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Academic year: 2021

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LE FONTI

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2. FONTI CLASSICHE

Poiché la produzione di immagini rappresentanti gli dei antichi è stata interrotta nell’epoca post-classica, la memoria del pantheon pagano si è tramandata grazie alla tradizione letteraria. I testi classici tendono a presentare gli dei come i protagonisti degli eventi mitici, immaginandoli nella forma umana, seppur idealizzata, e sottolineandone, oltre al potere divino, gli aspetti caratteriali. Una delle forme letterarie in cui è possibile riscontrare descrizioni degli dei antichi e delle figure che con loro interagiscono è l’inno poetico; nell’ambito di questa produzione, le descrizioni omeriche sono state sicuramente le più influenti. Ed è proprio nell’Iliade che esordisce la figura di Arianna, dapprima menzionata come destinataria di uno spazio per le danze costruito per lei da Dedalo, per riapparire poco dopo come ombra nell’Ade.

2.1. Abbandono e morte di Arianna.

Nell’Odissea la figura di Arianna si inserisce nel cosiddetto “Catalogo

delle eroine”, il cui spettro appare a Odisseo allorché egli discende agli inferi, spinto da Circe, per udire la predizione del destino dall’ombra del profeta Teresia. Riguardo alla principessa cretese viene riferita una storia oscura, secondo la quale ella sarebbe stata uccisa da Artemide su istigazione di Dioniso, a seguito di un fatto del quale il dio sarebbe stato “testimone”. Omero narra, infatti, della “bella Ariadne, figlia di Minosse funesto, che un giorno Teseo da Creta al colle d’Atene sacra portava, ma

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non ne godette: Artemide prima l’uccise, in Dia coronata dal mare, per le accuse di Dionysos”.15 Tale notizia non è riscontrata in nessun’altro racconto, anzi contrasta con la concezione diffusa di Dioniso come salvatore di Arianna. Già gli antichi non accettavano la versione omerica dell’episodio, tanto che alcuni manoscritti dell’Odissea presentano una correzione: ad Artemide viene attribuita l’azione di trattenere Arianna, piuttosto che quella di ucciderla. Resta comunque da chiarire il ruolo di Dioniso e i motivi per i quali avrebbe ordinato l’assassinio della propria sposa. I commentatori dell’Odissea cercano delle risposte all’interno di tradizioni perdute, ampliando così la quantità di conoscenze relative al mito di Arianna. Come spesso accade, gli scolastici ci offrono preziose testimonianze di testi ormai scomparsi. Tra i commentatori del poema omerico, Eustazio propone due possibili spiegazioni riguardo alla morte di Arianna. Secondo la prima ipotesi, la principessa avrebbe offeso la dea Atena unendosi sessualmente a Teseo nel tempio a lei dedicato; sarebbe stato questo atto empio ad essere testimoniato da Dioniso. La mano assassina è quella di Artemide poiché Eustazio le attribuisce il ruolo di Signora della morte, o almeno delle morti femminili.16 In base all’altra spiegazione di Eustazio, attribuita genericamente ad “autori più recenti”, Artemide avrebbe agito in prima persona, con la precisa volontà di punire Arianna per aver rinunciato alla sua verginità. Dioniso, in questo caso, non sarebbe complice dell’assassino, ma consolatore della principessa. Tale ipotesi ricompare nei commenti anonimi all’Odissea, con l’aggiunta della figura di Afrodite, la quale sarebbe apparsa per recare conforto ad Arianna. La presenza della dea dell’amore non stupisce poiché è frequente il suo avvicinamento o addirittura la sua sovrapposizione con la figura di Arianna. Le esposizioni di altri scoliasti dell’Odissea complicano ulteriormente i fatti. In base al racconto più antico, il peccato di empietà sarebbe stato commesso in un tempio dedicato a Dioniso; secondo una narrazione

15

OMERO, Odissea, tr. di E. Villa, Feltrinelli, Milano 1972, 9, p. 325.

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Il ruolo di Artemide come giustiziera divina affiora in altri passi dell’Odissea, tra cui le storie relative a Callisto, Coronide e Orione. Ne consegue l’assenza di un rapporto particolare tra Artemide e Arianna, ipotizzato da alcuni autori.

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alternativa, attribuita ancora ad “autori più recenti”, Dioniso incontrerebbe Arianna a Nasso, dopo l’abbandono da parte di Teseo, e ne farebbe la sua sposa. Tale versione, che in seguito diverrà canonica, contiene comunque un passo di difficile comprensione, in quanto i commentatori sostengono la coincidenza di questa variante con quella esposta da Omero, sebbene la narrazione omerica sia completamente differente.

Un passo del commentatore Federice di Atene sembra riassumere tutte le notizie esposte. Esso narra dell’abbandono di Arianna da parte di Teseo, il quale avrebbe così eseguito un ordine impartito da Atena; sarebbe quindi apparsa Afrodite per porre fine al lamento della fanciulla e annunciarle l’imminente unione con Dioniso. Il dio, infatti, l’avrebbe sposata e le avrebbe donato una corona d’oro, che gli dei avrebbero poi trasformato in costellazione; in seguito, però, la principessa sarebbe stata uccisa da Artemide, come punizione per aver perduto la verginità (non viene specificato se a causa dell’unione con Dioniso o con Teseo).

Ancora una volta compare nel mito di Arianna la figura di Afrodite. Tale legame è ribadito dalla descrizione che Plutarco fa degli ultimi momenti della vita dell’eroina. L’autore, nella Vita di Teseo, narra così:

Salpato dunque da Creta, Teseo giunse a Delo; dopo aver sacrificato al dio e dopo aver dedicato la statua di Afrodite che aveva ricevuto da Arianna, danzò in coro insieme ai giovani la danza che ancora oggi si dice compiano i Deli: ad imitazione degli intricati meandri del labirinto e delle evoluzioni compiute per uscirne, che si svolgono e si alternano secondo un ritmo determinato. Come scrive Dicearco, i Deli chiamano questo tipo di danza “danza della gru”: Teseo danzò intorno all’altare detto Cheratone perché composto di corna (kerata), tutte sinistre.17

Arianna diviene così un simulacro; una statua lignea che le apparteneva accompagnerà Teseo nel suo viaggio. Plutarco informa della consacrazione

17

PLUTARCO, Vite di Teseo e di Romolo, a cura di C. Ampolo e M. Manfredini, Mondatori, Milano 1999, 21.

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della statua di Afrodite. La presenza a Delo di tale simulacro è ricordata anche da Pausania, nel passo della sua Guida della Grecia volto a elencare tutte le opere eseguite da Dedalo; l’autore sostiene che si tratti proprio della statua che Arianna ricevette da Dedalo e portò con se quando decise di seguire Teseo. L’opera, quindi, esisteva ancora ai tempi di Pausania (II secolo d. C.) e contribuisce alla sovrapposizione, nella storia delia, dell’immagine di Arianna con quella di Afrodite. A Delo, inoltre, era venerata un’Afrodite “pura”, epiteto vicino alla “purissima” Arianna, mentre a Cipro è attestato un culto di Afrodite-Arianna; l’eroina poteva apparire dunque come figura mortale della grande dea dell’amore.

La Vita di Teseo risulta essere una testimonianza interessante anche per quanto concerne la vicenda dell’abbandono di Arianna sull’isola di Nasso; la versione qui riportata, infatti, non trova riscontro in nessuna altra fonte. Essa è attribuita da Plutarco a Paion, erudito poco conosciuto nato nella città cipriota di Amatunte e forse vissuto nell’età ellenistica; secondo il suo racconto:

Teseo fu sospinto da una tempesta a Cipro e Arianna era incinta: poiché stava male per il mare agitato e ne soffriva, Teseo fece sbarcare lei sola, poi si allontanò da terra per portare di nuovo aiuto in mare alla sua nave. Le donne del luogo accolsero dunque Arianna e si presero cura di lei, sconsolata per la solitudine; le portavano lettere false, come se gliele avesse scritte Teseo; e quando ebbe le doglie del parto le stettero accanto e l’aiutarono, ma la donna morì senza essere riuscita a partorire e fu sepolta. Teseo tornò e fu profondamente afflitto; lasciò denaro agli abitanti del luogo, dando disposizione di sacrificare per Arianna, e fece innalzare due statuette, una di bronzo e l’altra d’argento. Nel corso del sacrificio […] un giovane , sdraiato su un letto, grida e imita il comportamento delle donne quando hanno i dolori del parto; gli abitanti di Amutante chiamano il bosco sacro, in cui mostrano la sua tomba, di Arianna Afrodite.18

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La storia contiene molti elementi romanzeschi, come la tempesta improvvisa o le false lettere; nei tratti essenziali, comunque, si riallaccia al culto cipriota di un’Afrodite bisessuata.

Tornando ad analizzare la narrazione omerica del mito, essa sembra sottintendere la versione secondo la quale Arianna sarebbe stata punita da Artemide per aver tradito il suo sposo divino. Un’indicazione in questo senso è fornita dall’Ippolito di Euripide, opera incentrata sulla figura di Fedra, sorella di Arianna. La protagonista, in preda alla frenesia erotica, ricollega la sua sventura alla tragica eredità della sua famiglia: l’amore illecito, oltre che infelice, sembra essere una consuetudine delle donne della famiglia. Richiamando alla memoria la sorte della madre e della sorella di Fedra, Euripide accenna brevemente a due storie mitiche conosciute dal pubblico nella loro integrità e nelle loro diverse varianti. Le parole della protagonista ricordano Arianna solamente come sposa di Dioniso, senza alcun accenno alla figura di Teseo; al contempo, però, la sorella viene definita “infelice” e tale attributo contrasta con la versione canonica del mito, in base alla quale sarebbe proprio l’unione con Dioniso a restituire la felicità alla principessa afflitta. Euripide sembra alludere ad una vicenda differente: Arianna sta soffrendo per aver lasciato lo sposo divino, così come la sorella, sul punto di tradire il marito. Si tratta presumibilmente della versione del mito tramandata dalla narrazione omerica, che considera originario il legame tra Dioniso e Arianna, un legame spezzato da Teseo, il quale comparirebbe solo in un secondo momento. L’eroina cretese si sarebbe macchiata della colpa di aver tradito il legittimo sposo con un mortale e, per questo, sarebbe stata punita con la morte. L’oscura vicenda del tradimento e della morte di Arianna, a cui lo stesso Omero allude nell’Odissea, si sarebbe svolta a Creta e non sull’isola di Nasso, scenario canonico dell’incontro con Dioniso.

Le fonti non sono concordi nello stabilire le geografie mitiche. Tale imprecisione è evidente anche nel riferire il luogo di sepoltura della principessa cretese. Un’indicazione è fornita, ancora una volta, dalla Guida

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Dioniso “cretese” ad Argo e lo connette con la presenza di una tomba di Arianna; accanto al santuario di Dioniso e alla sepoltura di Arianna sarebbe sorto un tempio di Afrodite Urania, l’Afrodite celeste. La vicinanza di due luoghi di culto, nella topografia della religione greca, evidenzia una connessione tra i due culti stessi. La dea dell’amore ricompare, quindi, nel mito dell’eroina cretese; ella veglia il luogo in cui la sposa di Dioniso è stata sepolta, poco dopo le nozze.

L’opera di Pausania accenna anche alla tradizione secondo la quale Teseo avrebbe abbandonato Arianna contro la sua volontà. Descrivendo le pitture dell’antico tempio di Dioniso ad Atene, parla di una scena in cui compaiono Arianna addolorata, Teseo nell’atto di salpare e Dioniso che giunge per portare la fanciulla con sé. Si parla di “ratto” per definire l’azione violenta del dio; è probabile che Teseo venga punito per aver sottratto Arianna a Dioniso, tanto che, in un passo successivo, si narra che Teseo avesse dimenticato di ammainare la vela nera,19 al ritorno da Atene, perché Arianna non era più con lui. La sua mente sarebbe stata offuscata dal dolore per la perdita dell’amata, e che tale separazione non sia stata voluta da Teseo è detto esplicitamente dallo stesso Pausania:

Arianna fu portata via a Teseo da Dioniso, che organizzò contro di lui una spedizione navale con forze preponderanti, sia che egli sia imbattuto in lei per caso, sia che egli abbia organizzato un’imboscata per prenderla.20

Il racconto di Pausania trova riscontro nelle parole di Diodoro Siculo, che riferisce così i fatti avvenuti a Nasso:

I miti narrano che a quel tempo Dioniso fece un’apparizione sull’isola, e per la bellezza di Arianna portò via a Teseo la fanciulla e la tenne come sposa legittima, straordinariamente amata. Dopo la sua morte, per il suo amore, la

19

Alla partenza Teseo avrebbe ricevuto dal padre due vele, una bianca per annunciare la vittoria sul Minotauro e una nera per indicare, al contrario, che egli era morto nell’impresa. Vedendo la vela nera, Egeo si disperò per la presunta morte del figlio e si uccise gettandosi nel vuoto dell’Acropoli.

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considerò degna di doni immortali, collocando tra gli astri la corona di Arianna, che ora è nel cielo. Teseo, dicono, soffrendo profondamente per il rapimento della fanciulla, per il dolore si dimenticò del comando di Egeo e approdo in Attica con le vele nere.21

Tale versione è ribadita anche in un passo successivo del testo di Diodoro Siculo:

Teseo, salpato da Creta con Arianna fu ospitato dagli abitanti dell’isola di Nasso: ma, avendo visto in sogno Dioniso che lo minacciava se non gli avesse lasciato Arianna, Teseo si impaurì, abbandonò la donna e prese il mare.22

Il Dioniso guerriero è, con ogni probabilità, una figura che appare in epoca tarda. Ma il fatto che il dio abbia costretto Teseo ad abbandonare Arianna non è episodio ideato né da Pausania né da Diodoro; ad esso, infatti, fanno riferimento alcune testimonianze figurative del V secolo a. C.

Anche il mitografo Apollodoro riecheggia la variante secondo la quale Teseo agirebbe contro la sua volontà. L’ignoto grammatico compila un manuale di mitologia greca raccogliendo, da poeti e scrittori, un sommario di leggende relative al mondo divino ed eroico; il suo arduo progetto era quello di redigere un compendio generale della mitologia greca. L’opera si divide in quattro parti e l’ultima, l’Epitome, narra le gesta di Teseo e il suo incontro con Dioniso; di particolare interesse è il seguente passo:

E quando giunse a Creta, Ariadne, figlia di Minosse, essendosi innamorata di lui, si offrì di aiutarlo se le avesse promesso di portarla via con sé ad Atene e di sposarla […]. E (Teseo) di notte arrivò con Ariadne e i fanciulli a Nasso. Quivi Dionysos si innamorò di Ariadne e la rapì; e dopo averla condotta a Lemno, si unì a lei e generò Taonte, Stafilo, Enopione e Papareto.23

21

DIODORO SICULO, Biblioteca storica, tr. di P. Martino, Sellerio, Palermo 1986-2000, 4, p. 61.

22

Ibidem, 5, p. 51.

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Apollodoro sembra essere l’unico tra gli scrittori antichi conservati a raccontare che Dioniso rapì Arianna da Nasso per portarla a Lemno e congiungersi con lei; l’isola di Lemno, tra l’altro, era sacra al dio Efesto. La versione fin qui illustrata viene smentita dal racconto di Plutarco. Nella

Vita di Teseo egli narra, infatti, che l’eroe abbandonò Arianna non per

costrizione, bensì a causa dell’amore per un’altra donna, Aigle. Si tratta di una variante del mito consolidata nei poemi epici di età arcaica. L’ambiguità della sorte di Arianna sembra aver generato una credenza che lo stesso Plutarco attribuisce agli abitanti di Nasso. Questi sarebbero convinti dell’esistenza di due Arianna, una delle quali avrebbe sposato Dioniso, mentre l’altra sarebbe stata rapita e abbandonata da Teseo, per poi giungere a Nasso insieme alla nutrice Corcina e lì morire. Alle due Arianna corrisponderebbero due distinte celebrazioni: la prima sarebbe festeggiata all’insegna della gioia e del divertimento, la seconda, invece, verrebbe ricordata con dolore e tristezza.

Le due diverse leggende dell’abbandono di Arianna sono ben presenti nella memoria mitica dei Greci. Lo provano le parole con cui Filostrato illustra al suo immaginario discepolo un’opera raffigurante Arianna appena abbandonata da Teseo (fig.1); si tratta di una delle raffinate descrizioni di opere d’arte, unite nella celebre raccolta dal titolo Eikones. L’opera si basa su una finzione letteraria: nel proemio, l’autore dichiara di voler presentare alcuni esempi di pittura dei quali ha avuto modo di discutere con alcuni giovani, affinché questi capissero come interpretarli e apprezzarli; tali quadri sarebbero stati realizzati da numerosi pittori e avrebbero decorato le pareti di un portico visibile nella città di Napoli. L’effettiva esistenza delle 65 immagini analizzate da Filostrato è da tempo messa in dubbio; in ogni caso, lo scopo perseguito dall’autore non è quello di fornire notizie attendibili, bensì quello di scatenare con le proprie parole determinate reazioni psicologiche nel lettore.

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Fig. 1,Ariadne,da Filostrato, Immagini.

La descrizione dell’opera rappresentante Arianna addormentata conferma la diffusione di entrambe le varianti relative alle cause dell’abbandono della fanciulla:

Che Teseo, agendo ingiustamente - anche se alcuni sostengono che non lo fece con intenzioni ingiuste, ma su ispirazione di Dioniso - abbandonò Arianna mentre dormiva sull’isola di Dia, devi averlo sentito raccontare dalla tua nutrice: si sa che le nutrici cono molto dotte in questi temi e su questi argomenti piangono a volontà. Non ho perciò bisogno di dirti che è Teseo quello sulla nave e che sulla terra c’è Dioniso; se poi richiamo la tua attenzione su questa fanciulla che dorme sulle rocce un sonno tranquillo, non è certo perché non sai chi sia […].24

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L’allusione alla versione “orale” del mito e all’attività educativa svolta dalle nutrici prova la popolarità della vicenda di Arianna. L’osservatore dell’epoca si trova dunque di fronte a un tema che conosce bene, tanto che lo stesso Filostrato reputa inutile precisare le identità delle figure effigiate; è sufficiente, ad esempio, un tralcio d’edera o una pantera per rendere riconoscibile Dioniso. Ma il dio qui rappresentato è un dio che ama, ritratto nel momento in cui si avvicina ad Arianna, vestito come uno sposo, con un mantello color porpora e una corona di rose. Anche Teseo è innamorato, ma “del fumo che sale dai tetti di Atene”25 e non più di Arianna, della quale sembra essersi dimenticato.

2.2. Il lamento sulla riva.

Qualunque siano state le ragioni che hanno mosso Teseo, la sua nave sta già scomparendo all’orizzonte quando Arianna si risveglia sull’isola di Nasso.

La scena dell’abbandono presenta due varianti fondamentali: in un caso Teseo non contraddice la sua fama di traditore e fedifrago, abbandonando con la consueta leggerezza la fanciulla in un luogo solitario; nell’altro egli è costretto ad ubbidire agli ordini di Dioniso, determinato a prendersi (o riprendersi) Arianna.

In ogni caso, la fanciulla si trova sola e afflitta sulle sponde dell’isola. E ha inizio il suo lamento. La fama che consegna l’eroina alla tradizione letteraria l’associa proprio ad un’immagine femminile lamentosa; ella diviene l’icona della donna tradita, la relicta per eccellenza.

Questa immagine di Arianna si afferma nella tradizione letteraria a partire dai Carmina di Catullo, raccolta in cui trova espressione la disperata condizione emotiva della principessa di Creta. L’autore segna una svolta nella sua storia: l’Arianna che arriva a lui è una giovane di cui si rimarcano

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le pecche morali, passivo oggetto di eros, cui ella si abbandona patendone i contraccolpi; con Catullo ella ha voce in prima persona e il suo punto di vista, da marginale, diviene centrale. Gli altri personaggi del mito passano così in secondo piano e tutta la vicenda ruota unicamente intorno a lei. Il poeta crea, dunque, un personaggio molto diverso da quello desunto dalle fonti precedenti; anche la forma letteraria, il lamento, costituisce una novità ed è destinata a rinnovarsi nei secoli.

La condizione dell’abbandono è perfettamente delucidata nel carme ottavo, poiché è l’autore stesso a conoscere il dolore di tale tradimento. Tale sventura lo porta a identificarsi con Arianna e a scorgere in Lesbia la crudeltà e l’insensibilità proprie di Teseo. Ma è all’interno del carme 64 che viene illustrata l’intera leggenda di Teseo e Arianna.

Il carme, in realtà, è una sorta di canto nuziale volto a celebrare un’altra unione, quella tra Peleo e Teti, ma il poeta si allontana quasi immediatamente dal tema principale per aprire una lunga digressione relativa all’abbandono di Arianna sull’isola di Nasso. Catullo da’ voce al suo personaggio tramite un elegante artificio poetico: egli descrive la coperta che abbellisce il letto nuziale degli sposi, sulla quale sono effigiati gli episodi salienti della storia di Teseo a Arianna. Una storia d’amore infelice diviene, pertanto, la cornice d’arredamento di un talamo destinato a suggellare il rito della perfetta felicità coniugale; vi si può intravedere anche un intento etico, poiché l’unione di Teseo e Arianna si configura come irregolare rispetto alle norme sociali, che esigono l’ossequio delle tradizioni e della volontà dei parenti.

Tramite la descrizione di un oggetto inerte, seppur estremamente pregiato, l’ekfrasis catulliana riesce a far rivivere al lettore tutta la drammaticità della vicenda mitica. La descrizione dei ricami inanimati ha inizio dal risveglio di Arianna, che scopre di essere stata abbandonata dall’amante sull’isola deserta di Dia e osserva la nave che si allontana all’orizzonte:

Ed ecco sulla riva di Dia fra scrosci di onde Arianna vede fuggire Teseo all’orizzonte

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sulla nave che veloce s’allontana e in cuore presa dal delirio non vuol credere ai propri occhi, ora che strappata alle illusioni del sonno

si ritrova abbandonata sulla spiaggia deserta. Batte coi remi il mare, l’ha dimenticata, fugge, lasciando che i venti disperdano le sue promesse. E con lo sguardo disperato la figlia di Minosse lo segue da lontano, tra le alghe, una baccante di marmo, travolta da un’ondata d’angoscia; lo segue, i biondi capelli scomposti, senza nastri, il petto scoperto, senza che lo veli una veste, senza un laccio che leghi il suo seno di latte: scivolate dal corpo quelle vesti giacciono

sparse ai suoi piedi: un gioco per le onde del mare. 26

La fanciulla è qui paragonata a una “baccante di marmo, travolta da un’ondata di angoscia”; ciò non desta stupore poiché la comparazione tra l’agitazione di un animo femminile e lo stato emotivo di una baccante ricorre frequentemente nei testi antichi. In questo caso, però, il paragone acquista una sfumatura di significato del tutto particolare, essendo riferito ad una figura entrata a far parte del corteggio dionisiaco e soventemente confusa con una baccante. In ogni caso, la comparazione è mediata dall’autore, che avvicina l’immagine di Arianna non a quella di una baccante, bensì a quella di una statua rappresentante una baccante.

Le scene seguenti ricostruiscono a ritroso le vicende che hanno condotto Arianna sull’isola di Nasso. Il mito trapunto sulla stoffa ricorda come la fanciulla abbia aiutato Teseo a vincere le insidie del labirinto e ad uccidere il mostruoso fratello, mossa dall’incantesimo d’amore di Afrodite; come sia fuggita insieme all’eroe straniero; come, dunque, abbia abbandonato la patria e tradito i congiunti, pur di assecondare il proprio impulso passionale. Alcuni testi antichi espongono aspre critiche verso tale comportamento. Il giudizio di Catullo è assai meno severo, anzi l’atteggiamento di Arianna

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appare persino giustificabile, poiché la passione è un’inesorabile forza ispirata da Venere:

e da lui non riesce a distogliere lo sguardo in fiamme, tutto il suo corpo è inferno

che arde fin dentro le ossa, in tutte le viscere.27

All’illustrazione degli antefatti segue il vero e proprio lamento, sotto forma di lungo discorso diretto:

“Tu, tu perfido, tu Teseo, dal mio focolare

m’hai strappata per lasciarmi su una spiaggia deserta. Fuggi, non pensi, hai dimenticato i giuramenti, le leggi divine, la maledizione che porti?

Niente dunque ha potuto distoglierti da un proposito così crudele? Nessuna dolcezza che insinuasse nella ferocia del tuo cuore un poco di pietà? […] No, nessuna donna creda ai giuramenti di un uomo, nessuna si illuda che sia sincero quando parla: se in cuore li rode il desiderio di possedere, non temono giuramenti, promettono, promettono, e sfogata la furia della loro voglia,

impassibili scordano promesse e giuramenti. Ma io ti salvai mentre ti dibattevi nel vortice della morte, lasciando che morisse mio fratello piuttosto che abbandonarti a te stesso, traditore. In cambio sarò gettata da sbranare a rapaci

e belve, e non avrò un pugno di terra sulla tomba.[…] Ma perché, perché pazza di dolore, mi lamento col vento che non sa nulla? Non ha sensi, non può udire le parole che grido, non può rispondermi. Ormai lui ha quasi raggiunto il mare aperto e qui fra queste alghe non vedo nessuno.

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Con scherno feroce la sorte mi nega in quest’ora disperata anche chi possa ascoltare i miei lamenti.[…] Che fare? Non ha speranza, nulla, sono perduta. Tornare ai monti di Creta dai quali mi divide coi suoi gorghi la distesa minacciosa del mare? E sperare in mio padre? L’ho lasciato per seguire un giovane coperto del sangue di mio fratello. Consolarmi nell’amore fedele dello sposo? E’ in fuga: i remi si curvano docili nell’acqua. E questa è un’isola deserta, senza rifugio, circondata dal mare non ha vie d’uscita: nessuna speranza di fuggire: tutto è silenzio, solitudine, tutto mi parla di morte.

Ma prima che nella morte si spengano i miei occhi e la vita abbandoni il mio corpo stremato,

io chiedo agli dei vendetta per questo tradimento e imploro nell’ora estrema la loro protezione […] È un grido che mi nasce dentro, vero, giusto: non lasciate che il mio dolore resti invendicato: col cuore che gli consentì di abbandonarmi, o dee, Teseo precipiti se stesso e i suoi nel lutto.28

Nel componimento di Catullo, così come in ogni versione dell’abbandono di Arianna, l’isola di Nasso è descritta come un territorio selvaggio e senza tempo, luogo di paura e di dolore. Lo spazio geografico è una costante all’interno del variegato insieme di narrazioni del mito: da ambiente mite e ricco di viti care a Dioniso, l’isola si tramuta in uno scenario spaventoso e abitato da animali feroci.

Su tale palcoscenico fisso si profilano due possibili esiti della vicenda: la morte di Teseo, con l’adempirsi della maledizione di Arianna, e la rinascita dell’eroina, a seguito dell’arrivo di Dioniso sull’isola. La digressione sulla

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storia di Arianna termina proprio con le premesse dell’intervento consolatorio del dio, che la cerca e la desidera:

Ma dall’alto lembo scende a volo il giovane Iacco con il suo seguito di Satiri e Sileni

cercando te, acceso d’amore per te, Arianna.29

Fa seguito l’evocazione del chiassoso corteo di Bacco, e la figura di Arianna svanisce all’interno del suo strepitio. Non sappiamo quale sia stata la sua reazione: il poeta, così attento ad evocare i sentimenti di Arianna nei confronti dell’amante, non svela gli stati d’animo che la giovane prova nei confronti del proprio salvatore. Dell’eventuale gioia di Arianna si tace del tutto; in realtà, si tace perfino del suo incontro con Dioniso.

La narrazione degli eventi termina, infatti, con l’annuncio dell’imminente arrivo del dio sulle sponde di Nasso. Catullo, dunque, non informa della futura unione tra Arianna e Dioniso; ciò non impedisce la connessione della lunga digressione al tema principale del carme. Le nozze di Dioniso e Arianna, al pari di quelle tra Peleo e Teti, rimandano a un’epoca di gioia, in cui gli dei si mischiavano agli uomini e offrivano loro conforto.

Il Carme 64 di Catullo diviene immediatamente un testo paradigmatico sulla figura di Arianna, tanto che, pochi decenni più tardi, costituisce per Ovidio il riferimento principale.

La figura dell’Arianna abbandonata diviene una vera e propria insegna di tale condizione per Properzio, uno dei massimi esponenti della lirica erotica latina. Una sua elegia si apre, infatti, con un breve riferimento alla fanciulla, inserita in un gruppo di figure mitologiche comparate dall’autore alla propria amante. Quest’ultima viene paragonata ad Arianna anche in un altro componimento poetico, in virtù del fascino che accomuna le due donne; la principessa è dunque un modello di bellezza. Nel caso citato, Properzio ricorda l’eroina cretese mentre guida le danze dionisiache, altrove accosta il suo amore per l’amata a quello che Arianna prova per Teseo.

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Anche Dioniso non sarebbe stato immune dall’amore, secondo quanto argomenta Properzio in un’elegia successiva:

Ora, o Bacco, ci prostriamo umili alle tue are: concedimi pace e vele propizie, o padre!

Tu puoi abbattere la superbia della folle Venere, dal tuo vino si estrae il balsamo che lenisce gli affanni. Per opera tua gli amanti si congiungono o si separano: tu, o Bacco, scaccia dal mio animo il vizio dell’amore! Anche tu infatti non ne sei immune: lo testimonia tra gli astri Arianna trasportata in cielo dalle tue linci.30

La divinizzazione di Arianna mostra, dunque, la forza dei sentimenti del dio. In Properzio il momento del felice incontro con Dioniso acquista centralità, a discapito dell’episodio dell’abbandono. La prospettiva del poeta, tuttavia, non ha largo seguito, in quanto i poeti latini della tarda antichità e dell’età augustea prediligono il motivo del tradimento da parte di Teseo, riprendendo e sviluppando l’immagine catulliana. Arianna, al pari di Didone e Medea, si afferma definitivamente come modello esemplare di

relicta. Le tre donne condividono la sofferenza dell’abbandono e l’etichetta

di colpevoli: Medea e Arianna hanno tradito i congiunti mentre Didone non ha mantenuto il giuramento fatto alle ceneri del marito Sicheo. La trasgressione compiuta impedisce loro di riconquistare la patria e le memorie sanguinarie del mondo che hanno abbandonato le privano della serenità.

La galleria delle relicte si schiera in modo completo nelle Eroidi di Ovidio. Si tratta di una raccolta immaginaria di 21 lettere d’amore scritte da alcune eroine abbandonate e indirizzate agli amanti traditori. L’autore rende umane le donne del mito, facendo rivivere le loro solenni vicende col palpito delle passioni e dei turbamenti delle donne della Roma contemporanea.

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Alla base dell’opera è il motivo dell’amore infelice, in particolare quello della donna abbandonata. In un contesto di questo tipo, non può che fare la sua comparsa anche la figura di Arianna. La sua lettera a Teseo, come tutte le altre, ricorda da vicino il monologo teatrale poiché le protagoniste si susseguono come su un palcoscenico e recitano se stesse. Lo scenario del discorso di Arianna è, ancora una volta, l’isola di Nasso ed è arricchito dal motivo del letto, che ricorda la perdita dell’amato:

Era il tempo in cui sparsa è la terra di bruma che pare vetro, e nel fogliame gli uccelli. In una incerta veglia mossi, piena di sonno, sollevandomi appena, le mani per toccarti. Non c’eri. Le ritiro, riprovo un’altra volta agito per il letto le braccia; tu non c’eri.

L’angoscia scaccia il sonno, mi sollevo atterrita e subito mi slancio fuori del vuoto letto.31

Come in Catullo, anche qui Arianna è descritta nell’atto di osservare la nave all’orizzonte. Ritorna, inoltre, il paragone con la “statua di una baccante” seppur con una piccola alterazione, che ne modifica profondamente il significato, in quanto l’eroina sembra fondersi con lo scenario desolato e selvaggio dell’isola di Nasso:

Oppure erravo sola, con i capelli sciolti simile a una baccante invasa dal dio

ogigio, oppure, il mare guardando da una roccia, come la pietra stessa divenivo di pietra.32

L’aggettivo “ogigio” significa tebano, perciò tale dio altri non è che Dioniso; la giovane menziona direttamente il futuro sposo divino. Segue un

31

OVIDIO, Le Eroidi, tr. di G. Leto, Einaudi, Torino 1966, vv. 7-14.

32

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lungo sfogo della fanciulla, che dà voce a tutta la sua disperazione e a tutto il timore per l’incerto futuro:

Che fare? Dove andare? Quest’isola è deserta. Io non vedo lavoro dell’uomo, né di buoi. Da ogni parte c’è il mare, ma nessuno lo solca, e non c’è nave alcuna che batta ambigue rotte. Ma avessi pure il vento, i compagni e una nave, dove andare? La terra paterna non mi accoglie. […] Ed oltre alle mie sofferenze

future, penso a quelle che ogni altra, abbandonata, prova. Mille parvenze di rovina mi assalgono, più penosa che la morte della morte è l’attesa. Ormai, ormai verranno i lupi da ogni parte le viscere a sbranarmi con i denti rabbiosi. Potrebbe questa terra accogliere i leoni, forse l’isola nutre anche tigri furiose

e si dice che il mare nasconda grosse foche. Chi impedirà alle spade di trafiggermi il fianco? Ma non che, prigioniera, legata alla catena debba come una schiava trarre i pesanti fusi io, nata da Minosse, dalla figlia di Febo, e, ciò che più ricordo, io che ti appartenevo. Guardando mare e terra e l’ampio litorale [minacciosa la terra, minacciose le acque resta il cielo, ma temo le statue degli dei] mi sento abbandonata, preda e cibo alle fiere. Se vi abita qualcuno, io di quello diffido con mio danno imparai gli stranieri a temere.33

Arianna prevede per sé un destino tragico, fatto di morte o schiavitù; non immagina lontanamente che l’attende una sorte gloriosa, proprio grazie

33 Ibidem, vv. 59-64; 79-98.

(20)

all’intervento salvifico di una di quelle divinità, che la fanciulla dichiara di temere.

2.3. Ovidio e il mito di Bacco e Arianna.

In epoca rinascimentale le opere di Ovidio costituiranno la principale fonte per le arti visive. Assume particolare rilievo, dunque, il fatto che egli ritorni sulla figura di Arianna in altri suoi testi, dopo la stesura delle Eroidi. Il primo è l’Ars Amatoria, una sorta di manuale di seduzione in versi, che associa una struttura formale “didascalica” ai contenuti tipici dello smaliziato mondo poetico ovidiano. I primi due libri sono indirizzati agli uomini, ai quali l’autore indica come incontrare, conquistare e conservare l’amore di una donna; nel terzo, composto in un secondo momento, gli stessi consigli sono rivolti alle donne. L’opera dispone in maniera organica una serie di precetti; si tratta, comunque, di una precettistica molto poco austera, poiché ogni situazione amorosa resta solo futile avventura, arricchita da digressioni e riferimenti al mito e alla leggenda. Anche gli dei e gli eroi sono dunque introdotti in questa dimensione di eleganza e frivolezza, in cui l’impegno d’amore, seppur coinvolgente, non è mai affrontato troppo seriamente; la festevole leggerezza con cui si dipana la vicenda di Bacco e Arianna ne offre una perfetta dimostrazione.

Nel primo libro la descrizione delle tecniche di seduzione si interrompe per far spazio a un lungo inserto narrativo dedicato alla figura disperata di Arianna e al suo accorato lamento:

Forsennata la Gnòsia andava errando per incognite arene ove la breve Dia dai flutti marini è flagellata, e qual sorta dal sonno era, velata d’una discinta tunica, coi piedi nudi e le bionde chiome disciolte,

(21)

andava su le sorde acque chiamando il crudele Teseo, mentre un ingiusto pianto rigava le sue molli gote.

Gridava ella e piangeva, e pianto e gridi bene le convenivano: non era

dalle lacrime sue fatte men bella. E il seno morbidissimo coi pugni

più e più battendo “se n’è andato il perfido”, ella dicea; “che mai sarà di me?

Che sarà mai di me?” Per tutto il lido ecco sonare cembali e tamburi

che da man furibonde eran percossi. Sbigottita giù cadde ella, e l’estreme voci rotte le uscirono; ed il sangue dall’esanime corpo era fuggito.34

In realtà, il tema principale del passo è l’epifania di Dioniso. L’episodio è illustrato da una sequenza di immagini che entrerà nel repertorio della pittura rinascimentale e che completa il quadro tracciato nelle Eroidi: il pianto disperato di Arianna è interrotto dal suono dei cembali bacchici e dal balzo del dio sulla spiaggia, giù dal carro trainato da tigri e seguito dal vecchio ed ebbro Sileno; tutto intorno è il frastuono di Baccanti e Satiri. Lo stupore di Arianna si tramuta ben presto in gioia, allorché Dioniso le promette nozze fedeli e la trasformazione in costellazione:

Già il Dio sul carro, ch’egli aveva al sommo coronato di grappoli. Le briglie

d’oro allentava alle aggiogate tigri. Voce, colore, di Teseo memoria vennero meno in lei; tre volte volle fuggir, tre volte trepida ristè; rabbrividì come le spighe vuote

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agitate dal vento e come trema in acquosa palude esile canna.

Ma il Dio le disse: “Io più fedele amico, ecco, a te vengo; ogni timor deponi; di Bacco, o Gnòsia, moglie tu sarai. Il ciel ti dono; come stella in cielo vista sarai; la cretica Corona spesso guida sarà d’incerte navi” Disse, e dal carro, ond’ella delle tigri non dovesse temere, egli discese: sotto il suo piè cedettero le arene; e sul petto stringendola (né quella resistere poteva), ei se la prese: facile è per un Dio far ciò che vuole! “Imeneo!” cantan quelli, e cantan questi “Eiuòn, Euoè!” Così su sacro

talamo unita fu la sposa al Dio.35

Il dio serra la fanciulla al petto e la porta via con sé: Arianna torna ad essere un docile oggetto d’amore, non potendo opporre alcuna resistenza.

Alla figura dell’eroina è riservato un piccolo posto anche nel capolavoro di Ovidio, le Metamorfosi. L’opera si compone di 15 libri contenenti circa 250 miti, uniti tra loro dal tema della trasformazione: uomini o creature si mutano in parti della natura, animata e inanimata. Il poeta salda i vari episodi con legami talora sottili, ma efficaci: un mito può essere richiamato per analogia o per identità di contenuto, può essere incastrato in un altro che fa da cornice o, infine, essere narrato da un personaggio protagonista di un’altra vicenda. I racconti sembrano così scaturire uno dall’altro, in una dimensione che pare dilatarsi all’infinito. Nel complesso intreccio narrativo, sono le vicende amorose a offrire una linea di continuità. Esse presentano spesso episodi legati a trasformazioni, ma anche una grande varietà di eventi, riconducibili ad alcuni filoni

(23)

fondamentali: gli interventi eroici, quelli consolatori e quelli segnati dal dolore. Molto spesso le improvvise passioni amorose scaturiscono nel rapimento dell’oggetto del desiderio. Accanto al mito, l’amore è dunque l’altro grande tema del poema.

Agli amori di Arianna è dedicata parte dell’ottavo libro, all’interno del quale Ovidio rievoca l’intera saga cretese, facendola culminare nell’apoteosi dell’eroina:

A malapena lui stesso (Dedalo) potè ritrovare l’uscita, tanto l’intrico ingannava. Poich’ebbe rinchiuso là entro il Minotauro dal gemito aspetto di giovane e toro; come la terza mandata sortita per ogni nove anni

fiaccò quel mostro satollo due volte di sangue ateniese, Teseo, volgendo in gomitolo il filo che diedegli Arianna, poté con l’opra di lei rinvenir la difficile uscita

mai trovata da alcuno; e, rapita la vergine figlia del re Minosse, fe’ vela d’un tratto per l’isola Dia;

poi su quei lidi il crudele lasciò la compagna per sempre. Mentre ella, sola, piangeva, dolendosi dell’abbandono, l’abbracciò Bacco e le porse soccorso; e, perché luminosa poi risplendesse di luce perenne, togliendole il serto che su la fronte portava, lo scaraventò tra le stelle: fiolò per l’aria leggera: nel volo divenner le gemme lucidi fuochi e fermarsi, serbando figura di serto,

tra chi s’appoggia al ginocchio e quell’altro che tiene il serpente.36

Il resoconto si conclude con l’accenno al catasterismo della corona di Arianna, citata anche in un’altra opera ovidiana, i Fasti. Si tratta di un testo narrativo volto a illustrare il calendario romano e a spiegare le lontane origini delle sue feste, dei suoi culti o dei suoi nomi. Il mito si inserisce all’interno dell’illustrazione degli dei e dei riti di Roma.

(24)

Il terzo libro contiene una lunga trattazione relativa alla corona di Arianna, in cui l’autore spiega come essa sia stata trasformata in divinità a causa del tradimento di Teseo:

Vedrai la Corona di Creta come viene di notte:

ella fu trasformata in divinità per il tradimento di Teseo. Lei che aveva dato il filo da svolgere a un ingrato,

a proprio vantaggio aveva mutato con Bacco lo sposo spergiuro. Felice della sorta del suo connubio, disse: “Perché,

Stolta, piangevo? Quel perfido mi ha portato fortuna”37

L’ultima storia ovidiana di Arianna inizia con una compiaciuta riflessione della sposa di Bacco, la quale appare inizialmente felice perché la crudeltà di Teseo le ha permesso di incontrare uno sposo migliore di lui.

Ma subito ella ricade nel suo consueto pianto solitario sulla spiaggia, temendo l’infedeltà di Bacco e un nuovo abbandono, e proclama il suo amore deluso dal primo e dal secondo tradimento. Il dio la sente, si avvicina e le asciuga le lacrime coi baci, promettendole fedeltà e immortalità. Quindi viene celebrata la loro unione alla presenza di Venere, la quale pone la corona di stelle sul capo di Arianna e tiene sospesa la sua mano per permettere a Bacco di donarle l’anello. Il dio trasforma quindi la corona di Arianna in costellazione. E ancora una volta l’eroina, rasserenata, tace piuttosto che esprimere la felicità amorosa; in tutti i testi percorsi, le sue parole sono solamente di dolore.

Probabilmente, la favola narrata nei Fasti è almeno in parte un’invenzione di Ovidio. L’autore si basa sulla leggenda ben nota dell’amore tra Bacco e Arianna, ma vi aggiunge un episodio sconosciuto: il dio, dopo l’incontro con Arianna, sarebbe partito alla conquista dell’India, lasciandola da sola; la fanciulla avrebbe iniziato, così, a sospettare che l’amato si fosse innamorato di una principessa indiana. Si può ipotizzare la volontà di Ovidio di introdurre un’ulteriore variazione sul tema del lamento di

(25)

Arianna, tanto che la stessa eroina ricorda i suoi precedenti lamenti con frequenti rimandi testuali al Carme 64 di Catullo.

2.4. I precedenti nella poesia greca.

La figura di Arianna giunge al Rinascimento con i versi di Catullo e di Ovidio, ma la natura e la caratterizzazione letteraria della mitica fanciulla erano già sviluppate e radicate in ambito greco, influenzando certamente la poesia latina. Tracce di un interesse per la figura mitica di Arianna compaiono, in particolar modo, nella poesia alessandrina.

Catullo trae diretta ispirazione proprio dal più grande poeta alessandrino, Callimaco, per la stesura della sua Coma Berenice; si tratta dell’adattamento di un poema callimacheo volto a celebrare la trasformazione in costellazione di una ciocca dei capelli di Berenice, moglie di Tolomeo III re d’Egitto. Un frammento di tale poema accenna, però, a un altro catasterismo, ovvero alla trasformazione in stella della corona aurea di Arianna, definita “la fanciulla Minoide”. Il componimento ci è giunto in forma frammentaria, tuttavia l’adattamento latino rende possibile ricostruire l’evocazione della favolosa corona, posta tra gli astri dopo aver ornato il capo della principessa cretese.

I primi riferimenti al cosiddetto “catasterismo”, risalgono dunque all’età ellenistica. In Arato la corona assume il significato di monumento funebre, consacrato da Dioniso alla sua sposa; il suo poema Phaenomena contiene infatti il seguente passo:

Ecco la famosa corona che il glorioso Dionysos pose a ricordo della morte di Ariadne […] Ecco lo stupefacente ricordo di un vecchio amore di Bacchos, rappresenta la corona di cui si adornava Ariadne […] Tre volte si illuminano le stelle, una parte di questa corona si pone a un dipresso accanto al Serpente, nella regione del Drago, che piega verso l’Orsa […].38

(26)

Il tema del catasterismo della corona di Arianna ritorna nell’opera di un altro celebre poeta ellenistico, Apollonio Rodio. Nel III libro delle sue

Argonautiche, è il personaggio di Medea a ricordare la vicenda dell’eroina

cretese e a sostenere come ella fosse cara agli dei, tanto che una costellazione porta il suo nome. Si tratta della costellazione oggi nota come Corona Borealis, frequentemente collegata alla vicenda di Arianna a partire III secolo a. C.

Come spesso accade, manca una perfetta coincidenza dei dettagli forniti dalle fonti letterarie. Talvolta la corona che Dioniso dona ad Arianna viene confusa con una corona d’oro che Anfitrite consegnò in precedenza a Teseo. In altri casi la corona è considerata un omaggio che la dea fa a Dioniso in occasione delle sue nozze con Arianna; tale ipotesi risulta plausibile considerando che la stessa Afrodite indossa una corona del tutto simile a quella offerta agli sposi.

L’intera leggenda della corona, inoltre, s’intreccia e si scontra con la tradizione relativa alla trasformazione in stella di Arianna stessa. Si stabilisce quindi una connessione tra il catasterismo e la divinizzazione della principessa cretese, già testimoniata nella Teogonia di Esiodo. Il poeta ellenistico preannuncia l’imminente trionfo di Arianna come sposa prediletta di Dioniso. Ella compare all’interno di un catalogo che raggruppa le eroine unitesi a divinità e che si apre proprio con Semele, madre del suo sposo divino. I versi relativi al matrimonio tra Dioniso e Arianna potrebbero, però, non essere autentici; gli scolii sostengono, infatti, che tale sezione del poema sarebbe stata aggiunta in un secondo momento. Il problema resta irrisolto: da un lato, l’assenza di raffigurazioni della coppia divina su vasi antecedenti gli ultimi anni del VI secolo sembra confermare l’ipotesi dell’aggiunta tarda di tale episodio nell’opera di Esiodo; dall’altro lato, sono noti alcuni vasi attici, realizzati nella prima metà del VI secolo, in cui Dioniso è affiancato da una sposa, la quale, seppur solitamente denominata Ariadne, resta una figura anonima. Ma in tutta la tradizione relativa a Dioniso non compare altra sposa del dio oltre ad Arianna; ciò

(27)

giustifica l’identificazione della figura prototipica della sposa proprio con la principessa cretese. Il fatto che Teseo non venga mai citato porta a pensare che la Teogonia attinga ad una variante secondo la quale gli unici protagonisti della vicenda mitica sono Dioniso e Arianna. Tale tradizione, tramandata dallo Pseudo-Erastotene e derivante da un’opera intitolata Storie

cretesi, attribuisce a Dioniso un ruolo simile a quello che solitamente è

svolto da Teseo: il dio si presenterebbe alla corte di Minosse con lo scopo di sedurre la principessa; in ogni caso, egli avrebbe conquistato Arianna prima di Teseo e lo avrebbe fatto donandole una corona aurea. Si tratta del primo accenno alla corona di Arianna all’interno di una fonte letteraria. Qualunque sia il ruolo ricoperto da Dioniso, le fonti antiche illustrano la divinizzazione di Arianna stessa o l’assunzione della sua corona in cielo. Anche le notizie relative all’uccisione dell’eroina sono solite preannunciare una forma di divinizzazione, successiva alla morte. In altri casi, morte e divinizzazione si fondono insieme; emblematica è la testimonianza di Diodoro Siculo, secondo la quale Dioniso si sarebbe impossessato di Arianna, l’avrebbe condotta sul monte Drios e l’avrebbe fatta scomparire insieme a lui. Il miracolo della scomparsa si sarebbe svolto di notte e su un monte, particolari che richiamano i riti dionisiaci.

2.5. La gloriosa sorte di Arianna.

La corona di Arianna che si muove tra le stelle e corre insieme al sole, compagna di viaggio dell’Aurora figlia del mattino.39

Questo passo, tratto dalle Dionisiache di Nonno di Panopoli, mostra quanto sia consolidato il legame tra la costellazione della Corona Borealis e la leggenda di Arianna.

39

NONNO DI PANOPOLI, Le Dionisiache, tr. di G. Agosti, Biblioteca universale Rizzoli, Milano 2003-2004, 1, vv. 98-99.

(28)

In epoca tardo-antica, il poeta egiziano Nonno compone una sterminata epopea dionisiaca, volta a celebrare lo splendore delle imprese del dio, che si concludono con la sua ascesa all’Olimpo e vengono ambientate in scenari sempre diversi e dominati dal gusto dell’esotico. La raccolta si compone di 48 libri, il penultimo dei quali sembra fare una sorta di riepilogo di secoli di narrazioni e meditazioni sulla vicenda di Arianna.

Il racconto dell’autore ha inizio dalla vicenda del Minotauro, seguendo la versione ormai divenuta canonica: la principessa cretese, dopo la fuga con Teseo, viene abbandonata sull’isola di Nasso e qui raggiunta da Dioniso, che ne fa la sua sposa. Il dio giunge sull’isola seguito da un corteo di satiri e baccanti e guidato da Afrodite, mentre Eros svolazza intorno a lui. La bellezza di Arianna addormentata sulla sabbia suscita in lui un grande stupore e un amore immediato. Nonostante Dioniso chieda ai compagni di viaggio di non far rumore per non disturbarla, la fanciulla si sveglia; inizialmente non vede il dio, ma si accorge che Teseo se ne è andato e inizia a recitare il suo lamento. Ella chiede di poter sognare ancora per vivere una nuova storia d’amore:

Dammi ancora, o Sonno, la tua vuota gioia, mandami un altro sogno gradevole come quello, perché io conosca il letto di Afrodite almeno in un’ingannevole visione.40

Arianna è qui presentata come una fanciulla ancora vergine, la quale lamenta una verginità sventuratamente conservata piuttosto che perduta; tale invenzione le permetterà di sposare Dioniso ancora virgo intacta. La narrazione continua seguendo la trama fissata definitivamente dai testi di Ovidio e Catullo, ma nelle parole di Nonno si coglie una lieve ironia: Arianna dovrebbe porre fine al suo lamento e rendersi conto che la perdita di Teseo è stata compensata da un incontro di gran lunga più felice. È lo stesso dio a consolare la fanciulla, proponendosi come sposo:

40 Ibidem, 47, vv. 345-347.

(29)

Vergine, perché ti lamenti per l’ingannevole cittadino di Atene? Hai Dioniso come sposo. Un marito immortale al posto di un marito effimero.41

La vicenda si conclude la celebrazione delle nozze con Dioniso e la promessa di una corona di stelle. Così Arianna, ancora oggetto passivo di Eros, sussulta di gioia, accantonando ogni ricordo di Teseo. Non ha più niente da dire, si limita a sussurrare e a godere della momentanea felicità. Lo scenario si sposta rapidamente da Nasso all’Argolide. Dioniso giunge a Argo accompagnato dalla nuova sposa; viene però rifiutato dagli abitanti della città e la sua furia si scatena contro di loro. Gli argivi oppongono a Dioniso l’eroe Perseo, figlio di Zeus e Danae, e ha inizio la battaglia. Il dio domina su Perseo, ma quest’ultimo trasforma Arianna in pietra, agitando il volto di Medusa portatore di morte. L’ira di Dioniso diviene, dunque, incontrollabile, ma l’intervento di Ermes riesce a placarlo; il messaggero degli dei lo rincuora con le seguenti parole:

È morta in battaglia, una sorte gloriosa. Tu devi pensare Arianna felice nella sua morte, perché ha trovato un assassino così grande, di stirpe celeste e non di discendenza mortale, uno che ha ucciso il mostro marino e Medusa madre di Pegaso […] La tua sposa, anche da morta, ascenderà al cielo lucente di stelle. E apparirà vicino a Maia, mia madre, lungo il cammino delle sette Pleiadi. Cosa avrebbe potuto desiderare Arianna di più, cosa poteva esserle più gradito, dopo Creta, se non abitare nel cielo e splendere sulla terra. Ma ora deponi il tirso, lascia che il vento disperda la battaglia, e insedia l’immagine dell’Arianna terrestre, che da sola si è fatta statua, dove sorge anche la statua di Era.42

Ermes predice dunque una sorta gloriosa per Arianna, la quale sarà trasformata in costellazione. Il racconto della morte di Arianna si discosta dalle versioni precedentemente illustrate, in quanto narra che l’eroina sarebbe stata uccisa da Perseo durante la grande battaglia contro Dioniso.

41

Ibidem, vv. 428-430.

42

(30)

Le modalità dell’uccisione non sono chiare: nel penultimo libro delle

Dionisiache la morte di Arianna è connessa all’apparizione della gorgoneion, il terribile volto della Medusa capace di pietrificare coloro che

la osservano; nel libro XXV l’assassinio è attribuito a Perseo, la cui lancia indirizzata a Dioniso colpisce l’inerme Arianna, ancora fresca di nozze. Il resoconto dell’autore egiziano conferma la presenza di una tomba di Arianna ad Argo, già attestata da Pausania; essa si inserisce nell’insieme di tradizioni argive che ruotano intorno alla grande battaglia tra Dioniso e Perseo e potrebbe trovarsi all’interno del santuario di Dioniso.

2.6. Dioniso e Arianna protagonisti della pantomimia.

L’inserimento delle figure di Dioniso e Arianna all’interno di una rappresentazione pantomimica attesta la grande popolarità della loro vicenda mitica, oltre a dimostrare come il mito perda l’immediato significato religioso e divenga maggiormente fruibile.

La pantomimia, molto diffusa e apprezzata nel mondo antico, mette in scena gli episodi mitologici tramite una semplice coreografia ed un accompagnamento musicale; vi possono prendere parte anche le donne, solitamente escluse dalle scene teatrali. Questo tipo di spettacoli contiene spesso allusioni, più o meno velate, alla sfera dell’eros e proprio di un mimo fortemente erotico sono protagonisti Arianna e Dioniso.

Esso è illustrato all’interno del Simposio di Senofonte, un’opera socratica volta a registrare i fatti e i ragionamenti del simposio di Callia. Il tema scelto per il suddetto mimo è quello delle nozze divine, poiché l’unico scopo dell’autore è quello di mostrare una coppia di amanti, tanto che tutti gli altri episodi del racconto mitico sono taciuti.

Nell’ultimo capitolo del testo senofonteo, a seguito del discorso di Socrate sull’amore, il Siracusano43 richiama l’attenzione dei convitati sull’entrata di

(31)

due ballerini che impersonano Arianna e Dioniso. Ha quindi inizio lo spettacolo:

Fu collocato un seggio al centro della sala e il Siracusano, entrato, annunciò: “Amici, Arianna sta per venire nella camera nuziale riservata a lei e a Dioniso: tra un po’ giungerà Dioniso che s’è fermato con gli dei a bere: egli la visiterà e se la spasseranno insieme”. Ed ecco Arianna, abbigliata da sposa, s’avanzò e prese posto sul seggio. Siccome Dioniso non appariva, il flauto intonò un motivo bacchico. E qui ammirarono tutti il maestro di danza, perché Arianna, appena l’udì, fece intendere a ognuno che l’aveva udito con piacere: lo si capiva dai gesti – non si avanzò per andargli incontro, né si levò, ma era chiaro che penava a star ferma. Quando Dioniso la vide, danzandole vicino come uomo innamorato, le sedette sulle ginocchia e, presala tra le braccia, le dette un bacio. Ella, pur vergognandosi, l’abbracciò a sua volta con tenerezza. A quella vista i convitati applaudirono insieme e insieme gridarono il bis. Allora Dioniso, alzatosi, fece alzare Arianna e, dopo, si mostrarono in atteggiamento di baciarsi e di carezzarsi tra loro. Vedendo Dioniso tanto bello e Arianna tanto delicata, che non per scherzo, ma per davvero si baciavano, rimasero tutti a guardare, in preda a una violenta emozione. E udirono Dioniso che chiedeva alla fanciulla se gli volesse bene e lei che giurava in guisa tale, che non soltanto Dioniso ma i presenti tutti avrebbero giurato che si amavano tra loro.44

Lo spettacolo, dal carattere erotico, insiste sui gesti esprimenti sensualità e desiderio e sulle reazioni spontanee degli spettatori; al contempo sottolinea la legittimità di tali atteggiamenti, essendo gli amanti uniti in matrimonio. Il modello che offrono non è quello di un amore coniugale che cresce nella vita quotidiana, bensì quello di un amore fondatore poiché Dioniso e Arianna si amano al primo sguardo. La loro passione è folgorante, ma non sovversiva poiché è legittimata dalle nozze.

L’invenzione di Senofonte, che fa comparire la coppia divina alla fine del simposio socratico, si riallaccia alla concezione di Dioniso e Arianna come

44

Socrate. Tutte le testimonianze da Aristofane e Senofonte ai Padri Cristiani, tr. di R. Laurenti, Roma-Bari 1986, pp. 250s.

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simposiasti ideali, seppur capovolgendo la consueta rappresentazione. A partire dal IV secolo, infatti, i vasi greci presentano frequentemente l’immagine dei due sposi nell’atto di celebrare loro stessi un simposio o di assistere alle danze di altri partecipanti piuttosto che esibirsi in prima persona. In realtà, Dioniso e Arianna sembrano prestare poca attenzione allo spettacolo, perché intenti a guardarsi negli occhi o a scambiarsi tenerezze; il loro atteggiamento rivela la forza del legame che gli unisce e, al contempo, l’intensità dell’incanto dionisiaco.

La coppia divina dona l’esempio di una sensualità controllata, lontana sia dalla dissolutezza che dalla sublimazione. La virilità di Dioniso non si esprime negli eccessi e nelle provocazioni tipiche dei suoi seguaci, così come Arianna non conosce le convulsioni estatiche delle menadi. Accanto a un dionisismo concepito come liberazione degli istinti si afferma un ideale dionisiaco del controllo dei sensi. La vita coniugale, di cui Arianna e Dioniso mostrano le virtù, segue la via del giusto mezzo.

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