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CAPITOLO 2: LA RAPPRESENTANZA SINDACALE NEI LUOGHI DI LAVORO

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CAPITOLO 2: LA RAPPRESENTANZA SINDACALE

NEI LUOGHI DI LAVORO

Sommario: 2.1 La rappresentatività sindacale; 2.2 Assetto storico antecedente allo Statuto dei Lavoratori; 2.3 Lo Statuto dei Lavoratori: in particolare l’art. 19; 2.4 I primi problemi di legittimità costituzionale dell’art. 19 St. Lav. sollevati dai pretori e il loro rigetto da parte della Corte Costituzionale; 2.5 La rimessione dell’art. 19 da parte del pretore di La Spezia alla Corte Costituzionale e la riconferma della sua costituzionalità; 2.6 L’esclusione delle associazioni carenti dei requisiti contemplati nell’art. 19 dall’accesso alla legislazione di sostegno; 2.7 L’art.19 dello Statuto dei Lavoratori e i referendum del 1995; 2.8 Gli effetti del referendum: la nuova norma lederebbe l’autonomia dei soggetti collettivi.

2.1 La rappresentatività sindacale

Nei sistemi democratici moderni la collettività partecipa alla gestione del potere attraverso il meccanismo della rappresentanza.

La “rappresentanza” è una nozione di diritto comune in base alla quale si forma ed è espressa da un soggetto diverso da quello a cui gli effetti giuridici dell’atto compiuto sono immediatamente imputabili.

Il concetto di “rappresentatività sindacale” è invece un concetto sociologico con il quale si intende la capacità effettiva di un sindacato di tutelare gli interessi collettivi che decide di rappresentare. Si tratta comunque di un concetto che acquista rilevanza solo in un sistema

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caratterizzato dal cosiddetto pluralismo sindacale in quanto solo in un contesto del genere si pone il problema di selezionare i sindacati più rappresentativi. La funzione di selezione e disciplina del loro potere di rappresentazione spetta alla legge. Nell’adempiere a tale funzione il legislatore però non è completamente libero, ma deve necessariamente tener conto del consenso dei lavoratori rappresentati. A parte quest’ultimo punto in comune, si ritiene, tuttavia, che la rappresentatività è assolutamente diversa dalla rappresentanza volontaria in quanto il sindacato agisce in nome proprio e per l’interesse collettivo, che non coincide con l’interesse dei suoi singoli membri40.

Quindi, in sostanza, il sindacato rappresentativo è quello che riesce ad unificare i comportamenti dei lavoratori in modo tale che essi operino come gruppo e non ognuno in base alle proprie scelte.

In ogni caso, non è facile individuare i criteri per selezionare i sindacati più rappresentativi. Fino agli anni ’90 le espressioni utilizzate dal legislatore per selezionarli sono state quelle di “sindacati maggiormente rappresentativi” o di “confederazioni maggiormente rappresentative” o simili41. Si tratta di termini indicati al plurale in quanto in un ordinamento come il nostro, caratterizzato dal pluralismo sindacale, non si sono mai affermate rappresentatività esclusive. Il criterio riassunto in queste espressioni implica un giudizio di rappresentatività definita storica in quanto, nel momento in cui è stato approvato lo Statuto dei lavoratori, la storia e la realtà del sindacalismo italiano era una realtà e una storia di confederazioni, e

40

G. BELLINI, La rappresentatività sindacale in

http://www.altalex.com/index.php?idnot=37383, 3 luglio 2007. 41

Prima dell’abrogazione di tali termini da parte del referendum del ’95 nell’art. 19 St. Lav.

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proprio per questo il criterio storico è designato anche come criterio della rappresentatività presunta, si presumeva infatti la “maggiore ed effettiva rappresentatività” delle tre Confederazioni storiche, la CGIL, la CISL e la UIL42. Questa rappresenta il primo dei due livelli di rappresentatività previsti dalla legge n. 902/1977 la quale ripartisce il 93% del patrimonio dei disciolti sindacati fascisti a tali organizzazioni, mentre il restante 7% sarebbe andato agli altri sindacati, rappresentativi sì, ma di secondo livello in quanto dovevano dimostrare la propria rappresentatività sulla base di determinati criteri quali: la consistenza numerica degli associati, ampiezza e diffusione delle strutture organizzative, partecipazione alla formazione e stipulazione di contratti collettivi; effettiva partecipazione nelle controversie di lavoro. Si tratta comunque di criteri ricavati per approssimazione43.

Il legislatore44, a partire dalla metà degli anni ’90, ha elaborato la nuova nozione di “sindacato comparativamente più rappresentativo”, la quale diventa rilevante in tutti quei casi in cui il legislatore demanda alla contrattazione collettiva specifiche funzioni, quando è necessario individuare, in caso di concorrenza tra più contratti collettivi, quello abilitato all’attuazione della delega. In questi casi infatti si applicano i contratti collettivi che sono stipulati dai sindacati che, paragonati con

42

G. GIUGNI, Diritto Sindacale, cit., p. 64. 43

G. GHEZZI - U. ROMAGNOLI, op. cit., p. 79. 44

Cfr art. 2, co. 25, l. 28 dicembre 1995, n. 549.: “L'articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro

comparativamente più rappresentative nella categoria.”;

Cfr art. 1, co. 2, lettera a), l. 24 giugno 1997, n. 196.: “Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo può essere concluso: a) nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell'impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.”

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gli altri, risultano più rappresentativi secondo gli indici della consistenza numerica, diffusione territoriale, partecipazione effettiva alla contrattazione collettiva con carattere di continuità e sistematicità. In altri ulteriori casi, solo i sindacati comparativamente più rappresentativi, individuati sulla base dei precedenti criteri, sono obbligati ad integrare la regolamentazione legale di alcuni istituti del rapporto di lavoro45.

Il riferimento alla nozione di rappresentatività comparativa trova originariamente la sua giustificazione nel fatto di aver stipulato, per alcune professioni emergenti, da parte di alcune sigle sindacali poco conosciute, contratti collettivi nazionali, definiti contratti collettivi “pirata”, che prevedono trattamenti economici e normativi per i lavoratori inferiori rispetto alla norma. E per contrastare questo fenomeno ed evitare l’affermarsi di sindacati disposti a contrattare “al ribasso” è stato appunto necessario procedere ad una ridefinizione della nozione legislativa di rappresentatività sindacale46.

2.2 Assetto storico antecedente allo Statuto dei Lavoratori

Lo Statuto dei lavoratori rappresenta lo spartiacque con cui si dà, per la prima volta, riconoscimento normativo alla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, nel contesto di un disegno generale di promozione dell’attività sindacale nell’impresa e di garanzia della libertà sindacale. Il principio della libertà d’organizzazione sindacale era stato costituzionalizzato nel 1948, ma fino agli anni ’60 inoltrati esso rimaneva lettera morta, il sindacato era totalmente escluso dalle

45

M. PERSIANI, Diritto Sindacale, Cedam, Padova, 2003, nona edizione, p. 78. 46

L. GALANTINO, Diritto Sindacale, Giappichelli, Torino, 2006, quattordicesima edizione, p. 36.

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imprese. In primo luogo, una delle ragioni di tale esclusione sta nel fatto che di solito i negoziati collettivi si svolgevano a livello territoriale e per ramo di attività economica; la contrattazione a livello d’impresa o non si svolgeva o avveniva in maniera clandestina. Inoltre dominava un’interpretazione riduttiva del primo comma dell’art. 39 Cost. in base alla quale la libertà sindacale veniva considerata più come diritto individuale di iscriversi o non al sindacato che come diritto di quest’ultimo di esercitare la sua azione nell’impresa. Infine, la ragione più importante è caratterizzata dalla presenza all’interno dell’impresa, prima dell’entrata in vigore dello Statuto, di un organismo a base elettiva, sganciato da ogni riferimento all’associazione sindacale esterna, con funzioni di rappresentanza dell’intero personale nei confronti dell’imprenditore, la cosiddetta Commissione Interna47. Quest’ultima era un prodotto dell’autonomia negoziale collettiva, trova infatti disciplina negli accordi interconfederali stipulati tra le Confederazioni dei lavoratori e la Confindustria nel 1947, nel 1953 e, per ultimo, nel 1966. La Commissione Interna era eletta in tutte le imprese industriali con almeno quaranta dipendenti. La consultazione elettorale si svolgeva secondo il sistema proporzionale, con voto diretto e segreto. Restava in carica due anni e aveva funzioni propositive, consultive e conciliative. Era esclusa dalla competenza contrattuale a livello di azienda, ma nonostante ciò, la sua attività contrattuale fu intensa, anzi essa ha spianato la strada alla contrattazione collettiva aziendale. Le Commissioni Interne, mai regolate dalla legge, vivono anche dopo l’emanazione dello Statuto dei lavoratori dove vengono affidate loro funzioni di contropotere sindacale nell’impresa, ma solo in caso di mancata costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali. Il vuoto

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di rappresentanza sindacale dei lavoratori nelle aziende non fu riempito nemmeno con la costituzione delle sezioni sindacali aziendali, nate per iniziativa della CISL. Si trattava di una forma organizzativa che rigettava il meccanismo di rappresentanza di tipo elettivo delle commissioni interne, per basarsi sul principio della rappresentanza associativa. Erano stato concepite come alternativa alle commissioni interne. Ebbero però poca diffusione, così da non raggiungere quest’ultimo obiettivo. La svolta si ebbe nel biennio 1968/1969, caratterizzati da intense lotte sindacali, nel corso dei quali nacque una nuova forma di rappresentanza dei lavoratori: i delegati. Si trattava di soggetti rappresentativi dei lavoratori appartenenti ad uno stesso “gruppo omogeneo”, cioè dei lavoratori che operavano nel medesimo settore produttivo (o reparto), che avevano quindi una solida comunanza di interessi. Il delegato era eletto dai lavoratori del “gruppo”, quindi non necessariamente era espressione di un sindacato, anzi inizialmente nacque in aperta contestazione del sindacalismo tradizionale, ma con il tempo il sindacato fece propria tale forma di rappresentanza. I delegati di una determinata unità produttiva si riunivano poi nel Consiglio di fabbrica (o dei delegati) , che si diffuse inizialmente nel settore industriale e poi, a seguito del patto federativo48, anche nei settori non industriali. Il patto federativo riconosceva i consigli di fabbrica come struttura di base del sindacato, oltre ad attribuirgli, nell’ambito della contrattazione collettiva, i diritti e i poteri delle rappresentanze sindacali aziendali. Con la rottura del patto federativo nel 1984 i consigli di fabbrica declinarono gradatamente.

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Il Patto federativo fu stipulato il 3 luglio del 1972 tra CGIL, CISL e UIL per soddisfare le esigenze di unità sindacale affiorate durante gli anni ’60.

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La scelta del legislatore del 1970 deriva dal contesto socio-politico di riferimento. Si tratta degli anni ’60, gli anni della contestazione che prende le mosse dalla aule universitarie fino alle fabbriche; essa travolge non solo i padroni e lo stato, ma anche il sindacato diventato ormai una struttura burocratizzata ed oligarchica, non più rappresentativa dei reali interessi dei lavoratori. Sono gli anni caratterizzati dalla cosiddetta controffensiva padronale, il movimento operaio fu messo alle strette, dissolvendosi tutto il potere che era riuscito ad ottenere all’interno dei luoghi di lavoro. Di fronte a ciò il sindacato maggioritario reagì e al Congresso di Napoli del 1952, Giuseppe Di Vittorio, segretario della CGIL, chiese l’emanazione di uno “Statuto dei diritti dei lavoratori” idoneo a garantire il rispetto delle libertà costituzionali negli ambienti di lavoro. Come affermò Di Vittorio, si tratta di concretizzare l’esercizio dei diritti fondamentali, da parte dei prestatori di lavoro, nelle imprese, inibendo ciò che lo impediscono49.L’impegno a realizzare lo statuto dei lavoratori emerge per la prima volta nei programmi del governo guidato da Aldo Moro nel 1963, ma solo nel giugno del 1969 il progetto iniziò il proprio iter parlamentare, tenendo conto della sopravvenuta situazione sociale e sindacale. Con riferimento al modello di rappresentanza da costruire le alternative erano due: una affidava la rappresentanza dei lavoratori nell’impresa a coalizioni spontanee scelte dai lavoratori stessi, oppure ad organismi elettivi dei lavoratori, entrambe al di fuori di ogni collegamento con le organizzazioni sindacali esterne all’impresa. L’altra, su cui la scelta del legislatore statutario cadde, prevedeva una rappresentanza collegata al sindacato esterno50.

49

G. F. MANCINI, Lo statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969 in

POLITICA DEL DIRITTO, 1970, p. 58.

50

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Lo Statuto dei lavoratori però è una legge di sostegno dell’attività sindacale, non di regolamentazione della rappresentanza nei luoghi di lavoro, e con l’art. 19 St. Lav. il legislatore si limita ad identificare le rappresentanze sindacali aziendali titolari dei diritti sindacali disciplinati al titolo III dello Statuto. Inoltre nel 1970 continuavano ad operare le vecchie Commissioni interne, e in alcune aziende, le sezioni sindacali aziendali; in altre invece stavano nascendo i delegati con i relativi Consigli. In tale situazione, la scelta per l’una o per l’altra struttura di rappresentanza avrebbe rischiato di confliggere con la realtà, limitando l’effettività della legge51.

2.3 Lo Statuto dei Lavoratori: in particolare l’art. 19

Con l’art. 19 si apre il titolo III dello Statuto dei Lavoratori dedicato all’attività sindacale nei luoghi di lavoro. Questa norma rappresenta il primo intervento del legislatore in materia di rappresentanza sindacale oltre a costituire la porta d’ingresso a quella parte dello Statuto definita “promozionale” o “incentivante” delle strutture aziendali all’interno delle imprese52

. Con essa ci si distacca totalmente dall’atteggiamento neutrale che il legislatore aveva avuto fino ad allora nei confronti dell’autonomia collettiva dopo l’entrata in vigore della Costituzione. In particolare, con tale intervento il legislatore ha voluto assicurare un sostegno legislativo all’azione sindacale, e non regolamentare dettagliatamente l’attività dei sindacati, in quanto ciò sarebbe stato contrastante con il principio della libertà sindacale

51

G. GIUGNI, Diritto Sindacale, cit., p. 81. 52

G. F. MANCINI, Lo statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969, cit., p. 59.

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disciplinato dall’art. 39 Cost.53

Come ha affermato Giugni54, lo scopo del legislatore del 1970 era quello di tutelare e garantire quest’ultimo principio attraverso la libertà di azione sindacale, e per realizzare in modo efficace questa tutela era necessario circoscrivere il potere direttivo dell’imprenditore e attribuire al sindacato importanti poteri, quali ad esempio l’assemblea, il referendum, i permessi retribuiti. E proprio nel titolo III St. Lav. vengono assicurati questi diritti sindacali; si tratta di norme di particolare favore volte ad assecondare l’esercizio dell’attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro.

Mancini55 indica come probabile modello di riferimento di questa parte dello Statuto la legge francese 27 dicembre 1968. Entrambi i provvedimenti derivano infatti dalle tensioni sociali che si sono avute negli anni ’68-’69. Comune è anche la tecnica legislativa utilizzata: la legge francese riproduce gli accordi di Grenoble del 196856, mentre questa parte dello Statuto ricalca il contratto nazionale nel settore metalmeccanico, che ha operato come modello per la contrattazione negli altri settori.

All’inizio del titolo III è posto l’art. 19 il quale indica i soggetti titolari dei diritti sanciti all’interno di esso.

La versione originaria dell’art. 19 St. Lav.57

stabiliva, al primo comma, che:

53

G. GIUGNI - P. CURZIO (a cura di), Sub art. (19) in Comm. dello statuto dei lavoratori, Giuffrè, Milano, 1979, p. 304.

54 Ibidem 55

G. F. MANCINI, Lo Statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969, cit., p. 64; G. STORCHI, Rappresentanze sindacali aziendali e libertà di organizzazione

nello Statuto dei lavoratori in RIV. TRIM. DIR. e PROC. CIV., 1971, p. 353.

56

Tali accordi furono stipulati tra le rappresentanze sindacali dei lavoratori e quelle dei datori con lo scopo di concludere le lotte rivendicative.

57

Prima della modifica apportata dal referendum nel 1995, il quale ha parzialmente abrogato la norma. Infra capitolo 2.7

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“Le rappresentanze sindacali aziendali58

possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva59, nell’ambito: a) delle

associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente

rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.”

Il motivo per il quale il legislatore ha scelto questi due criteri di rappresentatività è di natura pratica, infatti nel momento in cui si decide di stabilire una serie di benefici a determinati soggetti, è necessario prevedere requisiti minimi di rappresentatività idonei ad individuare quali rappresentanze sindacali aziendali possiedono effettività rappresentativa ed evitare quelle situazioni dannose che si sarebbero potute produrre, come ha precisato anche la stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 54/ 197460.

Il punto a) ha lo scopo di individuare il tipo d’associazione sindacale idonea ad assicurare l’effettività dell’autotutela professionale nell’ambito aziendale. Il criterio dell’individuazione è quello della “maggiore rappresentatività”, il quale si riferisce alle confederazioni a cui aderiscono i sindacati. Si tratta di un criterio che ha natura “storica” in quanto legato al dato storico e sociologico del sindacalismo italiano. Con ciò, a primo impatto, si deduce che il legislatore abbia voluto sostenere il monopolio delle potenze confederali; in realtà non è stato così. I due aspetti della rappresentatività che traggono la loro esistenza dal fatto che un

58

Freni e Giugni definiscono la “rappresentanza sindacale aziendale” come qualunque tipo di organizzazione con cui il sindacato è presente in azienda.

59

Cfr l’art. 35 St. Lav. in base al quale le disposizioni del titolo III si applicano in ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti, e nelle imprese agricole con più di 5 dipendenti.

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sindacato aderisca ad una confederazione maggiormente rappresentativa sono: l’esercizio responsabile della sua autonomia organizzativa e la sua genuinità. Con riferimento al primo aspetto, in Italia vige una assoluta libertà di inquadramento, infatti è lo stesso sindacato che va a determinare la sfera dei soggetti per la cui tutela si costituisce. Quindi il riferimento della rappresentatività alle confederazioni ha soltanto lo scopo di assicurare ai lavoratori di essere rappresentati da sindacati che abbiano usato la loro libertà di inquadramento in modo serio. Gli statuti confederali infatti possiedono una vero e proprio “piano delle categorie” che escludono l’organizzazione di gruppi frammentari o fittizi. Il sindacato non ha l’obbligo di adeguarsi a tale piano, ma quello che vi si conforma dimostra la propria serietà d’impianto e merita quindi maggiore fiducia. Riguardo il secondo aspetto, l’appartenenza alla confederazione maggiormente rappresentativa consente al sindacato, eventualmente debole, di acquisire la forza che gli manca61.

Problemi rilevanti derivanti dall’applicazione della norma nella sua formulazione originaria, fin da subito, hanno riguardato la nozione di “sindacato maggiormente rappresentativo”, provocando un ampio dibattito in dottrina e un’intensa elaborazione giurisprudenziale. A seguito anche della sentenza della Corte Costituzionale del 1974, la giurisprudenza ha successivamente affermato62 che l’avverbio “maggiormente” non implica un giudizio di comparazione fra le diverse confederazioni, ma di effettività. Le confederazioni devono essere “grandemente” o “ampiamente” rappresentative. Se vi fosse stato un giudizio di comparazione, si sarebbe previsto un privilegio a

61

G. F. MANCINI, Sub art. (19) in Comm. dello statuto dei lavoratori, U. ROMAGNOLI – L. MONTUSCHI – G. GHEZZI - G. F. MANCINI (a cura di), Zanichelli, Bologna, 1972, p. 324.

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favore di quelle confederazioni che hanno acquisito un’espansione ed una forza superiore a tutte le altre, consentendo soltanto a loro di recepire, tramite le associazioni ad esse affiliate, le rappresentanze aziendali63. Da qui vi è sorta l’esigenza di specificare i criteri o indici della maggiore rappresentatività, assenti nell’art. 19 St. Lav. Inizialmente si riteneva sufficiente il solo dato della consistenza numerica. Giugni64 e Grandi65 però confermano l’opinione ormai prevalente in base alla quale talvolta l’accertamento della consistenza numerica di una confederazione appare difficile e complesso. In tal modo sono stati così elaborati ulteriori criteri, insieme a quello della consistenza numerica. Il primo fra questi è quello dell’equilibrata consistenza associativa su tutto l’arco delle categorie che la confederazione intende tutelare. La presenza di questo requisito è giustificata dal fatto che l’art. 19 fa riferimento alle confederazioni, e non alle associazioni di categoria; la confederazione, per essere rappresentativa deve quindi avere un’adeguata estensione sia in senso settoriale che territoriale. Oltre a questo aspetto strutturale è però necessario prendere in considerazione anche l’aspetto dinamico dell’organizzazione sindacale; in tal modo si giunge all’altro criterio, quello dell’attività contrattuale e di autotutela degli interessi, la quale dovrà essere anch’essa condotta con continuità, sistematicità ed equilibrata diffusione verticale e orizzontale.

L’ipotesi b) considera rappresentative anche quelle associazioni sindacali non affiliate alle confederazioni del punto a), ma che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva. La natura del criterio al punto b) è

63

L. GALANTINO, op. cit., p. 51. 64

G. GIUGNI – P. CURZIO, op. cit., p. 315. 65

M. GRANDI, Rappresentatività e rappresentanza sindacale in L. R. SANSEVERINO – G. MAZZONI (diretto da), Nuovo trattato di diritto del lavoro, Cedam, Padova, 1971, p. 133.

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quindi strettamente “tecnica” in quanto implica la verifica di dati di ordine giuridico precisi. Si tratta di un criterio alternativo e temperato a quello previsto nel punto a), considerato troppo restrittivo, infatti esso ha il compito di far rientrare in quella che è stata definita “area del privilegio” il complesso mondo dei sindacati autonomi a struttura territoriale che hanno una rilevante importanza soprattutto nel settore dei servizi66. Sono esclusi quindi quei sindacati firmatari di contratti collettivi “aziendali” per evitare incentivi alla disgregazione sindacale, confermando così il principio in base al quale il sindacato effettivo e rappresentativo è il sindacato presente a livello extra-aziendale. Inoltre, secondo la tesi ormai prevalente67, rientrano nelle ipotesi previste dalla lettera b) anche le organizzazioni sindacali affiliate a confederazioni non rappresentative, ma firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva in quanto il punto b), come si è detto, ha lo scopo di temperare il rigido principio contenuto nel punto a) e di rappresentare una fattispecie alternativa ad esso. Grandi68 e Mancini69 negano invece tale possibilità in quanto, a parer loro, la disposizione si riferisce soltanto ai sindacati autonomi, cioè non affiliati alle confederazioni nazionali. Infine, le associazioni sindacali, per poter costituire rappresentanze sindacali aziendali in base al punto b), devono essere “firmatarie”, cioè devono aver partecipato allo spinoso processo di formazione del contratto collettivo, escludendo in tal modo tutte quelle associazioni che concludono contratti collettivi attraverso il meccanismo dell’

66

M. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, Franco Angeli, Milano, 1976, p. 100.

67

G. GIUGNI – P. CURZIO, op. cit., p. 319; C. ASSANTI – G. PERA (a cura di),

Sub art. (19) in Comm. dello statuto dei lavoratori, Cedam, Padova, 1972, p. 242;

A. CESSARI, Sub art. (19) in Comm. dello statuto dei lavoratori, UBALDO PROSPERETTI (diretto da), Giuffrè, Milano, 1975, p. 650.

68

M. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., p. 101. 69

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“adesione successiva”, vale a dire quelle che sottoscrivono, in separata sede e in un momento successivo al suo procedimento formativo, il testo contrattuale.

Nella versione definitiva dell’art. 19 St. Lav. entrata in vigore nel 197070, si stabilisce che le rappresentanze sindacali aziendali devono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori di ogni unità produttiva, e che tale iniziativa confluisca nell’ambito delle associazioni sindacali di cui alle lettere a) e b). Non prevedendo però le modalità di tale procedura, essa è rimessa all’autonomia organizzativa del sindacato. Se il legislatore le avesse invece predeterminate, ciò sarebbe stato in contrasto con la libertà di organizzazione sindacale costituzionale. Secondo Cessari71 l’iniziativa della designazione spetta si ai lavoratori, ma attribuisce ai sindacati un diritto d’accettazione condizionante ai fini del perfezionamento e della efficacia della nomina.

La rappresentanza sindacale aziendale può essere costituita anche ad iniziativa di un solo lavoratore, purché sussista il riconoscimento dell’associazione interessata, consentendo in tal modo l’accesso del sindacato anche nelle unità di lavoro minori.

Con riferimento ai rapporti di questi organismi con l’imprenditore, non esiste nessun obbligo di comunicare a quest’ultimo l’avvenuta costituzione delle rappresentanze sindacali. Le rappresentanze sindacali aziendali entreranno in contatto con l’imprenditore solo per esercitare il loro mandato e pretendere quindi di far valere i poteri che le competono, come la richiesta di permessi, o la designazione dei

70

L’art. 11 del disegno di legge n. 738 stabiliva invece che l’iniziativa della costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali spettasse alle associazioni sindacali.

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dirigenti. A parte queste ipotesi e quelle eventualmente previste dai contratti collettivi, non sussistono ulteriori obblighi di comunicazione. La norma in esame è stata oggetto di vari dibattiti. Tra i primi di essi vi rientra quello relativo alla sua natura giuridica. Alcuni autori72 sostengono la natura “permissiva” di essa, cioè la norma consente la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali solo nell’ambito delle associazioni sindacali indicate nelle sue lettere a) e b). Pera con tale argomentazione, critica quella di Giugni73, affermando l’idea che una limitazione quantitativa è necessaria per evitare un numero eccessivo di lavoratori con poteri rappresentativi e conseguente immunità smisurata. La tesi della natura permissiva è ormai superata, affermandosi fermamente il carattere “definitorio”74 dell’art. 19, la cui funzione è quella di delimitare il campo di applicazione del titolo III dello Statuto prevedendo che i titolari dei diritti sindacali in esso previsti possono essere solo le rappresentanze sindacali aziendali costituite nell’ambito delle organizzazioni rappresentative in esso specificate. Sarebbe contrastante con l’art. 1475 St. Lav. limitare la libertà di costituzione di rappresentanze sindacali aziendali solo a determinati soggetti prestabiliti. E’ proprio sull’espressione “possono” che è nato l’equivoco relativo alla natura giuridica della norma. Il legislatore infatti, anziché ricorrere ad una locuzione apparentemente

permissiva, doveva utilizzare una formula idonea a stabilire soltanto il

campo di applicazione delle norme del titolo III dello Statuto dei

72

G. PERA, Interrogativi sullo statuto dei lavoratori in LD, 1970, p. 211. 73

Infra 74

A. FRENI – G. GIUGNI, Sub art. (19) in Comm. dello statuto dei lavoratori, Giuffrè, Milano, 1971, p. 78. La natura definitoria della norma in esame è ormai acquisita dalla maggior parte della dottrina, v. G. F. MANCINI, Sub art. (19), cit., p. 307; v. ASSANTI - PERA, op. cit., p. 232.

75

Cfr art. 14 St. Lav.: “Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro.”

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Lavoratori76. Espressione che, inoltre, era assente nell’art. 11 del disegno di legge dello Statuto, il n. 738, e che è stata introdotta dalla X commissione del Senato durante una revisione volta a migliorare le garanzie della libertà di associazione sindacale.

Per di più, la tesi permissiva è contrastante anche con le due relazioni rese durante la seduta in Camera dei deputati il 14 maggio 1970 da parte dell’ On. Vincenzo Mancini e del Ministro del Lavoro On. Carlo Donat-Cattin77.

Il legislatore ha dovuto stabilire criteri di rappresentatività del sindacato per evitare che i sindacati privi del requisito di effettiva rappresentatività vadano a beneficiare delle agevolazioni previste dallo Statuto, di cui in realtà non possono giovarsi78.

Inoltre Giuseppe Federico Mancini79 è andato a definire l’articolo in esame come prima proposizione grammaticale di una lunga norma che include gli artt. 4, 6, 18, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 27 e 29: si tratta di proposizioni che conferiscono solo alle rappresentanze sindacali aziendali precisate nella proposizione d’apertura importanti benefici. Quindi affermare il carattere definitorio dell’articolo vuole avere soltanto lo scopo di evitare una critica paradossale, e non di togliere di mezzo la questione della sua incostituzionalità. In realtà, per Cessari80, l’art. 19 costituisce solamente il presupposto per potersi avvalere dei benefici previsti dalle altre norme.

76 A. FRENI – G. GIUGNI, op. cit., p. 78. 77

L’On. Mancini afferma che l’art. 19 St. Lav. mira soprattutto ad individuare i sindacati beneficiari della nuova disciplina contenuta nello Statuto dei Lavoratori che abbiano il requisito dell’effettiva rappresentatività, per evitare che le associazioni sindacali occasionali, con la loro esistenza, lo vadano a pregiudicare. Il Ministro del lavoro Donat-Cattin conferma la conformità dell’art. 19 St. Lav. alla Costituzione, avallando il parere espresso dalla Commissione affari costituzionali. 78

A. FRENI – G. GIUGNI, op. cit., p. 82. 79

G. F. MANCINI, Sub art. (19), cit., p. 307. 80

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2.4 I primi problemi di legittimità costituzionale dell’art.19 St. lav. sollevati dai pretori e il loro rigetto da parte della Corte Costituzionale

La discussione più delicata si svolse soprattutto sulla questione della costituzionalità dell’art. 19 St. Lav. In particolare, la Corte Costituzionale, sollecitata da numerose ordinanze di rimessione81, viene chiamata a pronunciarsi, con sentenza 6 marzo 1974, n. 54 sulla conformità della norma in esame a tre principi fondamentali della Costituzione: a) al primo comma dell’art. 39 Cost., b) ai commi II e IV dell’art. 39 Cost. e c) al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.

Il primo principio costituzionale che i pretori ritengono leso è quello della libertà sindacale (art. 39, comma 1, Cost.) in quanto affermano che l’art. 19 St. Lav. collochi in una posizione di privilegio alcune organizzazioni sindacali, andandogli ad assegnare soltanto ad esse i poteri sindacali esercitabili all’interno dei luoghi di lavoro. Per di più, la norma risulta essere caratterizzata da una condizione giuridica “chiusa”, tale da realizzare una sorta di “monopolio rappresentativo” per quei sindacati aventi i requisiti richiesti dai primi due commi, escludendo in tal modo gli altri sindacati che non riescono a

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Il problema della costituzionalità fu sollevato dalle seguenti ordinanze: Pretura di Milano, 14 novembre 1970, in Gazz. Uff., 24 marzo 1971, n. 74; Pretura di Pompei, 7 luglio 1971, in Gazz. Uff., 1 dicembre 1971, n. 304; Pretura di Roma, 4 agosto 1971, in Gazz. Uff., 9 dicembre 1971, n. 311; Pretura di Bressanone, 4 ottobre 1971, in Gazz. Uff, 5 gennaio 1972, n. 4; Pretura di Padova, 20 settembre 1971, in Gazz.

Uff., 26 gennaio 1972, n. 23; Pretura di Torino, 8 ottobre 1971, in Gazz. Uff., 9

febbraio 1972; Tribunale di Pavia, 17 febbraio 1972, in Gazz. Uff., 26 aprile 1972; Pretura di Torino, 26 febbraio 1972, in Gazz. Uff., 12 luglio 1972, n. 180; Pretura di Trinitapoli, 22 febbraio 1972, in Gazz. Uff., 21 febbraio 1973, n. 48; Pretura di Oristano, 10 novembre 1972, in Gazz. Uff., 28 marzo 1973, n. 81; Tribunale di Milano, 2 febbraio 1973, in Gazz. Uff., 8 agosto 1973, n. 205.

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raggiungere la soglia di rappresentatività dalla zona del privilegio, considerato che essa è quasi totalmente occupata da quelli considerati rappresentativi82, quindi mirante a mantenere i rapporti di forza esistenti tra le organizzazioni sindacali.

Di fronte a questi attacchi si afferma che essi amplifichino nella portata dei privilegi attribuiti alle rappresentanze sindacali aziendali. Infatti all’interno dello Statuto sussistono ulteriori diritti relativi all’attività sindacale per il quale esercizio non è necessario possedere i requisiti previsti all’art. 19, quali quelli previsti all’art. 983, all’art. 1184, all’art. 2685 e all’art. 2886. In realtà l’area di iniziativa dei sindacati è piuttosto vasta, essi contrattano, organizzano scioperi, sono presenti nelle commissioni interne ecc., ed è proprio grazie alla modalità di adempimento a questi compiti che i sindacati si sviluppano o regrediscono, senza necessità di attribuire alcun merito, o causa, alla legislazione di sostegno entrata in vigore nel 197087.

82

G. GIUGNI – P. CURZIO, op. cit., p. 307. 83

Cfr art. 9 St. Lav.: “I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.”

84

Cfr art. 11 St. Lav.: “Le attività culturali, ricreative ed assistenziali promosse nell'azienda sono gestite da organismi formati a maggioranza dai rappresentanti dei lavoratori.”

85

Cfr art. 26 St. Lav.: “I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale.” 86

Cfr art. 28 St. Lav.: “Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il tribunale in composizione monocratica del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.”

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Inoltre, è stato sottolineato che la zona “promozionale” non rimane “chiusa” in se stessa in quanto il legislatore ha garantito tutte le condizioni oggettive di base per far sì che qualsiasi organizzazione, avente le necessarie qualità (deve essere cioè ben guidata, genuina ed efficiente), possa rafforzarsi e divenire titolare dei privilegi destinati ai sindacati sub a) e b). A dimostrazione di ciò che è stato appena detto sussistono alcuni diritti, quali, il diritto di costituire nuovi sindacati, di aderirvi o di svolgere attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro (art. 14 St. Lav.); il diritto di essere tutelati contro gli atti discriminatori che l’imprenditore pone in essere (art. 15 St. Lav.); il diritto di raccogliere contributi e di svolgere attività di proselitismo (I comma, art. 26 St. Lav.)88.

Per i pretori, l’art. 19 sarebbe contrastante anche con i commi II e IV dell’art. 39 Cost. Queste norme infatti già definiscono, in via generale, il problema della rappresentatività dei sindacati attraverso un meccanismo89 che realizza una concezione egualitaria dei sindacati perché grazie a tale congegno ogni sindacato, solo per il fatto di esistere, ha il diritto di essere rappresentato in proporzione ai propri iscritti.

La costituzionalità dell’art. 19 è, anche in questo caso, difesa in quanto le norme costituzionali non hanno portata generale, considerato che lo scopo del costituente, attraverso tale modello sindacale, era soltanto quello di attribuire alle categorie una disciplina contrattuale uniforme. In tal modo, è consentito, e non contrastante con la Costituzione, la possibilità per il legislatore ordinario di utilizzare una nozione diversa di rappresentatività.

88

Ibidem 89

Grazie a tale meccanismo i sindacati registrati possono formare una rappresentanza unitaria in proporzione dei loro iscritti.

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Infine, l’art. 19 contrasterebbe anche con il principio di uguaglianza sancito all’art. 3 Cost. La posizione privilegiata riconosciuta ad un’associazione comporta il rafforzamento della sua attività e potenza rispetto alle altre non privilegiate, oltre a poter rappresentare un incentivo per i singoli ad aderire alla prima. Questo contrasto riguarda l’utilizzo del criterio della maggiore rappresentatività. Una critica del genere si interessa di distinguere il titolo III dello Statuto dalla ricca legislazione sulla partecipazione dei sindacati alla pubblica amministrazione, infatti nella seconda la discriminazione è giustificata in quanto il sindacato in questo caso non viene preso in considerazione per se stesso ma come mezzo per individuare un interesse più ampio e quindi esso è rilevante come “espressione politica” della categoria o della classe lavoratrice. Invece l’uso della maggiore rappresentatività, nell’art. 19 St. Lav., ha lo scopo di individuare le associazioni sindacali destinatarie dei diritti previsti nel titolo III e quindi l’attività sindacale di quelle associazioni risulterebbe privilegiata rispetto alle altre, realizzando così una discriminazione ingiustificata. Per Giugni90 però il criterio della maggiore rappresentatività non contrasta con l’art. 3 Cost. né nella disciplina sulla partecipazione del sindacato alla pubblica amministrazione, né nell’art. 19. Tale criterio per essere incostituzionale dovrebbe essere frutto di una scelta arbitraria, ciò che però non avviene nell’art. 19, in quanto la scelta del legislatore si fonda su una corretta valutazione del dato storico.

Con sentenza n. 54 del 6 marzo 1974 la Corte Costituzionale riconosce la legittimità costituzionale dell’articolo in esame. Secondo l’opinione della Corte, il legislatore, delimitando il campo di applicazione dei diritti sindacali inclusi nel titolo III solo a quei

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sindacati aventi i requisiti sanciti nei punti a) e b), ha compiuto una scelta “razionale e consapevole”91

per evitare la proliferazione incontrollata di organismi sindacali di scarsa o dubbia rappresentatività che potevano intralciare l’operosità aziendale dell’imprenditore, oltre all’efficacia attuazione degli interessi collettivi degli stessi lavoratori, difendendo appunto interessi troppo settoriali. Anche i criteri sub a) e sub b) confermano questa razionalità in quanto il primo si fonda sull’effettiva capacità di rappresentanza delle soggetti collettivi degli interessi sindacali, e non sulla “comparazione” tra le varie confederazioni, mentre il secondo criterio si basa su uno specifico fatto soggettivo92 che può essere conseguito da ogni associazione sindacale.

In conclusione, secondo la Corte Costituzionale, la razionalità della scelta selettiva evita il contrasto dell’art. 19 St. Lav. con l’art. 39 e l’art. 3 Cost93

, oltre a ribadire che tale norma non fa altro che rispecchiare la distribuzione delle forze sindacali più rappresentative nel paese.

La selettività dell’accesso ai diritti sindacali contemplati nel titolo III prevista dalla norma in esame non impedisce però la legittima costituzione, da parte degli altri sindacati carenti dei due requisiti, di proprie rappresentanze sindacali aziendali nei luoghi di lavoro, a cui spettano i diritti di agibilità sindacale previsti dalle altre norme dello Statuto o derivanti dal principio generale ex art. 39 Cost. che tutela la libertà di ogni manifestazione di autonomia collettiva. Quindi l’art. 19 St. Lav. ha principalmente la funzione di regolamentare razionalmente

91

Ivi, p. 310.

92

Le associazioni sindacali, se non affiliate alle confederazioni richiamate nel punto a) dell’art. 19 St. Lav., devono essere firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva per poter costituire rappresentanze sindacali aziendali.

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l’accesso alla legislazione di sostegno, e gli organismi privi dei requisiti previsti da tale norma non godono di questo sostegno e potranno beneficiarne solo in via pattizia.

Le argomentazioni utilizzate dalla Corte Costituzionale lasciano però qualche perplessità. La Corte infatti in tale sentenza fa una distinzione funzionale tra associazione sindacale ex art. 14 St. Lav. e rappresentanze sindacali aziendali ex art. 19 St. Lav. Questa distinzione non risulta fondata94 in quanto le rappresentanze sindacali aziendali dell’art. 19 St. Lav. non sono nulla di diverso dalle associazioni sindacali operanti all’interno del luogo di lavoro previste dall’art. 14 St. Lav. L’unica differenza sta nel diverso grado di effettività rappresentativa. La motivazione della Corte farebbe quindi dubitare del carattere effettivamente definitorio dell’art. 19 St. Lav. In sostanza, l’art. 19 attribuisce alle rappresentanze sindacali aziendali costituite dalle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative dei poteri ulteriori rispetto a quelli conferiti alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell’art. 14 St. Lav.95

Il giudizio della Corte risulta chiaro con riferimento al concetto di maggiore rappresentatività sottolineando che tale nozione non comporta alcuna comparazione tra le diverse confederazioni, ma rinvia piuttosto al criterio dell’effettività.

94

Ivi, p. 312. 95

Ad esempio, il diritto di assemblea (art. 20 St. Lav.), il diritto per i dirigenti di poter fruire di permessi retribuiti (art. 23 St. Lav.), il diritto di affissione (art. 25 St. Lav.).

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2.5 La rimessione dell’art. 19 da parte del Pretore di La Spezia alla Corte Costituzionale e la riconferma della sua costituzionalità

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 St. Lav. per contrasto con l’art. 39 Cost. è stata nuovamente proposta alla Corte Costituzionale dal pretore di La Spezia96. L'ordinanza di rimessione è stata emessa all'esito di un procedimento per repressione di condotta antisindacale promosso dal Sindquadri97 contro la Oto Melara S.p.a., la quale aveva negato che a tale sindacato di categoria potesse riconoscersi la qualifica di associazione sindacale aderente alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale di cui alla disposizione impugnata, venendo così escluso dall’ambito di applicazione del titolo III dello Statuto. L'esigenza di evitare un'eccessiva proliferazione e frammentazione delle rappresentanze aziendali giustifica però la norma impugnata, secondo il pretore di La Spezia, solo in riferimento all'art. 3 e non anche all'art. 39 Cost., e ciò perché tale articolo tutela la libertà sindacale non in assoluto ma in un sistema rappresentato ad un determinato livello, quello nazionale di categoria, e quindi una corretta applicazione della norma costituzionale avrebbe dovuto privilegiare la rappresentatività nell'ambito categoriale. L’art. 19 St. Lav. invece prende in considerazione la rappresentatività storica del sindacalismo italiano caratterizzato da confederazioni, privilegiando quindi quei sindacati aderenti a quest’ultime ai fini della costituzione di rappresentanze sindacali aziendali, ed escludendo da tale possibilità anche il sindacato ricorrente. L'art. 19 dovrebbe perciò essere dichiarato illegittimo, per contrasto con l’art. 39 Cost., in quanto riferisce la maggiore rappresentatività alle confederazioni anziché ai sindacati di categoria.

96

Cfr ordinanza del Pretore di La Spezia, 15 luglio 1981, n. 669. 97 Sindacato Nazionale Quadri Industria.

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La questione è stata ritenuta di nuovo infondata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 334 del 24 marzo 1988. Essa, oltre a ribadire che alla base del criterio selettivo della maggiore rappresentatività vi è una scelta razionale e consapevole del legislatore statutario, ha ritenuto che il principio della libertà sindacale, disciplinato all’art. 39 Cost., non impediva al legislatore di riconoscere a qualificate organizzazioni sindacali diritti ulteriori rispetto a quelli già garantiti a qualunque associazione sindacale grazie agli artt. 14, 15, 16, 26 dello Statuto e che il riferimento alla categoria nel quarto comma fosse diretto soltanto a privilegiare tale livello come area di operatività della contrattazione collettiva erga

omnes. Inoltre la dottrina e la giurisprudenza hanno ormai da tempo

elaborato determinati indici idonei a verificare la sussistenza della maggiore rappresentatività dei sindacati confederali caratterizzata da effettività e non basata su assunzioni aprioristiche, tra i quali vi rientra la consistenza associativa in tutto l’arco delle categorie che essi sono intesi a tutelare, di cui non dispone di certo la Confederquadri che pur essendo una confederazione, è però di tipo monocategoriale. Lo scopo del legislatore statutario nel conferire ulteriori diritti alle associazioni sindacali affiliate alle confederazioni dotate di una compiuta rappresentanza pluricategoriale rispetto a tutte le altre associazioni diverse da queste era quello di favorire un processo di raggruppamento e coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali, oltre a quello di munire le associazioni sindacali di strumenti idonei ad unificare le varie istanze rivendicative e, insieme, raccordare l’azione di tutela delle classi lavoratrici con gli interessi potenzialmente divergenti come quelli dei lavoratori non occupati. Tale concezione risulta essere così coerente sia con il principio di solidarietà previsto all’art. 2 Cost, avendo come scopo quello di favorire l’azione di quelle organizzazioni sindacali portatrici di

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interessi generali, sfuggendo a richieste microcorporative, sia al principio di eguaglianza sostanziale disciplinato al secondo comma dell’art. 3 Cost. In ogni modo, la norma impugnata non rappresenta una norma rigida ma risulta essere una disposizione assai generica idonea a consentire lo sviluppo di logiche organizzative diverse adeguate, di volta in volta, alle singole realtà.

2.6 L’esclusione delle associazioni carenti dei requisiti contemplati nell’art. 19 dall’accesso alla legislazione di sostegno

Con due ordinanze distinte ma dello stesso tenore98, per questo vengono riunite, il Tribunale di Como ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 17, 19 e 23 dello Statuto dei lavoratori alla Corte Costituzionale per contrasto con gli artt. 3, comma 2 e 39 Cost. in quanto interpretati dalla Cassazione nel senso di vietare alle rappresentanze sindacali aziendali dei lavoratori costituite al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 19 St. Lav. di beneficiare, per i loro dirigenti, di permessi retribuiti allo scopo di svolgere attività sindacale. Nel caso concreto, sia il Pretore che il Tribunale di Milano in sede di appello riconoscevano tali permessi ai dirigenti della rappresentanza sindacale costituita presso la RAS Spa dal sindacato ASSI RAS perché essi se ne erano serviti in virtù di accordi taciti e di prassi aziendali, prima del rifiuto da parte della società. La Corte di Cassazione99 invece, cassando la pronuncia del Tribunale di Milano, sancì che solo ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali costituite nell’ambito delle associazioni sindacali

98

Cfr ordinanze del Tribunale di Como, 19 dicembre 1986, n. 284 e 285. 99

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“maggiormente rappresentative” sul piano nazionale spettano tutte le facilitazioni previste dalla cosiddetta legislazione di sostegno, compresa la fruizione di permessi retribuiti sancita all’art. 23 St. Lav., dichiarando inammissibili gli accordi negoziali tra datori di lavoro e sindacati non rientranti nel novero di cui all’art. 19 St. Lav. sulla base del divieto di costituire e/o sostenere “sindacati di comodo” ex art. 17 St. Lav. 100, per i quali doveva ritenersi sussistente un divieto di ordine pubblico. Quindi secondo la Cassazione eventuali accordi in tal senso avrebbero un oggetto illecito che ne comporta la nullità. Il Tribunale di Como, giudice di rinvio, è chiamato ad applicare la disciplina di quest’ultimo principio di diritto, ma ne contesta la legittimità costituzionale ravvisandone il contrasto con gli artt. 3 e 39 Cost. Secondo il Tribunale, l’art. 19 St. Lav. è norma speciale rispetto all’art. 14 St. Lav. il quale garantisce a tutti i lavoratori il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro. Inoltre, come già detto in precedenza, è una norma a carattere definitorio, e quindi va ad individuare le rappresentanze sindacali aziendali che possono accedere alla cosiddetta legislazione di sostegno di cui alle norme del titolo III dello Statuto. Nonostante ciò, le stesse prerogative possono essere pattiziamente estese a rappresentanze sindacali costituite al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 19 St. Lav., nel caso in cui riescano a raggiungere una certa forza contrattuale. La Cassazione invece basa la sua tesi sul carattere permissivo della norma in base al quale i permessi retribuiti vengono concessi soltanto ai dirigenti di quelle rappresentanze sindacali aziendali rientranti in quelle definite nell’art. 19 St. Lav., andando in tal modo a confliggere, secondo il Tribunale

100 Cfr art. 17 St. Lav.: “È fatto divieto ai datori di lavoro ed alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori.”

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di Como, con l’art. 39 Cost. e l’art. 3, comma 2, Cost in quanto limita la libertà sindacale delle organizzazioni non rientranti nel suddetto articolo e comporterebbe nei loro confronti ingiustificate discriminazioni quanto all’esercizio delle loro attività.

E’ intervenuta anche l’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del presidente del consiglio dei ministri, eccependo l’inammissibilità della questione in quanto sollevata nei confronti del principio di diritto enunciato dalla Cassazione a cui il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi. Secondo l’Avvocatura sul rapporto in causa si è formato il giudicato e perciò il principio di diritto non può essere messo in discussione dal giudice del rinvio neanche per dubitare della sua validità costituzionale. In ogni modo, l’Avvocatura considera la questione infondata nel merito, sia perché la preclusione alla costituzione di rappresentanze sindacali aziendali di associazioni sindacali non rientranti nell’art. 19 St. Lav. è già stata ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale101, sia perché l’interdizione a queste della legislazione di sostegno del titolo III dello Statuto non lederebbe la loro libertà d’azione sindacale. L’accesso al livello di rappresentatività voluto dall’art. 19 dipenderebbe dalla capacità dell’organizzazione di rendersi interprete degli interessi della categoria rappresentata fino a risultare un valido interlocutore nella contrattazione collettiva, e non dalla ricezione di tale legislazione di sostegno. L’eccezione di inammissibilità della questione è però infondata in quanto il regime delle preclusioni proprio del giudizio di rinvio non può impedire la proposizione della questione di legittimità costituzionale della norma da cui è tratto il principio di diritto cui deve

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uniformarsi il giudice di rinvio102. La fondatezza contrasterebbe con le disposizioni regolanti la materia103 secondo le quali tali questioni possono essere sollevate nel corso del giudizio senza alcuna particolare limitazione.

La Corte Costituzionale ha però sottolineato più volte104, e la riconferma in questa sentenza105, la razionalità di una scelta legislativa volta ad impedire un’eccessiva dispersione e frammentazione dell’azione dell’autotutela ritenuta contraria agli interessi generali dei lavoratori, e la possibilità di estensione pattizia delle misure di sostegno si porrebbe in contraddizione con tale logica. Di conseguenza, il divieto delle pattuizioni menzionate è fedele sia alla logica ispiratrice dell’art. 19, sia ai motivi in base ai quali la Corte ha ritenuto questa disposizione conforme ai principi costituzionali qui richiamati.

La Corte Costituzionale è comunque consapevole, pur ribadendo la legittimità costituzionale dell’art. 19 St. Lav., che, a causa delle trasformazioni avvenute nel sistema produttivo, si è prodotta una forte diversificazione degli interessi e che, in conseguenza di ciò, l’idoneità del modello tracciato dall’art. 19 St. Lav. a riflettere l’effettività della rappresentatività è andata progressivamente attenuandosi. Per questo, in tale sentenza, invita il legislatore ad intervenire nuovamente in materia con un indirizzo volto a prevedere strumenti di verifica dell’effettiva rappresentatività delle associazioni, comprese quelle di cui all’art. 19 St. Lav., oltre ad attribuire le misure di sostegno anche

102

V. M. CHIAULA, Associazioni sindacali – Libertà e attività sindacale –

Permessi – Organizzazioni non “maggiormente rappresentative” – Dirigenti – Permessi retribuiti – Esclusione – Legge n. 300 del 1970, art. 23 – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza in GIUST. CIV.., 1990, fasc. I, p. 1448.

103

Con l’art. 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e con l’art. 23 l. 11 marzo 1953, n. 87. 104

Cfr C. Cost. 24 marzo 1988, n. 334 e C. Cost. 6 marzo 1974, n. 54. 105 Cfr C. Cost. 18 gennaio 1990, n. 30.

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ad associazioni estranee a quelle richiamate in quest’ultima norma che attraverso una concreta azione sindacale pervengano a significativi

livelli di reale consenso, abbandonando ogni forma di

rappresentatività presunta. Essa evidenzia che la predisposizione di tali nuove regole è ormai essenziale per assicurare una maggiore attuazione, in materia, dei principi costituzionali.

2.7 L’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori e i referendum del 1995

Nel corso degli anni ’80 vari fenomeni hanno messo in crisi la maggiore rappresentatività “presunta” posseduta tradizionalmente dai tre sindacati confederali storici tali da mettere in dubbio la loro capacità reale di rappresentare la maggioranza dei lavoratori. Tra questi fattori vi rientra la crisi dell’unità di azione sindacale fra le tre confederazioni la quali adottano spesso politiche competitive o contrapposte, le trasformazioni del processo produttivo e la conseguente diversificazione e frammentazione degli interessi, consentendo in tal modo la nascita di organizzazioni sindacali autonome e occasionali, le quali il più delle volte venivano ammesse a fruire delle protezioni e prerogative di cui al titolo III della legge n. 300 del 1970. Questa situazione però poneva il problema di determinare criteri più attendibili con cui misurare il requisito della maggiore rappresentatività, senza rinunciare alla scelta del legislatore statutario di sostenere i sindacati maggiormente rappresentativi. Quindi la capacità rappresentativa delle grandi confederazioni non poteva più essere presunta, ma doveva in qualche modo essere

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verificata. Lo stesso giudice costituzionale106 ha affermato, come detto in precedenza, che l’idoneità del modello proposto nell’art. 19 St. Lav. a rispecchiare l’effettività della rappresentatività è andata progressivamente attenuandosi, invitando il legislatore a fissare nuove regole. E il referendum dell’11 giugno 1995 ne è stato sintomo ed aggravante di questa situazione di crisi.

In parlamento sono stati numerosi i disegni e le proposte di legge che hanno cercato di ridefinire il criterio della maggiore rappresentatività prevedendo effettivi strumenti di verifica della rappresentatività fondati sul metodo elettorale o sul numero degli iscritti. Anche le parti sociali hanno cercato di intervenire in materia tramite la conclusione dell’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 con cui si istituivano rappresentanze unitarie elette direttamente da tutti i lavoratori in azienda. Tuttavia, tale accordo aveva un’efficacia puramente negoziale e, per di più, nessuna delle iniziative legislative riuscì ad arrivare alla mèta, rendendo in tal modo necessario lo svolgimento di referendum di iniziativa popolare al fine di abrogare alcune disposizioni di legge che agevolavano il sindacato maggiormente rappresentativo. I quesiti referendari erano due107. Il primo, il quesito “massimalista”108 prevedeva l’abrogazione di entrambi i criteri selettivi previsti dalle lettere a) e b) dell’art. 19 St. Lav., dando la possibilità a qualsiasi gruppo di lavoratori di costituire rappresentanze sindacali aziendali, senza prendere in considerazione l’eventuale nesso che questo gruppo doveva avere con il sindacato esterno. Il secondo quesito invece stabiliva l’eliminazione totale della

106

Cfr C. Cost. 18 gennaio 1990, n. 30. 107

La Corte Costituzionale, dovendosi pronunciare sulla legittimità costituzionale di essi, li ha ammessi con sentenza 12 gennaio 1994, n. 1.

108

P. ICHINO, Le rappresentanze sindacali in azienda dopo il referendum.

Problemi di applicazione della nuova norma e dibattito sulla riforma in RIDL, 1996,

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lettera a) e la cancellazione parziale della lettera b) dell’art. 19 St. Lav. soltanto con riferimento all’espressione “non affiliate alle predette confederazioni” e alle parole “nazionali o provinciali”. Il referendum dell’ 11 giugno del 1995 ha respinto il primo quesito, ma ha approvato il secondo109. Se fosse stato approvato anche il primo quesito, titolari dei diritti sindacali previsti nel titolo III dello Statuto sarebbero state tutte le rappresentanze sindacali aziendali costituite ad iniziativa dei lavoratori, senza nessuna limitazione; in realtà, la non approvazione di questo ha confermato l’esigenza di selezionare i sindacati che hanno accesso alle condizioni di favore previste da questo titolo.

Il nuovo testo dell’art. 19 St. Lav., risultante dell’esito referendario, entrato in vigore il 29 settembre 1995, stabilisce che “le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”. Da tale inciso si capisce che il privilegio delle Confederazioni è stato eliminato, ma la selezione dei sindacati no; infatti oggi le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite nell’ambito dei sindacati che abbiano stipulato contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva, qualunque ne sia il livello: nazionale di categoria, provinciale, aziendale. Quindi la stipulazione del contratto collettivo continua a svolgere la funzione di criterio di selezione, ma il livello contrattuale non è più qualificato. Per effetto del referendum, il criterio con cui l’ordinamento statuale seleziona le associazioni sindacali a cui assicurare “sostegno” nelle aziende coincide con il criterio di selezione dei soggetti negoziali proprio dell’ordinamento intersindacale, cioè quello della capacità

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effettiva dell’associazione sindacale di conquistarsi un posto al tavolo delle trattative contrattuali e di negoziare con la controparte imprenditoriale, qualunque sia il livello della contrattazione.

Con la modifica dell’art. 19 St. Lav. fallisce così il progetto iniziale dello Statuto, quello di sostenere legislativamente il consolidarsi di una grande confederazione generale unitaria capace di proporsi come titolare unica della rappresentanza dei lavoratori. Abbandonato tal progetto, l’ordinamento statale si riserva ora il ruolo minimo di garante di alcune regole di comportamento, lasciando che il sistema delle relazioni sindacali si evolva secondo le linee che il libero gioco delle forze in campo determinerà, senza manifestare alcuna preferenza per un tipo di associazione o per un modello di sindacalismo piuttosto che per un altro. Adesso quel privilegio, accordato precedentemente al sindacalismo confederale, tutte le associazioni devono saperselo conquistare sul campo e conservare in quanto la norma non consente più di considerarlo acquisito una volta per tutte110.

In realtà, contrariamente alle intenzioni dei promotori del referendum, dalla “miniriforma” referendaria ne risulta valorizzato il ruolo di protagoniste assolute della contrattazione collettiva proprio delle confederazioni effettivamente maggioritarie in quanto ad esse il godimento dei diritti di cui al titolo III non è più assicurato sulla base di una rappresentatività presunta, com’era precedentemente, ma, a seguito del referendum, soltanto sulla base del fatto di essere semplicemente negoziatrici e firmatarie di accordi interconfederali e contratti collettivi nazionali. Risultano invece penalizzate le organizzazioni sindacali più deboli, quelle che ancora non sono riuscite ad imporsi alla controparte imprenditoriale come interlocutori

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negoziali a cui il giudice del lavoro ha riconosciuto il carattere della “maggiore rappresentatività” in virtù dell’interpretazione estensiva della lettera a) dell’art. 19 St. Lav., le quali hanno così sollevato questione di costituzionalità della disciplina legislativa risultata dal referendum111.

Con riferimento ai problemi di diritto transitorio che ha fatto scaturire il referendum popolare, è ormai prevalente in giurisprudenza che le rappresentanze sindacali aziendali costituite prima del 28 settembre 1995 ai sensi dell’art. 19, lettera a), St. Lav. che non possiedono l’unico requisito necessario risultate dal nuovo testo perdono il riconoscimento “privilegiato”, quindi non possono più essere considerate titolari dei diritti riconosciuti dal titolo III St. Lav., e pertanto, il mancato riconoscimento delle stesse da parte del datore di lavoro non integra gli estremi della condotta antisindacale. Inoltre, come ha affermato anche la Corte Costituzionale112, per essere “firmatarie” del contratto collettivo, le associazioni sindacali devono aver partecipato attivamente alla trattativa contrattuale, quindi devono aver effettivamente trattato e definito, con la controparte imprenditoriale, il contenuto del contratto collettivo. E ciò non si realizza se il sindacato si è limitato a sottoscrivere per adesione il contratto collettivo stipulato da altri. Non può costituire rappresentanze sindacali aziendali neppure il sindacato che ha stipulato occasionalmente un accordo collettivo che regoli aspetti circoscritti del rapporto di lavoro, ma che non ha partecipato al sistema di contrattazione che prevede la disciplina generale del lavoro in azienda.113 111 Ivi, p. 118. 112 Cfr C. Cost. 27 giugno 1996, n. 244. 113

(34)

2.8 Gli effetti del referendum: la nuova norma lederebbe l’autonomia dei soggetti collettivi

Nonostante la modifica referendaria, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 St. Lav., in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., è stata di nuovo sollevata dal pretore di Milano114 e dal pretore di Latina115 nella parte in cui limita il riconoscimento delle rappresentanze aziendali alle sole organizzazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi. I giudizi promossi dalle due ordinanze, avendo lo stesso oggetto, vengono riuniti e decisi con un’unica sentenza116

. Secondo i giudici rimettenti, il testo originario dell’art. 19 St. Lav. non contrastava con gli artt. costituzionali menzionati, come ha ribadito più volte anche la Corte Costituzionale117, mentre il nuovo testo fa venir meno tale conformità in quanto il riconoscimento della rappresentanza sindacale aziendale dipenderebbe solo dal cd. potere di accreditamento del datore di lavoro, che è libero di accettare o meno come controparte contrattuale il sindacato stesso, con lesione dell’autonomia dei soggetti collettivi, data la rimanenza del solo strumento negoziale, violando in tal modo, a parer loro, il principio della libertà sindacale ex art. 39 Cost., oltre a confliggere con l’art. 3 Cost. in quanto con la nuova norma statutaria risultante dal referendum si sarebbe introdotta la possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali a favore di organizzazioni sindacali prive di effettiva rappresentatività, col sol requisito di essere firmatarie di contratti collettivi, e di rigettarla a quelle organizzazioni sindacali, pur rappresentative sia esternamente che internamente all’azienda, che non abbiamo sottoscritto alcun accordo. Nel giudizio

114

Cfr ordinanza del Pretore di Milano, 27 novembre 1995, 332. 115 Cfr ordinanza del Pretore di Latina , 16 gennaio 1996, n. 243. 116

Cfr C. Cost. 27 giugno 1996, n. 244. 117

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