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Capitolo 3 Aspetti regolamentari: il trattamento prudenziale del rischio di controparte

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Capitolo 3

Aspetti regolamentari: il trattamento prudenziale del rischio

di controparte

3.1 Basilea 2 e il rischio di controparte

In Basilea 21, il rischio di controparte continua a essere considerato come un rischio di confine tra il rischio di credito e il rischio di mercato. Si avvicina al rischio di mercato se si considera il valore dell’esposizione, a seguito indicata con l’acronimo EAD (Expo-sure At Default), essendo essa legata al Mark to Market del derivato. Entra a far parte del rischio di credito in quanto la controparte della transazione è relazionata all’evento creditizio attraverso le variabili PD (Probability of Default) e LGD (Loss Given De-fault). Inoltre se consideriamo le esposizioni in un’ottica di portafoglio, fondamentali sono le correlazioni (ρ) tra una controparte e un’altra e la Maturity (M). Il rischio di controparte genera una perdita se le transazioni poste in essere con una determinata con-troparte hanno un valore positivo al momento dell’insolvenza. Quando si considera un rischio di credito generato da un finanziamento, la probabilità di perdita è unilaterale in quanto essa è in capo alla sola banca erogante. Il rischio di controparte, invece, crea un rischio di perdita bilaterale. Infatti, il valore di mercato della transazione può essere sia positivo che negativo per entrambe le controparti.

Fondamentale è l’intenzione di Basilea 2 di trasformare, in qualche modo, la concezione del rischio di controparte in modo tale da obbligare le banche a considerare tale rischio come funzione di una serie di variabili, quali EAD, PD, LGD e infine, ma non meno importante, la correlazione tra l’esposizione futura verso una controparte e il rischio di default della controparte stessa. Il requisito patrimoniale a fronte del rischio di contro-parte è determinato utilizzando i fattori di ponderazione per controcontro-parte previsti dalla normativa in materia di rischio di credito, dunque si rimanda al metodo standardizzato o al metodo IRB (Internal Rating Based), base o avanzato. Secondo il metodo base la banca stima internamente (con strumenti analitici propri precedentemente autorizzati dalla Banca d’Italia) la sola PD, utilizzando per le altre componenti di rischio necessarie

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Basel Committee on Banking Supervision, “Basel II: International Convergence of Capital Measurement

and Capital Standards. A Revisited Framework-Comprehensive Version”, Bank for International

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2 fattori regolamentari forniti dalla Banca d’Italia. Nel metodo IRB avanzato la banca stima PD, LGD, EAD e Maturity.

Sotto l’approccio IRB avanzato si assume, per semplicità, che l’esposizione al default sia indipendente da tutte le altre variabili e quindi che l’RWA sia lineare nell’EAD, ov-vero:

RWA = 12,5 ∙ EAD ∙ K (PD, LGD, M, ρ)

Pertanto, si può facilmente dedurre che:

CCR Capital requirement IMM = EAD ∙ K (PD, LGD, M, ρ)

dove CCR sta per Counterparty Credit Risk e IMM è l’acronimo di Internal Model Me-thod.

K è una funzione di ponderazione dell’effettivo ammontare dell’esposizione all’evento di insolvenza ed è definita come:

dove φ indica la cumulata della funzione normale standard, MA rappresenta l’aggiustamento in funzione della scadenza e il coefficiente 1,06 è un fattore di scala in-trodotto dal Comitato di Basilea allo scopo di mantenere sostanzialmente inalterati i re-quisiti minimi a livello aggregato, incentivando al tempo stesso l’adozione di modelli avanzati più sensibili al rischio. Il parametro di correlazione ρ si assume essere diretta-mente dipendente dalla PD secondo l’equazione:

Una dipendenza decrescente dell’asset correlation dalla PD rende la relazione tra capi-tale regolamentare e PD più piatta rispetto al caso di asset correlation costante: ciò permette di attutire l’effetto della prociclicità degli accordi di Basilea, ovvero la

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possibi-3 lità che il nuovo sistema di requisiti patrimoniali possa accentuare le fluttuazioni del ci-clo economico aggravando in particolare le fasi recessive, durante le quali le condizioni economico-finanziarie delle imprese tendono a deteriorarsi.

La Maturity Adjustment (MA) cerca di catturare il rischio di migrazione della qualità del credito su un orizzonte temporale superiore all’anno:

dove b(PD) è definita come:

Il parametro di scadenza effettiva, M, è nei modelli IRB di base pari ad una costante e precisamente è pari a 2,5 per i derivati OTC. Nei modelli avanzati, invece, può essere determinato internamente dalle banche in modo differente rispetto alla presenza di con-tratti di mitigazione.

Il capitolo 3 del titolo II della Circolare n. 263/2006 di Banca d’Italia, che recepisce gli accordi di Basilea 2, disciplina unicamente le regole di quantificazione del valore dell’esposizione, l’EAD. Tali regole sono state riprese ed in parte modificate dalla Cir-colare n. 285/20132, con la quale Banca d’Italia recepisce le novità regolamentari previ-ste dal nuovo pacchetto normativo “CRD IV Package”, che rende operative, a livello eu-ropeo, le nuove indicazioni contenute nel documento Basilea 3.

La disciplina relativa al rischio di controparte prevede una pluralità di metodi di calcolo del valore dell’esposizione caratterizzati da un crescente grado di complessità e sensibi-lità al rischio:

 metodo dell’esposizione originaria;

 metodo del valore corrente;

 metodo standardizzato;

 metodo dei modelli interni di tipo EPE.

A questi metodi, si aggiungono, per le sole operazioni SFT, le metodologie di calcolo definite nell’ambito della disciplina CRM:

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Le modifiche introdotte dalla nuova disciplina, come si dirà tra breve, riguardano le banche che utiliz-zano i modelli interni (IMM), che dovranno tener conto di parametri stressati nel calcolo dell’EPE.

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 metodo semplificato;

 metodo integrale con rettifiche di vigilanza per volatilità;

 metodo integrale con stime interne delle rettifiche per volatilità;

 metodo dei modelli interni di tipo VaR.

3.1.1 Il metodo dell’esposizione originaria

Il metodo dell’esposizione originaria (original exposure) rappresenta l’approccio più semplice e più tradizionale in quanto calcola il valore dell’esposizione in modo forfetta-rio, applicando al valore nominale del contratto le percentuali indicate in Tabella 3.1.

Tabella 3.1: Percentuali da applicare al valore nozionale nel metodo dell’esposizione originaria

Fonte: “Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio”.

3.1.2 Il metodo del valore corrente

Il metodo del valore corrente, o del mark-to-market, può essere utilizzato solo con rife-rimento alle transazioni riguardanti derivati OTC ed operazioni con regolamento a lun-go termine. Tale metodo permette di calcolare il valore di mercato del credito che sorge in favore di una banca. La metodologia di calcolo approssima il costo che la banca do-vrebbe sostenere per trovare un altro soggetto disposto a subentrare negli obblighi con-trattuali dell’originaria controparte negoziale qualora questa risultasse insolvente. Secondo l’applicazione integrale del metodo previsto nell’ambito della disciplina in ma-teria di Credit Risk Mitigation (CRM), per ogni “insieme di attività soggette a compen-sazione (netting set)”3, l’equivalente creditizio è calcolato sommando il costo di sostitu-zione e l’esposisostitu-zione creditizia futura (add-on), tenendo conto degli effetti della com-pensazione contrattuale, secondo la seguente formula:

3

Per “insieme di attività soggette a compensazione (netting set)” si intende un insieme di operazioni concluse fra un ente e una singola controparte, che è soggetto ad un accordo di compensazione bilate-rale legalmente opponibile (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Euopeo e del Consiglio).

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5 EAD = (CS + add-on) – CA

dove CS è il costo di sostituzione, da intendersi netto in presenza di accordi di compen-sazione. Il costo di sostituzione di ciascun contratto è dato dal suo fair value, se positi-vo; se invece il fair value è negativo, il costo di sostituzione è pari a zero. L’add-on è l’esposizione creditizia futura, netta in presenza di accordi di compensazione. Essa tiene conto della probabilità che in futuro il valore corrente del contratto, se positivo, possa aumentare, o se negativo, possa trasformarsi in una posizione creditoria. Tale probabili-tà è legata alla volatiliprobabili-tà dei fattori di mercato sottostanti e alla vita residua del contratto, indipendentemente dal portafoglio in cui è allocato. Essa si determina moltiplicando il valore di ogni singolo contratto per le percentuali indicate nella Tabella 3.2, applicate in base alla durata residua delle operazioni.

Il CA è invece il valore della garanzia, corretto per tener conto della volatilità dei prezzi

di mercato, calcolato secondo il metodo integrale previsto dalla disciplina CRM.

Il metodo del valore corrente può apparire grezzo e semplicistico. Come tutti i modelli semplici comporta alcuni vantaggi a fini gestionali. Ad esempio, nella fase di esecuzio-ne di derivati OTC con le controparti, vieesecuzio-ne accesa una liesecuzio-nea di fido, in cui si contraddi-stingue tra fido accordato e fido utilizzato. Il metodo del valore corrente rappresenta una misura pratica e utile di cui la direzione può servirsi al fine di calcolare l’importo di fido utilizzato4.

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J. Gregory, “Counterparty credit risk and credit value adjustement. A continuing challenge for globale

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6

Tabella 3.2: Calcolo dell’esposizione potenziale (add-on) nel metodo del mark to market

3.1.3 Il metodo standardizzato

Come per il metodo del valore corrente, il metodo standardizzato può essere utilizzato solo con riferimento alle esposizioni in derivati OTC e alle operazioni con regolamento a lungo termine, indipendentemente dal portafoglio nel quale sono classificate. E’ uti-lizzabile da quelle banche ancora non autorizzate all’utilizzo di modelli interni, ma che vogliono comunque avvalersi di metodologie di gestione del rischio più sensibili rispet-to al merispet-todo del valore corrente.

Secondo tale metodologia, l’esposizione è calcolata distintamente per ciascun “insieme di attività soggette a compensazione” sulla base della seguente formula:

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dove:

FVP è il fair value del portafoglio di transazioni ricomprese nell’insieme di

atti-vità soggette a compensazione al lordo delle garanzie reali;

FVG è il fair value delle garanzie reali riferite all’insieme di attività soggette a compensazione;

i è l’indice che designa la singola transazione;

j è l’indice che designa l’insieme di attività coperte. A ciascun insieme di questo tipo corrisponde un fattore di rischio nell’ambito del quale le posizioni di segno opposto possono essere compensate per raggiungere la posizione netta;

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7

PRTij rappresenta la posizione di rischio della transazione i-ma rientrante

nell’insieme di attività coperte j-mo. In altri termini è il risultato della scomposi-zione di ogni transascomposi-zione nelle posizioni di rischio che la compongono;

PRClj rappresenta la posizione di rischio della garanzia reale l-ma rispetto

all’insieme di attività coperte j-mo. La garanzia ricevuta da una controparte ha segno positivo, mentre la garanzia consegnata ha segno negativo;

FCCj è il fattore di conversione creditizia regolamentare riferito all’insieme di

attività coperte j-mo;

Β è il fattore moltiplicativo regolamentare pari a 1,4.

Per il metodo standardizzato risulta dunque necessaria l’attribuzione delle transazioni alle posizioni di rischio e la relativa quantificazione. A tal proposito la normativa indi-vidua tre categorie:

1) Transazioni con profilo di rischio lineare: prevedono lo scambio di uno stru-mento contro contante; si identifica in questo caso una posizione in denaro e una posizione sul sottostante. A seconda del tipo di sottostante si identificano le sensibilità ai diversi fattori di rischio (se per esempio i sottostanti sono a-zioni o merci la posizione in denaro viene qualificata come posizione sensibile al rischio di tasso di interesse mentre la posizione sul sottostante è attribuita alla pertinenti posizioni di rischio relative alle azioni o merci) e l’ammontare della posizione di rischio (ad esempio, per le posizioni sul sottostante relative ad azioni o merci) è pari al prodotto tra fair value e la quantità dello strumento sottostante.

2) Posizioni in credit default swap: vanno attribuite alla pertinente posizione di rischio per un ammontare pari al prodotto tra il valore nozionale dello stru-mento di debito sottostante al contratto e la durata residua del credit default swap.

3) Transazioni con profilo di rischio non lineare: danno luogo a due posizioni: una posizione sul sottostante, da attribuire all’opportuna posizione di rischio, e una posizione in denaro qualificata come posizione sensibile al rischio di tasso di interesse e allocata nell’appropriata posizione di rischio. L’ammontare di entrambe le posizioni di rischio è pari al delta equivalent value dello strumen-to sotstrumen-tostante la transazione. Tale valore viene calcolastrumen-to moltiplicando il valo-re corvalo-rente dello strumento finanziario di riferimento e il delta dato da ϑV/ ϑp

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8 dove V è il valore dello strumento finanziario e p è il prezzo dello strumento sottostante.

Ciascuna posizione di rischio andrà, perciò, posta nell’attinente insieme di attività co-perte. Per ogni insieme di attività coperte verrà determinato il valore assoluto della “po-sizione di rischio netta”. Questo valore è esattamente quello espresso all’interno della formula summenzionata e precisamente si tratta di:

Gli insiemi di attività coperte definiti dalla normativa di vigilanza sono: i) le posizioni di rischio sensibili al fattore di rischio “tasso d’interesse” per emittenti qualificati; ii) le posizioni di rischio sensibili al fattore di rischio “tasso d’interesse” per emittenti quali-ficati sottostanti ai credit default swap; iii) le posizioni di rischio sensibili al fattore di rischio “tasso d’interesse” per emittenti non qualificati; iv) le posizioni di rischio sensi-bili ad altri fattori di rischio. In caso di strumenti sottostanti ai derivati OTC non ricon-ducibili alle categorie richiamate, essi devono essere assegnati a specifici “insiemi di at-tività coperte”.

Infine, i fattori di conversione creditizia, FCC, da applicare alle “posizioni di rischio nette”, riferite a ciascun insieme di attività coperte, sono riportati nella Tabella 3.3.

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Tabella 3.3: Fattori di conversione creditizia da applicare alle “posizioni di rischio nette” nel metodo standardizzato

3.1.4 Il metodo dei modelli interni di tipo EPE

Il metodo dei modelli interni di tipo EPE è applicabile a tutte le categorie sottoposte al rischio di controparte. Esso è autorizzato dalla Banca d’Italia, previa verifica del rispet-to dei requisiti quantitativi e organizzativi previsti dalla presente disciplina5, indipen-dentemente dal metodo adottato dalle banche per il calcolo dei requisiti a fronte del ri-schio di credito (metodo standardizzato o IRB).

L’esposizione va calcolata per ciascun “insieme di attività soggette a compensazione (netting set)”. Per le banche autorizzate ad utilizzare il metodo dei modelli interni di ti-po EPE, tutti i netting sets verso una stessa controparte ti-possono essere trattati come un unico netting set se i valori di mercato simulati negativi di ogni netting set sono posti pari a zero nella stima dell’esposizione attesa.

Il modello deve considerare la distribuzione delle variazioni del valore di mercato dell’insieme di attività soggette a compensazione riconducibili alle oscillazioni dei fat-tori di rischio rilevanti e quantificarne il valore con riferimento a ciascuna data futura nell’arco di un anno.

5

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10 Con riferimento ad un dato netting set l’esposizione viene calcolata secondo la seguente formula:

EAD = α ∙ EPEeff

dove EPEeff è l’esposizione attesa effettiva (già descritta nel Capitolo 1) e α rappresenta un fattore moltiplicativo prudenziale, che viene posto pari a 1,4. Tuttavia, Banca d’Italia può imporre un moltiplicatore più alto in presenza di:

 un’elevata concentrazione su di un limitato numero di controparti;

 un’elevata esposizione al rischio di correlazione sfavorevole;

 un’alta correlazione tra le esposizioni relative alle differenti controparti;

 altri fattori che possano richiedere un maggior grado prudenziale.

Nella stima delle distribuzioni dei valori delle esposizioni, la banca può applicare sia approcci simulativi sia modelli analitici, purché il modello tenga conto dell’eventuale non normalità della distribuzione delle esposizioni, ove rilevante.

Tuttavia, stimare l’EAD di un derivato OTC è più complesso rispetto ad ogni altro strumento o transazione, in quanto il credito è rappresentato dal Mark to Market se posi-tivo, il cui andamento è collegato a variabili di mercato. Prevedere l’EAD risulta com-plesso, se si considerano le interazioni che si formano tra rischio di mercato e rischio di credito. L’esposizione dipende dalla stima dell’EPE, la quale non può essere calcolata secondo una logica analitica esatta in quanto il pricing nel futuro dell’esposizione atte-sa, EE, è realizzabile solo per una piccola parte di contratti. La stima prospettica richie-de simulazione di possibili andamenti futuri richie-dell’esposizione attesa, come già esposto a livello teorico nel primo capitolo con il metodo delle simulazioni Montecarlo6.

3.2 L’introduzione di Basilea 3

Le novità regolamentari introdotte a seguito della crisi finanziaria 2007-2008 che vanno sotto il nome di Basilea 37 possono essere ricondotte a tre principali finalità: migliorare in via generale la patrimonializzazione delle banche, introdurre vincoli stringenti per la

6 J. Gregory, “Counterparty credit risk and credit value adjustement. A continuing challenge for globale

financial markets”, Wiley Finance, United Kingdom, 2012.

7 Basel Committee on Banking Supervision, “Basel III: a global regulatory framework for more resilient banks and banking systems”, December 2010.

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11 gestione della liquidità aziendale, rivedere le modalità di quantificazione dei requisiti patrimoniali in relazione ad alcune tipologie di attività.

Gli interventi miranti ad innalzare la patrimonializzazione degli intermediari e a disci-plinare la gestione della liquidità si possono interpretare come il riflesso di una generale minore propensione al rischio dei regolatori che, in definitiva, imporranno alle singole banche di operare con maggiori margini di sicurezza, allontanando la possibilità che in caso di crisi debbano essere attivati costosi meccanismi di aiuto da parte delle banche centrali e dei governi.

Le innovazioni riguardanti i rischi di mercato (già analizzati nel capitolo precedente) e di controparte, invece, cercano di rimediare alle carenze emerse nel corso della crisi fi-nanziaria riguardo alle regole per la determinazione delle attività di rischio ponderate. I provvedimenti previsti in questi settori sono finalizzati ad ampliare la risk coverage dell’impianto regolamentare, affinando le modalità di quantificazione del livello di capi-tale richiesto in relazione a talune attività, sostanzialmente accrescendo, a parità di altre condizioni, l’assorbimento di capitale riferibile alle medesime.

Mentre le norme sulla qualità del capitale e sulla liquidità hanno un impatto più genera-lizzato, nel senso che influiscono su più attività in modo sostanzialmente proporzionale, le norme sui rischi di mercato e di controparte sono mirate ad influenzare direttamente la redditività risk-adjusted di talune aree di business8.

Al fine di recepire le proposte presentate dal Comitato di Basilea, l’Unione Europea è intervenuta con la Direttiva 2013/36/UE (CRD IV) e con il Regolamento n. 575/2013 (CRR). In Italia, le nuove disposizioni regolamentari sono state recepite dalla Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 di Banca d’Italia, la cui normativa è entrata in vigore l’1 gennaio 2014.

3.2.1 Le novità regolamentari per il rischio di controparte previste dalla Circolare Banca d’Italia n. 285/2013

Alla luce della recente crisi finanziaria, il Comitato di Basilea, nel documento “Stren-gthening the resilience of the banking sector”9, pubblicato nel dicembre 2009, individua

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P. Nasi, “I rischi di mercato e il rischio di controparte: novità regolamentari e implicazioni gestionali”, in “Basilea 3. Gli impatti sulle banche”, a cura di F. Tutino, G. Birindelli, P. Ferretti, Egea, Milano, 2011.

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Basel Committee on Banking Supervision, “Strengthening the resilience of the banking sector”, Bank for International Settlements, December 2009.

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12 alcuni punti in cui la normativa regolamentare prevista da Basilea 2 per il counterparty credit risk è risultata inadeguata. In particolare, secondo il Comitato, il capitale regola-mentare per la copertura del rischio di controparte è risultato insufficiente in quanto:

 durante la recente crisi, i defaults e i deterioramenti della qualità creditizia delle controparti si sono verificati in corrispondenza di momenti di elevata volatilità del mercato e perciò le esposizioni della controparte sono risultate essere più al-te del solito: vi è, quindi, una correlazione positiva tra esposizione e probabilità di default per il singolo emittente. Ciò evidenzia, dunque, che i modelli previsti da Basilea 2 non sono in grado di cogliere il rischio di correlazione sfavorevole (Wrong-Way Risk, WWR);

le perdite di mercato dovute a rettifiche di valutazione del credito (Credit Va-luation Adjustments, CVA) non sono state direttamente capitalizzate. Circa due terzi delle perdite sono state dovute a CVA e solo un terzo sono state dovute a defaults. Questo perché il framework regolamentare di Basilea 2 considera il ri-schio di controparte come un riri-schio di default e di migrazione del credito e non tiene conto delle perdite legate al mark to market degli strumenti;

 le interconnessioni tra le grandi istituzioni finanziarie sono state maggiori di quanto, invece, era previsto nel framework regolamentare di Basilea 2. Di con-seguenza, quando i mercati sono entrati in crisi, le esposizioni delle banche ver-so le altre imprese finanziarie ver-sono aumentate notevolmente;

 la durata dei periodi di close-out, in caso di default di una controparte, si è di-mostrata essere più lunga di quella prevista dalla normativa Basilea 2;

 i margini iniziali, che in genere sono molto bassi, sono aumentati rapidamente

durante la crisi causando un effetto destabilizzante su molti operatori del merca-to. In sostanza, il capitale regolamentare calcolato con i modelli EPE non forni-sce un incentivo sufficiente per adeguati margini iniziali;

 le Controparti Centrali (CCP) non sono state ampiamente utilizzate per

compen-sare le transazioni tra gli intermediari;

Per risolvere le problematiche evidenziate, il Comitato di Basilea propone delle linee guida al fine del miglioramento della gestione del rischio di controparte. La nuova di-sciplina, denominata Basilea 3, introduce misure volte a rafforzare i requisiti patrimo-niali a fronte delle esposizioni al rischio di credito di controparte derivanti dalle opera-zioni delle banche in strumenti derivati, pronti contro termine e finanziamento dei titoli.

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13 Esse innalzano le risorse patrimoniali a copertura di tali esposizioni, riducono la proci-clicità e forniscono incentivi supplementari per favorire il regolamento tramite contro-parti centrali per i contratti derivati over-the-counter (OTC), contribuendo pertanto a ri-durre il rischio sistemico nel sistema finanziario. In particolare, nel documento “Basilea 3”, il Comitato dispone che:

a) in futuro le banche dovranno determinare il requisito patrimoniale a fronte del rischio di controparte utilizzando input che tengano conto di condizioni di stress. Ciò eviterà che i requisiti patrimoniali diminuiscano eccessivamente nei periodi di ridotta volatilità del mercato e contribuirà ad attenuare la prociclicità della regolamentazione. L’approccio, analogo a quello introdotto per il rischio di mercato, promuoverà inoltre una gestione più integrata dei rischi di mercato e di controparte;

b) le banche saranno soggette ad un requisito patrimoniale a copertura di poten-ziali perdite dovute alla variazione dei prezzi di mercato (rischio di rettifiche di valore della componente creditizia, o credit valuation adjustment, CVA) per ef-fetto del deterioramento del merito di credito delle controparti. Lo schema Ba-silea 2 contempla il rischio di insolvenza della controparte, ma non quello di CVA, che durante la crisi finanziaria ha causato perdite maggiori rispetto a quelle relative ai casi di insolvenza;

c) il Comitato rafforza i requisiti in materia di gestione delle garanzie reali e di costituzione iniziale dei margini di garanzia. Le banche con esposizioni in de-rivati ampie e illiquide verso una controparte dovranno considerare periodi di adeguamento dei margini più lunghi per determinare i requisiti patrimoniali. Sono stati adottati standard aggiuntivi per rafforzare le prassi di gestione del ri-schio connesso alle garanzie reali;

d) per fronteggiare il rischio sistemico derivante dall’interconnessione fra banche e altre istituzioni finanziarie tramite i mercati dei derivati, vengono sostenute le iniziative del Comitato sui Sistemi di Pagamento e Regolamento (CSPR) e dell’International Organization of Securities Commissions (IOSCO) volte a e-laborare standard robusti in materia di infrastrutture dei mercati finanziari, in-cluse le controparti centrali (central counterparties, CCP). Il trattamento pru-denziale delle esposizioni bancarie verso CCP dipenderà in parte dal rispetto di tali standard da parte delle CCP. Le garanzie reali e le esposizioni valutate ai prezzi di mercato detenute da una banca verso le CCP che soddisferanno questi

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14 principi più stringenti saranno soggette a un fattore di ponderazione prudenzia-le basso, proposto al 2%; prudenzia-le esposizioni ai fondi di garanzia (default fund) delprudenzia-le CCP saranno soggette a coefficienti patrimoniali ponderati per il rischio asso-ciato. Questi criteri, unitamente al rafforzamento dei requisiti patrimoniali a fronte delle esposizioni in contratti derivati bilaterali OTC, creeranno per le banche forti incentivi a trasferire le esposizioni verso tali CCP. Inoltre, al fine di contenere il rischio sistemico presente nel settore finanziario, il Comitato di Basilea innalza i fattori di ponderazione applicati alle esposizioni verso le isti-tuzioni finanziarie rispetto a quelle verso imprese non finanziarie, essendo le prime maggiormente correlate rispetto a quelle non finanziarie con il fattore di rischio sistematico utilizzato per la stima dei requisiti dello schema di Basilea 2;

e) sono innalzati i requisiti per la gestione del rischio di controparte in diverse a-ree, incluso il trattamento del cosiddetto rischio di correlazione sfavorevole (wrong-way risk), ossia i casi in cui l’esposizione aumenta quando la qualità creditizia della controparte si deteriora.

Infine, il Comitato di Basilea ha valutato una serie di misure volte a ridurre il ricorso ai rating esterni previsto dallo schema Basilea 2. Queste misure comprendono l’obbligo per le banche di valutare internamente le esposizioni a cartolarizzazioni provviste di rating esterno, l’eliminazione di alcune delle cause che determinano nel calcolo dei re-quisiti patrimoniali variazioni improvvise e di entità significativa (cliff effect) relative all’utilizzo delle tecniche di attenuazione del rischio di credito, e l’incorporazione dei principali elementi del Code of Conduct Fundamentals for Credit Rating Agencies della IOSCO all’interno dei criteri per il riconoscimento prudenziale dei rating esterni nello schema patrimoniale.

Nei prossimi paragrafi verranno analizzate nel dettaglio le riforme previste dalla nuova disciplina per il counterparty credit risk.

3.2.1.1 EPE effettiva con parametri basati su ipotesi di stress

Le banche che hanno ricevuto l’autorizzazione ad utilizzare il metodo dei modelli inter-ni (IMM) per il calcolo del patrimointer-nio di vigilanza a fronte del rischio di credito di con-troparte, di seguito denominate “banche IMM”, devono determinare il requisito in

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mate-15 ria di fondi propri per il rischio di controparte come il maggiore tra i due requisiti se-guenti:

a) il requisito in materia di fondi propri calcolato sulla base dell’EPE effettiva uti-lizzando i dati correnti di mercato;

b) il requisito in materia di fondi propri calcolato sulla base dell’EPE effettiva uti-lizzando un’unica calibrazione di stress uniforme per tutte le esposizioni al counterparty credit risk a cui si applica l’IMM.

L’EPE effettiva più elevata fra quella basata sui dati correnti di mercato e quella basata sulla calibrazione in ipotesi di stress non va applicata a livello di singole controparti, bensì a livello di portafoglio complessivo.

Quando il modello dell’EPE effettiva è calibrato utilizzando dati di mercato storici, la banca deve impiegare i dati di mercato correnti per calcolare le esposizioni correnti e serie storiche di almeno tre anni per stimare i parametri del modello. In alternativa, la stima dei parametri del modello può basarsi sulle informazioni implicite nelle variabili di mercato. In tutti i casi, i dati devono essere aggiornati trimestralmente o con frequen-za maggiore ove richiesto dalle condizioni del mercato.

Per calcolare l’EPE effettiva utilizzando una calibrazione basata su ipotesi di stress, la banca deve inoltre calibrare l’EPE effettiva impiegando una serie di dati di tre anni che includano un periodo di tensione per gli spread sui credit default swap riferiti alle con-troparti della banca, ovvero calibrare l’EPE sulla base delle informazioni implicite nelle variabili di mercato relative a un periodo di stress adeguato. Per valutare l’adeguatezza della calibrazione in ipotesi di stress va impiegato il seguente processo:

 la banca deve dimostrare, con frequenza almeno trimestrale, che la fase di stress coincide con un periodo di aumento degli spread sui CDS o su altri stru-menti, quali ad esempio prestiti od obbligazioni societarie, per una selezione rappresentativa delle controparti della banca per le quali si dispone di spread liberamente determinati dal mercato. Laddove la banca non disponga di dati adeguati sugli spread creditizi per una controparte, essa deve allocare ciascuna controparte a una serie specifica di dati sugli spread creditizi in base alla regio-ne, al rating interno e alla tipologia di attività;

 il modello di esposizione per l’insieme delle controparti deve impiegare dati, storici o impliciti, che includano i dati del periodo di stress per gli spread credi-tizi e utilizzare tali dati in maniera coerente rispetto al metodo utilizzato per la calibrazione del modello di EPE effettiva in base ai dati correnti;

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 al fine di valutare l’efficacia della calibrazione in ipotesi di stress adottata per l’EPE effettiva, la banca deve creare diversi portafogli di riferimento che siano vulnerabili agli stessi fattori di rischio principali cui è esposta la banca. Le au-torità di vigilanza possono adeguare la calibrazione in ipotesi di stress in caso di divergenza sostanziale delle esposizioni di questi portafogli di riferimento.

3.2.1.2 Requisito in materia di fondi propri per il rischio di CVA

Oltre ai requisiti patrimoniali per il rischio di insolvenza connesso al rischio creditizio di controparte determinati secondo il metodo standardizzato o il metodo basato sui rating interni (IRB) per il rischio di credito, una banca deve aggiungere un requisito pa-trimoniale a copertura del rischio di perdite dovute all’impatto della variazione dei prezzi di mercato sul rischio di controparte atteso dei derivati OTC (tali perdite sono no-te come rettifiche di valore della componenno-te creditizia, o credit value adjustment, CVA). Il requisito in materia di fondi propri per il rischio di CVA è calcolato in modo differente a seconda del metodo adottato dalla banca per il calcolo dei requisiti patrimo-niali a fronte del rischio di controparte e del rischio specifico di tasso di interesse dei ti-toli di debito nell’ambito dei rischi di mercato. Una banca non è tenuta a includere in questo requisito patrimoniale: 1) le transazioni con una controparte centrale (CCP) e 2) le securities financing transaction (SFT), a meno che l’autorità di vigilanza stabilisca che le esposizioni della banca a perdite CVA derivanti da operazioni SFT siano rilevan-ti.

A. Banche autorizzate a utilizzare il metodo IMM e il modello interno VaR per il rischio specifico di tasso di interesse dei titoli di debito: requisito avanzato in materia di fondi propri per il rischio CVA

Le banche autorizzate a utilizzare il metodo IMM per il rischio di credito di controparte e il metodo dei modelli interni per i rischi di mercato relativamente al rischio specifico di tasso di interesse dei titoli di debito determinano i requisiti in materia di fondi propri per il rischio di CVA modellizzando l’impatto delle variazioni dei differenziali creditizi delle controparti sui CVA di tutte le controparti di operazioni in derivati OTC. Per far ciò, la banca utilizza il proprio modello interno per determinare i requisiti in materia di fondi propri per il rischio specifico associato alle posizioni in titoli di debito e applica un intervallo di confidenza del 99% nonché un periodo di detenzione equivalente a dieci giorni. Il modello interno è utilizzato in maniera tale da simulare variazioni nei

(17)

diffe-17 renziali creditizi delle controparti, ma non modellizza la sensibilità del CVA rispetto a variazioni di altri fattori di mercato, incluse le variazioni di valore dell’attività, della merce, della valuta o del tasso di interesse di riferimento di uno strumento derivato. I requisiti in materia di fondi propri per il rischio di CVA per ciascuna controparte sono calcolati conformemente alla seguente formula:

dove:

ti = è il tempo dell’i-esimo intervallo temporale di rivalutazione, a partire dal

tempo t0 = 0;

tT = è la maggiore scadenza contrattuale tra gli insiemi di attività soggette a

compensazione con la controparte;

si = è il differenziale creditizio della controparte al tempo ti, utilizzato per

calco-lare il CVA della controparte. Se è disponibile il differenziale sul credit default swap della controparte, la banca usa tale differenziale. Se tale differenziale sul credit default swap non è disponibile, la banca impiega una proxy del differen-ziale adeguata tenuto conto della classe di rating, del settore e della regione della controparte;

LGDMKT = è la perdita in caso di insolvenza della controparte e deve essere

basa-ta sullo spread di uno strumento di mercato della controparte (o, laddove basa-tale strumento non sia disponibile, deve rappresentare una ragionevole approssima-zione basata sullo spread associato alla classe di rating, al settore e alla regione della controparte). Si noti che questa LGDMKT, utilizzata come input per il

calco-lo del requisito patrimoniale per il rischio di CVA, è diversa dalla LGD determi-nata per il requisito IRB e per quello a fronte del rischio di insolvenza connesso al counterparty credit risk, in quanto è una valutazione di mercato e non una stima interna;

EEi = è l’esposizione attesa verso la controparte al tempo di rivalutazione ti,

do-ve le esposizioni dei dido-versi insiemi di attività soggette a compensazione per tale controparte sono sommate e dove la scadenza più lunga di ciascun insieme di at-tività soggette a compensazione è data dalla scadenza contrattuale più lunga al suo interno;

(18)

18

Di = il fattore di sconto privo di rischio di default al tempo ti, dove D0 = 1.

B. Tutte le altre banche: requisito standardizzato in materia di fondi propri per il rischio di CVA

Le banche che non hanno ricevuto l’autorizzazione a utilizzare il metodo IMM e il mo-dello interno VaR per il rischio specifico di tasso di interesse dei titoli di debito calcola-no il requisito in materia di fondi propri a livello di portafoglio per il rischio di CVA per ciascuna controparte applicando la seguente formula:

dove:

h = è l’orizzonte di rischio di un anno;

wi = è la ponderazione applicabile alla controparte “i”. La controparte “i” deve

essere assegnata ad una delle sei ponderazioni wi in base a una valutazione

e-sterna del merito di credito effettuata da un’ECAI prescelta, conformemente alla Tabella 3.4. Qualora una controparte sia sprovvista di rating esterno, la banca deve, previa approvazione dell’autorità di vigilanza, raccordare il rating interno assegnato alla controparte a un rating esterno;

EADitotal = è l’esposizione al momento dell’insolvenza della controparte “i”. Per

le “banche non-IMM”, l’esposizione è attualizzata applicando il seguente fatto-re:

Bi = è il nozionale delle coperture con single-name credit default swap (sommate

qualora vi sia più di una posizione) riferite alla controparte “i” e utilizzate per coprire il rischio di CVA. Tale ammontare nozionale è attualizzato applicando il seguente fattore:

(19)

19

Bind = è il nozionale totale di uno o più index credit default swap acquistati a

pro-tezione e utilizzati per coprire il rischio di CVA. Tale ammontare nozionale è at-tualizzato applicando il seguente fattore:

wind = è la ponderazione applicabile agli indici di copertura (index hedge);

Mi = è la scadenza effettiva delle operazioni con la controparte “i”;

Mihedge = è la scadenza dello strumento di copertura con nozionale Bi (le quantità

Mi hedge e Bi devono essere sommate se ci sono più posizioni);

Mind = è la scadenza dell’indice di copertura “ind”. In caso di più posizioni in

in-dici di copertura, è la scadenza media nozionale ponderata.

Tabella 3.4

Fonte: “Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio”.

C. Calcolo dei requisiti patrimoniali aggregati per il CCR e il rischio di CVA Per le banche autorizzate a utilizzare il metodo IMM e il modello interno VaR per il ri-schio specifico di tasso di interesse dei titoli di debito, il requisito patrimoniale com-plessivo è dato dalla somma delle seguenti componenti:

(20)

20 1) il valore maggiore tra: a) il requisito patrimoniale IMM basato sulle calibrazioni dei parametri correnti per l’EAD e b) il requisito patrimoniale IMM basato sulle calibrazioni dei parametri in ipotesi di stress per l’EAD;

2) il requisito patrimoniale avanzato per il rischio di CVA.

Per le banche autorizzate a utilizzare il metodo IMM ma non il VaR per il rischio speci-fico di tasso di interesse dei titoli di debito, il requisito patrimoniale complessivo è dato dalla somma delle seguenti componenti:

1) il valore maggiore tra: a) il requisito patrimoniale IMM basato sulle calibrazioni dei parametri correnti per l’EAD e b) il requisito patrimoniale IMM basato sulle calibrazioni dei parametri in ipotesi di stress per l’EAD;

2) il requisito patrimoniale standardizzato per il rischio di CVA.

Per tutte le altre banche, il requisito patrimoniale complessivo è dato dalla somma delle seguenti due componenti:

1) la somma relativa a tutte le controparti dei requisiti patrimoniali basati sul meto-do dell’esposizione corrente o sul metometo-do standardizzato;

2) il requisito patrimoniale standardizzato per il rischio di CVA.

3.2.1.3 Copertura e governance del rischio di correlazione sfavorevole (Wrong Way Risk)

Il rischio di correlazione sfavorevole, cosiddetto wrong way risk, corrisponde al rischio che l’esposizione verso una controparte sia inversamente correlata alla qualità del credi-to.

La nuova disciplina prevede che le banche devono considerare le esposizioni che de-terminano un significativo rischio generale e specifico di correlazione sfavorevole. Il “rischio generale di correlazione sfavorevole” sorge quando tra la probabilità di de-fault di una controparte e i fattori di rischio generali di mercato vi è una correlazione positiva. Il “rischio specifico di correlazione sfavorevole”, invece, sorge quando tra l’esposizione futura nei confronti di una determinata controparte e la PD della parte vi è una correlazione positiva per via della natura delle operazioni con tale contro-parte. Un ente si considera esposto a un rischio specifico di correlazione sfavorevole se l’esposizione futura nei confronti di una determinata controparte appare elevata ed an-che la probabilità di default della controparte è elevata.

(21)

21 Al fine di individuare un rischio generale di correlazione sfavorevole, la banca deve e-laborare prove di stress e analisi di scenari di stress relativi ai fattori di rischio che han-no una correlazione sfavorevole con l’affidabilità creditizia della controparte. Ihan-noltre, la banca deve controllare il rischio generale di correlazione sfavorevole per prodotto, per regione, per settore, o per altre categorie pertinenti alla linea di attività e deve disporre di procedure per individuare, sorvegliare e controllare i casi di rischio specifico di cor-relazione sfavorevole per ciascuna entità giuridica, dalle fasi iniziali di un’operazione e per tutta la sua durata.

Ai fini del calcolo del requisito patrimoniale a fronte del counterparty credit risk, gli strumenti per i quali esista un rapporto giuridico tra la controparte e l’emittente sotto-stante e per i quali sia stato individuato un rischio specifico di correlazione sfavorevole non sono considerati appartenenti allo stesso insieme di compensazione di altre transa-zioni con la controparte. Inoltre, con riferimento ai credit default swap su soggetti sin-goli per i quali esista un rapporto giuridico tra la controparte e l’entità sottostante e per i quali sia stato individuato un rischio specifico di correlazione sfavorevole, l’EAD rela-tiva all’esposizione verso tali controparti è posta pari alla perdita attesa totale sul fair value residuo degli strumenti sottostanti, ipotizzando che l’entità sottostante sia in stato di liquidazione. L’utilizzo della perdita attesa totale sul fair value residuo dello strumen-to sotstrumen-tostante permette alla banca di contabilizzare, relativamente a tale swap, il valore di mercato già perso ed eventuali recuperi attesi. Pertanto, le banche che adottano il me-todo IRB avanzato o di base devono fissare la LGD per tali operazioni swap al 100%. Per le banche che adottano il metodo standardizzato, la ponderazione da utilizzare è quella di una transazione non assistita da garanzia. Per i derivati su azioni, le opzioni su obbligazioni, le operazioni SFT, ecc. aventi a oggetto una singola impresa e relativa-mente ai quali vi sia un rapporto giuridico tra la controparte e la società sottostante, e per i quali sia stato individuato un rischio specifico di correlazione sfavorevole, l’EAD è pari al valore della transazione nell’ipotesi di insolvenza improvvisa (jump-to-default) del titolo sottostante. Nella misura in cui ciò comporti il riutilizzo di eventuali calcoli (sui rischi di mercato) esistenti (per l’IRC) che contengono già un’ipotesi di LGD, la LGD deve essere posta pari al 100%.

(22)

22 3.2.1.4 Moltiplicatore del parametro di correlazione per le banche di grandi dimensioni

In base alla nuova disciplina, gli importi ponderati per il rischio delle esposizioni verso imprese, enti, amministrazioni centrali e banche centrali sono calcolati secondo la se-guente formula:

il fattore di ponderazione del rischio (RW) è definito come:

dove:

N(x) = è la funzione di distribuzione cumulativa di una variabile casuale normale

standard (ossia la probabilità che una variabile casuale normale con media 0 e varianza 1 sia inferiore o uguale a x);

G(Z) = è la funzione di distribuzione cumulativa inversa di una variabile casuale

normale standard (ossia il valore di x è tale per cui N(x) = z);

R = è il coefficiente di correlazione, che è definito come:

b = è il fattore di aggiustamento in funzione della durata, che è definito come:

La nuova disciplina dispone l’applicazione di un moltiplicatore pari a 1,25 al para-metro di correlazione di tutte le esposizioni verso:

(23)

23

 istituzioni finanziarie regolamentate, il cui totale dell’attivo sia superiore o

pari a 100 miliardi di USD. Per determinare le dimensioni dell’attivo deve essere utilizzato il più recente bilancio di esercizio certificato della società madre e delle filiazioni consolidate. Per istituzioni finanziarie regolamentate si intendono una società madre e le sue filiazioni ove una qualsiasi entità giuridica significativa appartenente al gruppo consolidato sia vigilata da una autorità che impone requisiti prudenziali coerenti con gli standard interna-zionali. Tali istituzioni includono, a titolo non esaustivo, compagnie assicu-rative, broker/dealer, banche, casse di risparmio e futures commission mer-chant oggetto di vigilanza prudenziale;

 istituzioni finanziarie non regolamentate indipendentemente, dalle loro di-mensioni. Per istituzioni finanziarie non regolamentate si intendono quelle entità giuridiche la cui attività principale comprende: gestione di attività fi-nanziarie, erogazione di prestiti, factoring, leasing, offerta di strumenti di supporto al credito (cosiddetto, credit enhancement), cartolarizzazioni, inve-stimenti, custodia di attività finanziarie, sevizi di controparte centrale, nego-ziazione in conto proprio e altri sevizi finanziari specificati dalle autorità di vigilanza.

3.2.1.5 Controparti assistite da garanzie e periodo di adeguamento dei mar-gini

Per le operazioni soggette a rivalutazione giornaliera con corrispondente adeguamento dei margini, il periodo con rischio di margine utilizzato ai fini della modellizzazione del valore dell’esposizione con accordi di garanzia non è inferiore a:

a) cinque giorni lavorativi per gli insiemi di attività soggette a compensazione co-stituiti esclusivamente da operazioni di vendita con patto di riacquisto, operazio-ni di concessione e assunzione di titoli o di merci in prestito e finanziamenti con margini;

b) dieci giorni lavorativi per tutti gli altri insiemi di attività soggette a compensa-zione.

Nei casi seguenti viene imposta una soglia prudenziale minima più elevata:

 per tutti gli insiemi di attività soggette a compensazione in cui il numero delle negoziazioni superi le 5000 unità in qualsiasi momento nel corso di un trimestre,

(24)

24 il periodo con rischio di margine per il trimestre successivo non è inferiore a venti giorni lavorativi;

 per gli insiemi di attività soggette a compensazione contenenti una o più

nego-ziazioni che comportano o una garanzia illiquida o un derivato OTC che non può essere facilmente sostituito, il periodo con rischio di margine non è inferiore a venti giorni lavorativi.

Qualora nei due trimestri precedenti una banca abbia dovuto far fronte, relativamente ad un particolare insieme di attività soggette a compensazione, ad almeno due controversie in merito alla richiesta di margini addizionali che si siano protratte al di là del periodo con rischio di margine applicabile, la banca dovrà tenerne debito conto applicando a tale insieme di compensazione un periodo con rischio di margine almeno doppio per i due trimestri successivi.

Per l’adeguamento dei margini con una frequenza di N giorni, il periodo con rischio di margine è almeno uguale al minimo prudenziale F maggiorato di N giorni meno un giorno, ossia:

Infine, la nuova normativa, per quanto riguarda garanzie e margini, apporta altre due modifiche alla disciplina precedente:

1) vengono esclusi esplicitamente i dispositivi automatici di richiesta di garanzie aggiuntive in caso di abbassamento del rating (downgrade trigger) inseriti come clausole nell’accordo, i quali porterebbero ad un abbassamento dell’EAD; 2) sono aggiunti nuovi requisiti volti a migliorare le prestazioni operative del

di-partimento garanzie. Essi prevedono che la banca autorizzata all’utilizzo di mo-delli interni sia dotata di un’unità di gestione delle garanzie, la quale è responsa-bile del calcolo e della richiesta di margini. La banca deve assicurarsi che le proprie linee guida di gestione delle garanzie tengano conto simultaneamente dei rischi di liquidità connessi a potenziali richieste di margini ricevute nell’ambito di scambi di margini di variazione o di altro tipo, quali margini iniziali o margini indipendenti, in condizioni di shock di mercato avversi, nonché del potenziale ricevimento di richieste di restituzione delle garanzie in eccesso versate dalle controparti e richieste connesse a un potenziale declassamento del proprio rating creditizio. La banca deve assicurarsi che la natura e l’orizzonte temporale del

(25)

ri-25 utilizzo delle garanzie siano coerenti con il proprio fabbisogno di liquidità e non pregiudichino la sua capacità di costituire o restituire prontamente le garanzie.

3.2.1.6 Promozione delle controparti centrali (CCP)

Le proposte dei vari organismi internazionali sulle misure da intraprendere per un con-tenimento ed una più efficace gestione del counterparty credit risk sono state caratteriz-zate negli ultimi anni da crescente intensità ed incisività nella direzione dello sviluppo di controparti centrali (CCP). Le controparti centrali (CCP), come è stato già detto nel capitolo 1, sono istituzioni giuridicamente indipendenti che si interpongono fra compra-tore e vendicompra-tore di un contratto derivato. In questo modo, vendicompra-tore e compracompra-tore non sono più controparti uno dell’altro, in quanto il ruolo di controparte per ciascuno dei due è assunto dalla CCP. Questo comporta tre principali vantaggi10:

 migliora la gestione del rischio di controparte;

 la CCP è in grado di svolgere una compensazione multilaterale delle esposizioni

e dei pagamenti;

 migliora la trasparenza consentendo alle autorità di regolazione dei mercati e agli investitori di disporre di informazioni sui prezzi e le quantità dei contratti. Il nuovo framework regolamentare previsto dal Regolamento (UE) n. 575/2013 introdu-ce inintrodu-centivi per promuovere la compensazione attraverso controparti introdu-centrali, mediante l’applicazione di requisiti patrimoniali più bassi per le operazioni OTC. Inoltre, il requi-sito in materia di fondi propri per il rischio di CVA non si applica alle esposizioni verso le CCPs.

Mentre la normativa precedente non prevedeva alcun capitale regolamentare per i deri-vati scambiati con una CCP, la nuova disciplina prevede che:

a) un’istituzione deve applicare una ponderazione del rischio del 2% ai valori di tutte le sue esposizioni verso una CCP;

b) inoltre, quando una banca opera come intermediario finanziario tra un cliente e una CCP e i termini dell’operazione relativa a CCP stipulano che l’ente non è obbligato a rimborsare il cliente per le perdite subite a causa di variazioni del va-lore di tale operazione qualora la CCP fallisca, il vava-lore dell’esposizione

10

J. Gregory, “Counterparty credit risk and credit value adjustment. A continuing challenge for global fi-nancial markets”, Wiley Finance, United Kingdom, 2012.

(26)

26 dell’operazione con la CCP corrispondente a tale operazione relativa a CCP è pari a zero.

Tuttavia, bisogna tener conto del fatto che l’introduzione di una controparte centrale porta i suoi vantaggi solamente se11:

 il guadagno di efficienza è tanto maggiore quanto minore è il numero di

contro-parti centrali per segmento di mercato (Duffie e Zhu, 201112). Nel recente paper

infatti rilevano che rispetto al regolamento bilaterale, una CCP consente di ri-durre il rischio di controparte; sotto alcune plausibili ipotesi, tuttavia, la costitu-zione di più controparti porta ad un’inefficienza operativa;

il counterparty credit risk si riduce con l’introduzione di una CCP riferita ad uno specifico segmento di mercato (per esempio i CDS), se il numero di opera-tori coinvolti è sufficientemente ampio con riguardo alle esposizioni maturate su altri contratti che continuano ad essere regolati su base bilaterale;

 vanno parallelamente rafforzate le misure per addivenire ad una più ampia ri-cerca della standardizzazione dei contratti, lasciando tuttavia uno spazio di e-quilibrio anche all’innovazione finanziaria. I mercati OTC sono da sempre in-fatti il motore di sviluppo di nuovi prodotti e i contratti derivati, al di là dell’utilizzo improprio, continuano a consentire soluzioni di copertura efficaci ed adattabili alle esigenze di ciascun operatore;

 le CCPs devono essere sufficientemente capitalizzate e dotate dei più forti si-stemi di risk management, pena una semplice traslazione del rischio dagli ope-ratori alle stesse;

 le CCPs da sole non garantiscono la resilienza dei mercati derivati, ma devono

essere affiancate da miglioramenti nelle infrastrutture di negoziazione e di rego-lamento, da incrementi nella trasparenza dei prezzi e delle quantità scambiate, nonché da una revisione della normativa prudenziale.

3.2.1.7 Rafforzamento dei requisiti per la gestione del rischio di controparte I requisiti qualitativi previsti per le prove di stress, che le banche devono effettuare quando utilizzano il metodo dei modelli interni sono stati ampliati e resi più espliciti. In

11

M. Filagrana, “Derivatives and counterparty risks: towards new rules”, working paper, Bancaria 2010, Vol.66, Fasc. 4.

12

D. Duffie, H. Zhu, “Does a central clearing counterparty reduce counterparty risk?”, working paper Graduate school of business, Stanford University, 2011.

(27)

27 particolare, le banche devono disporre di un programma completo di prove di stress per il rischio di credito di controparte. Tale programma deve includere i seguenti elementi:

 deve riflettere pienamente le negoziazioni e le esposizioni aggregate per tutte le

forme del rischio di controparte a livello di determinate controparti in un periodo di tempo sufficiente per condurre prove di stress periodiche;

 deve prevedere almeno mensilmente prove di stress sulle esposizioni in rapporto

ai principali fattori di rischio di mercato, come i tassi di interesse, il cambio, gli strumenti di capitale, i differenziali creditizi e i prezzi delle merci per tutte le controparti dell’ente, al fine di identificare e consentire all’ente di ridurre, se ne-cessario, le concentrazioni sovradimensionate in rischi direzionali specifici;

 la banca deve applicare almeno trimestralmente scenari di prove di stress

multi-fattoriali e valutare i rischi non direzionali sostanziali, compresa l’esposizione alla curva di rendimento e i rischi di base. Le prove di stress multifattoriali af-frontano, come minimo, i seguenti scenari:

a) si sono verificati gravi eventi economici e di mercato;

b) l’ampia liquidità del mercato è diminuita considerevolmente; c) un importante intermediario finanziario sta liquidando posizioni.

 la gravità degli shock dei fattori di rischio sottostanti deve essere coerente con la finalità delle prove di stress. In sede di valutazione della solvibilità sotto stress, gli shock dei fattori di rischio sottostanti devono essere sufficientemente gravi da riflettere condizioni di mercato estreme ma plausibili. Le prove di stress de-vono valutare l’impatto di tali shock sui fondi propri, sui requisiti in materia di fondi propri e sui profitti. Ai fini del monitoraggio, della copertura e della ge-stione quotidiana delle concentrazioni, il programma di prove di stress deve con-siderare anche gli scenari di minore gravità e di maggiore probabilità;

 le banche dovrebbero prendere in considerazione prove di reverse stress per

in-dividuare scenari estremi ma plausibili che potrebbero avere esiti negativi signi-ficativi. Le prove di reverse stress dell’impatto dell’esistenza di una marcata non linearità nel portafoglio;

 i risultati delle prove di stress sono segnalati periodicamente, almeno su base trimestrale, all’alta dirigenza. L’alta dirigenza assume un ruolo guida nell’integrazione delle prove di stress nel quadro di gestione del rischio e nella

(28)

28 cultura del rischio dell’ente e garantisce che i risultati siano significativi e im-piegati per gestire il counterparty credit risk.

Inoltre, la nuova normativa prevede che la banca che utilizza il modello interno EPE i-stituisca e mantenga:

 un’unità di controllo del rischio;

 un’unità di gestione delle garanzie reali;

L’unità di controllo del rischio è responsabile dell’elaborazione e messa in opera della sua gestione del rischio di controparte, inclusa la convalida iniziale e su base continua-tiva del modello, svolge le seguenti funzioni e soddisfa i seguenti requisiti:

a) è responsabile dell’elaborazione e messa in opera del sistema di gestione del counterparty credit risk della banca;

b) elabora segnalazioni quotidiane ed analizza i risultati del modello di misurazione del rischio della banca;

c) controlla l’integrità dei dati utilizzati come input del modello ed elabora e ana-lizza le segnalazioni sui risultati del modello di misurazione del rischio della banca, inclusa la valutazione della relazione tra le misure dell’esposizione al ri-schio e i limiti in materia di erogazione del credito e di attività di negoziazione; d) è indipendente dalle unità preposte alla creazione, al rinnovo o alla negoziazione

delle esposizioni e sottratta ad ogni indebita influenza; e) è dotata di un numero sufficiente di dipendenti;

f) riferisce direttamente all’alta dirigenza della banca;

g) la sua attività è strettamente integrata nel processo quotidiano di gestione del ri-schio di credito della banca;

h) i risultati da essa prodotti costituiscono parte integrante del processo di pianifi-cazione, sorveglianza e controllo del profilo di rischio di credito e di rischio glo-bale della banca.

L’unità di gestione delle garanzie reali assolve i seguenti compiti e funzioni:

a) calcola ed effettua richieste di margini, gestisce le controversie in materia di ri-chieste di margini e segnala i livelli degli importi indipendenti, dei margini ini-ziali e dei margini di variazione accuratamente su base giornaliera;

b) controlla l’integrità dei dati utilizzati per formulare richieste di margini e garan-tisce che siano coerenti e riconciliati periodicamente con tutte le pertinenti fonti di dati all’interno della banca;

(29)

29 c) monitora la misura del riutilizzo delle garanzie reali e qualsiasi modifica dei

di-ritti della banca sulla garanzia che fornisce o in rapporto con essa;

d) segnala al livello appropriato della dirigenza i tipi di garanzie reali che sono riu-tilizzate e le modalità di tale riutilizzo compresi lo strumento, la qualità crediti-zia e la scadenza;

e) monitora la concentrazione su singoli tipi di attivi accettati dalla banca come ga-ranzie reali;

f) segnala all’alta dirigenza informazioni sulla gestione delle garanzie su base re-golare, ma almeno trimestralmente, fornendo anche informazioni sul tipo di ga-ranzie ricevute e costituite nonché l’ampiezza, la tempistica e le cause delle con-troversie in materia di richieste di margini.

Nell’ambito del processo di audit interno, l’ente deve procedere regolarmente ad una verifica indipendente del proprio sistema di gestione del counterparty credit risk. Tale verifica deve comprendere come minimo:

a) l’adeguatezza della documentazione del sistema e del processo di gestione del rischio di controparte;

b) l’organizzazione dell’unità di controllo del rischio di controparte; c) l’organizzazione dell’unità di gestione delle garanzie reali;

d) l’integrazione delle misure del rischio di controparte nella gestione quotidia-na del rischio;

e) il processo di approvazione dei modelli di quantificazione del rischio e dei si-stemi di valutazione utilizzati dagli addetti al front-office e al back-office; f) la convalida di eventuali modifiche rilevanti del processo di misurazione del

rischio di controparte;

g) la portata del rischio di controparte rilevato dal modello di misurazione del rischio;

h) l’integrità del sistema informativo della dirigenza;

i) l’accuratezza e la completezza dei dati relativi al rischio di controparte; j) l’accurata presa in considerazione dei termini giuridici dei contratti di

garan-zia e di compensazione nella misurazione del valore dell’esposizione;

k) la verifica della coerenza, della tempestività e dell’affidabilità delle fonti in-formative usate per i modelli interni, anche sotto il profilo della loro indipen-denza;

(30)

30 m) l’accuratezza dei calcoli per la valutazione e la trasformazione dei rischi; n) la verifica dell’accuratezza del modello tramite test retrospettivi;

o) la conformità delle unità di controllo del rischio di controparte e di gestione delle garanzie reali con i requisiti normativi pertinenti.

3.3 Tecniche di mitigazione del rischio di controparte

Un interessante aspetto della gestione del rischio di controparte è rappresentato dalla possibilità di riduzione di tale rischio attraverso diverse metodologie che mitigano l’esposizione ma allo stesso tempo espongono ad altri tipi di rischi. In particolare, le tecniche più diffuse sono quelle di Netting e di Collateralization. Entrambe le tecniche sono caratterizzate dal fatto che possono essere applicate indistintamente a una o a en-trambe le controparti in gioco: sarà dunque di maggior utilità per entrambi gli enti coin-volti, un accordo bilaterale in modo da garantire la mitigazione dell’esposizione corren-te e futura per entrambi. Tuttavia, se una delle due controparti ha una qualità creditizia nettamente superiore può decidere di stipulare un accordo unilaterale anche se, soprat-tutto dopo la recente crisi che ha visto il default di Lehman Brothers e altre importanti istituzioni finanziarie, la mitigazione one-way è utilizzata di rado.

La necessità di una standardizzazione di questi accordi, dato l’ambiente OTC, ha porta-to alla nascita di una documentazione legale chiamata ISDA Master Agreements, svi-luppata dall’associazione finanziaria ISDA (International Swap and Derivatives Asso-ciation). Il meccanismo principale che l’accordo considera è il netting ovvero l’aggregazione delle posizioni tra controparti. Con questo metodo, tutti i valori di mer-cato dei contratti stipulati in base all’accordo ISDA sono sommati algebricamente, ridu-cendo l’intero processo ad un singolo pagamento netto da una controparte all’altra. Ma-tematicamente, a livello di esposizione attesa vale la seguente relazione:

Accanto a questo tipo di accordi è stata definita anche la documentazione chiamata Credit Support Annex (CSA), necessaria per la regolamentazione dei contratti di collate-ralization. Il CSA consente alle parti di ridurre ulteriormente il rischio richiedendo alla controparte che ha un valore di mercato aggregato negativo di postare un ammontare (di

(31)

31 seguito collateral) per coprire una potenziale perdita. Il collateral al tempo t è pari al MtM complessivo dei contratti derivati in quel determinato momento rientranti negli accordi CSA tra due controparti. Matematicamente, indicando con C il valore del colla-teral scambiato fra le controparti e ipotizzando che tale valore sia positivo, ovvero ipo-tizzando che la controparte di riferimento sia esposta al rischio e che dunque riceva un collateral come garanzia dalla controparte, si avrà:

Questo tipo di contratto di mitigazione presenta maggiori problematiche, dal momento che comporta la valutazione delle posizioni e lo scambio periodico del collateral. La pe-riodicità è generalmente giornaliera, ma può essere anche settimanale o mensile, a se-conda dell’accordo bilaterale stipulato. Infine, è possibile prevedere che una delle due controparti posti un ammontare iniziale, detto Initial Margin, che dipende dal rating o dal livello di spread di credito della controparte.

A seguito, sono esposte con maggiore accuratezza le caratteristiche dei due contratti di mitigazione introdotti sopra.

3.3.1 Gli accordi di compensazione bilaterale (netting)

Il netting agreements è un contratto legale che diventa effettivo in caso di default di una fra le due controparti. L’accordo permette di compensare il valore delle transazioni le-gate a contratti stipulati con la controparte in default, in particolare consente di compen-sare eventuali flussi debitori di una controparte con flussi creditori derivanti da altri contratti derivati. L’insieme delle transazioni che possono essere legalmente compensa-te in caso di default viene indicato con il nome di netting set. Un’istituzione può avere, ovviamente, diversi netting sets, ognuno con una diversa controparte; per valutare l’esposizione complessiva di un insieme di transazioni verranno sommate le singole e-sposizioni facenti parte il netting set. La stipula di contratti di netting induce, dunque, ad una riduzione dell’esposizione tramite la compensazione di più contratti sotto ISDA che consente alle due controparti di gestire solo la loro posizione netta.

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32 E’ chiaro come i netting agreements incidano sull’esposizione al rischio, ma cerchiamo di capire quali sono gli effetti che i netting agreements hanno sull’esposizione al ri-schio. Ovviamente, il netting non comporterà mai un aumento dell’esposizione nei con-fronti di una determinata controparte. Sappiamo, infatti, che il netting fa sì che i MtM degli scambi con una determinata controparte si compensino fra loro e che dunque si vada a considerare la somma di tutti i MtM al posto dei singoli valori di MtM. Per capi-re l’impatto complessivo del netting per una determinata controparte, si devono consi-derare alcuni aspetti importanti, quali la correlazione e il valore dei MtM degli scambi coinvolti nel netting set.

Affinché ogni strumento contribuisca alla compensazione deve esistere la possibilità che in un determinato istante temporale il suo MtM sia negativo; se infatti così non fos-se non si avrebbe compensazione e bisognerebbe considerare altri strumenti sul mercato per ridurre la loro esposizione. Un esempio di strumenti con MtM sempre positivo sono le posizioni lunghe in opzioni in cui l’intero premio è pagato in anticipo come ad esem-pio accade per le equity options, le swap options e le Foreign Exchange options. Sarà dunque opportuno affiancare a tali strumenti altri che possono assumere MtM negativo, quali ad esempio posizioni lunghe in opzioni senza premio anticipato e Interest Rate Swaps.

E’ infine interessante capire quale è l’impatto della correlazione fra i valori di MtM e quindi di esposizione all’interno di un netting set. Un’alta correlazione positiva dice che i MtM saranno fra loro strettamente indipendenti gli uni dagli altri e con variazioni di segno uguale. In questo contesto, i benefici del netting saranno minori: il netting è infat-ti maggiormente efficace se i valori di MtM degli scambi hanno segno opposto. Nel ca-so estremo di correlazione perfettamente negativa e distribuzioni identiche si avranno dal netting i benefici maggiori, ovvero una compensazione totale.

Altrettanto importante risulta essere il valore iniziale dei MtM. In Figura 3.1 è evidente, nonostante in entrambi gli scenari il netting comporti una diminuzione di esposizione, la diversità dell’effetto di un nuovo scambio a partire da un MtM complessivo negativo piuttosto che positivo di un netting set già esistente. Nel primo caso si ha una notevole riduzione del rischio, mentre nel secondo la riduzione è meno incisiva.

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