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Capitolo 2 Leadership e organizzazione: loro applicazioni ed implementazioni in riferimento ai teams

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Capitolo 2

Leadership e organizzazione: loro

applicazioni ed implementazioni in

riferimento ai teams

2.1 Il concetto di leadership

Le aziende, oltre che di infrastrutture, sono fatte di persone che prendono decisioni e che le attuano per perseguire il successo duraturo dell’impresa nel mercato; all’interno di tutte le imprese troviamo delle persone che per vocazione individuale hanno la capacità di creare condizioni positive allo scopo di far prosperare l’azienda e di condurla verso risultati positivi.

Inizialmente gli studi sul comportamento nelle organizzazioni erano volti al riconoscimento che la leadership era riconducibile ad un insieme di caratteristiche della personalità. Si riteneva che i leader possedessero per natura speciali combinazioni di caratteristiche personali che li differenziavano dagli altri esseri umani, tra tali caratteristiche erano spesso annoverate l’intelligenza, l’onestà, il coraggio, la perseveranza, l’industriosità, l’adattamento, l’estroversione, la sensibilità.

Spesso, però, veniva dimostrato che i membri del gruppo avevano attributi caratteriali molto superiori a quelle del leader.

L’evoluzione degli studi cominciò, quindi, ad evidenziare che la leadership era sì sempre legata alla situazione in cui opera un gruppo ma si constatò che non esisteva un leader di “professione” adatto ad ogni gruppo e circostanza, ma era ogni diversa circostanza che aveva bisogno di un particolare leader; il leader diveniva dunque colui che possedeva le speciali risorse ed abilità necessarie al conseguimento dello scopo del gruppo.

Altri studi portarono poi ad individuare l’esprimersi, nel gruppo, di due tipi di leader diversi, o meglio, complementari, ognuno corrispondente a

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bisogni diversi ma egualmente presenti nel gruppo; questi due tipi di leader erano quello orientato al compito e quello orientato alle relazioni1.

Tali studi fecero sì che si cominciasse a capire che la leadership era frutto di un’interazione tra i membri del gruppo che avveniva al fine di sfruttare le singole caratteristiche dei componenti per ottenere vantaggi utili a tutti, che la leadership non si identificava col comando ma con una serie di azioni collaborative tra i membri del team. Leadership consiste, quindi, in tutte quelle azioni sviluppate ai fini di contribuire alla fissazione degli obiettivi del gruppo, far muovere il gruppo verso il raggiungimento di tali obiettivi, garantire la coesione del gruppo stesso e rendergli disponibili tutte le risorse di cui necessita.

La leadership, quindi, non è affatto una dote naturale, ma il risultato di un lungo esercizio che permette alle persone di emergere in specifici contesti e raggiungere quei determinati risultati con naturalezza. Leader non si nasce ma lo si diventa lungo un percorso individuale e, successivamente, professionale che fa emergere caratteristiche positive sia verso sé stessi che verso gli altri.2

In termini pratici possiamo dire che tutte le aziende vendono prodotti ed offrono servizi attraverso le persone che le rappresentano dai livelli più operativi ed esecutivi fino a quelli direttivi e di vertice; è propri a questi ultimi che si richiede una forte leadership da esercitare su tutti i livelli dirigenziali e non, tali livelli, a loro volta, devono essere dotati di capacità di leadership verso i propri più diretti collaboratori. In sintesi il leader deve entrare in sintonia con tutta l’organizzazione.

1

La teoria verrà chiarita nel paragrafo successivo

2

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2.2 L’evoluzione nel tempo degli studi sulla leadership

Si inizia a parlare di leadership intorno alla fine degli anni trenta quando, negli ambienti organizzativi, ci si iniziò a porre delle domande sugli stili di un leader e sugli effetti che tali stili avevano sui comportamenti del gruppo, in particolare come la leadership potesse essere al meglio e far dare il meglio ai membri di una squadra per migliorarne i risultati, per costruire un clima adeguato, per favorire la propositività, per incrementare la soddisfazione. Tali interrogativi non si placarono negli anni, anzi, tra gli anni ’60 e ’70 il concetto ruota e si attesta intorno ad una definizione di leadership tattica e situazionale impegnandosi a trovare il bilanciamento tra queste due dimensioni, ovvero tra l’orientamento al compito e quello alle relazioni che abbiamo già menzionato nel paragrafo precedente, tale dualismo era stato individuato da Blake e Mouton3.

Il leader orientato al compito era colui che aveva conoscenze relative al compito stesso, era creativo, innovativo, realistico, convincente nell’opera di raccolta del consenso del gruppo, capace di formulare problemi e di riassumere discussioni, abile nel pianificare, organizzare e coordinare.

Complementariamente, il leader orientato alle relazioni era colui che dava amicizia e calore, risolveva i conflitti, allentava le tensioni, dava aiuto, consiglio, incoraggiamento, mostrava comprensione e tolleranza verso i diversi punti di vista nonché imparzialità ed equità verso le diverse situazioni.

Il gioco, in seguito, si complica con il modello di contingenza della leadership di Fiedler4 e acquisisce la tridimensionalità individuata nel potere di posizione del leader, nelle relazioni affettive tra leader e collaboratori e nella struttura del compito del leader stesso.

3

Blake R. R., Mouton J. S., “Gli stili di direzione”, Etas Kompass Milano, 1969, p. 26

4

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Si passa poi al concetto di leadership situazionale. Siamo agli inizi degli anni ’80 e tale concetto è introdotto da Hersey e Blanchard5. In tale modello, come nel precedente, il filo conduttore è quello di definire uno stile di leadership ideale in situazioni date e di riconoscere le dimensioni sottese alla strategia del comando. Dunque la maturità dei collaboratori diviene una variabile tattica della strategia di leadership e non un obiettivo da “rincorrere insieme “nel lavoro quotidiano.

L’anno cruciale per la formazione di un nuovo e differente pensiero sulla leadership è il 1985; il cambiamento del modo di pensare è indubbiamente espressione forte di un contesto e di uno scenario organizzativo in profondo cambiamento, segnato da un’irreversibile trasformazione che ancora oggi è in atto. In questo anno si delinea l’idea di accostare il concetto di leadership ad un concetto mai considerato sino a quel momento: la differenza.

Si delinea il concetto di leadership trasformazionale di Bernard Bass6, la leadership delle quattro “I”, dai tratti forti ed inequivocabili: considerazione individuale, stimolazione intellettuale, motivazione ispirazionale, influenza idealizzante.

Nello stesso anno, a rafforzare il nuovo paradigma, ci pensano i contributi di Bennis e Nanus7 e quello di Schein. Con l’”anatomia della leadership” Bennis e Nanus fissano, come capacità di leadership, dimensioni profondamente ispirate alle relazioni ovvero il catturare attenzioni, comunicare significati, generare fiducia. La leadership di Schein8 si impronta, invece, sulle dinamiche organizzative e si pone come obiettivo la creazione della cultura, e ciò richiede soprattutto comprensione, sensibilità e motivazione.

5

Hersey P., Blanchard K. H., “Leadership situazionale”, Sperling & Kupfer, 1982, p. 47

6

Bass B. M., “Leadership and performance beyond expectations”, Free Press, 1985, p. 62

7

Bennis W. G., Nanus B., “Leader, anatomia della leadership”, Franco Angeli, 1987, p. 103

8

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Nel 1986 sono Tichy e Devanna9 che si aprono al tema del cambiamento, la leadership diviene dinamica, guida, motiva e costruisce nuove organizzazioni, mantenendo comunque l’equilibrio che bilancia fiducia e disponibilità ad apprendere; in maniera simile si colloca il pensiero di Kouzes e Posner10, i due pongono, però, più attenzione sulla sperimentazione, sull’innovazione, creando una figura di leader che in prima persona, promuovendo fiducia e collaborazione, si dirige verso il futuro.

Passo avanti viene mosso nel 1988 da Kotter11. Il suo fattore leadership è la chiave per dar vita ad un piano di cambiamento forte e decisivo, è la chiave per la creazione di una forte rete di implementazione.

Nel 1989 è ancora Bennis a rivoluzionare il pensiero sulla leadership, ora questa diviene un insieme di tutte quelle qualità che occupano tutte le differenti aree della conoscenza personale, si parte dall’attenzione per i collaboratori per poi passare all’apertura all’apprendimento e concludere con l’orientamento agli obiettivi12.

Esiste ancora, però, il problema che questi concetti di leadership si riferiscono ancora ad un’ottica tattica e situazionale in quanto vengono ancora annoverati comportamenti tipici di leadership e tratti da leader.

E’ negli anni ’90, infatti, che la leadership cambia ancora affidandosi ad innovazioni; con Senge la leadership si lega indissolubilmente all’apprendimento ed alla crescita dei collaboratori, il nuovo ruolo di leader si identifica ora con l’insegnare, accrescere il sapere ed il saper apprendere13.

9

Tichy N. M., Devanna M. A., “The transformational leader”, Wiley & Sons, 1986, p. 34

10

Kouzes J. M., Poster B. Z., “The leadership challenge”, Jossey Bass, 1987, p. 56

11

Kotter J. P., “Leading change: why transformational efforts fail”, Harvard Business Review, March-April 1995, p. 59

12

Bennis W. G., “On becoming a leader”, Addison Wesley, 1989, p. 65

13

Senge P. M., “The leader’s new work. Building learning organization”, Sloane Management Review, Fall, 1990, p. 7

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2.2.1 Molti pensieri, pochi tratti comuni

CAMBIAMENTO

ENERGIA CURA

VISIONE

Figura 1: I tratti comuni della leadership

Dei modelli citati nel paragrafo precedente, possiamo dire che molti si basano sui risultati concreti della leadership ma altrettanti sui tratti spirituali della stessa leadership. Tali diverse concezioni possono comunque sia essere accomunate da alcuni tratti fondamentali.

La prima di queste caratteristiche è il cambiamento, inteso come qualcosa da gestire, da coordinare, da riconoscere, da riproporre continuamente verso ottiche future. Tale tema si nota soprattutto in Kotter e nella sua leadership del cambiamento, per il cambiamento e nel cambiamento.

Del cambiamento in quanto egli si riferisce alla sua stessa conduzione, per il cambiamento in riferimento alla sua promozione e nel cambiamento in quanto bisogna essere presenti nello stesso14.

14

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Il concetto di cambiamento viene associato alla concezione di leader carismatico di Kets De Vries e di leader promotore di trasformazioni di Branson e Barnewick15. Dunque cambiare è il traguardo, la necessità, l’ambizione, la chiave per il vantaggio competitivo.

Il cambiamento viene dunque inteso in termini di superamento dei confini, di contrasto verso i comportamenti routinari, di superamento delle barriere costruite dalle abitudini e dalle consuetudini.

Il secondo vertice di questo immaginario “quadrilatero della leadership” è senz’altro la visione, la visione della direzione. Con ciò si intende la dinamica del guardare avanti, pensare al nuovo. Si tratta in sintesi di anticipare le mete, immaginare il futuro, adottare una prospettiva di lungo periodo. La visione indica ciò che si vuole raggiungere, secondo Kouzes e Posner è “il sogno di un futuro che può diventare il presente di domani”16, mentre per Daft e Lengel veniva individuata come “finestra su un più vasto scenario attraente ma non immediatamente raggiungibile”17. Nella leadership carismatica di Conger e Kanugo18 la visione era innanzitutto avere una precisa idea del presente, con Nanus e Dobbs19 essa assumeva contorni ancora più puntuali, in quanto doveva essere elaborata tenendo conto sì della natura e degli scopi dell’organizzazione ma anche delle opportunità presenti, del contesto e delle possibili alternative, sempre, però in un ottica di flessibilità.

Il terzo vertice è la capacità di energia. Tale capacità è intesa come la capacità di passione e motivazione, è l’amore che si trasmette ai collaboratori, è l’avere voglia di fare, di impegnarsi affinché le cose accadano. Ciò, innanzitutto, significa esserci in prima persona ma anche

15

Kets De Vries M. F. R., “Charisma in action: the transformational abilities of Virgin’s Branson and ABB’s Percy Barnewick”, Organizational dynamics, winter, 1998, p. 21

16

Kouzes J. M., Poster B. Z., “The leadership challenge”, Jossey Bass, 1987, p. 58

17

Daft R. L., Lengel R. H., “Fusion leadership: unlocking the subtle forces that change people & organizations”, Berret-Koehler publ., 1998, p. 115

18

Conger J. A., Kanugo R. N., “Charismatic leadership”, Sage, 1998, p. 82

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spingere i collaboratori a dare il meglio di loro. I leaders di Kets De Vries sono un esempio di tale concezione, essi mettono impegno e passione e con ciò riescono a costruire un’alleanza di lavoro in cui sono coinvolti direttamente e riescono a coinvolgere chi sta loro intorno20. La leadership ha bisogno, dunque, di movimento, non è più una leadership statica.

Il quarto ed ultimo tratto distintivo è la cura per i propri uomini, si afferma, dunque, una leadership orientata alla crescita degli altri, in quanto solo in questo modo si può realizzare il differenziale che permette di raggiungere il vantaggio competitivo nelle organizzazioni.

Tale cura deve essere intesa innanzitutto come attenzione nei confronti delle persone, ciò non deve essere, però, simbolo di altruismo ma deve servire ad incrementare la collaborazione con coloro che abbiamo accanto. Senge parla di stewardship, ovvero essere al fianco, non davanti o sopra alla persone. Tale cura si esplicita anche verso l’apprendimento di conoscenze, verso l’attenzione a sé stessi; l’esercizio che contribuisce alla leadership efficace chiede infatti al leader anzitutto di includere sé stesso tra i propri collaboratori21. Addirittura O’Toole ricorda che, se in passato le figure di leader erano identificabili nel comandante, nel capitano, oggi sono divenute il mentore, l’insegnante premuroso22.

In sintesi la sfida della leadership è quella del sostegno, dell’apprendimento, un sostegno che viene anzitutto dall’interno, dall’educazione interiore che coincide con la leadership di sé stessi.

20

Kets De Vries M. F. R., “Charisma in action: the transformational abilities of Virgin’s Branson and ABB’s Percy Barnewick”, Organizational dynamics, winter, 1998, p. 86

21

Senge P. M., “The leader’s new work. Building learning organization”, Sloane Management Review, Fall, 1990, p. 14

22

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2.3 La leadership oggi e le sue componenti

Dunque la leadership non è da vedersi come un punto d’arrivo ma come una via, un percorso infinito che richiede dedizione, pazienza e anche umiltà. I mezzi di cui si avvale per favorire lo sviluppo di questa personalità sono le tecniche, le abilità, le competenze, ma è altrettanto chiaro che le componenti della leadership non possono essere elencate in quanto non sono assolutamente dei dati di fatto; tuttavia è comunque possibile individuare alcuni elementi che, in parte, accomunano le esperienze di leader. Tali elementi riguardano innanzitutto le competenze professionali, esse sono una base su cui costruire, il possesso di sicure competenze legate all’attività lavorativa è ritenuto un elemento indispensabile, senza questa base di partenza non si può assolutamente pensare di diventare un leader.

Esistono poi una serie di capacità specifiche, ovvero correlate direttamente all’esercizio della leadership, connesse appunto alla capacità di creazione e conduzione di un team oltre che alla costruzione, comunicazione e impegno nella creazione di obiettivi che tutti i membri del team stesso possano conseguire, identificando loro stessi in quegli obiettivi.

Di notevole importanza sono anche abilità generali, come quelle che permettono di individuare e proporre soluzioni creative ai problemi, questo si rivela molto importante in quanto le soluzioni devono sempre adattarsi agli ambienti di impresa sempre più caratterizzati da dinamiche notevoli. Dunque il negoziare e conciliare soluzioni partendo da varie opinioni si rivela importantissimo sia per la risoluzione dei conflitti che per lo sviluppo di partnership all’interno e all’esterno dell’organizzazione. L’esempio più significativo in questo campo è sicuramente l’uso di strategie win-win ovvero il ricercare ipotesi di accordo che permettano a tutte le parti in causa di considerarsi vincitrici.

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All’ultimo posto, ma non per ordine di importanza, vi è l’utilità di sviluppare dei tratti personali che favoriscano il fatto di simboleggiare un “faro” per gli altri. Si tratta di caratteristiche che inducono stima, fiducia da parte degli altri, è la capacità di assumersi responsabilità senza rigettarne, poi, il peso sugli altri, è il coraggio nelle decisioni e nelle azioni, è la continua attenzione che si ha nei confronti di tutti coloro con cui intraprendiamo relazioni23.

Per concludere possiamo dire che le competenze professionali si apprendono normalmente con lo studio e l’applicazione, le altre capacità ed abilità non vengono apprese con metodi tradizionali, ma lasciate all’intuito ed all’esperienza personale, è questo che fa sì che tali competenze siano abbastanza rare e quindi particolarmente apprezzate in chi ha avuto la fortuna di riuscire a svilupparle.

23

Brams S. J., Taylor A. D., “The win-win solution: guaranteeing fair shares to everybody”, W. W. Norton, 1999, p. 11

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2.3.1 Le caratteristiche della leadership

LEADERSHIP

CARISMA DOTI PSICOLOGICHE LUNGIMIRANZA

Figura 2: Le caratteristiche della leadership

I fattori che condizionano maggiormente le attività nell’ambito dell’impresa favorendo la crescita delle risorse sono dunque la consapevolezza di sé, l’abilità nell’avere relazioni sociali, provare empatia24.

Di conseguenza possiamo dire che una buona leadership è il risultato dell’esercizio di fusione di cuore, mente, intelletto ed emozioni. Ciò che deve guidare la leadership è una buona capacità di individuare, oltre che i potenziali sviluppi dell’azienda, anche quelle che sono le aspirazioni e le motivazioni degli individui all’interno delle organizzazioni. Infatti la leadership deve motivare, guidare, ispirare, ascoltare, convincere e

24

Nelle scienze umane, l'empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da uno sforzo di comprensione intellettuale dell'altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale

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soprattutto creare risonanza. La risonanza ha un impatto energetico molto più forte rispetto alla dissonanza e permette di creare un meccanismo di automotivazione che si espande a tutta l’azienda coinvolgendo tutta l’organizzazione.

Sono gli individui che si sentono responsabilizzati, quelli che riescono a generare, attraverso le sinergie da loro create, maggiori forme di attività che poi adottano anche nell’ambito dell’attività di impresa e possono avere anche una percezione diversa e più aperta dell’ambiente che li circonda. Nella leadership non è solo importante cosa si fa ma anche come lo si fa, una buona leadership deve favorire uno spirito di gruppo, quando le persone lavorano insieme si influenzano reciprocamente nei loro stati d’animo e nelle loro emozioni. La leadership deve essere credibile, ciò significa poter comunicare efficacemente ed efficientemente le emozioni e le dissonanze, infatti, se una critica è sincera, essa avrà il solo risultato di rasserenare l’atmosfera.

Tutto questo dipende dalle modalità di comunicazione, l’avversione, il disprezzo e gli attacchi personali conducono ad un clima di forte tensione all’interno dell’organizzazione, pregiudicando il rapporto di ognuno col proprio lavoro. I risultati saranno tanto più disastrosi quanto più si terrà all’opinione delle persone25.

Dunque la leadership deve essere al servizio degli obiettivi che devono essere identificati e modificati in funzione degli orientamenti da perseguire.

25

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2.3.2 Obiettivi della leadership

GLI OBIETTIVI SONO LAVORARE CON EMOZIONI SENTIMENTI FIDUCIA OTTIMISMO

Figura 3: Gli obiettivi della leadership

La leadership deve creare fiducia, entusiasmo e ottimismo, nonché usare l’umorismo che necessita di abilità specifiche per creare ottimismo ed alleviare le situazioni di tensione. Spesso, infatti, le difficoltà ed i momenti di scarsa fiducia da parte degli altri vengono percepiti prima col corpo e poi con la mente; spesso si avverte la mancanza di sintonia con un malessere fisico che poi si accompagna con la ricezione dei segnali da parte dell’intelletto. L’obiettivo della leadership è quello di ridurre tali momenti di tensione a favore di uno spirito molto più collaborativi.

La leadership non deve essere aggressiva e non deve dar sfogo alla rabbia, le persone irritabili provocano altrettanta irritazione e rendono le persone nervose ed insicure. I leader devono abbracciare dei valori e non solo: devono anche crederci, solo così i messaggi lanciati, così come le decisioni prese, avranno l’esito positivo sperato.

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2.4 Gli ostacoli alla leadership

E’ importante, per chi è considerato“fonte di leadership”, di tanto in tanto staccare la spina per il tempo necessario ad effettuare un autovalutazione complessiva sui modi in cui sta svolgendo i compiti e gestendo il sistema delle relazioni. Una delle preoccupazioni che maggiormente ostacolano tale valutazione è legata alle perdite di tempo, in effetti è possibile non accorgersi di essere rimasti intrappolati in un circolo vizioso, ovvero in un continuo aumentare del valore delle attività e delle decisioni causato da qualche errore fondamentale ed inconsapevole del comportamento.

Per esempio prendere una decisione troppo in fretta, senza aver acquisito le necessarie informazioni, può ridurre il livello di credibilità verso i collaboratori, dato che essi si fideranno meno sarà sempre più difficile reperire informazioni, dunque le decisioni future saranno ancora più sudate e di efficacia sicuramente minore.

DECISIONE AFFRETTATA RIDUZIONE DI CREDIBILITA’ MINOR CONDIVISIONE DI INFORMAZIONI PIU’ TEMPO ED ENERGIA PER ACQUISIRE INFORMAZIONI MINOR QUALITA’ DELLE INFORMAZIONI E MINOR TEMPO DISPONIBILE PER LE DECISIONI

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Oltre al fatto di prendere decisioni affrettate ci sono altre cause che possono generare dei circoli viziosi che faranno sì che la leadership non venga applicata in maniera efficace e, di conseguenza, che il leader divenga poco credibile e quindi inefficace.

In primo luogo il non rinnovamento del team. Un team che rimane troppo tempo invariato può incorrere nel fenomeno del groupthink26, tutto ciò fa in modo che si prendano decisioni errate e, nonostante l’impegno profuso dalle persone, diminuisca il livello di creatività ed efficienza.

Altro problema è la presenza oppressiva del leader, egli si trova ad essere una persona di indiscussa efficacia all’inizio in quanto fonte di apprendimento e stimolo, ma di eccessiva pressione in un secondo momento in quanto è difficile che le persone del gruppo non si sentano osservate nel loro lavoro nonostante essi abbiano beneficiato di un processo di crescita innescato e guidato dal leader. Dunque bisogna separarsi dai migliori collaboratori in quanto essi, avendo raggiunto inadeguato livello di maturità, saranno più utili se collocati in posizioni di leadership in altri comparti dell’organizzazione in modo da svolgere efficacemente il proprio ruolo e contribuire, così, alla crescita complessiva.

Un altro ostacolo può essere costituito dall’eccessiva permissività, ovvero dal prendersi troppe responsabilità in relazione ad una cattiva prestazione di uno dei componenti della squadra. Chiaramente un comportamento del genere può anche essere stimolante in quanto dimostra la fiducia che il leader ha nei confronti del membro, se, però, dovesse prolungarsi avrà l’unico merito di generare malumore in coloro che forniscono il massimo impegno per la causa comune.

26

Per groupthink si intende quel fenomeno che ha la conseguenza di far prevalere il senso di appartenenza e coesione di un gruppo a scapito dell’obiettività delle valutazioni.

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L’impedimento può arrivare anche da aspettative non realistiche27, ovvero dallo stabilire obiettivi impossibili da conseguire, ciò produce un pessimo effetto sulle persone che, pur impegnandosi al massimo, non si sentiranno all’altezza. Bisognerà dunque che il team si ponga obiettivi di sfida ma credibili, in caso contrario, si dovrà rendere conto del gap, aggiustare il tiro e fornire feedback positivi a coloro che hanno operato ad un buon livello. Può succedere anche che si sia talmente presi dallo svolgimento diretto dei compiti che ci si dimentichi di entrare in relazione con le persone che ci stanno vicino, ciò è deleterio in quanto le persone richiedono attenzione, dunque, anche se non in maniera totale, è necessario fare in modo di dedicare ai collaboratori il tempo richiesto dalla relazione in essere.

Possiamo considerare come ostacolo anche il fatto di abbracciare un unico modo di prendere le decisioni, i problemi, infatti, sono così diversi e numerosi che è impossibile cercare di unificare il modo di decidere, è opportuno quindi ascoltare tutte le diverse opinioni in merito, senza alcuna chiusura mentale, per decidere sulle questioni di ogni tipo e rilevanza.

Evitare, inoltre, di lanciare l’organizzazione su molti fronti, ovvero di avere uno zelante eccesso di iniziativa, ciò in quanto diviene difficile dedicare risorse in quantità sufficiente a molti progetti, in questo modo, inevitabilmente, qualcuno di questi progetti sarà tralasciato o richiederà lunghi tempi di realizzazione. Inoltre la dispersione di risorse non aiuterà certamente l’individuazione delle priorità, vigerà dunque un’incertezza che rischierà di far perdere l’orientamento all’organizzazione. Sarà necessario, dunque, bilanciare le iniziative con le risorse disponibili e indicare con chiarezza quali debbano essere perseguite con una certa priorità.

Infine la decisione non deve essere presa troppo lentamente, ovvero il leader non ha l’obbligo di ascoltare tutti prima di decidere. Il posizionamento del leader consiste anche nel saper individuare un gruppo

27

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di persone rappresentative e stimate cui far riferimento ogni volta che l’urgenza della situazione lo richiede. L’errore, in questo caso, consiste nello scegliere tali persone, se il leader non dovesse farlo correttamente rischierà di farsi coinvolgere in processi che lo porteranno a prendere decisioni errate e in tutte le conseguenze del caso28.

2.5 Evoluzione dello stile di leadership

L’organizzazione come macchina è una metafora fondamentale che si afferma con l’estensione del concetto di macchina da quello delle macchine costruite dal genere umano alle cose esistenti nella realtà. Il concetto di macchina è composto da due proprietà: una meccanica, che è caratterizzata dalla prevedibilità, dalla precisione, dall’affidabilità; l’altra naturale caratterizzata dal fatto che le macchine funzionano in base alle leggi naturali29. Secondo tale metafora la macchina si configura come sistema semplice e quindi costante nel tempo e, anche se dovesse cambiare, lo farebbe in maniera lineare. Dobbiamo, però, considerare che esistono anche sistemi complessi in cui il funzionamento non è dettato dalla normalità, ma spesso ci troviamo di fronte a comportamenti non lineari, non deducibili e non prevedibili, dettati dalle perturbazioni provenienti dall’esterno. I sistemi complessi tendono, dunque, a cambiare nel tempo con cambiamenti non lineari e risultanti da adattamenti e discontinuità. Sistemi complessi possono essere ritrovati nel cervello e nella mente umana, dunque anche nei gruppi di aggregazione.

L’organizzazione, quindi, in questa accezione, più che sistema semplice, può essere considerata sistema complesso, che si trasforma nel tempo; di conseguenza anche la leadership deve essere in grado di gestire tale

28

Heifetz R., Laurie D. L., “The work of leadership”, Harvard Business Review on leadership, Harvard Business School Press, 1997, p. 38

29

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cambiamento, in tal modo l’organizzazione potrà agire in maniera conforme al cambiamento.

In principio le caratteristiche di governo e di comando nelle forme di lavoro organizzate si fondavano sul presupposto della leadership razionale30. Secondo tale visione era la certezza delle previsioni che consentiva la creazione di meccanismi di funzionamento delle organizzazioni e, a tale certezza, si ispirava la leadership. In questo caso lo scopo della leadership era quello di pensare ed agire l’organizzazione come una macchina determinabile e decidibile una volta per tutte. Le strutture in cui tale leadership veniva concepita erano pensate come costanti, continue e fondate sull’equilibrio, sulla certezza, la stabilità. Prevalevano, dunque, comportamenti di esecuzione e controllo e le manifestazioni della leadership riguardavano azioni come ordinare, predisporsi alla continuità, difendere ciò che era consolidato, essere insostituibili31.

Oggi i tentativi di ridefinire ed adattare la leadership sono orientati verso una sorta di leadership conversativa32. Il contesto organizzativo, in questo caso, è pensato ed agito come un organismo, una forma di vita, l’incertezza viene riconosciuta come costitutiva e come ciò che rende rilevante la leadership. Dunque, questa contingenza è caratterizzata e costituita da incertezza, apprendimento ed evoluzione, le forme di esercizio della leadership in questa prospettiva sono orientate alla coevoluzione, al contenimento, alla comunicazione ed al coinvolgimento e tendono ad esprimersi in azioni come crescere, allevare, preparare il futuro, valorizzare le discontinuità, divenire sostituibili.

30

In altre parole orientata al compito

31

Pievani T., Varchetta G., “L’impresa come rete che apprende”, Sviluppo e organizzazione n. 160, marzo-aprile, 1998, p. 72

32

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Alla luce di quanto detto, si possono riconoscere tre prospettive permanenti a proposito delle forme di esercizio della leadership33.

La prima di queste si esplicita secondo i rigidi metodi della razionalità spontanea. Nei casi in questione l’evoluzione è significativamente vincolata dalla dipendenza dalla storia e dal peso della tradizione gestionale che si trova ad influenzare le possibilità di apprendimento. I metodi rigidi della razionalità spontanea si caratterizzano per essere basati su criteri come il giudizio e il pregiudizio da un lato e l’incitazione e l’abbandono dall’altro. Ciò significa che, chi guida il personale, agisce spesso senza sottoporre a critica e a verifica i pregiudizi da cui parte, perseverando nelle convinzioni che, di solito, sono frutto delle prime impressioni e ricorrendo a giudizi unilaterali come via per la valutazione dei collaboratori. In questa ottica gli strumenti relazionali di gestione dei rapporti fanno ricorso soprattutto all’incitazione, all’invito permanente ai collaboratori ad impegnarsi, a cui tende, però, a corrispondere una posizione di abbandono durante la realizzazione delle attività, un’assenza di sostegno operativo alle persone. Un secondo metodo tende ad adottare una forma di leadership che può essere ricondotta ai metodi standard della razionalità programmata. La certezza nei processi di gestione delle relazioni interne è il criterio base di tale prospettiva, la certezza dei principi e delle categorie, a cui corrisponde il controllo degli adempimenti rispetto alle disposizioni basate su quelle stesse categorie e su quegli stessi principi certi. L’assunto di questa prospettiva è la razionalità dei comportamenti e delle scelte, dunque tale prospettiva consente di formulare un piano d’azione da poter mettere in pratica. L’esercizio della leadership si configura, perciò, con la formulazione ed il presidio dell’attuazione di un programma che assume le caratteristiche di uno strumento di governo preordinato e lineare.

33

Piccardo C., Benozzo A., Cecchinato F., “Insegnare e apprendere la leadership”, Sviluppo e organizzazione, n. 165, gennaio-febbraio, 1998, p. 91

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L’ultima modalità si riferisce a forme di esercizio della leadership che si rifanno ai metodi basati sugli apprendimenti emergenti che creano sapere pratico in situazione, sugli apprendimenti dell’esperienza situata. La caratteristica principale di tale prospettiva è l’incertezza. L’equilibrio delle prospettive precedenti lascia il posto all’apprendimento che viene identificato come il processo mediante il quale si costituisce la l’evoluzione organizzativa. Le forme di esercizio della leadership hanno a che fare con l’apprendimento, sia per le modalità con cui si definiscono i rapporti tra esse ed i vincoli e le possibilità di apprendimento, sia perché la stessa leadership si esprime in modi diversi a seconda dell’uso pratico della comunicazione sociale e del linguaggio normativo che possono farla risultare più o meno centrata sull’apprendimento.

Si parla dunque di capacità di adattamento e di disadattamento in quanto si pone l’accento sulla complessità dell’evoluzione delle forme organizzative e dell’esercizio della leadership al suo interno. Si mette in discussione tutto, si usano caratteri rilevanti come il linguaggio che si pone alla base dei processi di influenzamento, la conversazione intesa come capacità di indirizzare verso una direzione condivisa le risorse disponibili e gli orientamenti presenti.

Il fatto che ci siano delle prospettive di leadership come quelle precedentemente descritte non deve far pensare che esistano degli stili di leadership predeterminati, o meglio, possiamo dire che ne esista una così grande varietà da non poterne individuare facilmente i confini.

Gli stili si differenziano, infatti, in almeno tre fattori: le forze interne che il dirigente riesce a controllare, i profili di intervento e l’atteggiamento nei confronti dei meccanismi di decisione34.

34

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2.5.1 Le forze interne

Partiamo con l’esplicare quelle che sono le forze interne di un’organizzazione, esse sono definite come ogni tipo di strumento che possa essere utilizzato da individui appartenenti all’organizzazione stessa per influenzare obiettivi, azioni, comportamenti e strategie. Tali forze sono di varia natura e possono essere ricondotte a vari fenomeni esistenti nell’organizzazione. Ogni membro dell’organizzazione ha accesso e controllo a tali forze; il compito principale di queste persone si configura nel governare queste forze e nell’attuare gli interventi opportuni per allinearle al massimo verso gli obiettivi dell’organizzazione.

A) La gerarchia: per gerarchia possiamo intendere la capacità di influenzare il comportamento altrui attraverso meccanismi dipendenti dalla specifica posizione occupata all’interno dell’organizzazione. Nessuna organizzazione, infatti, può fare a meno di associare ai vari livelli di responsabilità un adeguato livello di autorità formale. Si parla in questo caso di strumenti incentivanti (come premi a comportamenti allineati agli obiettivi aziendali) e disincentivanti (per punire comportamenti non allineati). L’attribuzione del giusto livello di potere legittimo, ovvero proporzionato al ruolo e codificato da regolamenti e norme, conferisce visibilità e contribuisce a creare rispetto; diviene, dunque, fondamentale all’interno dell’organizzazione, soprattutto in un’ottica di coordinamento. Oltre al potere legittimo vi è anche un’altra forma di potere, quella collegata all’esercizio arbitrario delle mansioni assegnate, in altre parole, l’arbitrarietà di ciascun soggetto nello svolgere le proprie mansioni. Tali margini di arbitrarietà possono, però, essere usati a proprio favore dall’agente per ottenere questo tipo di potere che non è né legittimato né codificato. Ciò è molto dannoso in quanto favorisce il prendere

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corpo di interessi individuali da parte dell’agente e sottrae a chi di dovere i meriti e le responsabilità delle scelte operate dall’agente non legittimato. Dunque gli elementi critici di questa forza interna sono vari, si parte dal rischio di utilizzazione a fini personali, si continua con le difficoltà di bilanciare responsabilità e autorità ai vari livelli, si parla poi dell’utilizzazione corretta di questi strumenti e si termina col descrivere il costo del monitoraggio necessario per l’osservazione dei comportamenti degli individui e dei gruppi.

B) Le relazioni personali: il sistema di relazioni personali35, se opportunamente gestito, può divenire una leva molto potente per conseguire gli obiettivi e per influenzare i comportamenti di altri soggetti. La chiave principale dello sviluppo di tale sistema sta nell’empatia, ovvero nella capacità di percepire i sentimenti e le emozioni degli altri, diffondendo al tempo stesso una sensazione di comprensione, di calma e di tranquillità. Dunque bisogna da un lato saper interpretare i segnali provenienti dagli atteggiamenti e, dall’altro, saper mettere da parte il proprio bagaglio emozionale che sarebbe di ostacolo alle percezioni. Non si tratta di essere cortesi ed affabili, ma di dimostrare attenzione e comprensione, stabilendo relazioni basate sulla fiducia reciproca. I flussi di empatia creano reti informali all’interno dell’organizzazione, le persone che meglio riescono a gestire queste relazioni acquistano una notevole capacità di influenza. Inoltre, poiché spesso ciascuno di questi sistemi si struttura informalmente, è assolutamente necessario che si riesca a trovare un equilibrio tra i diversi punti di vista espressi dagli attori, è essenziale, quindi, possedere le abilità collegate alla capacità di ascoltare e di astrarsi emozionalmente. Nelle organizzazioni

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Il non coinvolgimento in qualsiasi funzione corrisponderebbe a un grosso impedimento per la crescita del team

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moderne, caratterizzate da catene gerarchiche appiattite, i sistemi interni di relazione costituiscono una forza considerevole, bisogna, però, fare attenzione ad eventuali spinte disgreganti nei confronti della struttura organizzativa, quindi agire o in maniera preventiva, indicando chiaramente i sentieri di sviluppo desiderati e i limiti che l’organizzazione pone al comportamento dei singoli, o in maniera accompagnatrice, costruendo, mantenendo e coltivando una propria rete di relazioni orizzontali e verticali.

C) Le informazioni: tutto e tutti devono essere fonte di informazione36. I membri dell’organizzazione devono, infatti, essere messi al corrente delle aspettative riposte in loro; essi devono essere coscienti della missione, delle responsabilità, dei doveri delle aspettative sui risultati, dei criteri di misurazione delle prestazioni, degli strumenti volti a diminuire le inefficienze e a migliorare la performance. Spesso, però, coloro che sono collocati nei punti chiave dei flussi informativi, possono essere tentati di influenzare a proprio vantaggio i processi decisionali. Chi detiene questo potere, infatti, tende a trattenere volontariamente le informazioni cosicché, i soggetti che ne rimangono privi, non riescono a raggiungere i livelli ottimali e a conformarsi agli standards aziendali di riferimento. Anche la scelta dei canali con cui diffondere le informazioni può costituire una forma di controllo; canali diversi hanno, infatti, efficacia diversa per i vari utenti. Anche la forma, ovvero la modalità di presentazione, determina spesso determina l’importanza che viene data al contenuto di un messaggio e la quantità di informazioni che viene effettivamente ricordata. Dunque sono molti i risvolti negativi dei canali informativi, per questo è

36

In particolare bisognerebbe puntare alla gestione, programmazione e controllo dei processi di know-how transfer: in questo campo l’improvvisazione ed il caso portano alla certezza del fallimento degli obiettivi.

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necessario porre molta attenzione alla progettazione ed all’uso di questi strumenti in modo da farne il sistema portante della diffusione delle informazioni, essenziale diviene, quindi, il continuo presidio della loro funzionalità e del loro funzionamento.

D) Competenze, abilità, conoscenze, emozioni e sentimenti: per competenza si intende la capacità di risolvere problemi in contesti definiti, essa non è una qualità innata, ma si acquisisce attraverso processi di apprendimento complessi che si basano su percorsi formativi, interazione con l’ambiente, scambio di conoscenze con altri soggetti. Le competenze si manifestano in particolari abilità dimostrate sul campo e attraverso specifici comportamenti. Le abilità sono articolazioni delle competenze, esse rimangono attive finché utilizzate, ma anche quando non lo sono più, rimangono comunque patrimonio dell’individuo. Anche le conoscenze37 sono articolazioni delle competenze, esse sono insiemi di dati ed informazioni compresi, acquisiti e conservati dal soggetto; la conoscenza può essere frutto di contatto con fonti esterne o può scaturire dall’esperienza individuale. Dunque le competenze sono insiemi mirati e coordinati di abilità e conoscenze che permettono prestazioni riconoscibili in specifici campi di intervento. Sono coloro che sono possessori di competenze distintive e strategiche che acquistano influenza nell’organizzazione; tanto più è distintiva la competenza, tanto maggiore sarà il potere ad essa collegato. Emozioni e sentimenti costituiscono l’aspetto motivazionale degli attori nell’organizzazione, le persone, infatti, non dovrebbero lavorare per denaro, ovvero non dovrebbe essere l’incentivo monetario a determinare la prestazione, ma un più sofisticato

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La tendenza ad assegnare un peso sempre maggiore ai “fattori intangibili” è abbastanza generalizzata, nelle imprese di know-how si manifesta con particolare forza.

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insieme di emozioni e sentimenti. Ciò che determina performances eccellenti è la creazione di un sentimento di connessione all’interno dell’organizzazione, le persone devono percepire di partecipare ad un continuo processo di arricchimento individuale, non solo sul piano delle conoscenze, delle competenze e delle abilità, ma anche, e soprattutto, sul piano dei rapporti. E’ essenziale la presenza di soggetti capaci di generare col comportamento, con le azioni, con le parole, un tale sentimento di connessione. La capacità di creare connessione con le persone è una delle più grandi fonti di potere all’ interno dell’organizzazione. Tale esercizio emotivo richiede, però, anche molto autocontrollo, bisogna infatti riuscire a frenare gli impulsi, analizzare le emozioni, controllare tensioni ed ansia, tutte cose che, però, risultano difficili in una situazione di stress.

2.5.2 I profili della leadership

La leadership si manifesta, dunque, diversamente a seconda della situazione in cui viene esercitata e del modo in cui si riesce a mettere a frutto le fonti principali di potere come le forze interne.

Ci può essere un profilo strutturale che si riferisce all’architettura organizzativa, alle strategie e che richiede dunque capacità di analisi, interpretazione e progettazione.

Il profilo delle risorse umane, relativo ai processi di apprendimento e condivisione delle conoscenze, alle deleghe verso la base della scala gerarchica, alla comunicazione.

Un profilo, per così dire, politico che riguarda i diversi interessi, la costruzione ed il mantenimento delle coalizioni e delle relazioni, la capacità di persuadere e negoziare.

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Infine un profilo simbolico, ovvero l’esigenza di essere fonte di ispirazione, di utilizzare simboli per catturare l’attenzione, di fornire interpretazioni ai risultati aziendali.

Chiaramente ognuno di questi profili è importante e ciò dipende dalla circostanza di utilizzo, dunque l’esercizio della leadership si rivela estremamente delicato e complesso in quanto chi esercita leadership dovrebbe essere in grado di operare lungo ciascuna di queste dimensioni38.

2.5.3 Gli atteggiamenti di chi esercita leadership

In questo caso, ad essere presi in considerazione, sono gli orientamenti che, chi esercita leadership, assume nei confronti del processo decisionale39. Possiamo innanzitutto individuare un atteggiamento autocratico, ovvero un atteggiamento che caratterizza chi è orientato principalmente ai risultati. In questo caso ci si attende dai propri collaboratori efficienza e professionalità; ad influire su questo atteggiamento è essenzialmente il tempo, le informazioni essenziali, infatti, costituiscono un fattore critico, sono centralizzate e non possono essere divulgate. Il leader deve, quindi, essere stimato sia per le sue esperienze che per le sue capacità in quanto solo tale stima può dare ai collaboratori il giusto input per collaborare in un ambiente del genere. Le decisioni del leader devono essere riconosciute, infatti, come le migliori possibili in quelle circostanze specifiche. Il leader deve, inoltre, eccellere nel motivare chi gli sta accanto e, queste persone, non devono sentirsi prevaricate ma essere orgogliose di far parte di quella squadra. Il leader autocratico non è però un despota, che ottiene i propri risultati minacciando ed intimidendo le persone, ma una persona il cui atteggiamento è riconosciuto dai collaboratori come appropriato alle

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Chiaramente il leader deve sempre guadagnarsi la credibilità sul campo.

39

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circostanze, egli assume le vesti di guida, stando davanti agli altri chiedendo loro ciò che lui aveva già applicato in precedenza. Come già detto, l’efficacia di tale atteggiamento è legata alla vitalità della decisione da prendere in maniera direttamente proporzionale.

Un secondo possibile atteggiamento del leader è di tipo delegativo, ovvero orientato in via prioritaria all’apprendimento. Tale atteggiamento, però, si rivela essere molto rischioso in quanto richiede, come conditio sine qua non, un elevato livello di competenza delle persone coinvolte, un diffuso clima di fiducia che generi la consapevolezza che la decisione è frutto dell’appoggio di tutti ed un graduale addestramento dei collaboratori con l’affidamento di responsabilità via via crescenti. Tramite la delega, infatti, si può notevolmente estendere il campo d’azione ed i vantaggi sono immensi, infatti, le persone possiederanno il massimo delle informazioni della situazione operativa, le decisioni saranno prese più rapidamente e verrà raggiunto un grado notevole di empowerment.

Naturalmente esistono anche degli svantaggi di tale atteggiamento che possono essere sintetizzati nella lunghezza del procedimento, negli elevati costi del processo di delega, nel fatto che i collaboratori non riescano a raggiungere un elevato grado di coesione e fiducia reciproca e nel fatto che potrebbero essere avanzate pretese da coloro i quali, per così dire, hanno visto nella delega una sorta di investitura di potere ad infinitum.

Dunque sarà importantissimo coltivare le risorse umane per portarle alla valorizzazione e fare in modo che decidano ed agiscano con il migliore allineamento agli obiettivi.

Altro tipo di atteggiamento è quello partecipativo, ovvero orientato alla ricerca del consenso. Vengono coinvolti i collaboratori nel processo decisionale però è sempre il leader che mantiene il potere finale della decisione. E’ necessario, dunque, essere pronti ad ascoltare e capire le diverse posizioni ed infondere fiducia anche in coloro che vedono la loro

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opinione poco rilevante ai fini di prendere la decisione finale. Chiaramente, per essere veramente efficace, tale leadership deve essere comunque volta a favorire l’apprendimento, ovvero le interazioni continue devono formare le persone in quanto devono fare in modo che vengano condivise le varie conoscenze e le varie esperienze40.

40

L’intero progetto deve comunque sia essere centrato sulla coerenza e sulla credibilità, cadute di tensione su questi versanti rischiano di compromettere l’intera situazione

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2.5.4 Il ciclo di vita della leadership

Delega

Partecipazione

“Selling”

“Telling”

MATURITA’ DELLE RELAZIONI

L IVEL L O D E L L E R E LAZ IO N I

Figura 5: Il ciclo di vita della leadership

(Tardia T., “Gli stili di leadership”, PMI 7/2003)

Dunque molti sono gli stili di direzione che possono essere analizzati, se ci concentriamo sul grafico del ciclo di vita della leadership di Hersey e Blanchard41 possiamo vedere come i diversi stili possano essere utilizzati efficacemente nelle diverse fasi per favorire la crescita individuale.

La rappresentazione avviene in termini di intensità delle relazioni e sviluppo dei processi di apprendimento che sono direttamente correlati alla maturità del sistema di relazioni all’interno della squadra.

41

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La relazione inizia nel settore “telling”: vengono assegnati in modo univoco compiti e condizioni di svolgimento delle attività, l’obiettivo è però quello dell’apprendimento, per cui è il leader che segue la crescita delle persone fino a condurle a comprendere al massimo le dinamiche del decision making . La relazione evolve, poi, nel settore “selling” dove il livello raggiunto mette in grado i componenti della squadra di partecipare al processo decisionale, che continua però ad essere guidato e sorvegliato dal leader. La relazione è più matura in quanto i compiti si arricchiscono soprattutto dal punto di vista qualitativo.

Si arriva dunque al settore della partecipazione, l’obiettivo in questo caso è quello di far evolvere la relazione al suo stadio finale, ovvero la delega in cui ogni membro si caratterizza per autonomia e capacità decisionale.

In fin dei conti ci si comporta un po’ come si comportano i genitori con i propri figli, il processo è di tipo dinamico, il leader abbandona gradualmente le persone con cui la relazione è arrivata alla maturità, tali persone iniziano a costituire altri nuclei di relazioni per dar vita ad un processo che si propaga lungo tutta l’organizzazione.

2.6 Rapporti tra leadership e formazione

Molti sono i modi di implementazione della leadership, ma tutti dipendono da una serie di fattori che determinano, appunto, le forme di utilizzo di queste teorie. Questi elementi sono innanzitutto i luoghi della formazione, ovvero gli ambienti aziendali o gli ambienti esterni; i tempi dell’esperienza formativa, ovvero concentrati o diffusi oppure un seminario di breve durata o un’esperienza di formazione diluita in tempi medio lunghi; la distanza dalle esperienze del soggetto e del suo contenuto organizzativo, ovvero la vicinanza o meno ai problemi affrontati; la centratura sul passato o sul presente rispetto a quella sul futuro, ovvero il basarsi su esperienze passate

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o su simulazioni del presente in ottica futura; la conoscenza ed il controllo dello stile di esercizio della leadership, ovvero la possibilità di vedere l’azione concreta di leadership o il limitarsi a visionare le azioni simulate. L’ultimo elemento, ma non per ordine di importanza, è la destinazione, ovvero il fatto che la formazione sia rivolta ad un solo soggetto o alla totalità del gruppo42.

Le molteplici combinazioni che derivano dal tenere simultaneamente sotto controllo tutte queste condizioni possono, comunque sia, essere raggruppate in dei gruppi per rendere più facile la loro comprensione.

Il primo approccio è un approccio che prevede la vicinanza alle problematiche di leadership affrontate dal soggetto o dal gruppo43. In questo casi le situazioni da analizzare vengono progettate dai partecipanti stessi. Il soggetto scrive, racconta e rivive episodi per lui significativi e problematici di leadership che vengono analizzati ed interpretati attraverso il lavoro dei colleghi e del formatore; costoro consentono al soggetto di adottare nuove prospettive di lettura nonché di acquisire consapevolezza dei pensieri, dei valori a cui è orientato onde verificarne l’adeguatezza e, eventualmente, ridefinirli e rielaborarli nell’ottica di una più elevata efficacia organizzativa e di una maggiore soddisfazione professionale. La finalità è quella di far diventare il soggetto consulente di sé stesso e dei suoi colleghi, ovvero di sviluppare una professionalità riflessiva attraverso l’interiorizzazione di un modello e di un metodo di analisi dei comportamenti di leadership che potrà autonomamente utilizzare in futuro. Il soggetto diviene quindi una sorta di esploratore del territorio della sua leadership, in grado di leggere le tracce che la sua storia di leader ha lasciato su di sé ed interpretarle per il futuro.

42

Conger J. A., Benjamin B., “Building leaders. How successful companies develop the next generation”, Jossey Bass, 1999, p. 48

43

Si parla di un approccio che prevede Il metodo dell’autocaso riprogettato, del role playing su testi originali costruiti dai partecipanti stessi.

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Chiaramente questo approccio ha i suoi limiti, in quanto sarà difficile, al rientro nell’organizzazione, essere riassorbiti dalla forza dei comportamenti routinari mantenendo alta l’attenzione all’analisi ed alla riprogettazione dei corsi d’azione; altro limite è quello, se il gruppo di formazione risulta essere numeroso, che non tutti sono disposti a mettersi in gioco raccontando e riprogettando un loro episodio personale di leadership.

Un secondo tipo di approccio44 prevede un’alta vicinanza situazionale, privilegiando la consulenza al ruolo, il tempo non è più determinato ma si dilata ed il soggetto narra al consulente le personali esperienze di leadership da analizzare e riprogettare.

Dunque, anche in questo caso si usa il metodo dell’autocaso riprogettato, la differenza con l’approccio precedente si sostanzia nel luogo di formazione (posto di lavoro), nella natura del gruppo ed infine nella durata del progetto formativo. Il vantaggio deriva appunto dalla durata significativa che consente un notevole impegno nella definizione degli obiettivi di sviluppo. Resta però, anche in questo caso, il limite che il formatore non osserva mai da vicino i comportamenti di leadership e lavora soprattutto a livello del dichiarato e del rappresentato.

Il terzo approccio45 è quello che prevede la consulenza al ruolo in azione, ovvero l’assistenza al ruolo sul lavoro. Si tratta di andare oltre le simulazioni, in altre parole si ricerca l’azione sul campo. In questa prospettiva si usano i metodi del tutoring, del coaching e del mentoring46 (nel caso in cui il ruolo di docente sia assunto dal capo).

Tale approccio intende, dunque, fare i conti con l’azione concreta e reale dei soggetti, ovvero con i vincoli e le possibilità presenti all’interno di un dato contesto organizzativo. In tal caso il formatore assume, insieme ai

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Il secondo tipo di approccio, come il primo, viene classificato tra I metodi narrativi.

45

Questo è uno degli approcci concreti, si tratta di mettere in piedi esercitazioni in aula, esercitazioni outdoor, adventure game, role playing su testi predefiniti.

46

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soggetti partecipanti, la responsabilità di produrre i risultati attesi dal progetto formativo e concordati sulla base di un’analisi dei bisogni del processo organizzativo in cui essi sono impegnati. Dunque il formatore diviene una sorta di assistente temporaneo, mentre i partecipanti sono contemporaneamente manager in azione e professionisti riflessivi.

Se il processo dovesse essere assunto dai manager di linea (in tal caso diverrebbero docenti) quella che è in gioco è la loro responsabilizzazione formale rispetto a un processo naturalmente posto in essere dai capi di linea (nel caso del tutoring e del coaching) e da quelli esterni ad essa (nel caso del mentoring).

Anche questo ultimo approccio presenta, però, dei limiti. Infatti nel caso la formazione sia assunta da una consulenza esterna ci potrebbe essere una spiccata dipendenza da essa, mentre, nel caso in cui la formazione sia assunta dalle linee il processo rischierebbe di essere travolto dall’urgenza delle questioni organizzative e dai ritmi serrati del lavoro.

(34)

2.6.1 Uno dei metodi per migliorare l’esercizio della

leadership tramite la formazione: il coaching

“Il coaching punta ad accrescere la performance e all’apprendimento delle abilità degli altri… E’ basato sull’aiutare l’istruttore ad aiutare se stessi attraverso le dinamiche dell’interazione. Dunque non è un flusso univoco di fiducia bensì un flusso reciproco”47.

Figura 6: Il circolo del coaching

(Luecke R., “Coaching and Mentoring: How to develop top talent and achieve stronger performance”, Harvard Business School Press, 2004)

47

(35)

Il coaching si risolve in un processo consapevole con un ottica rivolta a mutui benefici e mutui apprendimenti.

Analizzando lo schema si nota come la prima cosa sia lo stabilire, appunto, una relazione di coaching, questo può essere fatto, per esempio, dedicando un meeting alla discussione su come supportare lo sviluppo del coaching, su come rispettare le aspettative e su come incoraggiare l’aperta comunicazione attraverso rivelazioni e confessioni personali. Si passa poi a creare le opportunità di apprendimento strutturando e cambiando i ruoli, assegnando compiti per creare ampie opportunità e negoziando l’appropriato mix di sfide e di coperture alle sfide stesse.

Costruire le competenze è una parte che viene eseguita in maniera differente a seconda del fatto che ci sia la presenza o meno di persone esperte.

Se dovessero esserci, bisognerà innanzitutto evincere che opinioni ci sono sul bisogno o meno di fare coaching, in seguito bilanciare l’esprimere sé stessi con il voler sapere le opinioni altrui in maniera da trasmettere le proprie conoscenze e, allo stesso tempo, testare la propria comprensione. Se non dovessero esserci esperti, bisognerà esprimersi in maniera facilmente comprensibile così da intuire il livello di conoscenza e puntare così al suo accrescimento.

Per quanto concerne lo scambio di feedback, esso deve essere praticato regolarmente ed in maniera biunivoca. Il feedback deve riguardare l’osservazione, la comprensione, il livello di ascolto attivo, il livello di accordo raggiunto nella pratica del problem solving.

Infine l’importanza dell’esprimersi. Ciò deve avvenire dopo un’adeguata riflessione personale sull’andamento della seduta, facendo domande che possano chiarire la situazione, guidando il problem solving con una

(36)

dialettica comprensibile e, perché no, fomentando piccole sfide48. Le opinioni ed i consigli devono essere espressi solo e soltanto dopo aver ascoltato attentamente o dopo essere stati invitati a farlo.

Chi fa coaching richiede che il focus venga spostato sullo scopo stesso dell’azione di coaching, dunque bisognerà essere attenti ad aiutare il procedimento con compiti specifici, al porsi in maniera metodica e franca, a controllare di essere indirizzati verso il reale problema, a moderare la quantità e la profondità del coaching. Allo stesso modo bisognerà evitare di cercare inutilmente problemi psicologici inesistenti, di non essere eccessivamente accomodanti, di saltare subito a conclusioni affrettate che si crede di saper evincere grazie alle proprie convinzioni ed evitare, infine, di fare propri i problemi affrontati nel coaching.

Gli elementi tipici di una situazione di coaching sono essenzialmente quattro49: l’impressione, l’osservazione, la reazione e le soluzioni, in ognuna di queste fasi ci sono dei precisi comportamenti da attuare.

48

Luecke R., “Coaching and Mentoring: How to develop top talent and achieve stronger performance”, Harvard Business School Press, 2004, p.47

49

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IMPRESSIONE

OSSERVAZIONE

REAZIONE

SOLUZIONI

Figura 7: Le fasi del coaching

Nella fase di impressione bisogna preoccuparsi di fornire dati concreti e di assumere un comportamento bilanciato nell’elogiare e nel criticare gli altri, chiaramente tutto ciò deve essere fatto preoccupandosi di ascoltare attentamente e di non interrompere l’espressione altrui.

La fase di osservazione prevede l’esprimere l’impatto percepito sempre nel rispetto delle altre persone, senza assumere atteggiamenti difensivi che facciano pensare agli altri di aver attaccato qualcuno con le loro opinioni. Nella fase di reazione si attua una sorta di pausa, si cerca di invitare le persone al dialogo costruttivo ascoltando attivamente e riformulando il problema, ponendo delle questioni che possano chiarificarlo.

Nell’ultima fase si cerca, invece, di trovare tutti insieme una soluzione, chiaramente bisognerà controllare che le soluzioni proposte siano attuabili e realistiche.

(38)

Chi partecipa ad una seduta di coaching ha bisogno di sapere che ognuna di esse è diversa. Infatti può accadere che la sorgente di energia, ovvero i partecipanti, si attesti su un livello comportamentale di introversione o di estroversione, oppure che le informazioni provengano dalla percezione di ognuno o siano puro frutto delle loro intuizioni, ancora che la fase decisionale si basi sulle sensazioni o sulla razionalità schietta, infine può accadere che le persone siano divise nel pensare che il mondo esterno abbia un orientamento basato sui concreti risultati o sulle percezioni.

Per tutti questi motivi è necessario che, chi opera coaching, adatti il proprio stile in conseguenza a quello che effettivamente è lo stile della seduta, in modo da essere perfettamente connesso e concentrato in ciò che sta facendo. Dunque vari sono gli stili possibili50:

50

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Guidare Delegare Incitare Ordinare CAPACITA’ VO L O N T A’

Figura 8: Gli "stili" del coaching

(Holliday M., “Coaching, mentoring and managing”, The Career Press Inc., 2001)

Se diamo un’occhiata al grafico si comprende subito come, per ogni quadrante individuato, ci siano diverse azioni da porre in essere in conformità con lo stile che lo stesso quadrante individua.

Partendo dal quadrante dell’ ”ordinare” notiamo come esso corrisponda ad un livello molto basso sia di capacità che di voglia di applicazione, in tal caso bisognerà provvedere innanzitutto a chiarificare gli obiettivi, identificare, poi, dei valori che motivino i partecipanti, organizzare dei compiti per raggiungere delle piccole vittorie incoraggianti, provvedere a fornire frequenti feedback ed infine usare la giusta dose di elogi per aumentare la fiducia.

(40)

Nel quadrante del “guidare” si nota come si sia raggiunto un alto livello di volontà, ma le capacità restino comunque mediocri. Ora bisogna investire il tempo su più fronti, creare degli ambienti e delle situazioni prive di rischio per potersi permettere di commettere i primi errori e rilassare al più presto i controlli quando si vede che cominciano a farsi vivi i primi progressi.

Nel caso dell’ “incitamento” ci troviamo di fronte a grosse capacità ma a una scarsa volontà nell’applicarle, si dovranno dunque identificare le ragioni di una così bassa volontà di applicazione delle competenze, provvedere a motivare e stimolare la volontà e monitorare regolarmente la situazione con l’apporto di feedback.

Nel caso della “delega” , invece, sia le capacità che la volontà di applicazione si trovano ad un livello imponente, ora si possono prendere decisioni rischiose, fare in modo che le persone partecipanti si sentano responsabili dell’andamento della seduta, liberare la struttura da controlli pressanti e, finalmente, mettersi al lavoro.

2.6.2 Il Mentoring

Il mentoring è un metodo di gestione per quelle persone la cui performance si rivela essere sopra la media. Mentre gli imperativi del coaching sono ispirare e motivare, quelli del mentoring sono istruire e guidare.

Il lavoro del mentore è quello di insegnare nuove abilità e chiarire prospettive diverse, il mentoring è uno dei modi tipici attraverso i quali le performance vengono allineate agli obiettivi dell’organizzazione, esso consiste nel dare alle persone delle prospettive più larghe, più elementi per giudicare.

Le persone, infatti, tendono a voler raggiungere qualcosa di eccezionale, chi fa parte di una squadra vincente si ritiene a sua volta un vincente.

(41)

Il mentoring fa in modo che gli impiegati stimolino il loro carattere, il loro giudizio ed il loro approccio, esso è l’opportunità di apprendere diverse situazioni e coltivare i loro modi di essere. Si può pensare ad un coach come a qualcuno che cammina dietro alle persone, incitandole; il mentore è qualcosa che si avvicina alle persone, cammina loro fianco a fianco, dunque il ruolo del mentore consiste nell’affiancare le persone nella squadra, nel lavorare con loro a stretto contatto dando istruzioni non solo verbali ma svolgendo il compito insieme ad esse. Il mentore usa degli esempi per condurre il proprio lavoro e indica le diverse vie per il successo, egli scava a fondo nella persona a tal punto che, spesso, è più coinvolto della persona stessa.

Tale approccio è separato dal coaching, una delle ragioni di tale separazione è che la squadra, nel coaching, segue il modello, dunque avviene uno scambio diretto. Nel mentoring, invece, la crescita è orientata allo sviluppo, ovvero ci si muove dai comportamenti certi alle performance di vita tramite l’applicazione delle precedenti esperienze.

Dunque il mentore non deve essere colui che raggiunge la performance eccellente, ma deve aiutare gli altri a raggiungerla.

Oltre ad istruire e ad essere d’esempio, l’altro compito del mentore è quello di sviluppare nuove abilità ed interessi nelle persone che lavorano con lui, aiutare costoro a risolvere questioni che non hanno mai affrontato e che pensavano di non essere in grado di affrontare, fare in modo che essi aumentino il loro potenziale ai massimi livelli.

Il processo di mentoring richiede l’impiego di molto tempo e la definizione di un piano che si basa sull’impegno e la fiducia reciproca, sulla leadership paziente e sulla maturità emozionale.

Parliamo innanzitutto di impegno e di fiducia reciproca, questi due traguardi si raggiungono col passare del tempo, più tempo viene speso nell’insegnare qualcosa ad una persona e più questa si impegnerà

(42)

nell’apprendimento. Per ciò che concerne la fiducia, il mentore diviene un confidente a cui vengono rivelati tutti i sogni e le paure.

Il fatto che si impieghi molto tempo è giustificato dalla continua presenza del mentore, infatti egli deve essere sempre disponibile ad ascoltare i propri assistiti e ciò avviene, spesso, la sera, a fine giornata. Questa è una delle più grandi differenze tra il coaching ed il mentoring: il tempo.

Per ciò che concerne la leadership paziente, essa è estremamente importante in quanto è utile per mantenere i livelli di impegno e fiducia reciproca raggiunti. Tale leadership si esercita utilizzando alcuni metodi tipici del coaching come lo stabilire gli obiettivi e l’essere chiari per ciò che concerne le aspettative, in tal modo il processo di mentoring evolverà fortemente ma, mentre col coaching ci sono dei risultati di breve-medio periodo, col mentoring si raggiungono dei traguardi di lungo periodo.

Le aree di base ad essere stimolate saranno l’attenzione dell’impiegato, che imparerà a capire che il suo pensiero non è quello più importante ma è importante anche ciò che pensano gli altri, le attitudini e la pressione per affrontare le cose nel modo giusto, in tal caso il mentore ha il compito di stimolare la leadership, delegando a membri selezionati della squadra i compiti e usando il tempo guadagnato con tali deleghe per fare una rassegna del loro lavoro.

Parlando di maturità emotiva ci si riferisce al controllo delle emozioni, in questo caso il compito del mentore è quello di insegnare la calma e questo può avvenire in vari modi, per esempio considerando gli associati come bambini, dimenticando la loro età e la loro esperienza ed insegnando loro a gestire le decisioni di un progetto tramite lo sviluppo dell’indipendenza. L’orientamento per condurre delle sessioni di mentoring si riconduce ad una serie di passi metodologici51. Innanzitutto bisogna conoscere il proprio lavoro, quindi fare una rassegna delle basi, pensare ai precedenti problemi

51

(43)

affrontati, a come si sono risolti ed essere preparati a rispondere a tutti i tipi di domanda su ogni aspetto del focus del mentoring.

Al secondo posto c’è la conoscenza dell’organizzazione di cui si fa parte: infatti l’obiettivo principale è quello di aiutare le persone a superare i problemi e questo può avvenire in un tempo minore di quello che effettivamente sarebbe necessario solo con un’approfondita conoscenza dell’organizzazione.

Al terzo posto c’è la conoscenza di coloro che beneficeranno del mentoring, la loro vita, la loro istruzione, le loro abilità e i loro interessi, il loro modo di parlare, di agire e di scrivere.

Il quarto caposaldo è quello di imparare ad insegnare, ovvero dedurre come pensano le persone, come trarre informazioni da loro.

Il quinto posto è occupato dalla capacità di apprendere, in questo caso è essenziale che il mentore impari continuamente ad acquisire informazioni e sviluppi le conoscenze non solo nel proprio campo ma anche in quelli ad esso paralleli.

Essere pazienti è un altro passo indispensabile, bisogna capire la natura umana ed essere pazienti, soprattutto con persone di generazioni differenti, dunque abbracciare diversi punti di vista.

Il settimo passo è l’essere accorti, gentili e sapersi adattare. Tutti devono sapere che il mentore da loro si aspetta il meglio.

Anche saper correre dei rischi è importante, fornendo compiti agli impiegati si fa capire loro che c’è bisogno dell’apporto di tutti per risolvere i problemi e, allo stesso tempo, essi capiranno che il miglior modo di crescere è quello di risolvere compiti impegnativi.

Gli ultimi due capisaldi riguardano il celebrare i successi facendo capire ai soggetti che si è fieri di loro per i loro comportamenti e i loro progressi e l’incoraggiare i soggetti stessi ad essere mentori a loro volta, in questo

Figura

Figura 1: I tratti comuni della leadership
Figura 2: Le caratteristiche della leadership
Figura 3: Gli obiettivi della leadership
Figura 4: Circolo vizioso derivante dall'adozione di una decisione affrettata
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