzione delle barriere all’entrata e all’uscita. A partire dalla seconda metà degli anni Trenta, periodo il cui il Paese è dominato da una grave crisi economica e finanziaria, e fino agli anni Settanta, il sistema bancario italiano vive un periodo di relativa stabilità e protezione. Negli anni Ottanta, il sistema bancario si presenta come un “patchwork” di diverse categorie giuridiche, un’elevata specializzazione degli istituti bancari e da rigidi vincoli alla crescita degli intermediari. Il recepimento delle Direttive a livello comunitario aprono la strada a nuove soluzioni strutturali e di funzionamento del sistema.

- l’abolizione dei limiti alla crescita – interna ed esterna – delle banche, rimuovendo i vincoli all’apertura di sportelli. Ciò determina un forte impulso all’espansione territoriale delle banche e del grado di competizione tra le stesse, favorendo l’accesso ai mercati locali con alto grado di concentrazione.

- l’innovazione nelle forme giuridiche verso assetti societari (società per azioni) favorevoli ai processi di concentrazione. Nel corso del 1990 si dà il via alla trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni, forma più adatta a gestire operazioni di crescita esterna. Gli stimoli alla trasformazione giuridica portano più dell’80% delle casse di risparmio e degli istituti di credito di diritto pubblico al cambio della forma giuridica, alterando in modo sostanziale la morfologia del sistema bancario.

- la privatizzazione degli assetti proprietari, che segue l’adozione della forma di spa per molte banche e che ha portato alla riduzione della quota di fondi intermediati da banche di matrice pubblica da oltre l’80% degli anni Ottanta a quasi il 12% del 1999 contribuendo alla crescita dimensionale e dando una spinta decisiva all’orientamento delle banche verso la produzione di valore per gli azionisti.

- il riconoscimento della libertà imprenditoriale e gestionale delle banche nell’ambito di regole prudenziali comuni (ad esempio il cosiddetto principio di

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specializzazione funzionale delle banche che pone il divieto per le banche di assumere partecipazioni in imprese non finanziarie). In più, le disposizioni emanate dalla Banca d’Italia, in virtù dei poteri delegati dal Governo e dalla politica di moral suasion15 da essa intrapresa per guidare il settore, impongono la specializzazione temporale e geografica delle banche e quella settoriale degli istituti di credito speciale.

- Un insieme di controlli così strutturato fa sì che il sistema risulti carente sotto il profilo dell’offerta di forme di finanziamento adeguate alla diversa natura e composizione del fabbisogno finanziario delle imprese bancarie. La logica del protezionismo, associata a un meccanismo di vigilanza strutturale, si riflette d’altra parte in un sistema poco concentrato, scarsamente orientato all’efficienza, e quindi alla capacità competitiva, delle singole banche. I controlli diretti sulla struttura del settore bancario, frutto di un orientamento delle autorità teso a tutelare la stabilità del sistema nel rispetto di un vincolo di efficienza minima, operano come una sorta di protezione nei confronti dei concorrenti di altri Paesi. L’ingresso sul mercato delle singole istituzioni è sottoposto alla valutazione pressoché discrezionale dell’organo di controllo, il quale si basa nella propria politica di autorizzazioni, su considerazioni prevalentemente legate alla configurazione complessiva del mercato e, quindi, agli equilibri di forze competitive in esso vigenti, piuttosto che su valutazioni di efficienza delle singole istituzioni. L’orientamento seguito è di tipo fortemente restrittivo, tanto da comportare per decenni quasi un blocco al libero ingresso sul mercato e all’apertura di nuovi sportelli. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, in armonia con le tendenze che emergevano negli altri sistemi bancari europei, le cose cambiano. La disciplina comunitaria impone un nuovo stile di vigilanza, di tipo prudenziale. Vengono emanate norme di carattere generale e con parametri oggettivi, dove gli enti creditizi devono sentirsi liberi nelle scelte imprenditoriali, pur salvaguardando le condizioni di solidità patrimoniale, di frazionamento degli impieghi e di liquidità, necessarie al buon funzionamento del sistema.

- L’aumento delle possibilità di diversificazione dei prodotti e servizi erogati. L’apertura a nuovi mercati e l’aumento della competizione, anche in ambito

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Da parte di una Banca centrale, è l’uso della propria influenza, anziché la costrizione, per indurre gli enti creditizi facenti parte del sistema economico ad adeguarsi alle direttive emanate in via implicita, e quindi formalmente non obbligatorie.

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internazionale, porta ad un fortissimo cambiamento della configurazione strutturale del sistema bancario. E’ necessaria una veloce reazione degli intermediari che devono intensificare l’ingresso in nuovi settori attraverso società partecipate, sviluppare servizi di brokeraggio e di dealing e promuovere l’offerta di strumenti di investimento più vicini ai valori mobiliari, quali tipicamente i certificati di deposito. Si affianca al tentativo di recuperare le quote di mercato erose dalla concorrenza, la necessità di compensare il calo dei margini di interesse sui prodotti “tradizionali”. L’ingresso delle banche in nuovi settori finanziari, inoltre, genera difficoltà oggettive sotto il profilo della regolamentazione del comparto. Dopo numerosi tentativi di regolamentazione dei nuovi ambiti operativi, la seconda direttiva stabilisce) una nozione minima di banca16 e un’ampiezza massima dell’attività di tale impresa, che può comprendere tutte le attività finanziarie contenute in un apposito elenco allegato alla stessa direttiva (che la configura come banca universale).

- La liberalizzazione dei modelli istituzionali e delle forme organizzative, grazie all’affermazione nella seconda direttiva prima e nel Testo Unico poi, della libertà di scelta, per le attività ammesse al mutuo riconoscimento, dell’opzione fra gestione interna o estrema delle singole attività, secondo il modello della banca integrata (o universale) o del gruppo bancario. Tale opzione è stata gradualmente trasferita a livello di singole funzioni e di singole fasi di processo, tanto da aprire la via a modelli istituzionali e organizzativi assai diversificati e difficilmente riconducibili, se non in modo ibrido, alle forme originariamente previste, con una duplice conseguenza:

• un nuovo fattore di successo per le banche è rappresentato dalla capacità di disegno e sviluppo della struttura organizzativa;

• aumenta la richiesta di soluzioni innovative di coordinamento all’interno delle strutture bancarie.

Diversi autori hanno espresso l’opinione che, il mutamento delle condizioni competitive nel settore bancario si possa attribuire all’attività di liberalizzazione e deregolamentazione che ha interessato i mercati di molte nazioni a partire dalla fine degli anni Ottanta.

Tuttavia, lo studio del Gruppo dei Dieci, ha sottolineato come sia complicato distinguere chiaramente gli effetti delle riforme normative sui sistemi finanziari, dagli effetti del progresso tecnologico, dell’innovazione dei servizi finanziari e da altri fattori che possono aver preceduto i

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L’esercizio in forma congiunta della raccolta del risparmio presso il pubblico e la concessione di credito per conto proprio.

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cambiamenti ottenuti con le modifiche regolamentari. La deregolamentazione dei servizi finanziari è stata, infatti, spesso avviata in seguito a cambiamenti tecnologici o a crisi finanziarie. Questo può suggerire l’ipotesi che la liberalizzazione, teoricamente, potrebbe non essere un fattore così strettamente correlato al consolidamento dei mercati bancari, ma piuttosto in grado di influire aumentando le opzioni strategiche a disposizione di un intermediario nei suoi processi di crescita. La deregolamentazione, sulla base di quanto detto sopra, sembra quindi che sia stata in grado di dare alle banche quella flessibilità strategica ed operativa indispensabile per rispondere agli impulsi competitivi dei mercati.

Bisogna aggiungere che tale processo di deregolamentazione ha svolto un ruolo chiave nel promuovere il consolidamento nel mercato dei servizi finanziari. Tuttavia, le limitazioni di natura giuridica e regolamentare ancora esistenti e le differenze nella regolamentazione tra paesi continuano ad ostacolare alcuni tipi di concentrazioni, soprattutto quelle che riguardano le attività transnazionali.

2.2.1.3 L’avvento della moneta unica europea

Un altro fattore che senza dubbio ha avuto un forte impatto sull’evoluzione del mercato bancario europeo è stata l’introduzione della moneta unica. Si sostiene, infatti, che l’euro abbia agito da catalizzatore, rinforzando il trend, già avviato, di convergenza tra i sistemi bancari dell’Unione Europea17. Tuttavia, già prima dell’avvento della moneta unica, l’attività di M&A nel settore bancario era già presente e vivace, quindi la nascita del mercato unico è servita solamente a sostenere e non ad innescare tale attività.

La diffusione dell’euro ha portato senza dubbi alla progressiva convergenza dei tassi bancari, determinando un’omogeneizzazione dei prezzi nelle attività tipiche delle banche ed esaltando le condizioni di efficienza delle singole gestioni18. Se da un lato, con l’introduzione dell’euro, sono venuti meno alcuni rischi tipici dell’attività bancaria, primo fra tutti il rischio di cambio, dall’altro se ne sono affacciati di nuovi, collegati all’esigenza di fidelizzare fasce di clientela diverse da quelle tradizionali e di creare occasioni di profitto all’estero.

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Comana M., La concentrazione del sistema bancario italiano. Aspetti strutturali e organizzativi.

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2.2.1.4 La globalizzazione

L’introduzione dell’euro, insieme agli altri fattori ambientali sopra esaminati, hanno, favorito il significativo processo di globalizzazione dei mercati dei beni e dei capitali, che può essere così considerato una quarta causa dell’intensificarsi dell’attività di M&A nei settori bancari.

Lo sviluppo della globalizzazione delle economie è vista, infatti, come il risultato inevitabile dei processi di deregolamentazione e di sviluppo delle tecnologie di comunicazione. Come detto prima, i progressi tecnologici e delle telecomunicazioni hanno diminuito le distanze sia spaziali che temporali e, al tempo stesso, la deregolamentazione ha permesso l’esplorazione di nuovi mercati. Tutto questo ha così accentuato il processo di globalizzazione delle economie mondiali stimolando le banche a trasformare la propria attività, e ad ampliare la gamma di servizi offerti in settori a più alto valore aggiunto19. La Torre, per esempio, sostiene che l’integrazione dei mercati a seguito del processo di globalizzazione ha consentito di collocare gli intermediari bancari in un ambiente di riferimento più ampio e più dinamico.

Questa condizione ha imposto un ripensamento del mercato di riferimento da parte degli istituti bancari, ed una differente concezione di mercato domestico20 e di mercato estero. In tale ottica, le operazioni di concentrazione sono considerate un valido strumento per un veloce riposizionamento strategico. Le spinte prodotte dal processo di globalizzazione dell’economia esercitano una pressione nei confronti degli intermediari bancari, inducendoli ad una continua ricerca di incrementi di produttività e di massimizzazione dei profitti. E’ in questo contesto che si abbiamo assistito alla rapida diffusione di operazioni di fusione ed acquisizione e di alleanze strategiche internazionali.

La globalizzazione dei mercati dei beni e dei capitali, erodendo progressivamente la demarcazione tra i comparti tradizionali (quello finanziario, bancario ed assicurativo), ha così reso conseguentemente più facile l’entrata di nuovi operatori in questi settori ed ha contribuito a modificare le preferenze della clientela retail che, di fronte a tassi di interesse decrescenti e, quindi, poco remunerativi, si è mossa verso la ricerca di prodotti finanziari alternativi.

La globalizzazione, insieme alla deregolamentazione dei mercati, all’introduzione dell’euro e allo sviluppo tecnologico hanno reso le economie nazionali molto più interdipendenti ed hanno favorito l’affermazione di gradi crescenti di interrelazione fra le diverse attività economiche, indipendentemente dalla loro localizzazione geografica.

19

Comana M., Il processo di concentrazione e il cambiamento del sistema bancario italiano.

20

La nozione di mercato interno (domestic) sta cambiando rapidamente alla luce dell’Unione Europea, dell’Euro e della conseguente concentrazione dei mercati bancari europei. Le banche fanno sempre più frequentemente riferimento ad un secondo mercato interno (second home market) e, soprattutto le maggiori, a quello nelle economie emergenti (emerging home market).

(14)

Tali fenomeni sono stati in grado di mutare la natura e l’intensità della competizione nei mercati ed anche in quello bancario che, in conseguenza delle spinte prodotte da tali processi, ha accresciuto e ha reso più ampia ed accesa la concorrenza tra i suoi partecipanti.

2.2.1.5 La crescita dimensionale

Questo è un fattore molto importante che è frutto della complessa interazione di fattori ambientali (fonte di ampliamento della gamma dei prodotti e servizi offerti e del miglioramento della qualità del servizio reso alla clientela) e scelte strategiche (pressione generata dai nuovi competitors e da quelli già esistenti).

La crescita delle dimensioni viene associata a diversi benefici per gli intermediari finanziari, quali ad esempio:

1. motivi di ordine produttivo:

a. adottare procedimenti di produzione sempre più avanzati; b. sfruttare al meglio alcuni flussi indivisibili di servizi;

c. utilizzare convenientemente i sottoprodotti (economie di varietà o di scopo); d. ridurre la dipendenza dall’esterno;

e. economie di scala;

f. il miglioramento dei livelli di efficienza tecnico-operativa; g. rapidità di approvvigionamento di alcune risorse.

2. motivi di ordine commerciale:

a. ottenere una maggiore forza contrattuale; b. controllare più ampie quote di mercato; c. sfruttare l’azione pubblicitaria;

d. offrire ai propri clienti beni e servizi differenziati; e. ridurre l’incidenza dei costi transazionali;

f. sbocco nei mercati internazionali. 3. motivi di ordine ambientale:

a. mobilitare molta manodopera;

b. creare servizi e attività complementari; c. influire sulle autorità;

d. riposizionamento competitivo. 4. motivi di ordine amministrativo:

(15)

5. motivi di ordine finanziario ed economico:

a. la diminuzione del costo medio del capitale in conseguenza della più ampia facilità di accesso a mercati dei capitali;

b. la riduzione del grado di variabilità dei risultati economici e dei connessi rischi finanziari per effetto dell’attività di diversificazione seguita;

I fattori frenanti la crescita dimensionale possono essere, invece, individuati nei seguenti: 1. motivi di controllo e di coordinamento dell’attività:

a. incremento della elevata burocratizzazione; c. irrigidimento della struttura dei costi. 2. motivi di diseconomicità complessiva:

a. diseconomie di scala; b. sotto-utilizzo.

3. motivi di controllo e indirizzo:

a. adempimenti aggiuntivi e contrazione dell’autonomia gestionale.

A queste motivazioni oggettive si devono sommare quelle di ordine soggettivo, le quali correlano le strategie di crescita con il prestigio e la remunerazione dei manager delle imprese acquirenti.

Sul fronte distributivo, lo sviluppo interno avviene tipicamente attraverso l’apertura di nuovi sportelli e la creazione di diversi canali distributivi

Spesso la Banca d’Italia ha collegato i ritardi accumulati dal sistema bancario nazionale alla sua scarsa concentrazione, e dunque, anche al sottodimensionamento degli intermediari bancari. Il “nanismo” delle nostre banche avrebbe operato da ostacolo all’offerta di servizi ad alto valore aggiunto, alla diffusione di tecnologie produttive e distributive avanzate e all’internazionalizzazione del nostro sistema bancario. Non stupisce, quindi, che il processo di concentrazione e di conseguente ristrutturazione del sistema bancario europeo costituisca la principale risposta alle nuove condizioni concorrenziali e che da esso scaturiscano nuove strategie, nuovi modelli istituzionali e organizzativi e, più in generale, nuove modalità di esercizio dell’attività bancaria.

2.2.1.6 Il peso degli azionisti

L’aumento del grado di competizione ha contribuito alla compressione dei margini di profitto; questo ha determinato richieste pressanti da parte degli azionisti di un miglioramento dei risultati reddituali. E’ cresciuta, negli ultimi anni, l’importanza degli azionisti rispetto agli altri portatori di interessi (stakeholders), tendenza che deriva da un cambiamento strutturale nelle decisioni di investimento dei risparmiatori.

(16)

2.2.1.7 Le determinanti economiche

La valutazione del modello di sviluppo delle singole realtà aziendali ruota attorno a due concetti fondamentali, ossia quelli di economie di scala e di economie di produzione congiunta, nozioni basilari per determinare la dimensione minima ottimale e la struttura organizzativa delle imprese operanti in un dato mercato.

Le economie di costo legate al processo produttivo contribuirebbero in misura determinante a plasmare la struttura dell’offerta di un determinato settore. La loro presenza induce, infatti, alcune imprese a concentrarsi (per raggiungere un effetto di economie di scala21) e a diversificare (in relazione alla presenza di economie di raggio d’azione22). Questa modalità di sviluppo potrebbe consentire a tali imprese di produrre a un costo unitario inferiore alle altre, più piccole e più specializzate, acquisendo un vantaggio competitivo e, quindi, un incremento delle rispettive quote di mercato.

La presenza di economie di scala nell’impiego dei fattori produttivi rappresenta un incentivo all’aumento dei volumi di produzione di un medesimo output. La spinta all’aumento delle dimensioni aziendali trova però un limite nel manifestarsi, oltre determinati livelli produttivi, di diseconomie manageriali e organizzative connesse ad un’elevata complessità gestionale. La convenienza globale della grande dimensione potrebbe inoltre risultare ridimensionata, dal confronto con i benefici ottenibili dalla diversificazione su linee di prodotto caratterizzate da un maggior grado di diversità. In questo senso, determinante ai fini dell’efficienza della diversificazione, prodotta dalla crescita esterna in settori non tradizionali, risulta l’impatto da questa generato in termini di economie di produzione congiunta, di effetti sinergici e di potere di mercato.

21

La locuzione economie di scala (economies of scale) è usata in economia per indicare la relazione esistente tra aumento della scala di produzione (correlata alla dimensione di un impianto) e diminuzione del costo medio unitario di produzione.

22

Per economie di raggio d’azione o, economie di scopo, si intende il risparmio derivante dalla produzione congiunta di prodotti diversi o con il perseguimento di obiettivi diversi con i medesimi fattori produttivi (stesse risorse, stessi impianti, stesso know-how)

Capacità di generare nuovo valore appropriabile a basso costo, attraverso una migliore utilizzazione delle risorse disponibili, senza sostenere costi di definizione o rinegoziazione di contratti esterni, utilizzando essenzialmente le "competenze distintive" dell'impresa. Diversificazione basata sulle conoscenze.

Si parla anche di economie che derivano dalla diversificazione dell'attività aziendale ovvero dall'ampliamento del raggio di azione dell'impresa.

Le economie di scopo si originano in differenti situazioni:

la produzione congiunta di due beni consente l'utilizzo completo di risorse materiali che rimarrebbero sottoutilizzate

un determinato processo produttivo realizza congiuntamente due o più prodotti secondo rapporti relativamente fissi

le conoscenze produttive sviluppate da un'impresa o anche l'immagine conquistata per un certo prodotto risultano utilizzabili vantaggiosamente per altri tipi di prodotti

Riassumendo, si può dire che le economie di scopo si determinano ogniqualvolta esista o si possa ottenere un qualsiasi tipo di sinergia dalla produzione congiunta di due prodotti diversi.

(17)

L’aumento della dimensione e della varietà dei processi produttivi può peraltro determinare una crescente burocratizzazione e un appesantimento del grado di formalizzazione della struttura. Possono inoltre scaturire problemi di ordine culturale, per effetto dell’integrazione di modelli valoriali e di modus operandi molto diversi. Non è tuttavia da escludere che la crescente complessità organizzativa possa essere gestita attraverso la leva dell’outsourcing23 e del decentramento di responsabilità, in presenza di strumenti di coordinamento più flessibili.

In ambito bancario, si evidenziano economie di scala a livello di impresa solo per le banche di rilevanti dimensioni, mentre le rimanenti presentano rendimenti di scala costanti. Per le banche medie e piccole, infatti, le opportunità di migliorare il grado di efficienza operativa possono essere limitate all’ipotesi di crescita dei volumi di attività a parità di articolazione territoriale, mentre per le banche grandi si manifestano in ogni caso miglioramenti al variare della scala di produzione. Sono state riscontrate economie di scala anche a livello di gruppi bancari24. Si è inoltre osservato che in mercati caratterizzati da una significativa segmentazione dell’offerta, sia da attribuire particolare rilievo al concetto di dimensione relativa, rispetto sia ai confini dei singoli mercati locali sia alle stesse dimensioni delle controparti.

E’ possibile individuare le seguenti motivazioni economiche che favoriscono il processo di consolidamento del settore bancario:

1. incremento dell’efficienza: L’efficienza costituisce un aspetto fondamentale della gestione bancaria. Determinando riduzioni dei costi e ampliamenti dei ricavi e profitti, l’efficienza fornisce un contributo essenziale al consolidamento dell’equilibrio economico di una banca nel medio e nel lungo periodo. Il recupero di efficienza costituisce la principale motivazione sottostante ai processi aggregativi in atto nelle industrie bancarie dei principali paesi europei e mondiali. Com’è noto, il miglioramento dell’efficienza è divenuta condizione imprescindibile per il mantenimento della competitività anche nel più allargato contesto competitivo internazionale. Il conseguimento dell’efficienza, infatti, permette ad una banca di fronteggiare eventuali riduzioni nei prezzi senza rilevanti contraccolpi su redditività e quote di mercato detenute.

Diversamente, la scarsa attenzione all’efficienza condanna l’intermediario alla fuoriuscita dall’industria bancaria. L’efficienza si palesa densa di problematiche e implicazioni sia a livello micro, sia a livello macroeconomico e, per questo motivo, richiama l’attenzione di un pluralità di soggetti (oltre al management bancario) che, sia pur con modalità e motivazioni

23

Outsourcing, parola inglese traducibile letteralmente come "approvvigionamento esterno", anche detto esternalizzazione, è termine usato in economia per riferirsi genericamente alle pratiche adottate dalle imprese di esternalizzare alcune fasi del processo produttivo, cioè ricorrere ad altre imprese per il loro svolgimento.

24

(18)

diverse, sono interessati all’efficienza dell’industria bancaria: pubbliche autorità e ricercatori.

Le pubbliche autorità mirano al perseguimento di obiettivi di stabilità sia a livello di singoli intermediari, sia a livello di industria bancaria nel suo complesso e, nell’ultimo decennio, si sono concentrante anche sul miglioramento dell’efficienza che, da un lato, favorisce la riduzione del costo dell’intermediazione finanziaria a carico dell’economia e a tutto vantaggio dei soggetti partecipanti e, dall’altro lato, accresce la competitività delle banche nazionali nei confronti dei concorrenti esteri.

Il mondo accademico studia l’efficienza e le sue molteplici implicazioni. Dagli anni cinquanta, l’interesse per l’efficienza si è andato progressivamente accentuando e le numerose indagini empiriche condotte nel corso dei vari decenni hanno permesso di compiere notevoli passi in avanti nella sua comprensione, mettendo in luce, grazie anche all’impegno di approcci e tecniche di misurazione sempre più sofisticati, aspetti in precedenza trascurati.

2. diversificazione dei rischi: La diversificazione dei rischi costituisce un’altra importante motivazione sottostante le fusioni e acquisizioni. L’inserimento in un unico portafoglio di strumenti e classi di valori delle banche partecipanti alla fusione permette al nuovo intermediario di ridurre la componente non sistematica del rischio globale che tenderà verso il rischio sistematico. In altre parole, la nuova banca avrà un portafoglio più ampio e, per conseguenza, meno concentrato sia dal punto di vista geografico sia dal punto di vista settoriale beneficiando dei positivi effetti della diversificazione dei rischi.

La diversificazione dei rischi permette la riduzione della variabilità dei rendimenti e la stabilizzazione dei profitti mediante l’abbassamento della varianza del portafoglio.

Ovviamente, tale risultato è più facilmente perseguibile nelle concentrazioni in cui risultino coinvolti intermediari bancari e/o finanziari operanti in differenti aree geografiche o di business fra cui esista una bassa o negativa correlazione. Si pensi alle banche italiane di dimensioni medio-piccole che, soprattutto in passato, avevano attivi di bilancio caratterizzati da elevati gradi di concentrazione e che, per conseguenza, erano ampiamente legate all’andamento del settore predominante nel mercato o nell’area geografica di appartenenza25.

Eventuali situazioni di crisi nel settore in discorso determinavano un elevato numero di sofferenze e insolvenze della clientela bancaria riflettendosi negativamente sulla solvibilità degli stessi intermediari. In questo ambito, fusioni e incorporazioni con banche che non

25

(19)

insistono sul medesimo territorio hanno costituito e costituiscono utili strumenti per l’espansione geografica e la riduzione della dipendenza dal settore di appartenenza.

3. aumento del potere di mercato: Il rafforzamento del potere di mercato costituisce la principale motivazione sottostante alle cosiddette fusioni orizzontali o in-market, vale a dire effettuate da banche con un elevato grado di sovrapposizione territoriale. In tal caso, gli intermediari realizzano F&A con l’obiettivo di accrescere il grado di concentrazione all’interno del mercato, in modo tale da poter sfruttare rendite monopolistiche con la determinazione di più prezzi più elevati.

Alcuni risultati delle stime empiriche condotte applicando modelli interpretativi della concorrenza e soprattutto il modello structure-conduct-performance (SCP)26 alle industrie finanziarie e non finanziarie, hanno mostrato una relazione diretta tra grado di concentrazione del mercato e performance delle imprese ivi operanti. In altre parole, la riduzione del numero delle imprese ha determinato l’incremento nei loro profitti. Tuttavia, i risultati in discorso non hanno fornito indicazioni altrettanto univoche circa l’impatto di un aumento del grado di concentrazione sul livello di competitività nelle industrie analizzate. Da qui due diverse interpretazioni del modello SCP: tradizionale e moderna. Secondo la prima, l’aumento del grado di concentrazione riduce gli oneri relativi alla definizione ed al mantenimento di accordi collusivi tra imprese, favorendone la conclusione. Ciò consente alle imprese di fissare più elevati prezzi e godere più o meno di elevate rendite monopolistiche, pur peggiorando il livello medio di efficienza dell’industria bancaria (Berger, Hannan, 1998; Gilbert, 1984; Hannan, 1991).

In tal modo, il fenomeno aggregativo agevola accordi collusivi fra banche che attenuano, di fatto, le spinte competitive sul mercato e favoriscono la fissazione di prezzi monopolistici, innalzando i costi dell’intermediazione a carico della collettività. Pertanto, legislatore e autorità di vigilanza dovrebbero impedire quelle concentrazioni che minano la concorrenza in un determinato settore o area geografica o quantomeno adottare, opportune misure a sostegno della competitività (Berger, 1998; Cetorelli, 2001; Messori, 2001).

Invece, secondo l’interpretazione moderna l’aumento del grado di concentrazione intensifica le spinte competitive nel mercato provocando l’abbassamento dei prezzi degli output. Ne consegue l’uscita delle cosiddette imprese marginali, i cui elevati costi medi non trovano più copertura nei minori ricavi e la sopravvivenza delle sole imprese più efficienti.

26

In breve, il modello SCP analizza la concorrenza in mercati oligopolistici ipotizzando che la struttura di mercato, caratterizzata dal grado di concentrazione dell’offerta, dalla differenziazione produttiva e dalle condizioni di entrata, influisce sul comportamento delle imprese e, per conseguenza, sulla loro performance (Bain, 1956).

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Attraverso questa interpretazione, il fenomeno aggregativo apporta notevoli benefici: incremento di efficienza, riduzione dei prezzi dei prodotti bancari e ampliamento della gamma di strumenti a disposizione della clientela. Pertanto legislatore e autorità di vigilanza, dovrebbero adottare provvedimenti a sostegno delle concentrazioni bancarie. Entrambe le interpretazioni possono trovare concreta applicazione sussistendo determinate caratteristiche nelle singole industrie bancarie. Così, in industrie bancarie assai poco concentrate, come quella italiana sino alla fine degli anni Ottanta, il fenomeno aggregativo accresce le pressioni competitive imponendo agli intermediari il recupero di efficienza e redditività. Viceversa, in industrie bancarie molto concentrate il fenomeno aggregativo accresce il potere di mercato delle banche coinvolte agevolando accordi collusivi.

Giova rilevare, infine, un altro modello interpretativo della concorrenza: il modello

contestable markets (CM). Il modello ipotizza piena libertà di entrata e uscita dal mercato

delle singole imprese e l’assenza di costi irrecuperabili. La libertà di entrata si traduce nell’assenza di barriere all’entrata, vale a dire nella possibilità per le nuove imprese di produrre lo stesso volume produttivo e utilizzare le stesse tecnologie delle imprese già presenti sul mercato. Inoltre, i nuovi soggetti riescono ad entrare sul mercato prima di eventuali strategie difensive da parte delle imprese già presenti. Viceversa, la libertà di uscita postula l’assenza di costi irrecuperabili lasciando libere le imprese di uscire in qualsiasi momento dal mercato senza alcuna perdita. Il modello CM pone in relazione diretta grado di concentrazione ed efficienza. La riduzione del numero delle imprese, infatti, determina l’aumento della loro dimensione ed il loro spostamento lungo il tratto discendente della curva dei costi medi, sino ad arrivare al punto minimo della medesima. Pertanto, ritrovando conferma il modello CM, F&A favoriscono la crescita dell’efficienza piuttosto che del potere di mercato. Tuttavia, giova rilevare che le ipotesi sottostanti al modello CM sono riscontrabili assai difficilmente nelle industrie bancarie rendendo ardua una sua concreta applicazione.

4. salvataggio di intermediari in crisi. In taluni casi, fusioni e incorporazioni sono proprio finalizzate al salvataggio di intermediari in crisi. Di solito, F&A di questo tipo sono attuate su “sollecitazione” delle autorità di vigilanza che invitano più o meno esplicitamente, banchè sane ed efficienti ad acquisire intermediari in crisi nel tentativo di far superare loro il momento di difficoltà. In questo modo, si vuole impedire la propagazione della crisi ad altri intermediari, evitando i conseguenti, negativi riflessi di eventuali fallimenti a catena.

Talvolta, la rilevante dimensione di un intermediario potrebbe spingere le autorità di vigilanza ad attuare interventi diretti di salvataggio e tutela dei depositanti al manifestarsi di

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situazioni di crisi o di insolvenza del medesimo. In questa ipotesi, si dice che l’intermediario è too big to fail. Un suo eventuale fallimento, infatti, avrebbe gravi ripercussioni sull’intera industria bancaria minando seriamente la stabilità della stessa. Di qui l’intervento delle autorità di vigilanza che, nella più estrema delle ipotesi, si concretizza nella restituzione dell’intero ammontare dei depositi alla clientela. A ben vedere, si è in presenza di una sorta di assicurazione sui depositi estremamente onerosa a livello sociale. Peraltro, tale forma incentiva le banche più grandi verso comportamenti moral hazard innalzando ulteriormente i costi di eventuali interventi di salvataggio. Non solo, ciò spinge taluni intermediari ad aggregarsi per acquisire dimensioni tali da divenire too big to fail.

Secondo l’ultima Legislatura 16º - 6ª Commissione permanente - Resoconto sommario n.39 del 12/11/2008, si ribadisce che durante gli interventi di salvataggio dell’intermediario in crisi, il Governo non persegue l’obiettivo di assumere direttamente partecipazioni nel capitale delle banche, facendo presente che il decreto-legge n. 155 appresta gli strumenti di salvataggio degli intermediari in caso di crisi; al contrario, l’obiettivo fondamentale è garantire la stabilità del sistema bancario nel suo complesso, al fine di sostenere il sistema produttivo e ridurre l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale. Allo stesso tempo, sarà assicurata la piena trasparenza della gestione e allocazione delle risorse finanziarie, in ultima analisi di carattere pubblico, destinate alle banche per gli scopi citati. Assicura su tale punto il pieno coinvolgimento del Parlamento. Oltre alla trasparenza nella gestione delle risorse previste, un’ulteriore condizione per il salvataggio pubblico delle banche in crisi consiste nella correttezza e regolarità dei comportamenti da parte degli interessati.

2.2.2 Le variabili strategiche

Le imprese, in qualità di agenti attivi nel proprio contesto ambientale, anziché sottomettersi passivamente a determinate condizioni esterne, cercherebbero di modificarle attraverso l’adozione di comportamenti strategici in grado di vincolare le scelte dei concorrenti. Le determinanti strategiche del processo di ristrutturazione del sistema bancario sono da ricondurre a fattori di ordine aziendale, manageriale, organizzativo ed economico. Alle operazioni di crescita esterna sono attribuibili motivazioni strategiche diverse, a testimonianza del fatto che non esiste un unico modello di crescita, né che esiste una soglia dimensionale minima per sopravvivere sul mercato bancario.

Tali motivazioni possono risultare diverse da un’impresa all’altra in relazione alla storia passata, agli orientamenti seguiti dal management, alle competenze e alle risorse disponibili o

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acquistabili, alle condizioni dei rispettivi mercati di riferimento. Le motivazioni strategiche alla base di operazioni di fusione e acquisizione possono essere classificate nelle seguenti categorie (Llewellyn, 1999):

• Secular: frutto di comportamenti ripetuti nel tempo e di orientamenti tradizionali del percorso di sviluppo di una determinata imprese;

• Strategic: mirate all’acquisizione di un posizionamento strategico su nuovi mercati; • Defensive: orientate alla difesa delle quote di mercato;

• Crisis: volte a gestire situazioni di crisi;

• Catalyst: frutto di processi di aggregazione/catalizzazione condotti tipicamente su base locale;

• Herding: frutto di imitazione di scelte di altre imprese.

I risultati attesi dalle operazioni di concentrazione possono, a loro volta, essere ricondotti all’acquisizione di nuovi elementi di vantaggio competitivo o alla volontà di colmare gap di posizionamento (Forestieri, 2000), relativamente a uno o più dei seguenti aspetti:

• possibilità di accesso a nuovi mercati (come global player) • sviluppo di una cost leadership

• aumento della redditività

• aumento delle quote di mercato e del potere di fissazione dei prezzi • sviluppo di modelli di relationship banking

• diversificazione della gamma di offerta • miglioramento della qualità dell’attivo

• aumento del valore di mercato, grazie a una migliore combinazione di risorse e competenze specialistiche unitamente a economie di scala;

• più estesa e diffusa applicazione di competenze distintive.

L’assenza di una strategia razionale o coerente con l’ambiente esterno può sottintendere spiegazioni non razionali delle scelte strategiche di sviluppo intraprese dalle singole aziende27. Queste, infatti, potrebbero essere influenzate da “elementi soggettivi”, legati alle caratteristiche, alle conoscenze e al comportamento delle persone che compongono il vertice dell’impresa28.

I fattori soggettivi possono essere ricondotti a tre aspetti qualificanti il comportamento del management dell’imprese:

27

Focarelli, Panetta, Salleo, 1999.

28

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1) le competenze e le conoscenze acquisite: le capacità professionali e personali dei rispettivi

organi di governo strategico possono essere alla base delle differenti strategie impostate dalle imprese operanti in un medesimo mercato;

2) il sistema dei valori dominante, o “cultura organizzativa”: la cultura rappresenta l’insieme

di valori, di conoscenze, di simboli, di credenze, di atteggiamenti condivisi da un gruppo di individui che assumono valore normativo orientandone i comportamenti individuali o collettivi e le scelte in termini di strumenti e tecniche gestionali. Si impone quindi la ricerca di meccanismi organizzativi efficienti, di gestione e di controllo non solo del profilo tecnico ma anche di quello culturale e istituzionale dell’ambiente di riferimento, in qualità di fonte “sociale” della cultura organizzativa. Il comportamento dell’impresa risulta in effetti dominato da atteggiamenti ripetitivi, di routine, frutto anche dei successi e degli insuccessi delle esperienze passate e che costituiscono la “memoria organizzativa”29 dell’impresa stessa. La relazione impresa-ambiente si fonda quindi su un processo di apprendimento e di accumulo di esperienze. La relazione all’apprendimento mostrata dalle singole organizzazioni ne condiziona, in ultima istanza, il successo di mercato.

3) la coerenza della funzione obiettivo degli organi di governo e della proprietà dell’azienda: ossia valutare la compatibilità e la coerenza tra finalità individuale e obiettivi economici dell’organizzazione.

Non sempre fusioni e acquisizioni sono realizzate per motivazioni riconducibili al miglioramento della performance delle banche partecipanti e della creazione di ricchezza per i loro azionisti. Talvolta, F&A rispondono a finalità diverse, rientranti nella sfera degli interessi personali del management. La maggiore dimensione e l’accresciuto potere di mercato di una banca, infatti, permettono al management il conseguimento di benefici monetari consistenti in più elevati compensi e remunerazioni e, nello stesso tempo, di benefici non monetari o intangibili, relativi all’accrescimento di reputazione, prestigio e popolarità sia all’interno sia all’esterno di ambienti finanziari.

Il management mira al raggiungimento dei propri obiettivi in un arco temporale assai più breve rispetto a quello necessario al fisiologico sviluppo di un’impresa e, per questo motivo,

29

La memoria dell’organizzazione presenta un complesso di soluzioni a problemi che l’impresa ha dovuto affrontare nel passato e si articola su tre livelli:

1. individuale: rappresenta le conoscenze e l’esperienza dei singoli soggetti che operano all’interno dell’organizzazione e che ne condizionano le azioni e gli atteggiamenti sul lavoro.

2. collettivo: riguarda le conoscenze e le esperienze comuni e condivise dai soggetti che compongono una medesima organizzazione, si traducono in una uniforme interpretazione degli eventi (cosa fare?) e delle procedure (come fare?).

3. accentrata: ossia quella parte di memoria che viene accentrata dall’organizzazione e riprodotta in manuali, procedure, sistemi formalizzati, che riflettono un comune modello culturale.

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effettua F&A finalizzate esclusivamente alla repentina crescita dimensionale, prescindendo dalla convenienza economica delle stesse.

Facendo apparire l’acquisizione molto conveniente, o quantomeno necessaria, il management riesce ad accrescere la propria utilità, rinviando nel tempo la soluzione dei negativi riflessi scaturenti, in primo luogo, dal pagamento di un eccessivo prezzo per l’acquisizione e, in secondo luogo, dall’assenza di sinergie fra le banche coinvolte.

In proposito, il management ha maggiori possibilità di conseguire tali benefici allorquando sussistano deboli meccanismi di controllo interno, vale a dire in assenza di un’azionista o di un nucleo di azionisti di riferimento in grado di esercitare il pieno, efficace controllo sulla gestione bancaria. Va da sé che, nell’ipotesi di mercato pienamente efficiente dal punto di vista informativo, il management non riuscirebbe nel perseguimenti di interessi propri: le aspettative di riduzione della redditività futura dell’intermediario originato da F&A non profittevoli provocherebbero una riduzione nel valore dei titoli azionari delle banche partecipanti.

Non solo, il management potrebbe ricorrere a F&A per finalità protettive, vale a dire in risposta a takeovers ostili o per evitare alla propria banca di divenire potenziale target di altri intermediari. In questo caso, la crescita esterna costituisce una strategia difensiva contro tentativi di acquisizione da parte di soggetti non graditi. Anche in questo caso il management è spinto da motivazioni personali piuttosto che dalla volontà di salvaguardia degli interessi degli azionisti ed è consapevole che un’acquisizione ostile provocherebbe il ridimensionamento della propria posizione e, nell’ipotesi peggiore, l’uscita dalla società.

In uno studio del 1999, autori come Hadlock, Houston e Ryngaert hanno individuato talune ipotesi relative al legame fra incentivi del management e acquisizioni bancarie:

- La irrilevance hypothesis postula F&A attuate esclusivamente in ragione della sola convenienza economica senza che il management possa influenzare la conclusione di una concentrazione.

- La financial incentive hypotesis presuppone che il management detenendo significative quote azionarie della banca, accetti una proposta di F&A qualora il prezzo sia particolarmente attraente. In questa ipotesi, la probabilità di una banca di essere acquisita da un’altra è molto alta.

- Anche secondo l’entrenchment hypothesis il management possiede quote significative della banca gestita. Tuttavia, il medesimo non è intenzionato a cedere il controllo ed è pronto all’adozione di strategie difensive contro i tentativi di acquisizione da parte di terzi. Vi sono, quindi, ridotte probabilità che la banca diventi oggetto di acquisizione.

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- Infine, la discipline hypothesis sottintende acquisizioni motivate dalla volontà dell’acquirente di sostituire il management dell’acquisita incapace di gestire efficacemente l’attività. Sussistendo l’ipotesi in discorso, le banche con elevate quote azionarie detenute dal management avranno scarse probabilità di venire acquisite. In generale, la necessità di crescita in tempi assai rapidi per vanificare o, quantomeno, ostacolare il tentativo di acquisizione di un soggetto esterno spinge il management a realizzare una o più acquisizioni prescindendo dalla convenienza economica delle medesime. Di qui i riflessi negativi sulla redditività futura del nuovo intermediario.

Infine, vale rilevare la presenza di talune ipotesi sottostanti al ricorso al management a F&A: la hubris hypothesis e l’herd instinct hypothesis.

o La hubris hypothesis postula la “presunzione” degli amministratori dell’acquirente nel riuscire a sfruttare appieno le reali (ed inespresse) potenzialità dell’acquisita. Il management ritiene che la target bank sia sottovalutata dal prezzo e, per tale motivo, si prefigge l’acquisizione indipendentemente dal prezzo pagato che, il più delle volte, si rivela troppo elevato. Un eccessivo prezzo finisce per essere pagato altresì quando una banca è contesa da più intermediari, generando una sorta di asta fra gli offerenti. In entrambi i casi vengono commessi errori di valutazione ed il costo di acquisizione incide negativamente sul buon esito della medesima.

o L’herd instinct hypothesis postula F&A attuate a seguito di comportamenti imitativi30. Banche sottoposte alle medesime pressioni concorrenziali reagiscono adottando strategie analoghe alle concorrenti, reputando pericoloso non seguire il trend in atto nel settore.

Comportamenti imitativi, tuttavia, possono rivelarsi deleteri, soprattutto quando non sussistono prove oggettive circa la validità della strategia comunemente adottata. Non solo, la paura di rimanere indietro rispetto alla concorrenza potrebbe spingere talune banche ad effettuare concentrazioni prescindendo dalla loro convenienza economica, con i conseguenti, noti riflessi sul buon esito delle medesime.

Tutti i fattori ambientali in grado di influenzare i processi di M&A sono strettamente correlati con le determinanti strategiche: la struttura del processo produttivo e i modelli organizzativi adottati dalle imprese, rappresenterebbero il risultato di un processo di adattamento ad un sistema di variabili ambientali.

30

Lleewellyn D.T., Le concentrazioni nell’industria bancaria europea: tra ragioni economiche e luoghi comuni, Bancaria

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Attraverso il proprio comportamento, un’impresa o più imprese, che seguissero una logica cooperativa nell’impostazione delle proprie politiche concorrenziali, sarebbero in grado di influenzare a proprio vantaggio l’assetto e l’evoluzione di determinate variabili ambientali In questo senso, la strategia di crescita potrebbe rappresentare per gli intermediari una modalità per elevare barriere all’entrata di tipo strategico, attraverso l’acquisizione di vantaggi in termini di minori costi di produzione, maggiore efficienza e guadagno di potere di mercato.

2.3. Fusioni e acquisizioni (F&A)

La fusione genera il trasferimento della proprietà di un’impresa e può avvenire con modalità diverse:

• Fusione tra eguali: ossia tra banche aventi dimensione paragonabile, si arriva generalmente alla costituzione di una nuova entità societaria, le cui azioni vengono distribuite in concambio agli azionisti delle due banche coinvolte nell’operazione. Si riduce normalmente il capitale proprio impegnato nell’operazione e non si registra alcuna diluizione di utili, poiché nessun premio di maggioranza è riconosciuto alle controparti. I benefici economici dell’operazione (sinergie, vantaggi fiscali, incremento del potere di mercato, etc.) vengono capitalizzati nel valore di mercato della società risultante dalla fusione. I maggiori rischi di questa tipologia di aggregazione risiedono nelle difficoltà organizzative e gestionali correlate con il processo di integrazione tra i due soggetti coinvolti (problemi tecnici, organizzativi e spesso anche politici) che si presentano nella fase di realizzazione e di riordino delle strutture.

• Incorporazione: una banca offre proprie azioni in cambio del controllo della maggioranza o della totalità del capitale di un’altra banca. Tale scambio riduce notevolmente (o esclude) l’impegno di capitale nell’operazione. Viene a diluirsi il capitale della banca incorporante, la quale deve riconoscere un premio di maggioranza alla seconda per effetto dell’acquisizione del pacchetto di controllo. Il preludio dell’incorporazione è spesso l’acquisizione di partecipazioni di maggioranza.

• Fusione realizzata mediante la creazione di una società holding: ossia la creazione di una società finanziaria con funzioni di holding del pacchetto di maggioranza delle banche oggetto di integrazione. E’ per il tramite delle strutture direzionali costituite all’interno dell’holding che si potranno generare i benefici della concentrazione produttiva.

Un’operazione di M&A comporta decisioni significative in rapporto all’economia della singola azienda, relativamente alla sua posizione di mercato, ai mezzi di cui dispone per sostenerla, ai

Figura

Tab. 2.1 Le variabili incentivanti il processo di consolidamento bancario
Figura 2. 1– Ampiezza della diversificazione e gradi di controllo sulle attività

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