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Valutazione della concentrazione plasmatica di vitamina A e E in cani sottoposti ad emodialisi

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Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Facoltà di Medicina Veterinaria

VALUTAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE PLASMATICA DI

VITAMINA A e E IN CANI SOTTOPOSTI AD EMODIALISI

Candidata:

Clara Anaïs Chol

Relatore:

Prof.ssa Grazia Guidi

Correlatore:

Dott.ssa Francesca Perondi

(2)

Alla mia famiglia

“Realizzate il vostro sogno e non ascoltate ciò che dice

la "gente", anche se andrete incontro a una

momentanea sconfitta, perché forse "loro" non sanno

che ogni fallimento incorpora il seme di un successo

equivalente…”

(3)

INDICE

Riassunto/Abstract...6

Premessa...7

PARTE GENERALE...8

Capitolo 1- Terapie Dialitiche, applicazioni in Medicina Veterinaria

1.1 Introduzione...9

1.2 Iperazotemia e Uremia...11

1.2.1 Segni clinici di uremia...12

1.3 Acute Kidney Disease, AKI...14

1.3.1 Cause di AKI...17

1.4 Chronic Kidney Disease, CKD...20

1.4.1 Definizione e stadiazione di CKD...20

1.4.2 Diagnosi differenziale tra AKI e CKD...24

1.5 Extracorporeal Renal Replacement Therapy, ERRT...25

1.5.1 Emodialisi...27

Capitolo 2 – Vitamine A e vitamine E

2.1 Introduzione...33

2.2 Vitamina A...36

2.2.1 Generalità...36

2.2.2 Concetti generali del metabolismo della vitamina A...39

2.2.3 Assorbimento e metabolismo dei carotenoidi e degli esteri

del retinolo...47

2.2.4 Riserve e mobilizzazione della vitamina A: il ruolo del

(4)

fegato...49

2.2.5 Trasporto nel sangue ai tessuti e alle cellule bersagli...49

2.2.6 Gli effetti della vitamina A sulla salute e le sue implicazioni

cliniche...50

2.3 Vitamina E. ...56

2.3.1 Composizione chimica e nomenclatura...56

2.3.2 Assorbimento della vitamina E...58

2.3.3 Trasporto della vitamina E...61

2.3.4 Distribuzione tissutale della vitamina E...65

2.3.5 Metabolismo ed eliminazione della vitamina E...67

2.3.6 Funzione biologiche della vitamina E...69

2.3.6.1 Funzione antiossidante...70

2.3.6.2 Funzione non-antiossidante...71

Capitolo 3 – Vitamina A, vitamina E e uremia

3.1 Introduzione...73

3.2 Profilo vitaminico nei pazienti umani uremici...73

3.3 Profilo vitaminico nei pazienti veterinari nefropatici...81

PARTE SPERIMENTALE...83

Scopo della tesi...84

Materiali e metodi...85

(5)

2. Casistica...88

3. Procedure del trattamento emodialitico...89

4. Strumentazione utilizzata durante la terapia emodialitica...92

5. Prelievo dei campioni...94

6. Saggio delle Vitamine A e E...94

6.1. Strumentazione...94

6.2. Metodica preparazione dei campioni per analisi

HPLC...95

7. Esami di laboratorio eseguiti...96

8. Analisi statistiche...97

Risultati...98

1. Gruppo di studio...98

2. Vitamina E...102

3. Vitamina A...108

Discussioni e Conclusioni...113

Bibliografia...118

Ringraziamenti...137

(6)

RIASSUNTO

Parole chiave: cane, emodialisi, vitamina A, vitamina E

Introduzione: L’insufficienza renale è una condizione clinica associate a disordini della vitamina E e della vitamina A. In particolare, I pazienti umani in emodialisi cronica tendono a presentare deficit di vitamina E e elevate livelli plasmatici di vitamina A. Nessun dato relativo allo status vitaminico di vitamina E ed A è attualmente disponibile per il cane sottoposto ad emodialisi.

Lo scopo del presente studio è stato di valutare la concentrazione plasmatica di vitamina E ed A pre e post dialisi in un gruppo di cani sottoposti ad emodialisi ed affetti da insufficienza renale acuta e cronica.

Materiali e metodi: hanno fatto parte del presente studio 30 cani pervenuti presso il Centro di Emodialisi e Purificazione Ematica dell’Università di Pisa, tra Settembre 2015 ed Aprile 2017, con diagnosi di insufficienza renale acuta (AKI) e scompenso di forma cronica (AKI su CKD) e sottoposti ad emodialisi intermittente. Per tutti i pazienti sono stati effettuati visita clinica, ecografia addominale, profilo ematico renale ed esame completo delle urine. Le concentrazioni plasmatiche di vitamina E ed A, pre e post dialisi, sono state determinate mediante analisi HPLC. I dati sono stati analizzati statisticamente mediante il programma GraphPad Prism Ò 7. I risultati sono stati considerati statisticamente significativi per valori di p<0.05.

Risultati: il gruppo di studio era formato da 17 femmine e 13 maschi, di differente razza, età e peso corporeo. 7/30 cani presentavano diagnosi di AKI su CKD, e 23/30 diagnosi di AKI. I valori mediani plasmatici pre dialisi di vitamina E è risultato 1.94 ppm (0.1-51.73 ppm); mentre il valore post dialisi 3.47 ppm (0.15-37.80 ppm). Per quanto concerne la vitamina A, il valore medio pre dialisi è risultato 0.58 ppm (±SD 0.30 ppm); mentre il valore medio post dialisi è risultato 0.55 ppm (±SD 0.30 ppm). Nessuna differenza statisticamente significativa è stata evidenziata tra concentrazione plasmatica pre e post dialisi sia per la vitamina E che per la vitamina A. La concentrazione plasmatica mediana di vitamina E è risultata ridursi significativamente (p=0.03) con il progredire della dialisi (dalla prima alla terza). Nessuna differenza statisticamente significativa è stata evidenziata nel numero di soggetti che presentavano valori ridotti, aumentati o uguali tra pre e post dialisi, per entrambe le vitamine. Nessuna correlazione significativa è stata evidenziata tra i valori plasmatici di vitamina E ed A ed i valori di creatinina ed urea plasmatiche. Conclusioni: nel presente studio le concentrazioni plasmatiche di vitamina E ed A sono risultate inferiori a quanto precedentemente riportato per cani affetti da insufficienza renale. In particolare, il deficit di vitamina E sembra peggiorare con il progredire del numero di dialisi. Il presente studio non sembra evidenziare alcun ruolo significativo del trattamento di emodialisi nel modificare le concentrazioni plasmatiche di vitamina E ed A.

ABSTRACT

Key words: dog, hemodialysis, vitamin A, vitamin E

Introduction: Renal failure is associated with disorders of vitamin E and vitamin A status. Human patients on chronic haemodialysis tend to present deficiency of plasma vitamin E and increase of vitamin A. No data concerning the status of vitamin E and A are currently present in dogs submitted to haemodialysis.

Aim: The aim of the present study was to evaluate the plasma concentration of vitamin E and vitamin A pre and post treatment in a group of dogs affected by acute and chronic kidney disease and submitted to intermittent haemodialysis.

Materials and Methods: 30 dogs presented at the Centre of Haemodialysis and Blood Purification of the University of Pisa, between September 2015 and April 2017, for acute kidney injury (AKI) and acute impairment of chronic kidney disease (AKI on CKD) and submitted to intermittent haemodialysis were considered in the present study. All patients underwent physical exam, abdominal ultrasound, renal panel and complete urinalysis. Plasma vitamin E and vitamin A were assessed through high performance liquid chromatography (HPLC) prior to haemodialysis and immediately after the treatment. Data were statistically analysed through GraphPad prism Ò 7. Results were considered statistically significant for p<0.05.

Results: the study group was composed by 17 females and 13 males, of different breed, age and body weight. 7/30 dogs were diagnosed with AKI on CKD and 23/30 were diagnosed with AKI. The median pre-dialysis plasma concentration of vitamin E was 1.94 ppm (0.1-51.73 ppm); while the post-dialysis plasma concentration of vitamin E was 3.47 ppm (0.15-37.80 ppm). For vitamin A, the mean pre-dialysis plasma concentration was 0.58 ppm (±SD 0.30 ppm); while the post-dialysis plasma concentration was 0.55 ppm (±SD 0.30 ppm). No significant difference was found between the pre- and post-dialysis plasma concentration of both vitamin E and vitamin A. Plasma concentration of vitamin E reduced significantly (p=0.03) from haemodialysis one to three. No significant difference in the number of dogs presenting reduction, increase or no variation in the plasma concentration of both vitamins, between pre- and post-dialysis treatment, was found. No significant correlation between plasma levels of vitamin E and vitamin A and plasma creatinine and urea was found.

Conclusions: in the present study, the plasma concentrations of both vitamin E and vitamin A were lower than previously reported for azotemic dogs. Particularly, vitamin E deficiency seemed to worse with the number of dialysis. However, these plasma concentrations did not seem to be significantly affected by the hemodialysis treatment.

(7)

PREMESSA

In letteratura non sono riportati studi relativi alla specie canina sull’influenza del trattamento emodialitico sul profilo plasmatico di vitamine A ed E del paziente sottoposto ad emodialisi intermittente. Sebbene il profilo vitaminico rimane perlopiù sconosciuto, in medicina veterinaria la tendenza attuale è di utilizzare integratori vitaminici nei pazienti nefropatici veterinari al fine di correggere lo stato ossidativo e potenziare il contenuto vitaminico del paziente. La comparazione con gli studi effettuati in medicina umana sui pazienti dializzati può avere delle limitazioni legate al diverso utilizzo della terapia emodialitica in medicina

veterinaria, in cui non si parla di dialisi cronica, ma piuttosto di terapia d’urgenza. Con il nostro studio abbiamo voluto valutare l’impatto del trattamento di emodialisi intermittente sulle concentrazioni plasmatiche sia della vitamina A che della vitamina E. Abbiamo perciò analizzato le concentrazioni prima e dopo il trattamento emodialitico.

(8)

PARTE GENERALE

(9)

CAPITOLO 1 Terapie dialitiche,

applicazione in Medicina

Veterinaria.

1.1 Introduzione.

Le terapie sostitutive renali extracorporee (Extracorporeal Renal Replacement Therapies - ERRT) e le tecniche di purificazione ematica costituiscono una realtà in continua espansione nel panorama veterinario mondiale, poiché, oltre alla necessità di offrire un servizio veterinario sempre più specialistico e all’avanguardia, le ERRT sono anche in grado di offrire innumerevoli possibilità terapeutiche. In alcune condizioni, quali insufficienza renale acuta oligurica/anurica, grave sovraccarico di fluidi ed iperkaliemia, l’emodialisi costituisce, infatti, il trattamento di elezione in grado di aumentare le probabilità di sopravvivenza del paziente. (Lippi et al.2014)

Con il termine di terapie renali sostitutive si fa riferimento sia alle terapie dialitiche intracorporee, come la dialisi peritoneale, oppure extracorporee (ERRT), come l’emodialisi intermittente (della durata massima di 5-6 ore) e quella continua (della durata media di 12-24 ore), sia ai trapianti renali.

Le terapie dialitiche intermittenti e continue differiscono per molti aspetti ma sono accomunate dalle caratteristiche extracorporee del circuito in cui il sangue del paziente attraversa un filtro dializzatore chiamato anche “rene artificiale” composto da una membrana semipermeabile, che viene solitamente disposta in migliaia di fibre cave parallele, che permettono di rimuovere le tossine uremiche e una volta avvenuto ciò il sangue “purificato” torna al paziente.

In medicina veterinaria l’emodialisi viene utilizzata principalmente nel trattamento del danno renale acuto (Acute Kidney Injury - AKI) da qualsiasi causa, compresa la leptospirosi, l’intossicazione da glicol etilenico, la pielonefrite batterica. L’emodialisi dovrebbe essere sempre consigliata in tutti i casi in cui ci sia incapacità di risolvere la condizione di iperazotemia e ogniqualvolta non sia possibile indurre una produzione urinaria efficace con la sola terapia medica. Permette, inoltre, di sostenere il paziente lasciando ai reni il tempo di guarire non determinando di per sé la guarigione renale, ma svolge le funzioni escretorie

(10)

vitali durante lo stadio di riparazione. L’emodialisi si riferisce quindi ad una tecnica di purificazione che si basa sullo scambio di molecole a livello del filtro tra il sangue e il dialisato, sfruttando il passaggio di soluti attraverso la membrana di filtrazione principalmente per via diffusiva, da una soluzione con concentrazione più alta (sangue) ad una in cui è nulla o estremamente ridotta (dialisato).

In medicina umana la terapia emodialitica è utilizzata principalmente per trattare patologie renali allo stadio terminale. I pazienti umani vengono sottoposti a questo tipo di trattamento in attesa del trapianto di reni, per cui possono essere mantenuti in dialisi cronica per anni. In medicina veterinaria, invece, l’obbiettivo della dialisi cronica è di mantenere una qualità di vita soddisfacente al paziente, quando i segni di uremia non possono più essere controllati con le terapie mediche. (C. Langston, 2011)

In termini di sopravvivenza, la percentuale complessiva in cani e in gatti trattati con emodialisi per AKI varia dal 41% al 52%. La sopravvivenza è influenzata dall’eziologia, ed è maggiore se le cause sono infettive o ischemiche piuttosto che tossiche (Tab. 1.1). Almeno la metà dei pazienti trattati non sopravvivono, muoiono spontaneamente oppure vengono sottoposti ad eutanasia per complicazioni extra-renale, quali la pancreatite o complicazioni respiratorie; circa un terzo di essi viene sottoposto ad eutanasia per mancato recupero della funzione renale; la restante parte per il perdurare dei segni di uremia, per complicazioni intra-dialitiche e da causa sconosciute. (C. Langston, 2011). Dei pazienti sopravvissuti, circa la metà ha recuperato una normale funzionalità renale definita tale quando la concentrazione plasmatica della creatinina nel siero risulta nei range fisiologici; mentre nell’altra metà si è instaurato una insufficienza renale cronica (Chronic Kidney Disease, CKD).

Tab 1.1 Tasso di sopravvivenza con HD intermittente per varie

eziologie di insufficienza renale

Categoria Tasso di sopravvivenza

Ostruzioni (gatti) 70-75%

Infezioni 58-86%

Metaboliche/Emodinamiche 56-72%

Altro 29-56%

Tossiche 18-35%

Tabella 1.1 Tasso di sopravvivenza dei pazienti sottoposti a HD intermittente a seconda delle varie eziologie di AKI. (modificata da Langston et al., 1997)

(11)

Conoscere l’eziologia specifica del danno renale aumenta l’accuratezza della prognosi, tuttavia, nella maggior parte dei casi, essa risulta sconosciuta. È stato sviluppato un sistema di punteggi per predire l’outcome dei cani in AKI sottoposti a terapia dialitica. L’uso di questa scala aiuta a capire quali siano i candidati più adatti per la dialisi. Tale scala è stata recentemente validata in una coorte di pazienti differente da quella in cui è stata inizialmente formulata nel 2016. (Segev et al. 2016)

1.2 Iperazotemia e Uremia.

Il termine di iperazotemia definisce l’aumento delle concentrazioni ematiche di urea, creatinina e di altri composti azotati non proteici; è un reperto di laboratorio e la sua interpretazione quale espressione della funzionalità renale richiede che si conoscano le modalità di produzione e di escrezione di queste sostanze. Un’aumentata produzione o una diminuita escrezione delle tossine uremiche è responsabile dell’iperazotemia. L’iperazotemia si distingue in prerenale, renale, postrenale. È detta

prerenale quando è dovuta ad una diminuzione del flusso ematico renale causata per

esempio da un’ipotensione o un’ipovolemia. È detta renale quando il danno è primariamente parenchimale e caratterizzato dalla perdita di nefroni. Invece quella

postrenale origina da ostruzione urinaria o da rottura delle vie urinarie. Sia

nell’iperazotemia prerenale che postrenale inizialmente il parenchima renale è normale e se si interviene tempestivamente l’iperazotemia si può risolvere rapidamente senza danno per i nefroni. (Gregory F. Grauer 2010)

L’uremia, letteralmente “urine nel sangue”, è stato introdotto nel 1840 da Piorry e l’Héritier basandosi sulla loro ipotesi che i segni clinici dell’insufficienza renale erano dovuti ad un riassorbimento dell’urina nel torrente ematico (Richet, 1988). Ad oggi sappiamo che l’uremia si sviluppa quando l’alterazione delle funzioni tubulari ed endocrine del rene causano ritenzioni di metaboliti tossici, cambiamenti del volume e della composizione dei liquidi corporei, e la deficienza o l’eccesso di vari ormoni (Bergström e Fürst, 1978).

(12)

compare in seguito all’uremia (Nelson e Couto, 2009) diventando una patologia sistemica i cui segni sono scatenati dalla compromissione polisistemica dell’organismo, indipendentemente dall’eziologia di base (Bartges J. e Polzin D.J., 1995).

1.2.1 Segni clinici di uremia

Le manifestazioni cliniche in corso di uremia sono svariate: in letteratura sono descritti più di 75 segni clinici diversi dovuti al coinvolgimento multi sistemico della patologia. Il numero e la gravità dei segni clinici presenti variano da paziente a paziente, e dipendono, in parte dall'entità della riduzione della massa renale funzionante, e dalla rapidità con cui è stata persa la funzione renale. (S. Ross, 2011) L'uremia si instaura rapidamente, per danno renale acuto o per cause post-renali, solitamente presenta segni clinici più gravi rispetto a quella legata ad un'insufficienza renale cronica progressiva, il cui on-set sarà più graduale. I pazienti con CKD, tipicamente, non mostrano segni clinici significativi di uremia fino a che non arrivano allo stadio IRIS 3 (creatinina nel cane 2.1 – 5.0mg/dl, nel gatto 2.9 – 5.0 mg/dl), anche se, talvolta, alcuni pazienti presentano blandi segni clinici già allo stadio IRIS 2 (1,4-2,0 mg/dl nel cane, 1,6-2,8 mg/dl nel gatto). Comunemente le manifestazioni cliniche riportate nella sindrome uremica includono: segni gastroenterici, anemia, coagulopatie, acidosi metabolica, iperkalemia, squilibri del calcio e fosforo, anormalità endocrine, malnutrizione e complicazioni cardiovascolari (si veda tabella 1.2) (S. Ross, 2011)

(13)

Tabella 1.2 Comuni manifestazioni cliniche associate all'uremia (modificata da S.Ross, 2011)

Tab 1.2 Comuni manifestazioni cliniche associate all'uremia

Sistema Gastrointestinale

Anoressia


Ulcere Gastrointestinali Alitosi (“uremic breath”) Nausea, Vomito
 Ulcere orali/stomatiti/glossiti Pancreatite Alterazioni Ematologiche Coagulopatie


Disfunzioni granulocitarie e linfocitarie Anemia non rigenerativa


Linfopenia Neutrofilia
 Disfunzioni piastriniche Sistema Cardiopolmonare Miocardiopatia
 Ipertensione
 Pericardite
 Pleurite


Polmonite uremica/edema polmonare Sistema scheletrico

Amiloidosi


Difettoso metabolismo del calcitriolo Osteodistrofia
 Osteoporosi Sistema neuromuscolare Depressione Abbattimento
 Spasmi muscolari Debolezza muscolare Polineuropatia periferica Prurito Encefalopatia Uremica

Sistema Immunitario Inadeguadata formazione di anticorpi Stimolazione dell'infiammazione (basale) Aumentata suscettibilità a neoplasie Aumentata sensibilità alle infezioni Sistema Endocrino

Dislipidemia Trigliceridemia


Resistenza insulinica periferica e Intolleranza al glucosio Iperparatiroidismo secondario Miscellanea

Ipotermia


Aumento del catabolismo proteico-muscolare Sete


(14)

1.3 Acute Kidney Injury, AKI

Le malattie renale acute rappresentano uno spettro di malattie associate all’insorgenza improvvisa di lesioni parenchimali renali, tipicamente caratterizzate da un’insufficienza generalizzata dei reni ad assolvere le esigenze escretorie, metaboliche ed endocrine necessarie all’organismo, cioè, dall’insufficienza renale acuta. (Cowgill e Langston, 2011). La cosiddetta ARF (Acute Renal Failure) è caratterizzata da un rapido danno renale di tipo emodinamico, di filtrazione, tubulo-interstiziale o di deflusso urinario, da cui deriva un accumulo di tossine metaboliche (tossine uremiche) ed una mancata regolazione dei fluidi, degli elettroliti e dell’equilibrio acido-base. Tuttavia, la ARF riflette solo un sottoinsieme di paziente con più alta morbilità e mortalità.

Il termine di “danno renale acuto” (acute kidney injury-AKI) è stato adottato in medicina umana per riflettere al meglio l’ampio spettro delle patologie renali acute e per rafforzare il concetto che in quest’ultime abbiamo un continuum tra danno funzionale e parenchimale. (Kellum et al. 2007; Himmelfarb et al. 2008).

La perdita della funzionalità renale è evidenziabile con la misurazione della creatinina nel siero, che consente di stimare la funzione renale. La creatinina sierica, sebbene considerata marker specifico, mostra una scarsa sensibilità. Data la scarsa correlazione tra creatinina serica e GFR, modificazioni lievi della creatinina serica in fase iniziale di patologia renale (ancora all’interno del range di riferimento) possono corrispondere a riduzioni drammatiche della funzionalità renale (espressa dalla GFR).

In medicina umana per accentuare il concetto dell’AKI come ponte tra il danno e la perdita di funzione, sono stati proposti da un gruppo di studio (Acute Dialysis Quality Initiative o ADQI) dei sistemi di stadiazione, come RIFLE e AKIN, per classificare l’estensione e la durata del danno renale e le potenzialità di recupero. Tra i due sistemi c’è una sovrapposizione considerevole dei parametri e dei criteri utilizzati per definire le diverse categorie di pazienti. Tali sistemi prendono in considerazione parametri quali GFR, concentrazione della creatinina sierica, output urinario, e la durata dei segni clinici. Sfortunatamente, i criteri che definiscono questi schemi applicati nei pazienti umani non sono costantemente applicabili nei pazienti animali.

Uno dei sistemi di stadiazione (RIFLE) classifica progressivamente il paziente in Risk, Injury, Failure, Loss, and End-stage kidney disease. Il sistema RIFLE è stato successivamente ampliato e modificato dal gruppo di studio denominato Acute Kidney Injury Network (AKIN) che ha stabilito criteri più completi. I criteri RIFLE definiscono l'insufficienza renale acuta in base ai

(15)

livelli sierici di creatinina, alla GFR e all’output urinario. (Bellomo R. et al. 2004; Hoste E.A. et al. 2006; Hoste E.A and Kellum J.A., 2007; Kellum J.A.,2008).

Tab 1.3 Classificazione di AKI nel cane, Scala RIFLE

Categoria Creatinina sierica (CS)

e GFR Output urinario

Risk Aumento CS x 1,5

volte o

riduzione GFR del 25%

< 0,5ml/kg/h in 6h

Injury Aumento CS x 2 volte

o riduzione GFR 50% < 0,5ml/kg/h in 12h Failure Aumento CS x 3 o riduzione GFR del 75% o CS ≥ 4 mg/dL o aumento acuto di CS basale ≥ 0,5mg/dL < 0,3 ml/kg/h in 24h o anuria per 12h

Loss Persistenza dell'AKI, perdita completa della funzionalità renale da più di 4 settimane

End-Stage Renal

Disease Stadio di uremia terminale da più di 3 mesi

Tab 1.3 Scala RIFLE modificata da L. Ross 2011

Questo sistema di classificazione si è dimostrato valido per definire il rischio morte dei pazienti con IRA (più elevata è la classe RIFLE di appartenenza, più alto è il rischio morte dei pazienti). Nel caso in cui la creatininemia e la diuresi indichino due diversi livelli di gravità, lo stadio è indicato dalla funzione maggiormente compromessa.

L’altro sistema di stadiazione stabilito dal gruppo di studio denominato Acute Kidney Injury Network (AKIN) stabilisce che si parla di insufficienza renale acuta quando in 48 ore la creatininemia sale di 0,3 mg/dl, o di oltre il 50% o vi è una riduzione dell’output urinario al di sotto di 0,5 ml/kg per più di sei ore (questi ultimi due criteri sono identici a quelli del RIFLE). L'ultimo criterio non si applica se vi è un'ostruzione delle vie urinarie. L’obiettivo di questo sistema è l’identificazione precoce dell’AKI, nonché di classificazione del suo andamento per

(16)

quanto riguarda la prognosi e appropriati interventi diagnostici e terapeutici. (Mehta R. L. et al. 2007 ; Molitoris B. A. et al. 2007).

In medicina veterinaria, il sistema di stadiazione proposto dall’International Renal Interest Society (IRIS) per la CKD è stato sviluppato come un schema a consenso generale per promuovere una caratterizzazione e un riconoscimento più uniforme dell’insufficienza renale cronica negli animali, allo scopo di avere una migliore comprensione della sua fisiopatologia, per facilitare la sua valutazione e applicare un management razionale. Recentemente è stato adottato questo stesso approccio schematico per classificare la gravità del danno renale acuto nei cani e nei gatti. A differenza della stadiazione IRIS per la CKD, quella per l’AKI non implicherebbe sia le nefropatie stabile sia quelle a uno stadio costante; al contrario, il “grado” rappresenta un momento del corso della malattia ed è previsto di cambiare quando le condizioni peggiorano, migliorano oppure quando evolvono in una forma di insufficienza cronica. (Cowgill e Langston in Bartges e Polzin pagine 473).

Figura 1: Rappresentazione schematica del danno renale acuto (AKI) dai primi segni di lesioni/disfunzioni ad insufficienza renale. (IRIS, 2013)

(17)

Tab 1.4 Classificazione di AKI nel cane, Scala IRIS

Stadio

AKI Creatinina Sierica (CS) mg/dL

Descrizione Clinica Sottostadi

Grado I < 1,6

AKI non azotemica

1. AKI documentata (da anamnesi, studi ecografici, oliguria/anuria, mancata risposta ai fluidi

2. Progressivo aumento della CS ≥ 0,3 mg/dL in 48h

3. Oliguria (<1ml/kg7h) o anuria da 6h

Ogni stadio è

ulteriormente suddiviso in base a:

• Oliguria (O) o Non oliguria (NO) • Necessità di RRT

Grado II 1,7 - 2,5

AKI lieve:

• AKI documentata e aumento statico o progressivo

dell'azotemia

• Progressivo aumento della CS ≥0,3mg/dL in 48h o mancata risposta ai fluidi

• Oliguria (<1ml/kg7h) o anuria da 6h

Grado III 2,6 - 5,0 AKI da Moderata a Grave:

• AKI documentata e aumento della gravità dell'azotemia e dell'insufficienza renale Grado IV 5,1 - 10

Grado V > 10

Tabella 1.4 Classificazione IRIS per AKI nel cane, da Grading of acute kidney injury (2013) IRIS (International Renal Interest Society)

1.3.1 Cause di AKI

Disturbi singoli o una combinazione di disturbi emodinamici (prerenale), lesioni parenchimali intrinseca(renale), e disturbi postrenali contribuiscono alle alterazioni sia strutturali che funzionali di AKI. (Cowgill e Langston, 2011)

Ci sono molte possibili cause di danno renale acuto in cani e gatti (Tab 1.5). Poiché la prognosi e l’outcome hanno dimostrato di essere fortemente dipendente dalla causa delle nefropatie acute, nel management del paziente, ogni tentativo dovrebbe essere fatto al fine di identificare il più presto possibile le cause. (Ross L.,2011)

(18)

Tabella 1.5 Cause di AKI nel cane e nel gatto (modificata da L. Ross, 2011)

Nei cani, le cause più comuni di AKI includono l’ischemia e l'ingestione di tossine. Eventi ischemici possono essere causati da pancreatite, ipovolemia, sepsi, coagulazione intravasale disseminata, dalle procedure ospedaliere (es. anestesia generale) o altre cause come la somministrazione di FANS, di sostanze nefrotossiche come la gentamicina ecc. (Tab 1.6) (Bloom C. A. e Labato M.A., 2011)

Tab 1.5 Cause di AKI nel cane e nel gatto

Ischemia

Infarto

Tossine Glicol etilenico Metalli pesanti Composti organici UVA (nel cane)

Emoglobinuria/mioglobinuria Giglio (nel gatto)

Avvelenamento (es veleno di serpenti, api, vespe)

Melanina/acido cianurico Malattie infettive Pielonefriti

Leptospirosi (solo nel cane)

Farmaci Aminoglicosidi

Amfotericina B Cisplatino FANS

Mezzi di contrasto radiografici Ipercalcemia Rodenticidi contenenti calciferolo

Preparazioni dermatologiche ad uso umano contenenti Vitamina D Iperviscosità Iperglobulinemia Policitemia MODS, sindrome da disfunzione multi-organica Sepsi Pancreatite acuta

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Tab 1.6 Potenziali cause di riduzione della perfusione/ ischemia renale

nel cane e nel gatto • Disidratazione

• Emorragia • Ipovolemia

• Riduzione della pressione oncotica • Anestesia profonda

• Sepsi

• Shock / vasodilatazione

• FANS con riduzione delle prostaglandine renali • Ipertermia

• Ipotermia • Ustioni • Trauma

• Trombosi vasi renali o formazione di microtrombi • Reazione da emotrasfusione

Tabella 1.6 Cause di riduzione di ipoperfusione/ischemia renale (modificata da Nelson e Couto, 2009)

Considerando che ai reni arriva circa il 20% della gittata cardiaca, le sostanze tossiche spesso si accumulano in questo sito con concentrazione maggiori rispetto agli altri organi ed inoltre sarà la corticale quella più soggetta al danno in quanto riceve il 90% del sangue che arriva al rene. (Nelson e Couto, 2009).

La sostanza nefrotossica più comunemente ingerita nei cani è il glicole etilenico che si ritrova, per esempio, nei liquidi antigelo, anche se sono stati segnalati molti altri tossici, compreso uva e uva passa, antibiotici (amminoglicosidi), agenti chemioterapici come cisplatino e farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) che possono causare AKI. (Tab 1.9)

Tra le cause infettive di AKI una comune è la leptospirosi nei cani. Le Leptospire sono spirochete mobili filamentose, di 0,1-0,2 µm di lunghezza, che infettano sia gli animali che l’uomo. La leptospirosi è causata da numerosi sierotipi di Leptospira interrogans (ad esempio quelli che infettano il cane sono L. bataviae, L. bratislava, L. canicola, L. grippothyposa, L. hardjo, L. icterohaemorragiae, L. pomona, L. tarassovi). Il microorganismo colonizza le cellule epiteliali dei tubuli renali, proliferando all’interno di esse e causando una nefropatia tubulo-interstiziale acuta. L’insufficienza può instaurarsi anche a causa della vasculite provocata dalla moltiplicazione delle leptospire nell’endotelio dei piccoli vasi; infatti, l’edema può compromettere ulteriormente il flusso ematico renale. (Nelson e Couto, 2009).

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L’emodialisi o la dialisi peritoneale sembrano in grado di migliorare la prognosi dei pazienti che hanno contratto forme più gravi di infezioni. (Bloom C.A. e Labato M.A., 2011)

Nei cani e nei gatti, le pielonefriti batteriche, le ostruzioni ureterali e le rotture delle vie urinarie possono causare AKI. Le pielonefriti batteriche sono comunemente causata da infezioni per vie ascendente delle vie urinarie inferiori, ma anche per via ematogena. Le ostruzioni ureterali sono più comune nei gatti e nei cani di piccola taglia e sono causate dalla presenza di calcoli a base di calcio, o meno comunemente da trauma, neoplasia o infiammazioni. Le rotture del tratto urinario, invece, possono essere secondarie a trauma, necrosi secondaria all’urolitiasi (Bloom C.A. e Labato M.A., 2011).

1.4 Chronic Kidney Disease, CKD

1.4.1

Definizione e stadiazione di CKD

L'insufficienza renale cronica (Chronic Kidney Disease) è la forma più comunemente riconosciuta delle malattie renali nei cani e nei gatti. Essa è definita come qualsiasi anomalia strutturale e/o funzionale di uno o entrambi i reni, che è stata continuamente presente per tre mesi o più. I reni dei cani e dei gatti che presentano una malattia renale cronica sono tipicamente caratterizzati da una riduzione permanente del numero di nefroni funzionanti. Sebbene la struttura e la funzione renale non vadano di pari passo, una nefropatia solitamente presenta sia disordini di tipo funzionale che strutturale. Le rare eccezioni a questa regola generale sono le lesioni strutturali limitate (cisti renali o nefroliti) con essenzialmente parametri di funzionalità renale nella norma o pazienti con specifici disordini tubulari (glicosuria renale) con una struttura renale mantenuta. In generale, l'impatto clinico della CKD sul paziente riflette il grado di riduzione della funzionalità renale, piuttosto che l'impatto di lesioni strutturali.

Nella maggior parte dei casi, la CKD è una malattia in genere irreversibile e progressiva. Una volta che in un paziente viene diagnosticata malattia renale cronica, tale condizione rappresenta una situazione permanente e definitiva, anche se si appronta immediatamente il trattamento. Tuttavia, in alcuni pazienti la CKD può essere complicata da componenti simultanee prerenali e postrenali o da malattie renali attive, che possono essere reversibili (ad esempio, pielonefrite) Pazienti che presentano tali condizioni non si trovano in una forma stabile di malattia, ma in AKI su CKD. Dopo la correzione delle malattie primarie reversibile

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e/o componenti prerenali o postrenali di disfunzione renale, un’ulteriore miglioramento della funzionalità renale non dovrebbe essere previsto, perché già in gran parte sono state apportate modifiche compensatorie e adattative destinate a sostenere la funzionalità renale. (Polzin D.J., 2011)

Nel rene ammalato in forma cronica esiste una notevole eterogenicità morfologica tra i nefroni, con alterazioni che vanno dalla grave atrofia e dalla sostituzione del parenchima renale con tessuto fibroso cicatriziale all’ipertrofia marcata. Le alterazioni istopatologiche non sono specifiche del processo patologico e, di conseguenza, non è possibile risalire all’eziologia. La malattia è progressiva e quindi porta lentamente alla distruzione dei nefroni; quelli che restano integri possono andare incontro ad ipertrofia come meccanismo compensatorio, che però, con il progredire del danno, non riuscirà a mantenere un’adeguata funzionalità renale. (Nelson e Couto, 2009)

In tabella 1.7 vengono riportate le potenziali cause di CKD nel cane e nel gatto.

Tabella 1.7 Cause potenziali di insufficienza renale cronica nel cane e nel gatto (modificata da Nelson e Couto, 2009).

Tab 1.7 Cause potenziali di insufficienza renale cronica nel cane e nel gatto Disturbi immunitari Lupus Eritematoso Sistemico

Glomerulonefrite
Vasculite Amiloidosi

Neoplasia Primaria Secondaria

Sostanze nefrotossiche Ischemia renale

Cause infiammatorie/infettive Pielonefrite Leptospirosi Calcoli renali

Malattie ereditarie congenite

Ipoplasia o Displasia renale
 Reni policistici


Nefropatie a carattere familiare (Lhasa Apso,

Shih-tzu, Norvegian elkhound, Bovaro del Bernese, Chow chow, Terranova, Bull terrier, Pembroke welsk corgi, Sharpei, Dobermann, Samoiedo, Golden Retriever, Barbone standard, Wheaten terrier a pelo morbido, Cocker spaniel, Beagle, Keeshond, Bedlington terrier, Cairn terrier, Basenji, Gatti abissini)

Ostruzioni del flusso urinario Forme idiopatiche

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Una volta posta la diagnosi di CKD e risolta con la fluidoterapia l’eventuale iperazotemia prerenale, definire gli stadi di progressione del processo patologico aiuta a focalizzare gli sforzi diagnostici e terapeutici. Nel 1998, a Vienna, nel corso dell’ottavo congresso annuale della European Society of Veterinary Internal Medicine, è stata fondata l’International Renal Interest Society (IRIS), per promuovere la comprensione delle malattie renali nei piccoli animali. (Nelson e Couto, 2009).

L’IRIS ha quindi proposto un sistema a 4 livelli per la stadiazione CKD nei cani e nei gatti in base alla loro funzionalità renale, la presenza o assenza di proteinuria, e la pressione sanguigna. Questo sistema è stato accettato dall’ American and European Societies of Veterinary Nephrology and Urology. (Polzin D.J., 2011)

Tab 1.8 Stadiazione IRIS per CKD nei cani

Stadio IRIS Creatinina sierica (mg/dL) IRIS 1 < 1,4

IRIS 2 1,4 - 2,0 IRIS 3 2,1 - 4,9 IRIS 4 ≥ 5

Tab 1.8 Classificazione della CKD nel cane secondo IRIS

La stadiazione di CKD si basa inizialmente su la concentrazione sierica della creatinina del paziente. La creatinina sierica rimane la stima più comunemente usata per quantificare la funzionalità renale nei cani, gatti, e negli esseri umani. Tuttavia, la specificità e la sensibilità limitata del valore della creatinina sierica come stima della funzionalità renale può portare a errata classificazione. Pertanto, la stadiazione dovrebbe essere basata su un minimo di due valori di creatinina sierica ottenuti quando il paziente è a digiuno e ben idratato. (Polzin, 2011). Quest’ultima deve sempre essere interpretata alla luce del peso specifico dell’urina e dei rilievi dell’esame fisico, per escludere cause prerenali e postrenali di iperazotemia. I vari stadi della CKD sono, poi, ulteriormente classificati in base alla presenza o assenza di proteinuria, misurata tramite il rapporto tra le proteine urinarie e la creatinina urinaria (UP/UC), e ipertensione sistemica. (Nelson e Couto, 2009)

Prima di eseguire un'UP/UC, deve essere eseguito un esame delle urine completo con sedimento e una cultura urinaria per escludere per esempio l’eventuale presenza di emorragie, o infezioni che potrebbero essere la causa di un aumento del valore UP/UC. A

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meno che l'UP/UC sia marcatamente elevato o inferiore a 0,2, si raccomanda di valutare la proteinuria in modo seriale (riesaminandolo 2-3 volte nell’arco di 2 settimane). La media di queste determinazioni deve essere utilizzata per classificare il paziente come non proteinurico; proteinurico borderline o proteinurico. I pazienti con proteinuria borderline dovrebbero essere rivalutati dopo due mesi di tempo per rivalutare la classificazione. In alcuni pazienti, la classificazione della proteinuria può variare a seconda del corso naturale della loro malattia o in risposta alla terapia.

Tab 1.9 Sottostadiazione della CKD nei cani in base alla proteinuria

Rapporto UP/UC Classificazione

≥ 0,5 Proteinurico (P)

0,2 - 0,5 Proteinurico Borderline (BP) ≤ 0,2 Non Proteinurico (NP)

Tab 1.9 Sottostadiaione della CKD nel cane in base alla proteinuria secondo IRIS

Come nel caso della proteinuria, la pressione arteriosa dovrebbe essere determinata più volte, prima di classificare il paziente in una delle categorie di rischio proposte dall’IRIS. L’IRIS identifica quattro categorie, in base al rischio progressivamente crescente che si verifichino danni agli organi target (Polzin D.J., 2011).

Tab 1.10 Sottostadiaione della CKD nel cane in base alla pressione arteriosa secondo IRIS Tab 1.10 Sottostadiazione IRIS in base

alla Pressione Arteriosa (AP) Stadio IRIS AP Pressione sistolica (mmHg) Pressione diastolica (mmHg) Stadio AP 0 <150 <95 Stadio AP 1 150-159 95-99 Stadio AP 2 160-179 100-119 Stadio AP 3 ³ 180 ³ 120

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1.4.2 Diagnosi differenziale tra AKI e CKD.

È importante differenziare un danno renale acuto da una CKD dato che il management e le conseguenze a breve e lungo termine sono potenzialmente molto differenti a seconda di uno o dell’altro caso. Il termine “cronico” nel contesto clinico di CKD significa che la malattia renale è stata presente abbastanza a lungo in modo da determinare, come condizione risultante, una perdita irreversibile e spesso progressiva della funzionalità renale. Al contrario, la malattia renale acuta (o insufficienza renale acuta, AKI) implica che la perdita della funzionalità renale è di recente insorgenza e il danno renale è potenzialmente reversibile. (Polzin D.J., 2011) (DiBartola S.P., 2010)

Il recupero della funzionalità renale a seguito del danno potrebbe rispecchiare la reversibilità del danno primario e/o gli adattamenti di compensazione che permettono ai nefroni sopravvissuti di aumentare la loro funzione. Dal momento che, in genere, a questi adattamenti compensatori per essere completamente sviluppati servono circa 3 mesi o più, è ragionevole parlare di malattia renale “cronica” quando essa è presente da 3 mesi o più. (DiBartola S.P., 2010)

Nella maggior parte dei pazienti, la durata della nefropatia può essere stimata dall’anamnesi o essere dedotta dai risultati dell'esame fisico o dalle modifiche strutturali dei reni identificati attraverso studi di diagnostica per immagini o esami istologici. Il reperto all’esame fisico di scarso stato nutrizionale e ridotta qualità del pelo sono più tipici di un problema cronico rispetto a un danno renale acuto. (Polzin D.J., 2011)

La presenza di reni di dimensioni ridotte fornisce un forte supporto alla diagnosi di CKD perché la perdita irreversibile di nefroni è solitamente associata alla sostituzione del parenchima con tessuto fibroso. All’esame ecografico questo viene evidenziato come un aumento dell’ecogenicità della corticale renale e si evidenzia anche la perdita della normale linea di confine con la midollare. L'esame obiettivo generale può fornire un indizio sulle dimensioni dei reni, ma ridotte dimensioni del rene confermate dagli studi per immagini come l’esame radiografico standard dell’addome e l’esame ecografico, contribuiscono a confermare la diagnosi di CKD. (Nelson e Couto, 2009) (Polzin D.J., 2011)

Gli esami di laboratorio sono in genere meno affidabili nel confermare la cronicità della malattia renale. Tuttavia, quando disponibile, la persistenza documentata di anomalie della

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funzionalità renale, quali iperazotemia persistente, proteinuria e perdita della capacità di concentrare l’urina supportano la diagnosi di CKD.

Inoltre, mentre il grado di aumento delle concentrazioni di creatinina o urea nel siero non sono utili per differenziare AKI da CKD, il rapporto tra i segni clinici e il grado di disfunzionalità renale può essere utile. In qualsiasi livello di iperazotemia, i pazienti con insufficienza renale acuta sono propensi a mostrare segni clinici più gravi, a causa della rapidità di aumento dell’iperazotemia e, quindi, la mancanza di tempo per adattarsi all'ambiente azotemico. (Polzin D.J., 2011) Altro parametro di laboratorio che può fornire prove a sostegno della cronicità della patologia è la presenza di anemia scarsamente rigenerativa.

1.5 Extracorporeal Renal Replacement Therapy, ERRT.

Le terapie renali sostitutive extracorporee (ERRT) si sono evolute nel corso degli ultimi 40 anni diventando, in Medicina Veterinaria, la terapia d’elezione per il management del danno renale acuto (AKI).

La domanda di utilizzazione delle ERRT è ripartita equamente tra cani e gatti, e le tecniche e gli equipaggiamenti necessari per le ERRT sono sicuri ed efficaci per pazienti di tutte le taglie, dai più piccoli (minimo 1,5 kg) ai più grandi (600 kg). (Cowgill L.D e Francey T., 2006). Le applicazioni terapeutiche primarie delle tecniche di purificazione extracorporea del sangue negli animali sono quelle di fornire una terapia di sostegno in modo tal da ridurre le conseguenze e i disordini omeostatici associati all’uremia acuta e sono altrettanto importanti come terapie salvavita negli avvelenamenti acuti, sovradosaggio di farmaci e per sovraccarico di fluidi. (Tabella 1.11). Le terapie mediche convenzionali non hanno la stessa efficacia delle procedure extracorporei nel correggere l’iperazotemia, le alterazioni biochimiche, ed i disordini acido-base, endocrini e di fluidi associati all’insufficienza renale o alle intossicazioni acute. L’insufficienza renale acuta è l'indicazione più comune per l'emodialisi intermittente nei cani e nei gatti. (Cowgill L.D. e Guillaumin J., 2013)

Generalmente, il ritardo nell’iniziare l’RRT nei pazienti con danno renale acuto o intossicazione acuta porta ad un peggioramento della sintomatologia uremica, alla possibilità di avere disfunzioni in altri organi e ad una prognosi meno favorevole. (Cowgill L.D. e

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Guillaumin J., 2013)

L’uso indefinito di emodialisi intermittente in animali con malattia renale cronica è ugualmente indicato, ma il costo della procedura e il numero limitato di strutture in grado di offrire tale terapia, ne limitano ancora oggi l’impiego in medicina veterinaria. L’emodialisi preoperatoria facilita la candidatura chirurgica e la stabilità chirurgica del paziente. L'uso di terapie extracorporee per la rimozione delle tossine sta guadagnando un maggiore riconoscimento in medicina veterinaria.

Di seguito vengono riportate in tabella 1.11 le principali indicazioni per le ERRT negli animali. Tab 1.11 Indicazioni per ERRT negli animali

AKI • Anuria o grave oliguria

• Fallimento delle terapie mediche standard per ripristinare un'adeguata diuresi

• Fallimento delle terapie mediche standard nel controllo dell'azotemia e delle manifestazioni uremiche

• Sovraccarico di fluidi mortale

• Squilibri elettrolitici ed acido-base mortali

• Grave azotemia (BUN >80mg/dL) e/o creatininemia >8mg/dL • Decorso clinico refrattario alle terapie conservative dopo 24h

CKD • Indefinita terapia renale sostitutiva intermittente

• Supporto per scompenso acuto di un'insufficienza renale cronica

• Definita terapia renale sostitutiva per clienti in transizione verso stato irreversibile della patologia

• Un ponte per e/o da una chirurgia renale (es. Ostruzioni ureterali, trapianto renale)

Miscellanea • Grave sovra-idratazione, edema polmonare, insufficienza cardiaca congestizia

• Avvelenamenti acuti/overdose da farmaci es glicol etilenico, FANS, caffeina

• Intossicazioni endogene es insufficienza epatica

• Patologie immunomediate (Myastenia gravis, polimiositi, polineuriti, IMHA, ITP, glomerulonefriti)

• Iperproteinemia, ad es. mieloma multiplo

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1.5.1 Emodialisi.

Il ruolo terapeutico dell’emodialisi è di eliminare (rimuovere) le tossine uremiche accumulate ed i fluidi in eccesso in modo da alleviare la morbilità e le caratteristiche cliniche che queste producono. I soluti ritenuti in corso di uremia sono ampiamente e arbitrariamente classificati in base alle loro proprietà fisico-chimiche come piccoli soluti (solubili in acqua e con peso molecolare PM <500 Da), molecole di medie dimensioni (PM> 500 Da), e i soliti legati alle proteine di trasporto (PM> 1500 Da). Questa caratteristica, insieme alla loro capacità di distribuirsi nei diversi compartimenti dell’organismo, influenza la loro propensione e l'accessibilità alla rimozione dialitica. Infatti, se per i soluti a basso peso molecolare la clearance è molto elevata, le altre due categorie di tossine uremiche vengono rimosse solo parzialmente. (Cowgill L.D, 2011)

Esiste un legame empirico tra la comparsa di segni clinici e l'accumulo di prodotti azotati finali derivanti dall’ossidazione delle proteine (aminoacidi). L'urea è una molecola di piccolo peso molecolare (60 Da) ed è un metabolita azotato le cui concentrazione plasmatiche sono superiori a quelle di tutti gli altri soluti uremici. Essa contribuisce minimamente alle manifestazioni cliniche della uremia, ma è rimasta fondamentalmente associata con la morbilità e l'esito della sindrome uremica, a causa della sua abbondanza e del suo legame con il metabolismo dell'azoto alimentare ed endogeno. Nessun singolo soluto di ritenzione (compresa l'urea) è stato capace di dimostrare le principali conseguenze della sindrome uremica. L’iperazotemia deve essere considerata come un marker della presenza collettiva di numerosi soluti a basso peso molecolare, idrosolubili, della carbamilazione delle proteine, della funzionalità delle vie metaboliche e di altri soluti a basso peso molecolare associati al metabolismo azotato o legati a proteine.

La riduzione della comparsa dell’urea e la sua rimozione extrarenali vengono utilizzate per prescrivere le terapie dialitiche e monitorare l'efficienza e l'adeguatezza di queste terapie. (Cowgill e Francey, 2006).

In senso stretto, la dialisi si riferisce al movimento netto di soluti e dell’acqua attraverso una membrana semipermeabile seguendo un gradiente di concentrazione. L’emodialisi è lo scambio extracorporeo, in controcorrente, di acqua e soluti tra il sangue e una soluzione a base di acqua ed elettroliti definita dialisato, attraverso delle membrane semipermeabili realizzate allo scopo di rimuovere i prodotti di scarto del metabolismo e correggere i squilibri idro-elettrolitici ed acido-base dovuti all’uremia. (Fig. 1).

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Figura 1 Rappresentazione schematica della circolazione extracorporea in emodialisi (HD)

Il dializzato è formulato per favorire il movimento delle molecole di scarto idrosolubili (ad esempio, urea, creatinina o tossine uremiche con cinetiche simili all’urea e la creatinina) fuori dal torrente ematico, mantenendo le concentrazioni fisiologiche di sostanze permeabili (ad esempio, glucosio, fosforo, calcio), e ricostruendo o reintegrando le molecole che sono state deplete dal torrente ematico (per esempio, il bicarbonato). (Fischer J.R. et al, 2004)

Il trasferimento della massa di acqua e soluti avviene grazie alle forze di diffusione e di convezione, e la portata dello scambio dipende dalle caratteristiche fisico-chimiche dei soluti e dall’ultrastruttura dei pori delle membrane porosa del filtro. L’acqua e i soluti a basso peso molecolare (<500 Da) passano facilmente attraverso i pori delle membrane, ma il movimento dei soluti più grandi, le proteine plasmatiche, e le componenti cellulari del sangue sono limitate dalla dimensione dei pori e dalle caratteristiche fisiche delle membrane. (Cowgill L.D, 2011)

La forza diffusiva dipende dal moto molecolare casuale di particelle disciolte nei fluidi. Quando queste particelle incontrano causalmente i pori della membrana del filtro, si spostano da un lato della membrana all'altro attraverso i canali di membrana (Fig. 2).

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Figura 2 Rappresentazione schematica di una sezione di una fibra di filtro. (Fisher et al., 2004)

La probabilità che questo avvenga è direttamente proporzionale alla concentrazione di un tipo di particelle e alla sua energia termodinamica, che è inversamente proporzionale al peso molecolare della molecola stessa; quindi, a parità di concentrazione, le molecole più piccole come l’urea (60 Da) diffondono più facilmente e più velocemente di quelle più grandi come la creatinina (113 Da). (Fig. 3). Se la concentrazione di un soluto diventa uguale su entrambi i lati della membrana, la diffusione continua, ma il trasferimento netto del soluto risulterà nullo. (Fischer J.R et al., 2004)

Figura 3 : Rappresentazione schematica della forza fisica di diffusione tra sangue e dialisato attraverso la membrana porosa del filtro. (Fischer, 2004)

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La permeabilità intrinseca di una membrana per ogni soluto influenza anche direttamente il suo potenziale diffusivo. La permeabilità della membrana è determinata dal suo spessore, la sua superficie effettiva, e il numero, la dimensione e la forma dei suoi pori o canali di diffusione. Oltre alle caratteristiche intrinseche dei soluti e alle caratteristiche della membrana, influisce anche la carica molecolare, il legame con le proteine e il volume di distribuzione. (Cowgill L.D. e Francey T., 2011) Il trasporto per convenzione, invece, è associato al processo di ultrafiltrazione, in cui l'acqua è guidata attraverso la membrana da gradienti di pressione idrostatica. Diversamente dal trasporto per diffusione, non richiede un gradiente di concentrazione attraverso la membrana e, comunque non altera i gradienti diffusivi o le concentrazioni sieriche. (Cowgill L.D, 2011) Questa forza idrostatica fornisce l'impulso per il trasferimento di fluidi attraverso la membrana per l’ultrafiltrazione, in modo analogo a quanto si verifica nel glomerulo. Per facilitare e regolare l’ultrafiltrazione, la pressione transmembrana esterna generata dalla pompa sangue è accompagnata dall’applicazione di una pressione negativa al lato dialisato della membrana. Tale differenza di pressione, genera un passaggio netto di acqua e soluti dal sangue alla porzione dialisato. (Fig. 4). La quantità di acqua che può essere spostata attraverso la membrana durante un tempo determinato dipende dalla permeabilità idraulica del filtro, che è determinata dalle sue caratteristiche fisiche, quali tipologia di membrana, spessore, superficie e dimensioni dei pori e coefficiente di ultrafiltrazione (Kuf). Questo valore è rappresentato dai millilitri di acqua che possono essere trasferiti per millimetro di mercurio in un’ora da sangue al dialisato. (Fischer J.R. et al., 2004)

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Figura 4 : Rappresentazione schematica della forza fisica di convezione tra sangue e dialisato attraverso la membrana porosa del filtro. (Fischer et al., 2004)

In base al loro Kuf, i filtri da emodialisi sono classificati come “low flux” (a basso flusso) o “high flux” (alto flusso). È necessaria una pressione transmembrana minima di 25 mmHg per avere un’ultrafiltrazione in grado di compensare la pressione oncotica delle proteine plasmatiche. La pressione oncotica favorisce il riassorbimento dell’acqua e si oppone all’ultrafiltrazione. Il trasporto convettivo può contribuire alla rimozione totale dei soluti, soprattutto di quelli a peso molecolare maggiore (500-15,000 Da) e con capacità di diffusione limitate. Tuttavia, in un trattamento emodialitico standard, l’ultrafiltrazione viene utilizzata soprattutto per la rimozione di liquidi, e la clearance convettiva contribuisce per meno del 5% alla rimozione totale dei soluti. (Cowgill L.D., 2011)

L’adsorbimento dei soluti è un terzo meccanismo di purificazione del sangue e si verifica in piccola parte nell’emodialisi, ma è massimizzata nel processo di emoperfusione. L’emoperfusione costituisce una terapia extracorporea assorbente utilizzata per gestire intossicazioni endogene ed esogene, che non vengono trattate in modo efficiente con l’emodialisi o l’emofiltrazione. In contrasto con la separazione fisica tra il sangue e il dialisato, che si verifica durante l'emodialisi, durante l’emoperfusione, il sangue è esposto direttamente ad un adsorbente con la capacità di legare selettivamente o non i soluti o le tossine. L’emoperfusione è efficace al fine di rimuovere i soluti a peso molecolare elevato, molecole legate alle proteine, tossine liposolubili o farmaci che non sono stati eliminati efficacemente, o del tutto, mediante l’emodialisi o l’emofiltrazione. Idealmente, gli adsorbenti

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dell’emoperfusione devono avere una elevata capacità di adsorbimento per i soluti bersaglio, essere non tossici ed emocompatibili, assorbire minimamente i normali costituenti del sangue, essere sterili, privi di endotossine e mantenere una composizione stabile quando esposti al sangue. Il carbone attivo è stato l'adsorbente più comunemente utilizzato per eliminare le tossine endogene ed esogene in vivo. Le sostanze tossiche vengono captate dall’adsorbente secondo la loro dimensione molecolare e affinità per il carbone, la loro concentrazione nel liquido extracellulare, il loro volume di distribuzione, il grado e l’affinità del legame con le proteine e solubilità dei lipidi. Il carbone attivo può rimuovere i soluti con un peso molecolare che varia dai 60 a più di 21.000 dalton. (Cowgill L.D e Guillaumin J., 2013)

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CAPITOLO 2 Vitamine A e

vitamine E

2.1 Introduzione

Le vitamine sono dei composti organici e dei nutrienti essenziali che un organismo richiede in quantità limitate. Un composto chimico organico (o un gruppo correlato di composti) viene chiamato "vitamina", quando l'organismo non è in grado di sintetizzare quel composto in quantità sufficiente e pertanto deve ottenerlo attraverso l'alimentazione; in tal modo, il termine "vitamina" è condizionato dalle circostanze e dal particolare organismo. (S. Lieberman e N. Bruning, 1990). Sono state indentificate 13 famiglie di vitamine e possono essere classificate in due grandi categorie a seconda della loro solubilità in acqua (vitamine idrosolubili) o nei lipidi e solventi (vitamine liposolubili).

Le vitamine idrosolubili hanno funzioni biochimiche simili tra loro e sono tutte coinvolte, senza eccezione, nel metabolismo cellulare rappresentando i gruppi prostetici di co-enzimi. La loro azione è strettamente correlata alla loro struttura; qualsiasi modifica può portare alla completa inattivazione. A causa della loro solubilità, non possono essere accumulate nell’organismo e quindi bisogna garantire un adeguato apporto giornaliero.

Le vitamine liposolubili hanno, invece, modi d’azione molto diversi tra loro. Per ciascuna, ci sono numerosi composti con diverse strutture biologicamente attive, ma tuttavia le forme naturali sono quelle più attive. Nell’organismo, la vitamina E è immagazzinata nel tessuto adiposo mentre la vitamina A si trova nel fegato in quantità relativamente importante. A causa di questa capacità di stoccaggio, le vitamine liposolubili se vengono somministrate a dosi molto elevate, hanno una tossicità potenziale che può essere dannosa per la salute degli animali e degli esseri umani. (Delatour et al, 2000)

La vitamina A e la vitamina E fanno parte del gruppo delle vitamine liposolubili e sono dei composti isoprenoidi, costituiti di unità attivate a cinque atomi di carbonio. Esse sono quindi strutturalmente correlate, a differenza delle vitamine idrosolubili. (Mathews C.K, Van Holde K.E., Ahern K.G, 2004).

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La Vitamina A è un micronutriente liposolubile coinvolto in molte funzioni biologiche quali lo sviluppo embrionale, processi di crescita cellulare, della visione e dell’immunità (Maden e Hind, 2003) ed esistono tre forme che possiedono la sua attività nel nostro organismo: il retinolo (ROL), il retinale e l’acido retinoico. Con il termine vitamina A e retinoidi si include il retinolo e tutti i derivati, naturali o sintetici. Quindi il termine vitamina A comprende tutte le molecole che hanno attività biologica simile a quella del retinolo, mentre il termine retinoide comprende anche i derivati, naturali o sintetici, con o senza attività biologica (Sporn e Roberts 1994; Blomhoff R. e Blomhoff H., 2006). Il retinil estere rappresenta la forma con cui viene generalmente assunta attraverso gli alimenti per poi essere metabolizzata nelle tre forme ovvero il retinolo, il retinale e l’acido retinoico. La vitamina A è una sostanza nutritiva di importanza globale ed è presente in prodotti naturali in forme molte diverse. È presente esclusivamente nei prodotti di origine animale; le maggiori quantità si trovano nel fegato, ma anche il latte, le uova i formaggi, il burro e i pesci ne contengono quantitativi apprezzabili, mentre nei vegetali sono presenti i carotenoidi, precursori della vitamina A (come a- e b-carotene), che sono dei pigmenti ampiamente distribuiti in natura. Alcuni carotenoidi partecipano al processo fotosintetico e pertanto si trovano nei tessuti vegetali e nei microrganismi fotosintetizzanti. I carotenoidi inoltre, sono responsabili della colorazione giallo-arancione di determinati tessuti vegetali. Particolarmente ricchi sono quindi i frutti e gli ortaggi di colore giallo-arancione e gli ortaggi a foglia (Cestaro et al., 2006). Questi precursori della vitamina A vengono convertiti nelle loro forme attive, all’interno dell’organismo da parte del fegato e dell’intestino. La copertura dei fabbisogni in vitamina A è sottoposta ad una regolazione fisiologica che condiziona la conversione dei carotenoidi. (Delatour et al, 2000). I retinoidi forniti dal cibo vengono assorbiti dagli enterociti della mucosa intestinale. In queste cellule, sono metabolizzati in esteri del retinolo o retinolo, a seconda delle esigenze del corpo. Quando la quantità di vitamina A è soddisfacente, si trasformano in esteri del retinolo e vengono immagazzinati nel fegato. Se l’organismo è in una situazione di carenza, il retinolo non viene stoccato, ma utilizzato direttamente nei tessuti bersaglio (Ross AC et al., 2001).

È necessario controllare l’assunzione di vitamina A perché un insufficiente (ipovitaminosi) o un eccessivo apporto (ipervitaminosi) può causare effetti negativi a lungo termine e quindi essere la causa di diverse patologie. Nei paesi in via di sviluppo, la carenza di vitamina A causata dalla malnutrizione (o denutrizione) è un importante problema di salute pubblica per "più di un terzo dei bambini in età prescolare nel mondo" (Fonte: OMS). Le alterazioni dello

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sviluppo e quelle visive non sono le uniche conseguenze di questa carenza, infatti, è ormai ben consolidata che la vitamina A svolge un ruolo essenziale anche nei processi cognitivi (Lane e Bailey, 2005).

La vitamina A ha anche un ruolo molto diverso quando si trova sotto la forma di acido retinoico (che è una forma derivante dal retinolo, ossidata irreversibilmente), perché assume l’azione di un importante fattore di crescita, simile all’azione dell’ormone di crescita, verso le cellule epiteliali od altre. (Tanumihardjo, 2011)

La vitamina E è il termine generico attribuito ad un gruppo di otto sostanze liposolubili comprendente quattro tocoferoli (a- b- g- e d-) e quattro tocotrienoli (a- b- g- e d-). Tutti i tocoferoli e tocotrienoli sono potenti antiossidanti con attività lipoperoxyl radical-scavenging. La maggior parte delle ricerche sulla vitamina E è stata concentrata principalmente sul α-tocoferolo, perché α-tocoferolo è la forma predominante nei tessuti e il suo ridotto apporto si traduce in una carenza di vitamina E. (Qing Jiang, 2014). La vitamina E è sintetizzata soltanto dalle piante e le fonti naturali che ne contengono una maggiore quantità sono gli oli vegetali, i semi e i cereali. (Aspinall V., 2006). Le fonti vegetali con una maggior concentrazione di a-tocoferolo includono l’olio di canola, di cartamo, e i semi di cotone; l’olio di soia e di mais contengono invece sia l’a- tocoferolo che una grande quantità di g-tocoferolo. (Gropper et al., 2009). I tocotrienoli sono presenti in abbondante quantità anche nell’olio di palma e nella crusca di riso. Altre risorse vegetali di vitamine E sono l’olio di cocco, il burro di cacao, i semi di soia, l’orzo e il germe di grano. (Packer et al., 2001). È inoltre contenuta anche nei cibi di origine animale, per esempio l’a-tocoferolo si ritrova in abbondante quantità nel grasso (Gropper et al.,2009), invece i tocotrienoli sono contenuti soprattutto nella carne e nelle uova (Packer et al.,2001); in ogni caso, paragonando i livelli di vitamine E presenti nelle piante e quelli nei cibi di origine animale, quest’ultimi contengono ne una quantità notevolmente inferiore. (Gropper et al., 2009).

La vitamina E ha un ruolo fondamentale nel normale metabolismo di tutte le cellule. Pertanto, la sua carenza può colpire diversi organi. La sua funzione interagisce con quelle di altre sostanze nutritive e dei fattori endogeni che, insieme, formano un sistema che fornisce una protezione contro gli effetti potenzialmente dannosi delle specie reattive dell'ossigeno che si formano durante il metabolismo oppure quelle che si possono trovare nell'ambiente. Recenti evidenze indicano che la vitamina E può anche avere funzioni non-antiossidanti nella regolazione dell'espressione genica e trascrizione cellulare. (Combs et al., 2012)

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A differenza di altre vitamine, la vitamina E non è solo non tossica, ma sembra anche essere utile a dosaggi notevolmente maggiori di quelli necessari per prevenire i segni clinici della propria carenza. In particolare, sono utili nel ridurre l'ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL), riducendo così il rischio di aterosclerosi. Anche se la vitamina E è presente nella maggior parte delle piante, solo gli oli vegetali sono fonti veramente ricche. La sua scarsa assunzione giornaliera, il carattere ubiquitario e complesso della sua funzione biologica, la sua sicurezza dimostrata, e la sua apparente utilità contro la lotta di una serie di disturbi legati allo stress ossidativo hanno generato un enorme interesse per questa vitamina sia da un punto di vista scientifico che clinico. (Combs et al., 2012)

Nei carnivori domestici, le concentrazioni plasmatiche di Vitamina E variano secondo gli autori, approssimativamente da 18 a 36 µg/ml nei cani e da 14 a 16 µg/ml nei gatti. Un maggiore apporto di Vitamina E con la dieta è responsabile di un aumento della sua concentrazione plasmatica. Jewell (Jewell DE et al., 2000) rivela infatti che nel cane si ha un aumento del 26% della concentrazione di vitamina E nel siero quando ne viene raddoppiata la sua somministrazione e un incremento del 40% se queste somministrazioni sono quadruplicate. Nel 2002, gli stessi autori hanno riscontrato un aumento della concentrazione sierica del 61% quando è stato somministrata una tripla dose di vitamina E (Traber et Kayden, 1989).

Le dosi di Vitamina E consigliate nei cani sono di 50 UI/kg di sostanza secca (SS), a prescindere dall'età. Per diete contenenti olio di pesce, si consiglia di aggiungere 10 UI di Vitamina E/g di olio di pesce/kg di cibo, per proteggere gli acidi grassi contro l'ossidazione. Questi valori sono stabiliti per i piani alimentari la cui densità energia è di 3500 kcal EM kg di massa corporea. Esse corrispondono quindi a 14 IU/1000 kcal di energia metabolica nel cane (Cuvelier et al., 2003).

2.2 Vitamina A

2.2.1 Generalità

La vitamina A è stata la prima delle vitamine liposolubili ad essere scoperta ed estratta dal tuorlo d'uovo e dal burro. La sua scoperta potrebbe risalire alla ricerca del fisiologo François Magendie del 1816, quando osservò che cani privi di nutrizione avevano sviluppato delle ulcere corneali e avevano avuto un elevato tasso di mortalità (Semba RD, 2012). Nel 1912 Frederick Gowland Hopkins dimostrò che i “fattori accessori” sconosciuti presenti nel latte,

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