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I BIOCARBURANTI CAPITOLO I

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Academic year: 2021

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CAPITOLO I

I BIOCARBURANTI

1.1 – Le Fonti Energetiche

Al giorno d’oggi la diffusione di numerose e differenti fonti energetiche ha favorito ed accelerato senza dubbi il processo di industrializzazione, spingendo le società moderne verso una costante e crescente richiesta di energia. Oramai all’interno di qualsiasi società tutte le principali attività richiedono un apporto di energia, dai trasporti all’istruzione, dal settore industriale a quello agricolo. Il grafico esposto di seguito evidenzia la relazione diretta esistente tra il reddito pro-capite (a parità di potere d’acquisto) ed i consumi energetici.

Figura 1 – Reddito pro-capite in funzione del consumo energetico (toe 1) (Fonte: IEA,2 2004).

1 Una tonnellata equivalente di petrolio è un’unità di misura energetica, e rappresenta la quantità di

energia rilasciata dalla combustione completa di una tonnellata di petrolio grezzo, ed ha un valore di circa 42 GJ. Il valore è stato scelto convenzionalmente in quanto a seconda del petrolio

toe pro-capite Reddito pro-capite annuo ($)

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Risulta evidente come all’aumentare del tenore di vita aumenti in proporzione la richiesta energetica globale pro-capite.

Il consumo delle fonti energetiche ha avuto il suo boom nel corso del 1900, con un notevole incremento (quasi raddoppiato) nel periodo che va dal 1973 al 2004 (IEA). I due grafici che seguono mostrano come in questo ultimo periodo di circa trenta anni siano aumentati sia i consumi energetici, ma soprattutto come in base all’esigenze questi si siano anche diversificati.

che viene utilizzato si hanno dei valori calorifici diversi, che dipendono proprio dalla miscela idrocarburica che compone il greggio.

Consumo delle fonti energetiche nel 1973

Nucleare Gas Naturale Petrolio Carbone

Idroelettrico Rinnovabile Legna

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Si può notare come i combustibili fossili (petrolio, carbone, gas naturale) rimangano la principale fonte energetica in grado di soddisfare i nostri bisogni, mentre le fonti rinnovabili (geotermico, eolico e solare) abbiano avuto un modestissimo aumento.

In questo contesto, in cui le fonti energetiche (combustibili fossili) che finora hanno sostenuto il nostro sistema energivoro sono state pericolosamente assottigliate, il genere umano si troverà ad affrontare nei prossimi decenni una problematica di fondamentale importanza ed urgenza come la disponibilità di fonti energetiche alternative.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ogni anno pubblica un resoconto delle sue attività di ricerca, sui principali temi energetici, nel quale vengono anche definiti degli scenari che descrivono come modificare il nostro sistema energetico in base ai normali cambiamenti della società, ed in particolar modo ai suoi molteplici impatti sull’ambiente.

Nel World Energy Outlook (WEO) del 2006 sono due gli scenari prospettati della IEA: uno scenario di riferimento ed uno scenario alternativo.

Nello scenario di riferimento è stato calcolato che la domanda di energia primaria 3 da parte della popolazione mondiale è destinata a crescere, nel periodo compreso tra il 2005 ed il 2030, di circa il 50 %, con i combustibili fossili che contribuiranno per l’85 %.

Ciò senza dubbio è strettamente collegato al forte incremento del tasso di crescita della popolazione umana, tanto che in base alle stime della FAO (Food and Agricolture Organization) nel 2050 la popolazione mondiale dovrebbe arrivare a superare le otto miliardi di unità.

Lo stesso rapporto ha nuovamente evidenziato la criticità riguardante la nostra dipendenza nei confronti dei combustibili fossili, tanto che tale problema appare ancora di difficile soluzione nell’immediato futuro. La stessa IEA ha stimato che nei prossimi 25 anni in tutto il mondo verrà investita una cifra pari a circa 20 mila miliardi di dollari per ricercare nuovi giacimenti di petrolio e gas

3

Per energia primaria si intendono tutte quelle fonti che possono essere sfruttate direttamente dall’uomo, come ad esempio gli idrocarburi, il sole, l’acqua, il calore della Terra, etc.). Si differenziano dalle fonti secondarie (i derivati dei prodotti petroliferi) che necessitano invece di una serie di trasformazioni intermedie prima di poter essere utilizzate.

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metano. Questo imponente stanziamento prevede inoltre anche la costruzione di altre centrali elettriche e di tutti gli impianti necessari per supplire alla domanda energetica crescente. Solamente una minima parte verrà destinata alla ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie pulite e per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili e delle bioenergie.

Secondo questo scenario, che dovrebbe appunto riflettere la situazione del prossimo ventennio, la percentuale di biocarburanti nei consumi globali di combustibili rimane piuttosto modesta, tranne per il Brasile che dispone già di una buon sistema di produzione e di distribuzione.

Lo scenario alternativo, che dovrebbe essere anche quello più auspicabile, mette in risalto come (sempre entro il 2030) sia necessario ridurre gli investimenti nel fossile per potersi così concentrare sulle risorse ad emissione zero. Se entro tale data verranno ridotti i fondi destinati alle fonti fossili si otterrebbe un incremento delle energie pulite molto significativo, di circa il 12 % per fonti rinnovabili, e dell’80 % per i biocarburanti. Tutto ciò si tradurrebbe poi praticamente in una decisa diminuzione della domanda globale di combustibili fossili nell’ordine di 13 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno, con una conseguente riduzione del 16 % nell’emissioni di CO2 (che verrebbe contenuta in cifre intorno al 30 %).

Figura 2 – Consumo di biocombustibili nei consumi globali di carburanti nei tre differenti scenari

descritti (Fonte: Clini., C., Energia Pulita Pronto Uso, 2007, Limes: Il Clima dell’Energia, 6, 141). 0 5 10 15 20 25 30 35 40

Mondo Stati Uniti Unione Europea Brasile

%

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La figura precedente riassume graficamente la situazione dei biocombustibili all’interno del panorama mondiale, per i prossimi venticinque anni, nei tre differenti scenari prospettati. I dati numerici sull’asse delle ordinate sono valori percentuali, ed esprimono la percentuale di biocombustibili, rispetto alla totalità dei carburanti utilizzati (fossili + biocombustibili).

Attualmente la situazione di partenza tra l’Unione Europea e la più grande potenza mondiale, ovvero gli Stati Uniti, non è molto differente, ma a livello europeo si prevede un impegno maggiore, entro il 2030, che si tradurrà in una maggiore percentuale di biocarburanti rispetto al totale.

Il Brasile rimane comunque irraggiungibile, sia nel breve che nel medio termine, grazie ad un sistema che funziona efficientemente da ormai quasi quaranta anni (anni ’70).

Nell’immediato c’è da sperare che si riesca almeno a realizzare quanto prospettato nello scenario di riferimento, che anche se non sufficiente, avrebbe almeno il pregio di contenere parzialmente le emissioni, ma soprattutto risalterebbe la fattibilità dei traguardi proposti.

Un’azione così netta non risolverebbe però definitivamente la complessa problematica, in quanto il contributo delle “energie pulite” all’offerta primaria di energia si aggirerebbe solamente intorno al 15-20 %.

Una soluzione efficace deve necessariamente passare attraverso un approccio integrato, che tramite il coinvolgimento di tutte le parti (governo, cittadini, aziende che distribuiscono energia, etc.), risolva in maniera definitiva una situazione che incide pericolosamente su un bene prezioso quale l’ambiente.

1.2 – I Biocarburanti: Vantaggi e Problematiche

L’uomo dispone di una vasta gamma di risorse energetiche pulite, ecocompatibili e sostenibili da un punto di vista ambientale, con le quali ha la possibilità di modificare significativamente il trend energetico globale verso un sistema a minor intensità di carbonio.

All’interno di questo ampio spettro di possibilità, che va dal fotovoltaico all’eolico, dal geotermico alle biomasse, si inseriscono i biocarburanti.

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della biomassa, dalla materia organica secca agli olii combustibili, ricavati da colture oleaginose come ad esempio soia, girasole, colza, etc. Sono perciò una nuova fonte di energia rinnovabile che diventa sempre più che mai necessaria per vari motivi già in parte accennati:

 l’esaurimento dei combustibili fossili (petrolio e carbone);

 la necessità di mercati alternativi per il mondo agricolo;

 il contenimento delle emissioni di gas serra in adempimento agli obiettivi del Protocollo di Kyoto: “i biocarburanti non contengono S e

riducono fortemente le emissioni di CO, CO2. Inoltre, sono altamente biodegradabili”;

 la diversificazione delle fonti e degli approvvigionamenti energetici;

 la salvaguardia del territorio e della biodiversità.

Un altro aspetto che depone a favore dei biocarburanti è che essi rappresentano un’alternativa già disponibile, con la quale è possibile ottenere buoni risultati già nel breve termine, ma è anche suscettibile di un progressivo miglioramento tecnologico, che nel medio-lungo termine ne esalterebbe i molteplici vantaggi sia nell’ambito economico che in quello della salvaguardia ambientale.

Da un punto di vista sistematico i combustibili ecologici possono essere suddivisi in tre categorie:

1. il Bioetanolo;

2. il Biodiesel;

3. il Biogas.

Il Bioetanolo si ottiene in seguito alla fermentazione di sostanze ricche di zuccheri complessi, come ad esempio l’amido, quali i cereali (mais, frumento, orzo), le colture zuccherine (canna e barbabietola da zucchero), la frutta, le patate. E’ anche possibile ottenerlo in seguito alla lavorazione dei residui delle coltivazioni agricole, dalle biomasse ligno-cellulosiche, dai prodotti di scarto delle industrie (agroalimentari, cartiere, etc.) e dal trattamento dei rifiuti solidi urbani. Questo carburante si pone anche come valido strumento per il contenimento della problematica rifiuti, ma ancora questa alternativa non è stata molto indagata, tanto che il bioetanolo ottenuto dai rifiuti, dagli scarti alimentari e dalla biomasse ligno-cellulosiche viene considerato di fatto un biocarburante di seconda generazione.

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Il Biodiesel viene ricavato da una vasta gamma di piante oleaginose (soia, colza, girasole, jatropha, palma, etc.) attraverso prima un processo di spremitura dei semi e poi attraverso una fase raffinazione chimica, chiamata transterificazione, nella quale l’olio prodotto viene miscelato con opportuni

chemicals al fine di ottenere il carburante desiderato.

Il Biogas è il prodotto finale, insieme ad altri gas quali l’idrogeno solforato (H2S), della respirazione anaerobica attraverso la quale i batteri degradano la materia organica contenuta nei reflui che arrivano ai vari impianti di trattamento. Molti impianti utilizzano già il biogas per soddisfare le loro richieste energetiche, ad esempio viene molto impiegato come combustibile per il riscaldamento dei locali, etc.

Il pregio sicuramente migliore dei combustibili ecologici è quello riguardante la riduzione dell’anidride carbonica: il gas serra principale e l’artefice del riscaldamento globale del nostro pianeta.

La riduzione di CO2 si ottiene grazie proprio alla rinnovabilità dei biocarburanti che permette il “recupero” dell’anidride carbonica emessa nella combustione. Tramite l’utilizzo dei biocarburanti, il gas serra una volta emesso viene assorbito dagli organismi vegetali che costituiscono le materie prime dalle quali si ottengono i biocarburanti.

Nei combustibili di origine fossile, al contrario, la CO2 che viene emessa tende ad accumularsi nell’atmosfera terrestre, dove viene poi lentamente rimossa tramite complessi e lunghissimi meccanismi.

Il massiccio impiego del petrolio ha portato a dei livelli di anidride carbonica considerati molto critici da parte dell’IPCC,4 che ha soprattutto evidenziato come questa situazione sia drasticamente peggiorata negli ultimi anni. Se si considera che prima della Rivoluzione Industriale la concentrazione di CO2 nell’atmosfera era di 280 ppm,5 mentre oggigiorno, dopo appena 150-200 anni, è

4 L'Intergovernmental Panel on Climate Change (Comitato intergovernativo sul mutamento

climatico) è il comitato scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, la World Meteorological Organization (WMO) e l'United Nations Environment Programme (UNEP) allo scopo di studiare il riscaldamento globale.

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Le parti per milione (ppm) sono un'unità di misura che viene utilizzata per indicare livelli estremamente bassi di concentrazione di un elemento chimico o di una qualsiasi sostanza. Il valore delle ppm è equivalente alla quantità assoluta frazionale moltiplicata per un milione (106).

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di 380 ppm; possiamo immaginare quanta anidride carbonica è stata liberata in atmosfera fino ad oggi dall’utilizzo del petrolio e dei suoi derivati (circa 25 miliardi di tonnellate all’anno).

Inoltre, secondo le più recenti stime il pianeta riuscirebbe oggi ad assorbire (tramite la fotosintesi clorofilliana e l’azione delle alghe oceaniche) appena meno della metà delle emissioni, anche a causa della deforestazione oggi sempre più selvaggia. L'attività umana ha difatti ridotto la biomassa vegetale in grado di assorbire la CO2 fin dalla rivoluzione agricola neolitica, trasformando i boschi in campi o città. Oggi la deforestazione, come ad esempio in Amazzonia, è drasticamente aumentata aggravando ulteriormente la situazione.

Nel breve termine, in base ai consumi energetici prospettati nel già citato scenario di riferimento del WEO del 2007, le emissioni di CO2 subiranno una crescita di circa il 55% rispetto ai valori attuali. Questi dati coincidono con la situazione manifestata dagli stessi esperti dell’IPCC, che nel IV Rapporto sul Clima del 2007, identificano nel 2030 l’anno limite entro il quale iniziare a ridurre in maniera significativa le emissioni per poter assicurare protezione e stabilità al nostro sistema climatico.

Per poter favorire la diffusione dei carburanti puliti è necessario tuttavia che vengano superati limiti ambientali e sociali, e soprattutto barriere commerciali che limitano pesantemente il loro collocamento nel mercato globale.

L’inserimento dei biocombustibili nel settore energetico mondiale ha avuto un impatto diretto su una serie di aspetti che non sembrerebbero, ad una prima analisi, collegati alla loro diffusione.

La sicurezza alimentare dei paesi più poveri ed in via di sviluppo è la problematica che attira maggiormente l’attenzione e l’interesse di addetti e non addetti ai lavori.

Il fatto di sottrarre terreno destinato alle coltivazioni agricole, come ad esempio, mais, barbabietola da zucchero e soia, etc., che occupano un posto fondamentale nell’alimentazione di molti stati, tanto da essere in alcuni paesi in via di sviluppo la prima e unica risorsa alimentare, è stata sempre una forte discriminante nell’adozione di politiche nazionali e comunitarie tese a favorire la sostituzione parziale dei carburanti fossili con carburanti ad emissioni zero.

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E’ giusto togliere della terra che sarebbe destinata alla produzione di cibo per ricavarne invece combustibili quando abbiamo ancora a disposizione il petrolio? Questa è la domanda più significativa che un po’ tutti i paesi si sono posti quando si accingevano ad intraprendere la costruzione di impianti dedicati alla produzione di biocarburanti.

Questo forte dilemma torna quanto più attuale ai nostri giorni, in una situazione mondiale in cui, la forte crisi dei prezzi, sta suscitando dubbi anche in quelli che erano considerati i più strenui sostenitori dei biocarburanti.

Il fatto che poco meno della popolazione mondiale (2.7 miliardi) viva in condizioni di estrema povertà, con una dote giornaliera di appena due dollari (stime della World Bank del 2001), e che circa il 60 % del loro salario sia destinato all’acquisto di cibo (nei paesi più ricchi la porzione di salario destinata all’acquisto di generi alimentari è solamente del 10-20 %), rende quanto mai più drammatica la crisi mondiale che ha portato alle stelle i beni di primo consumo, come mais, riso, etc.

Le ultime stime della FAO sui livelli di importazione dei cereali da parte dei paesi più poveri, vede un forte aumento percentuale, passando dal 37 % del 2006-2007, al 56 % del 2007-2008. In alcuni paesi africani, caratterizzati da una situazione di basso reddito e deficit di riserve alimentari, la dipendenza per l’approviggionamento di cereali dagli altri paesi è più forte. In accordo, anche con i dati pubblicati nell’ultimo rapporto, quello dell’Aprile 2008, dalle Nazioni Unite dal titolo: “Crop Prospects and Food Situation”,6 il tasso di importazioni di cereali in queste zone è nell’ordine del 74 %.

Questo aumento dei prezzi, causato anche in parte dalla forte diffusione dei biocombustibili, ha avuto, come ci si aspettava, effetti ben diversi sulle varie popolazioni, dato che se, ad esempio, il prezzo del frumento aumentava, questo incremento aveva un peso maggiore sui prodotti alimentari dei paesi poveri rispetto a quello cha assumeva nei paesi più ricchi ed industrializzati.

Questa situazione critica ha messo in forte difficoltà anche le associazioni umanitarie, che disponendo di un budget limitato per l’acquisto dei beni primari da destinare alle popolazioni più bisognose, all’aumento del prezzo delle varie

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granaglie erano in grado di distribuirne una quantità in proporzione minore. Se, ad esempio, il prezzo del frumento raddoppiava, la quantità di frumento che potevano dare era esattamente la metà della quantità precedente.

Il forte malcontento, che questa complessa situazione ha portato, è sfociato in una serie di rivolte sociali, che hanno colpito paesi come l’Egitto, il Camerun, il Senegal, la Costa d’Avorio, etc., solamente nell’ultimo mese, richiedendo quasi sempre l’intervento delle forze armate.

A questo proposito la FAO ha lanciato un’iniziativa “Inititative on Soaring

Food Prices”, (ISFP), mediante la quale viene offerta assistenza sia tecnica che

politica ai paesi poveri, che maggiormente risentono dell’aumento dei prezzi degli alimenti. In questo modo gli agricoltori locali possono ottenere dai loro campi un raccolto più abbondante, grazie alla distribuzione di semi, fertilizzanti, insetticidi, ed altri prodotti, con il quale potere parzialmente diminuire la dipendenza dalle esportazioni. L’impegno è anche a livello governativo tramite lo sviluppo di politiche ed azioni strategiche atte a favorire l’incremento della produzione agricola locale. L’impegno economico della FAO in queste attività è stato di circa 17 milioni di dollari.

C’è anche da dire che la diffusione dei biocombustibili nei paesi in via di sviluppo ha si da una parte portato ad una forte dei crisi di prezzi, ma in parte ha bilanciato questo effetto negativo, tramite la creazione di nuovi posti di lavoro, che hanno portato, anche se in minima parte, ad una migliore situazione di benessere. La produzione di biocarburanti è un processo che richiede un fase lavorativa intensiva, che ha portato, ad esempio in Cina alla realizzazione di 9 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre in Venezuela e nell’Africa Sub-Sahariana ad incrementare, entro il 2012, i posti lavoro di 1 e 1.1 milioni rispettivamente (De Kelser, S. e Hongo, H. 2005).

La situazione climatica, legata all’eccessivo riscaldamento del globo terrestre, non facilita il raggiungimento di una soluzione per questo problema dal fortissimo impatto sociale. L’assottigliamento delle riserve alimentari mondiali, dovuto sia ai forti periodi di siccità che ai fenomeni alluvionali, è stimato (dalla FAO) che possa raggiungere valori nell’ordine 405 milioni di tonnellate solo nel 2007-2008 (sarebbe il valore più basso degli ultimi venticinque anni).

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Un altro problema non direttamente tangibile, che influenza in maniera negativa la sicurezza alimentare delle popolazioni povere, è dato dalle speculazioni che vengono compiute nei loro confronti dai grandi soggetti economicamente forti, che, in assenza di politiche statali di tutela, possono facilmente acquistare grandi porzioni di territorio, e in base al profitto destinarle alla produzione di biocarburanti piuttosto che al settore alimentare. In questo modo le popolazioni locali, che non possono minimamente opporsi al forte potere di questi enti, si vedono ridurre in maniera importante le loro riserve alimentari. Si deve agire tramite l’adozione di misure politiche per il settore dei biocarburanti, opportunamente integrate in un sistema più ampio di tutela e protezione dei diritti allo sfruttamento della terra da parte dei popoli più bisognosi, che favoriscano il loro inserimento sostenibile nelle varie realtà locali.

Trovare una risposta alla domanda che concerneva l’eticità di sottrarre terra necessaria al mantenimento delle riserve alimentari mondiali per sviluppare i biocarburanti è oggigiorno quanto mai controversa, dato che dovrebbe mediare su una serie di tematiche molto delicate e di forte impatto sociale, ma allo stesso c’è anche da chiedersi se è giusto continuare ad “appoggiarsi” su delle risorse non rinnovabili aspettando in maniera inerme il loro completo esaurimento.

Un’analisi più dettagliata su questi aspetti e su come tendano ad influenzarsi a vicenda verrà realizzata successivamente.

1.3 – I Biocarburanti nel Panorama Mondiale

Il mercato dei biocarburanti è in crescita spinto dai motivi appena esposti e, come si può ben vedere nel grafico seguente, questa crescita ha avuto una decisa impennata a cavallo tra la fine degli anni novanta e i primi anni del 2000, con un tasso che negli ultimi cinque anni è stato intorno al 15 %.

L’aspetto che appare ancora più evidente è l’incremento, decisamente più netto, che contraddistinguerà la produzione di “carburanti puliti” nei prossimi anni, tanto che nel 2015 ci si attende una valore del livello di produzione superiore alle 80 Mt (Megatonnellate = 106 t) per l’Etanolo, e di circa 10 Mt per il Biodiesel; valori pressoché doppi rispetto alle quantità che vengono prodotte oggigiorno.

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Figura 3 - Produzione mondiale di biocombustibili (Fonte: Licht, F.O., World Biofuels, Siviglia,

2006).

Un altro aspetto, non meno significativo, che questo grafico evidenzia è la predominanza del Bioetanolo rispetto al Biodiesel, dovuto al fatto che i principali produttori di biocarburanti a livello mondiale, ovvero Stati Uniti e Brasile ne hanno un impiego ormai da considerarsi quasi storico rispetto al Biodiesel, che trova invece un maggior utilizzo in Europa dove può essere considerato il biocombustibile “per eccellenza”.

Il Brasile è senza dubbio nel campo delle bioenergie il paese precursore, risale difatti al 1975 il Programma “Nacional do Álcool ” o “Proálcool ”, con il quale il governo, incentivato dalla forte criticità del mercato del greggio, decise di investire nello sviluppo di impianti per la produzione di etanolo dalla canna da zucchero. Il programma prevedeva importanti investimenti per la meccanizzazione agricola, la modernazione e l’ampliamento delle distillerie già esistenti.

Sotto questo impulso la capacità produttiva aumentò decisamente tanto che già nel 1986 le autovetture ad etanolo rappresentavano circa il 76 % di tutte le immatricolazioni.

Milioni di tonnellate

Etanolo Biodiesel

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$ al barile fino alla cifra record di 12 $ al barile, ripropose nuovamente attuale il dibattito sulla necessità o meno di continuare ad utilizzare etanolo quando il greggio si poneva su un livello economico molto più vantaggioso.

Nel quadro energetico nazionale questo colpo fu accusato solamente nel 1988, con un forte calo delle immatricolazioni delle vetture a bioetanolo. La situazione fu risolta grazie sia alla posizione di molti personaggi che ritenevano necessario continuare sulla stessa strada intrapresa prima del calo della fine degl’anni Ottanta, che all’introduzione di nuove accise per favorire la ripresa del programma Proálcool.

Successivamente nel 1998 il governo introdusse una legge federale con la quale si rendeva obbligatorio, su tutto il territorio nazionale, la miscelazione della benzina con almeno una quantità di alcool variabile tra il 22 e il 24 %.

Il Brasile ha raggiunto una posizione di rilievo nel panorama mondiale dei biocombustibili in quanto, oltre alla presenza di una risorsa prima dall’alto rendimento, dispone di un fattore non secondario: ovvero lo spazio che può essere dedicato esclusivamente alla coltivazione della canna da zucchero per scopi non alimentari. Il governo non si è dovuto quasi mai scontrare con questo dilemma in quanto grazie agli enormi spazi sconfinati di cui dispone può far coesistere perfettamente questi due aspetti così apparentemente in confitto tra di loro.

Attualmente in tutto il territorio nazionale ci sono 300 impianti già funzionanti, e altri 60 in fase di costruzione, dai quali si ricava una produttività annua media di circa 15.5 bilioni di litri (corrispondenti a 15.5·1012 L).

Sono inoltre presenti moltissimi punti di distribuzione (oltre 30,000) di Bioetanolo in varie forme: da miscele completamente pure, cioè senza la presenza di benzina (E100), disponibili alla metà del prezzo del benzina; a miscele meno pure con una percentuale di etanolo intorno al 20-25 % (E20, E25). Complessivamente l’etanolo oggigiorno copre oltre il 40 % del consumo di carburanti non-diesel.

Il sistema brasiliano è da prendere come modello non solo per l’ottima efficienza, ma anche perché è un impianto produttivo perfettamente integrato nel territorio, che agisce nel massimo rispetto dell’ambiente. E’ difatti dell’Ottobre del 2006 il riconoscimento da parte dell’IEAB (International Energy Agency’s

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Bionergy) della compatibilità e sostenibilità ambientale dell’intero processo produttivo dell’etanolo a partire dalla canna da zucchero.

Gli Stati Uniti sono attualmente il secondo paese produttore a livello mondiale di etanolo, e lo utilizzano sin dall’inizio del 20esimo secolo, basti pensare ad esempio che una delle prime autovetture prodotte nel mondo (sin dal 1908), ovvero la Ford T, era alimentata ad etanolo. La differenza principale con il sistema brasiliano consiste nel tipo di materia prima che viene sfruttata, non si sfrutta più la canna da zucchero ma il mais, che è caratterizzato da un rendimento produttivo decisamente più basso.

Il mercato statunitense svolta a partire dagli anni settanta, grazie ad una legge che vietava l’introduzione piombo nelle benzine, per poi trovare un sostegno fondamentale nel governo che grazie ad una serie di leggi promulgate tra il 1986 ed il 1992, con le quali si introducevano una serie di incentivi per favorirne la diffusione l’introduzione nel mercato nazionale.

Oggigiorno le miscele maggiormente utilizzate sono quelle superiori ad una percentuale di etanolo del 10 % come la E85, anche se la diffusione dei veicoli FFV (Flexible Fueled Vehicle) permette di scegliere tra una gamma di miscele più ampia.

Per soddisfare la crescente richiesta, la quantità di mais coltivata è quasi triplicata rispetto al 2000, e nell’ottica di realizzare la sfida a cui il mercato statunitense si è sottoposto, ovvero quella di passare dagl’attuali 16·1012 L/anno ai 29·1012 L/anno entro il 2012 (EPA 7 del 2005), lo sfruttamento delle granaglie di mais sarà ancora più intensivo.

In Europa il Biodiesel è il combustibile principale, tanto che il nostro continente ne è il primo produttore mondiale, mentre per l’etanolo si attesta in terza posizione dietro ai già citati Brasile e U.S.A.

Nel nostro continente la Germania è il paese leader, subito seguita dalla Francia, nella produzione e nel consumo di Biodiesel grazie sia ad una solida struttura industriale, efficiente dalla fase di produzione sino a quella di distribuzione, ma anche ad una fissa politica nazionale con obiettivi e traguardi precisi e ben definiti che favoriscono la graduale integrazione del Biodiesel nei

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carburanti nazionali.

Figura 4 - Produzione globale di biocarburanti: Bioetanolo (a sinistra), Biodiesel (a destra) (Fonte:

Prieur-Vernat, A., His, S., Biofuel Worldwide, IFP, 24 Novembre 2006).

Come negli Stati Uniti anche l’Unione Europea ha individuato degli obbiettivi ambiziosi, che prevedono, tramite la direttiva 2003/30/CE, il raggiungimento, entro il 2010, di un a quota del 5.75 % di utilizzo dei carburanti biologici, quota che dovrebbe poi raggiungere il valore del 20 % entro il 2020.

L’Italia è stata una tra le prime nazioni, negli anni ’90, a livello europeo a lanciare delle prove di flotta (autobus e taxi) con il Biodisel, in 20 città per un distanza complessiva di circa un milione di chilometri. Nonostante una fase iniziale promettente, se andiamo ora a guardare la nostra produzione di Biodiesel rispetto a quella dei principali paesi produttori in Europa, possiamo facilmente notare una differenza molto netta che descrive perfettamente come il nostro paese sia rimasto pericolosamente arretrato in questo campo così strategico sin dal 1998. Per il Bioetanolo la situazione è decisamente paradossale, in quanto l’Italia che ne produce una discreta quantità non lo utilizza, ma lo esporta totalmente in altri mercati. Basti pensare che nel 2005 di tutto l’etanolo prodotto solo il 5 %, ovvero circa 100.000 ettolitri, è stato utilizzato nel campo della biocarburazione, mentre nel 2006 e nel 2007 l’impiego è sceso a zero. Ciò creerà non pochi problemi nei prossimi anni, dato che la Legge Finanziaria del 2007, che ha stanziato una quota di circa 219 milioni di euro per i biocarburanti, prevede degli

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obblighi di utilizzo già per il periodo 2007-2010, ripartiti come riassume la tabella seguente.

Tabella 1 – Obblighi di utilizzo e relative quantità defiscalizzate di Bioetanolo nei carburanti

nazionali ai sensi della Legge Finanziaria del 2007 (Fonte: Bertagni M., “Bioetanolo: ultimo treno

per l’Italia”, World Energy Congress, Roma - 13 Novembre 2007).

Anno Obbligo di Utilizzo Quantitativi di Bioetanolo Defiscalizzati ettolitri

2007 3.119.280 1.021.885

2008 6.238.560 1.021.885

2009 6.238.560 1.021.885

2010 6.238.560 1.021.885

L'obiettivo fissato dalla legge 81/2006, che per il 2006 obbliga i petrolieri a immettere al consumo biocarburanti di origine agricola, nella misura dell'1%, nella quantità di diesel e benzina consumata nel 2005 non è stato minimamente raggiunto, impedendo in tal modo sia il decollo degli accordi di filiera che il raggiungimento degli obiettivi nazionali ed europei.

Studi recenti hanno quantificato il fabbisogno di mais da destinare esclusivamente alla produzione di etanolo per rispettare gli obiettivi della Finanziaria del 2007, in base all’efficienza e alla funzionalità del nostro sistema produttivo attuale.

La tabella che segue riporta queste stime sia come tonnellaggio di mais che come superficie dedicata, ovvero la porzione di superficie da destinare esclusivamente alla coltivazione di mais, per il Bioetanolo, per rientrare nelle scadenze nazionali e comunitarie.

Gli strumenti per sollevare in Italia il settore del Bioetanolo esistono, si tratta solamente di metterli in pratica nel breve termine, attraverso l’attuazione:



della Legge Finanziaria del 2005 per la defiscalizzazione del Bioetanolo di 73 milioni di euro per l’anno solare 2007;

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Finanziaria del 2007.

Il settore dei biocarburanti nel nostro paese non vive un buon periodo, a causa di una serie di problemi non tanto strutturali, ma di realizzazione concreta di un sistema dalle buone potenzialità.

Tabella 2 – Fabbisogno di mais e superficie da destinare esclusivamente alla coltivazione di mais

per il campo della biocarburazione, per adempiere agli obblighi imposti dalla Legge Finanziaria del 2007 (Fonte: Bertagni M., “Bioetanolo: ultimo treno per l’Italia”, World Energy Congress, Roma - 13 Novembre 2007).

Appare fondamentale individuare correttamente i punti di forza del nostro sistema produttivo, in modo tale da sfruttarli per poter finalmente creare un piano, nel medio-lungo termine, di sviluppo e diffusione dei biocarburanti veramente efficace. Per realizzare questo obiettivo si deve necessariamente passare attraverso:



una ridefinizione di un Programma Quadro Pluriennale stabile, in linea con gli orientamenti della Comunità Europea;



unificazione delle normative esistenti in un Testo Unico sulla Bioenergia;



accordi di filiera che favoriscano sia lo sviluppo dell’agro-energia, sia alla riduzione dei gas serra;



ripresa delle attività di ricerca e sviluppo sui biocombustibili di seconda generazione;



studi sulla capacità dell’agro-sistema di assorbire carbonio, compatibilmente con la produzione di biomasse.

Anno Fabbisogno di mais Superficie Dedicata

tonnellate ettari

2007 810.203 93.113

2008 1.620.405 186.226

2009 1.620.405 186.226

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Un altro aspetto negativo del nostro paese, che non può essere sottovalutato, è che oggigiorno non esiste una rete di distribuzione di biocarburanti.

Solo il comune di La Spezia sperimenterà il Bioetanolo nel trasporto pubblico quale combustibile alternativo, per il miglioramento del servizio urbano, grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea per la durata complessiva di 4 anni e per una somma totale di circa 300.000 €, nel contesto del progetto BEST. Questo progetto, BioEthanol for Sustainable Transport, ha l’obiettivo di dimostrare la fattibilità della sostituzione di benzina e diesel con il Bioetanolo. BEST viene supportato dalla Commissione Europea e coinvolge 6 paesi europei (Italia, Svezia, Olanda, Regno Unito, Irlanda e Spagna). A la Spezia verranno utilizzati 3 autobus SCANIA OMNILINK, dal costo di 195,000 € (cadauno), con un costo del carburante di 1.02 €/L (carburante: 0.57 €/L + accisa 0.45 €/L), contro i 0.85 €/L del gasolio, che permetterà un abbattimento del 70 % delle emissioni in atmosfera. Il servizio è partito dalla città di Sarzana dal 22 Dicembre 2006 nelle corse extraurbane.

Questa situazione è in forte contrasto con quello che invece verrà realizzato dalla Francia nei prossimi anni dove da gennaio ’08 saranno previsti, sull’intero territorio nazionale, ben 500 distributori di E85.

Anche altri paesi stanno sviluppando un piano energetico in cui siano compresi i biocombustibili, la Cina, ad esempio, ha come carburante di riferimento il Bioetanolo prodotto a partire da materie prime quali patate dolci, manioca ed il mais, e l’India dove invece si produce principalmente Biodiesel derivato dalla jatropha.

Un fattore che limita la diffusione di questa fonte di energia pulita risiede nei costi di produzione di questa classe di carburanti, ancora più alti rispetto a quelli di benzina e gasolio.

I prezzi più alti (Tabella 3) derivano dal fatto che le numerose fasi che a partire dalle materie prime ci donano il prodotto finito sono contraddistinte ancora da rendimenti piuttosto bassi.

Solamente attraverso un miglioramento del rendimento delle varie fasi produttive, ovvero tramite investimenti nella ricerca e nello sviluppo, sarà

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possibile abbassare i prezzi di questi carburanti rendendoli un’alternativa non più secondaria al petrolio.

Oggigiorno il Bioetanolo ed il Biodiesel sono competitivi solamente perché è previsto a livello nazionale un sistema di defiscalizzazione, con dei tassi variabili da paese a paese.

In un analisi economica sulla sostenibilità del settore dei biocarburanti sono molteplici i fattori che devono essere considerati, dal costo della terra a quello della forza lavoro impiegata, dal costo delle materie prime a quello della fase di lavorazione e raffinazione delle materie prime.

Il costo della terra coltivata a mais che negli Stati Uniti ha un prezzo medio di 2500 $/acro, mentre in Brasile sarebbero disponibili per 100 $/acro. Inoltre si deve considerare anche il costo dei salari del personale che lavora alla produzione dei biocarburanti. E’stato calcolato che il costo orario di un lavoratore brasiliano è di 3.03 $, nel 2005, rispetto ai 23.17 $ di un lavoratore statunitense.

Anche il costo della materia prima deve essere necessariamente incluso nell’analisi economica. Ad esempio negli Stati Uniti il costo del mais per gallone di etanolo è circa tre volte quello della canna da zucchero.

La quantità di fertilizzanti, erbicidi, etc., influisce direttamente sul prezzo del carburante per litro, in quanto la produzione e la distribuzione di questi composti richiede un certo costo che dipende dal tipo di coltivazione, e dal livello d’intensità con cui la coltura vie lavorata. In genere il mais richiede una maggiore quantità di chemicals e di lavoro in più rispetto alla canna da zucchero, che al contrario ha delle esigenze molto basse.

Il trasporto della materie prime all’impianto di trasformazione e quello del prodotto finito verso gli impianti della rete di distribuzione rappresenta un ulteriore costo aggiuntivo che non può essere tralasciato, in quanto determina una porzione non trascurabile del prezzo finale a cui viene venduto il biocarburante. Una buona efficienza del sistema e dei mezzi di trasporto impiegati permette di contenere il prezzo totale di questa fase e quindi in parte anche quello finale del carburante.

La tabella seguente riporta i costi dei principali biocombustibili nei vari paesi produttori, confrontati con quelli dei carburanti fossili.

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Un’analisi più dettagliata sui costi di produzione del Bioetanolo e del Biodiesel verrà riportata più avanti.

Tabella 3 - Costi di produzione dei carburanti nei principali paesi produttori (Fonte: IEA/IFP, Price of Motor fuels for France, Exclusive of Tax, Dicembre 2006).

EtOH Europa EtOH Brasile EtOH U.S.A. Biodiesel Europa Gasolio 60$/bbl b) Benzina 60$/bbl €/L a) 0.4 - 0.6 0.2 0.3 0.35 - 0.65 0.32 0.36 €/GJ a) 19 - 29 10 14 10.5 - 20 9 10 a ) 1 € = 1.3 $ b) Barile di petrolio.

Figura

Figura 1 – Reddito pro-capite in funzione del consumo energetico (toe  1 ) (Fonte: IEA, 2  2004)
Figura 2 – Consumo di biocombustibili nei consumi globali di carburanti nei tre differenti scenari
Figura 3 - Produzione mondiale di biocombustibili (Fonte: Licht, F.O., World Biofuels, Siviglia,
Figura 4 - Produzione globale di biocarburanti: Bioetanolo (a sinistra), Biodiesel (a destra) (Fonte:
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