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Introduzione
La prima cella solare, basata su una giunzione pn in silicio cristallino risale, 1941 per merito di Russel Ohl dei Laboratori Bell. Questo primo prototipo aveva un’efficienza del 4.5%. Nei successivi cinquant’anni, i progressi nel campo della ricerca e l’introduzione di nuove tecnologie hanno portato le celle in silicio a un efficienza del 25% (University of New South Wales, 2008), molto vicina al valore massimo teorico del 30%; questo livello di efficienza è stato raggiunto solo su prototipi di laboratorio, con l’impiego di costosi processi dedicati. La necessità di ridurre i costi e l’avvento della produzione su larga scala hanno portatoa prodotti industriali con efficienze nel range di 15-22%, a seconda del processo e del tipo di silicio impiegato. Un punto cardine per le ricerche e lo sviluppo di nuove tecnologie in questo campo rimane perciò l’aumento dell’efficienza, per migliorare la quantità di energia solare convertita, e allo stesso tempo l’abbassamento dei costi di produzione. È possibile a questo punto fare una distinzione tra le varie
31 tipologie di celle in base a questi criteri e delinearne tre grandi gruppi. Le celle di prima generazione basate sulla giunzione pn in silicio con un efficienza compresa tra il 15 e il 22% e un costo al metro quadro elevato (fig. 2.1), le celle di seconda generazione basate su semiconduttori composti con un efficienza compresa tra il 5 e il 10% ma con dei costi al metro quadro nettamente inferiori a quelli dell prima generazione, e infine la terza generazione costituita da celle ibride e celle basate su concetti innovati che dovrebbero superare la prima e la seconda generazione dal punto di vista dell’efficienza ma con costi contenuti.
I concetti alla base della terza generazione di celle, ne sono un esempio le celle DSC e le celle polimeriche, puntano proprio a quest’obbiettivo. Alla base di questa nuova generazione ci sono la ricerca di nuovi materiali e la nanostrutturazione della materia.
Nella figura 2.1 viene mostrato la collocazione delle prime due generazioni di celle solari, e dove si dovrebbe collocare la terza generazione, all’interno di un grafico dell’efficienza in funzione del costo al metro quadro, in relazione a una stima definita da Green [8].
Nel grafico vengono mostrati i limiti teorici dell’efficienza di conversione e i trend di sviluppo delle singole tecnologie; come si può vedere e come si è esposto in precedenza la tecnologia di seconda generazione pur avendo al momento un efficienze più bassa della tecnologia al silicio ha l’opportunità di raggiungerla con costi minori. Questo ragionamento è valido anche per la III generazione, la cui efficienza è molto limitata al momento, ma ha potenzialità di crescita molto elevate a costi drasticamente inferiori.
32 Fig. 2.1 Grafico dell’efficienza in funzione del costo in dollari Usa al metro quadro [8].
Le ragioni principali del fatto che una cella solare a giunzione singola sia limitata a un efficienza del 31% (limite teorico per una cella solare a singola giunzione fig.2.1) consistono: 1) nell’assorbimento di solo una parte, circa il 80%, dello spettro solare e 2) nelle perdite di potenza dovute alla dispersione in energia termica dei fotoni assorbiti. Il limite termodinamico dell’efficienza si attesta invece circa al 85%, perciò anche se questo limite è irraggiungibile è possibile comunque migliorare i dispositivi odierni e aumentarne notevolmente l’efficienza.
In questo capitolo verranno introdotte e trattate le principali strutture nanometriche usate in ambito fotovoltaico oggetto tutt’oggi di forte sperimentazione, e in ultima analisi verrà introdotto il materiale utilizzato come base per la produzione di nanostrutture in questo lavoro di tesi: il silicio poroso.
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Celle a film sottile
Le celle solari a film sottile, note anche come celle di seconda generazione, si basano principalmente su materiali semiconduttori diversi dal silicio. Questo tipo di celle è attualmente riconosciuto comeuna delle migliori soluzione per ridurre i costi di produzione. Viene infatti rimosso il costoso materiale del substrato attivo di spessore elevato e viene introdotto un substrato a basso (vetro, plastica, lamine metalliche, ecc.) sopra il quale vengono deposti gli strati attivi della cella. L’utilizzo di strati di piccolo spessore comporta generalmente un abbassamento dell’efficenza ma i materiai usati per questo tipo di celle ha proprietà di assorbimento della luce molto maggiori rispetto al silicio, per questo motivo è possibile fare strati di spessore minore. La ragione principale per la ridotta efficienza è legata al fatto che le celle a film sottile sono tipicamenete policristalline o amorfe perciò all’interno degli strati attivi è presente una forte concentrazione di centri di ricombinazione non-radiativa. Tipicamente queste celle hanno un efficienza, tranne qualche eccezione, che si attesta al di sotto del 10%.
I materiali più utilizzati sono il CdTe e il Cu(In,Ga)Se2, come semiconduttori di tipo p, associati per formare un eterogiunzione al CdS, come semiconduttore di tipo n.
Principali tipologie di nanostrutture in applicazioni
fotovoltaiche
Principalmente i miglioramenti e le modifiche nel design delle celle solari si possono raggruppare in tre gruppi principali a seconda del tipo di nanostrutturazione utilizzato:
34 • quantum wells (struttura 2D);
• nanofili (struttura 1D);
• quantum dots o nanoparticelle (struttura 0D). Materiali bulk-nanostrutturati
Uno dei primi esempi nell’utilizzare un materiale nanostrutturato 3D per applicazioni fotovoltaiche è la cella a colorante sensibilizzatto (DSC), originariamente sviluppata da Gratzel e O’Regan [10]. Questo tipo di cella utilizza un dye organico per assorbire i fotoni e uno strato conduttivo di ossido di titanio come elelmenti portanti del dispositivo. Fin dai primi anni di sperimentazione, e tuttora in quella che è diventata una tecnoca standard, lo strato di ossido veniva deposto da una soluzione colloidale di particelle di TiO2 di dimensioni nanometriche (<10nm); tuttavia recentemente sono state sviluppate tecniche alternative di deposizione che permettano di controllare più efficacemente la morfologia del film deposto, in modo da aumentarne la superficie specifica e favorire la penetrazione del dye. Fra queste tecniche citiamo la deposizione per sputtering [11] e quella per elettrodeposizione [12]. Attraverso l’opportuna ingegnerizzazione del film deposto, in combinazione con nuove tipologie di molecole assorbenti, i vari gruppi di ricerca sono riusciti a migliorare notevolmente le prestazioni delle celle DSC. In particolare
35 Fig. 2.2 Immagine di un microstrato di TiO2 nanocristallino.
dalla loro invenzione nel 1990 a oggi il rendimento delle DSC è passato infatti dall’2% a circa l’11%. Questo miglioramento è dovuto oltre che all’introduzione di molecole assorbenti più efficenti anche grazie alla nanostrutturazione. Il problema che è alla base di questo tipo di celle è che lo strato di colorante che ricopre l’ossido di titanio è molto sottile, perciò per migliorare l’assorbimento della luce, non essendo possibile aumentare lo spessore del colorante, si deve puntare sul accrescimento della superficie esposta. Proprio per questo motivo la nanostrutturazione aumentando la superficie ricoperta dal dye permette un incremento delle prestazioni.
Quantum wells
La caratteristica di maggiore interesse, per questo tipo di nanostrutture, è il confinamento dei portatori di carica, si crea infatti uno strato di portatori con dei livelli opportunamente definiti e con alta mobilità dovuta alla modificazione della struttura a bande. Queste strutture inoltre hanno il
36 potenziale per una alto assorbimento della luce grazie alla maggiore densità di stati in prossimità della banda di valenza.
I quantum wells sono principalmente fabbricati usando le seguenti tecniche: metal organic chemical vapor deposition (MOCVD) o moleculas beam epitaxy (MBE). Questo tipo di processi di deposizione è molto preciso: è possibile infatti controllare lo spessore e la composizione del film deposto a livello atomico. Per esempio si può alternare vari strati di materiale (fig. 2.3) con una precisione che arriva alle centinaia di Ǻngstrom, in questo modo il potenziale di barriera che si viene a creare tra i vari layer permette il ricrearsi del confinamento quantico degli stati.
Fig. 2.3 Immagine relativa a una serie di strati che si alternanono con precisione nanometrica.
A dispetto di tutta questa precisione i costi di deposizione utilizzando queste tecniche sono molto elevati, impossibili da sostenere per una produzione di massa.
Barnham e i suoi collaboratori furono i primi a studiare le celle solari a quantum wells (QWSC) e evidenziarono da subito un potenziale innalzamento, utilizzando queste strutture, della corrente di corto circuito. Questo potenziele innalzamento della Isc è dovuto principalmente al miglior
37 della tensione di circuito aperto, a causa della maggiore ricombinazione assistita dai difetti presenti all’interfaccia dei vari strati. Questa tecnologia è perciò di grande interesse e oggetto di numerose ricerche soprattutto rivolte al miglioramento delle tecniche di produzione e della qualità delle interfacce.
Fig. 2.4 Struttura a bande di una InGaAs/GaAsP MQWs utilizzata all’interno di una cella solare.
Nanofili
I nanofili (NW) sono delle nanostrutture solide allungate di notevole interesse sia dal punto di vista elettronico e ottico che dal punto di vista fotovoltaico. Possono esser prodotti e sintetizzati con diverse tecniche, le principali sono: chemical vapor deposition (CVD) [13], sintesi chimica basata su soluzioni [14], deposizione elettrochimica [15], wet etching [16], e dry etching di una struttura nanopatterned [17]. Questi metodi permettono la sintesi di una gran classe di materiali funzionali, compresi i gruppi III-V, e II-VI semiconduttori oltre a metalli dielettrici, materiali ferroelettrici, ecc.
Le applicazioni dei nanofili nel campo delle celle solari sono numerose e sono relative sopprattutto alla innovativa configurazione del dispositivo e al sistema di materiali utilizzato. La prima realizzazzione di una cella che
38 utilizzava questo tipo di struttura è datata 2002 per merito di Alivisatos e i suoi collaboratori. Questo dispositivo utilizzava dei nanofili in CdSe come accettori all’interno di una cella a matrice di polimeri a conduzione di lacune. Queste celle producevano una efficienza di 1.7% per una radiazione secondo lo standard AM1.5. I nanofili funzionano come cammino diretto per il trasporto delle cariche (fig 2.5) verso l’anodo senza la presenza di grani di confine, in questo modo si ha un miglioramento delle prestazioni del dispositivo rispetto a una cella che mostra invece una superficie piana. Fino ad oggi sono state studiate molte varianti su questo tipo di cella, e l’efficienza si attesta sempre attorno al 1.8%.
Fig. 2.5 Meccanismo di trasporto delle cariche in una cella planare a) e in un nanowire b).
Una struttura simile è stata introdotta nello studio delle celle a colorante sensibilizzato utilizzando nanofili lisci [18] o dentritici [19] di ZnO (fig. 2.6). Anche in questo caso i nanofili provvedono a creare un cammino diretto per il trasporto delle cariche verso i contatti e allostesso tempo permettono una migliore raccolta delle cariche.
39 Fig. 2.6 Struttura di una DSC che utilizza la struttura a nanowires come strato accettore.
In aggiunta al beneficio appena descritto i nanofili comparati con le altre configurazioni di materiali nanostrutturati offrono un potenziale innalzamento dell’assorbimento ottico. Tsakalakos e i suoi collaboratori [20] hanno mostrato questo effetto direttamente su nanofili in silicio prodotti su un substrato di silicio cristallino. Si è riscontrato dalla comparazione diretta di uno strato di silicio planare e uno strato di nanofili, prodotto sullo stesso campione, che la riflettenza ottica decresce significativamente nel secondo caso.
Quantum dots e nanoparticelle
Le così chiamate strutture 0D sono utilizzate e sperimentate in molte applicazioni di tipo fotovoltaico. É possibile infatti sintetizzare nanoparticelle (fig. 2.7) e quantum dots in diverse composizioni, comprese metalli e semiconduttori ricoperti da dielettrici o altri semiconduttori per creare
40 nanoparticelle core-shell. I metodi di produzione sono principalmente basati su deposizione diretta delle nanoparticelle, o chimica partendo o da una soluzione liquida o da fase vapore.
Fig. 2.7 Immagine al TEM di nanoparticelle di NaYF4:Yb,Er (diametro circa di 50 nm, il marker è di 100 nm).
Uno dei motivi che ha spinto all’utilizzo di questo tipo di nanostrutture è stata la down-conversion dei fotoni an alta energia [21]. Tipicamente in una cella solare i fotoni ad energia maggiore dell’energy gap, vengono assorbiti e si ha la generazione di una coppia di portatori. L’energia in eccesso però viene persa, nell’iterazione con i fononi, in energia termica senza essere convertita in energia elettrica. La down-conversion consiste nell’assorbire questi fotoni ad alta energia e riportarli a un energia consistente con quella del band gap del materiale usato nella cella. Molte soluzioni sono state proposte, una di queste studiata da Svrcek e i suoi collaboratori [22] ha dimostrato, implementando dei quantum dot in silicio al di sopra di una cella solare, che si ha un innalzamento dell’efficienza quantica in corrispondenza delle lunghezze d’onda corte della luce incidente. Il meccanismo fondamentale alla
41 base della down-conversion consiste nel rilassamento dei fotoni ad alta energia attraverso stati intermedi all’interno del band gap, e la sucessiva emissione di due potoni a bassa energia. In questo modo viene stimata un efficienza quantica superiore al 200%. Fino ad oggi sono stati individuati molti materiali con un valore di efficienza quantica superiore a uno [23]. Il caso opposto della down-conversion è la up-conversion dei fotoni di bassa energia, inferiore a quella dell’energy gap che tipicamente non sono assorbiti dal semiconduttore [24]. Recentemente è stato dimostrato che l’utilizzo di particelle di fosforo in scala micrometrica aumenta l’efficienza quantica della cella solare [25]. Il meccanismo alla base dell’up-conversion consiste nell’assorbimento della luce con bassa energia attraverso stati intermedi all’interno del band gap, seguito da un ulteriore assorbimento di un secondo fotone nella banda di conduzione. Il portatore di carica eccitatosi rilassa poi tornando in banda di valenza, emettendo un singolo fotone ad alta energia. Esistono ,tuttavia, ancora meccanismi legati a questo tipo di conversione di energia che non sono ancora stati identificati.
Silicio poroso
Introduciamo ora le principali proprietà strutturali e i principali metodi di produzione e lavorazione del silicio poroso utilizzato per la produzione di nanostrutture in questo lavoro di tesi.
Proprietà strutturali
Il silicio poroso si presenta come una matrice di pori altamente interconnessi che si propagano in maniera più o meno regolare nel substrato di silicio. La sua struttura è caratterizzata, essenzialmente, da due parametri: la porosità e il diametro dei pori. La porosità è definita dal rapporto tra la massa del silicio
42 dissolto durante il processo di anodizzazione e la massa totale del silicio sottoposto all’attacco (1). Viene misurata generalmente con tecniche gravimetriche secondo la definizione appena data o con tecniche ellissometriche che tengono conto del coefficente riflessione del materiale.
tot dis M M P= (1)
Dipendentemente dalle condizioni di anodizzazione, il diametro dei pori e la loro distanza può variare da pochi nanometri a decine di micron [26]; in base alla nomenclatura IUPAC si distingue
• silicio microporoso, con diametro dei pori inferiore ai 2nm;
• silicio mesoporoso, con pori con diametro compreso trai 2 e i 50 nm; • silicio macroporoso, con pori di diametro superiore ai 50 nm.
Le ispezioni al TEM testimoniano che il materiale conserva una struttura di base cristallina, con una superficie esterna che presenta un fase amorfa più o meno profonda, a seconda del trattamento subito dal campione, ricca di legami pendenti o passivata da specie chimiche diverse dal silicio. In base al tipo e alla densità del drogaggio, del substrato di silicio utilizzato, le morfologie del silicio poroso possono dividersi in quattro tipi differenti. Per il silicio di tipo p sia il diametro dei pori, che lo spazio tra essi è estremamente piccolo, generalmente tra 1 e 5 nm. La struttura appare ramificata e la rete casuale di pori che si forma è altamente interconnessa e omogenea. Le cose cambiano leggermente all’aumentare del drogaggio, infatti il diametro e la distanza tra i pori cresce debolmente rispetto al caso precedente. Per il silicio di tipo n, generalmente, il diametro dei pori e lo spazio tra essi decresce con l’aumentare degli atomi droganti. Il diametro dei pori su substrati di tipo n è considerevolmente più grande rispetto a quello riscontrato su substrati p.
43 Inoltre, specialmente a bassi drogaggi, anodizzando con una appropriata illuminazione substrati di tipo n, si ha la formazione di strati macroporosi, costituiti da array di pori, random o predefiniti tramite litografia, che si propagano lungo le linee di corrente di anodizzazione (perpendicolarmente al wafer). In generale gli altri strati porosi ottenuti da substrati di tipo n mostrano una forte tendenza a sviluppare lunghi canali in direzione <100>, piuttosto che una rete casuale di pori come per il silicio di tipo p.
La morfologia degli strati porosi su substrati di tipo p+ ed n+ presenta caratteristiche simili, cosa che ha portato a concludere che nel caso del silicio fortemenete drogato, è l’effetto tunnel il meccanismo di trasporto predominante nella loro formazione. I pori per questi substrati hanno diametri che variano tra 5 e 10 nm e sono caratterizzati da numerose ramificazioni laterali.
Fig. 2.8 Caratteristiche J-V relative al silicio di tipo p e di tipo n all’interno della soluzione di anodizzazione.
La dissoluzione del silicio avviene in condizioni di polarizzazione anodica tra il substrato di silicio e la soluzione elettrolitica. La morfologia della superficie ottenuta da questo processo dipende dalla tensione applicata (fig. 2.9). Per alte
44 tensioni di anodizzazione (regione C fig. 2.9) la superficie del silicio appare liscia e planare, in questo caso siamo in condizioni di electropolishing della superficie e non si ha la formazione di strati porosi ma bensì la rimozioni di spessori di silicio. Completamente diversa è la superficie che si ottiene per basse tensioni (regione A e regione B fig. 2.9), essa presenta una morfologia dominata da un vastolabirinto di canali che possono penetrare in profondità nel substrato di silicio.
Fig. 2.9 Ingrandimento della prima parte della caratteristica J-V del silicio in condizioni di anodizzazione.
Il diametro dei pori aumenta all’aumentare della densità di corrente in entrambi i tipi di silicio, ma superato un certo valore critico di corrente (Jps
vedi fig. 2.9) il regime di formazione del silicio poroso termina, portando all’electropolishing della superficie. Anche la concentrazione di HF presente nella soluzione elettrolitica condiziona la morfologia degli strati porosi. Quando siamo in presenza di strati microporosi, sia su substrati di tipo p che n, una maggiore concentrazione di HF comporta una diminuzione del diametro medio dei pori e della porosità. Lo spessore dello strato poroso
45 prodotto dipende soltanto dal tempo di anodizzazione per quanto riguarda strati microporosi e mesoporosi. Nel caso di spessori macroporosi, invece, la profondità del poroso dipende anche dalla concentrazione di HF in soluzione. Alle caratteristiche morfologiche sopra esposte sono legate peculiari proprietà elettriche, chimiche e meccaniche che rendono così il materiale una struttura versatile a diverse applicazioni tecnologiche:
• Applicazioni optoelettroniche, per le quali viene impiegato silicio microporoso. Quando, infatti, si trasforma il Si cristallino in una struttura spugnosa composta da filamenti quantistici (cioè di dimensioni di pochi nanometri) gli elettroni e le lacune sono fortemente localizzati tanto che la loro ricombinazione radiativa avviene molto efficacemente: un fotone viene emesso ogni dieci elettroni in banda di conduzione, a differenza di quanto accade nel silicio cristallino nel quale, per via del gap indiretto, l’efficienza di conversione è dello 0.0001 %, cioè un fotone è emesso ogni milione di portatori iniettati.
• Applicazioni sensoristiche, per le quali viene impiegato silicio mesoporoso. La sua elevata superficie interna lo rende fortemente reattivo dal punto di vista chimico con l’ambiente esterno. Variano in seguito a questa interazione le sue proprietà elettriche; la misura delle variazioni rende conto delle caratteristiche ambientali.
• Strutture micromeccaniche, per le quali viene impiegato silicio macroporoso.
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Micromachining elettrochimico su silicio
Studiare il fenomeno di formazione dei macropori random ha permesso di capire come realizzare strutture ordinate utilizzando l’attacco elettrochimico in soluzioni a base di HF. Partendo dai difetti superficiali è possibile ottenere pori di dimensioni macrometriche. Si può allora ricorrere a una microlavorazione del silicio che crei dei difetti iniziali che costituiscono dei siti preferenziali per il successivo attacco elettrochimico. Con dei semplici passi standard è possibile ottenere un pattern ordinato, che sottoposto all’anodizzazione, si svilupperà in verticale permettendo la realizzazione di strutture complesse. Prendendo il semplice caso della realizzazione di una matrice di macropori ordinati si può osservare come si evolva temporalmente l’attacco e come sia possibile realizzare geometrie ben definite. Il modello [27] prevedeche le fasi di nucleazione e ridistribuzione, presenti nella fase di crescita dei pori random [28], precedano la crescita stabile dei pori anche nel caso di macropori ordinati. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente la morfologia dei pori dipende significativamente da un certo numero di parametri caratteristici del processo di anodizzazione, quali la densità di corrente, la tensione e il tempo di anodizzazione, la concentrazione di HF, la temperatura, l'orientazione e il drogaggio del substrato utilizzato.
Il processo di fabbricazione è schematicamente riportato in fig. 2.10 e consiste dei seguenti passi:
• ossidazione termica (spessore: 500 nm), utilizzata per definire, mediante un opportuno processo litografico e successivo BHF, la geometria da realizzare (fig. 2.10 a);
• la geometria da realizzare viene trasferita allo strato di ossido di silicio mediante fotolitografia ottica e opportuno attacco chimico (BHF) (fig. 2.10 b);
47 • attacco in KOH: la geometria definita nell'ossido viene trasferita nel silicio. In questo modo vengono creati i siti preferenziali in cui cresceranno i macropori durante l'attacco elettrochimico (fig. 2.10 c); • anodizzazione in HF: il campione di silicio viene sottoposto all'attacco
elettrochimico per la fabbricazione delle strutture in silicio poroso, utilizzando la cella elettrochimica prima descritta. I valori della densità di corrente utilizzata ed il tempo di anodizzazione dipendono dalla particolare struttura da realizzare.
L'ultimo passo del processo è l'asciugatura del campione realizzato, effettuata in aria a 95°C per 10 minuti.
Fig. 2.10 Schematizzazione del processo di fabbricazione dei macropori su silicio.
La densità dei pori è dell’ordine di quella dei difetti superficiali del silicio cristallino, di solito pari a 1010 difetti/cm2. Vediamo ora più in particolare la fase di anodizzazione e la formazione dei pori, passaggio che porta dalla
48 situazione vista nella figura (fig. 2.10 c) a quella vista nella figura (fig. 2.10 d).
Durante la fase di crescita stabile esiste una densità di equilibrio che dipende dalla resistività del substrato e dai parametri del processo di anodizzazione. La fase di nucleazione è quindi seguita da una fase di ridistribuzione dei pori: alcuni terminano la loro crescita mentre altri, avendo a disposizione un maggior numero di lacune, continuano a crescere con un notevole aumento del loro diametro. Il diametro aumenta fino a raggiungere il valore caratteristico dei pori random in regime di crescita stabile. Terminata la fase appena descritta, inizia la fase di crescita stabile dei pori: il loro diametro e la loro posizione restano invariati, e mantengono una crescita verticale pressoché costante. Il numero dei pori che crescono all’interno di ciascun difetto dipende dalle dimensioni di quest’ultimo e dalle condizioni di drogaggio del substrato. Se la dimensione dei difetti è dell’ordine dei pori random stabili, si avrà la crescita di un solo poro in corrispondenza di quel difetto, in accordo con il modello accettato in letteratura per la formazione dei macropori [29]. Se la dimensione tipica del difetto è più grande del diametro medio, assisteremo alla nascita di più pori all’interno del singolo difetto. Rispetto agli attacchi tradizionali di tipo wet e anisotropo del silicio, l’attacco anodico in HF permette di relizzare microstrutture con le seguenti proprietà [30-31]:
• Alta densità di integrazione: su substrati di tipo <100> la pareti sono perfettamente verticali, permettendo di ottenere alte densità di integrazione.
• Elevato rapporto superficie volume: una volta realizzato il pattern superficiale all’inizio del processo, semplicemente variando il tempo di attacco, è possibile controllare il rapporto superficie volume.
49 • Nessuna limitazione cristallografica sulle geometrie realizzabili: l’orientazione dei piani cristallini non limita il tipo di strutture realizzabili; queste ultime dipendono solo dalla geometria iniziale trasferita su silicio.
• Crescita uniforme: grazie al fenomeno dell’autoregolazione i pori che formano le strutture crescono tutti con la stessa velocità, anche le struture avranno, per questo, la stessa profondità.
• Buona riproducibilità: una volta fissati i parametri di processo (tensione e corrente) l’attacco risulta riproducibile.
In figura (fig. 2.11) sono riportate alcune foto di strutture che è possibile ottenere con l’attacco elettrochimico in maniera semplice, contrariamente alle tecniche tradizionali in cui si incorre in complicazioni tecnologiche e limiti di realizzazione.
Fig. 2.11 Fotografie al SEM di una matrice di microaghi a sinistra e di una matrice di microspirali a