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«Riconosciamo in Socrate l’avversario di Dioniso, il nuovo Orfeo che si leva contro Dioniso»

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Academic year: 2021

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1. Socrate e Dioniso.

«Riconosciamo in Socrate l’avversario di Dioniso, il nuovo Orfeo che si leva contro Dioniso»

1.

Dunque la morte della tragedia ad opera del razionalismo socratico porta alla luce un nuovo contrasto: Socrate contro Dioniso. Questa volta il contrasto con il dionisiaco non è di tipo debole: precedentemente, in tutta la storia del’arte greca, abbiamo assistito ad un’alternanza tra i due istinti, apollineo e dionisiaco, con un prevalere dell’uno sull’altro, in un reciproco annullamento, fino a raggiungere nella fase tragica, un equilibrio.

La rottura di questo nuovo equilibrio sfocia nel contrasto insanabile tra il razionale (Socrate) e l’irrazionale (Dioniso). Socrate segna il punto di partenza immaginario verso il completo abbandono del dionisiaco; egli stesso aveva infatti sostenuto che è bello e virtuoso solo ciò che è razionale: si afferma così l’uomo teoretico che insieme al suo ottimismo in continua ricerca della verità, scaturisce, secondo Nietzsche, la decadenza. Così facendo si pone in antitesi all’istinto, all’ebbrezza, alla sregolatezza tipica del dionisiaco. Riferendoci all’elogio di Socrate, esposto da Alcibiade alla fine del Simposio di Platone, (come abbiamo avuto modo di analizzare nella prima parte di questo lavoro di tesi), si possono scorgere, degli elementi dionisiaci tra le righe dell’opera platonica. Innanzitutto si evince quel meccanismo teatrale di attore - spettatore, tipico del dionisiaco. Quando Alcibiade irrompe nel banchetto e descrive quello

1 F. Nietzsche, La Nascita della tragedia, p. 89.

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che è il suo rapporto con Socrate, descrive come le parole di questi siano per lui una sorta di purificazione che lo rendono diverso da quello che dovrebbe essere.

Dioniso è qui presente non tanto nella forma del vino e quindi dell’ebbrezza quanto nei discorsi veri e propri.

Tutti infatti avete posseduto in comune la mania e il delirio bacchico di chi ama la sapienza.

2

Qui si fa riferimento alla mantica, uno stato di possessione e di delirio in cui l’essere umano sente di essere entrato in contatto con la divinità. In questo caso il delirio dionisiaco di Alcibiade è legato alla gelosia per Socrate .

Il risultato è per Nietzsche, l’annientamento di quegli impulsi dionisiaci che liberano dall’individualità e producono un oblio di sé. Il culmine dell’ebbrezza dionisiaca consiste nell’alienazione di sé, in entusiasmo estatico. Si tratta del’esperienza estatica ricordata da Alcibiade mediante riferimenti al flautismo di Socrate; il Socrate flautista, seguace di Dioniso, che Platone raffigura non piace molto al giovane Nietzsche. Quello che Platone combatte sono le sollecitazioni pulsionali e corporee che provocano l’oblio del sé, provenienti dal dionisiaco, ma non rinuncia all’effetto incantatorio.

Facendo l’elogio di Socrate, Alcibiade compone ciò che Socrate stesso definirà come dramma satiresco e silenico (Simposio 222 d) infatti proprio a questi Alcibiade paragona Socrate. Satiri e Sileni compongono il corteo di Dioniso e il dramma satirico era incentrato proprio sulla passione di Dioniso.

2 Platone, Simposio, trad di M. Nucci, introd di B. Centrone, Einaudi, Torino, 2009, 218 b.

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Socrate regge inoltre benissimo l’effetto del vino, più volte ricordato all’interno del Simposio, come per esempio in 220 a :

(…) ma quando poi c’era abbondanza di provviste e si banchettava, lui era l’unico capace di goderne, e tra le altre cose nel bere, perché, anche quando non voleva ma era costretto, vinceva tutti, e la cosa più degna di meraviglia in assoluto: Socrate ubriaco nessuno l’ha mai visto .

Ancora viene raccontato dei momenti di estasi di Socrate, che restava immobile a pensare per ore intere.

Questo non deve stupire se paradossalmente la figura di Socrate viene alla fine a coincidere con la figura di Dioniso in Nietzsche e non deve stupire ancora se nell’elogio che segue, un elogio di Nietzsche a Dioniso, Nietzsche in realtà stesse pensando a Socrate:

Il genio del cuore, quale lo possiede quel grande occulto, il dio tentatore e l’innato

acchiappatore di topi per coloro che sono sicuri, colui la cui voce sa scendere fin

nell’oltretomba di ogni anima, che non pronuncia parola né rivolge sguardo in cui non sia

riposta un’attenzione e un’increspatura di adescamento, alla cui maestria si compete il saper

apparire – e non così come egli è, ma come una costrizione di più in coloro che sono al seguito,

per stringersi sempre più vicino a lui, per seguirlo sempre più intimamente e radicalmente … Il

genio del cuore che fa ammutolire ogni voce troppo sonora e ogni compiacimento di sé e

insegna a porsi in ascolto, che (…) sa divinare il tesoro occulto e obliato, la goccia di bontà e di

dolce spiritualità sotto un ghiaccio torbido e spesso, ed è una bacchetta magia per ogni granello

d’oro, che a lungo sia restato sepolto nel carcere di molto fango e sabbia; il genio del cuore, dal

cui tocco ognuno si diparte più ricco, non graziato e stupito, non beneficato e oppresso come da

un bene estraneo, sibbene più ricco di sé, più nuovo che per l’innanzi, dissigillato, alitato e

spiato da un vento australe, forse più insicuro, più delicato, più fragile, pi infranto, ma colmo di

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speranze che non hanno ancora un nome (…)

3.

3 F. Nietzsche, Ecce Homo. Perché scrivo libri così buoni, 6, Adelphi, Milano, 2010, pp. 65-66.

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