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3.1 LA SCOPERTA DELLE CELLULE DENDRITICHE

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3. INTRODUZIONE

3.1 LA SCOPERTA DELLE CELLULE DENDRITICHE

Il termine cellula dendritica (DC) deriva dal greco dendros che significa albero:

sono cellule riccamente ramificate la cui esistenza è nota da circa 100 anni, anche se la ricerca in questo campo si è sviluppata soltanto in questi ultimi decenni.

La prima identificazione di queste cellule risale all’anatomista Paul Langerhans

che nel 1868 le scambiò per terminazioni nervose cutanee (Banchereau et al.,

1998). In seguito le DC furono interpretate come melanociti immaturi. Negli

anni ’60, Birbeck identificò delle granulazioni tipiche (granuli di Birbeck),

presenti nelle cellule di Langerhans umane e di altri mammiferi. Soltanto nel

1973, Ralph Steinman individuò le DC nella milza di topo e le considerò

cellule del sistema immunitario per la loro capacità di stimolare risposte

immunitarie negli animali di laboratorio (Steinman et al., 1973). Furono

chiamate così per la somiglianza dei loro lunghi prolungamenti con i dendriti

dei neuroni. Nei successivi 20 anni le ricerche su quest’argomento diminuirono

per le difficoltà incontrate nel loro isolamento dai singoli tessuti. Solo nel 1992,

Jacques Banchereau riuscì ad individuare una metodica per coltivare le DC in

vitro, dalle cellule staminali del midollo osseo CD34

+

(Caux et al., 1992). Nel

1994, Antonio Lanzavecchia riuscì a differenziare DC umane in vitro dai

monociti dal sangue periferico (Sallusto et al., 1994).

(2)

Oggi sappiamo che le DC come tali rappresentano appena lo 0,1-1% delle cellule mononucleate del sangue. I recenti sviluppi dei metodi per la generazione delle DC in vitro dai monociti hanno contribuito considerevolmente alla comprensione delle funzioni di queste cellule. Si è scoperto, infatti, che esse svolgono funzioni uniche ed essenziali nell’attivazione della risposta immunitaria, e quindi sono cellule preziose per la delicata attività che esse svolgono.

3.2 CARATTERISTICHE DELLE DC

Nell’uomo, così come nel topo, sono state identificate diverse sottopopolazioni di DC (Banchereau et al., 2000).

Il termine cellula dendritica definisce un gruppo eterogeneo di elementi

rappresentati dalle DC follicolari degli organi linfoidi, le cellule interdigitate

del timo e le cellule di Langerhans della cute. Esse sono accomunate da tre

caratteristiche:1) l’aspetto morfologico irregolare con prolungamenti e

protrusioni filamentose che ne aumentano la superficie e sono in grado di

riorientarsi consentendo stretti contatti con le cellule del microambiente in cui

sono inserite; 2) si localizzano in aree strategicamente cruciali per la risposta

immunitaria, quali i follicoli linfatici, la zona paracorticale dei linfonodi e la

giunzione cortico-midollare timica; 3) esprimono costitutivamente livelli molto

elevati di molecole del complesso maggiore d’istocompatibilità (MHC) e sono

quindi nella condizione ideale per presentare gli antigeni alle cellule T.

(3)

Le DC si differenziano dalle cellule fagocitiche perché hanno quantità molto modeste di vescicole endocitotiche e di enzimi lisosomiali e sono prive di numerose molecole superficiali monocito-specifiche o monocito-associate;

inoltre le diverse popolazioni di DC si differenziano fenotipicamente fra di loro, grazie alle diverse attività funzionali e/o alle differenze microambientali. Anche se le diverse sottopopolazioni di DC differiscono tra loro, sembrano però essere molto simili dal punto di vista morfologico: a) caratterizzate dei numerosi e sottili processi citoplasmatici; b) cellule metabolicamente molto attive, con mitocondri dispersi e apparato di Golgi e reticolo endoplasmatico sviluppato; c) Presentano grandi nuclei eterocromatici.

Quindi, mentre le DC follicolari sono localizzate nei follicoli linfatici sia primari sia secondari degli organi linfoidi periferici, le cellule interdigitate sono localizzate nell’area paracorticale (area T) degli organi linfoidi secondari, dove si trovano a stretto contatto con i linfociti T, e nelle giunzioni cortico-midollari del timo. Infine, le cellule del Langerhans sono localizzate negli strati soprabasali dell’epidermide e raramente nel derma: pur costituendo solo il 2- 5% delle cellule dell’epidermide (Steinman, 2001), giocano un ruolo fondamentale nell’immunologia della cute. La loro funzione è di intrappolare gli antigeni che vengono a contatto con la cute, trasportarli ai linfonodi di drenaggio e qui reclutare i linfociti T antigene-specifici.

Una caratteristica fondamentale delle cellule del Langerhans, e più in generale

delle DC, è la mobilità: esse migrano ai linfonodi regionali attraverso i dotti

linfatici e nei dotti linfatici dove assumano una morfologia particolare,

estendendo e ritirando ritmicamente le loro lunghe protrusioni citoplasmatiche.

(4)

Le DC costituiscono un sistema unico di cellule capaci di indurre risposte immunitarie primarie, esse organizzano e trasferiscono le informazioni dal mondo esterno alle cellule dell’immunità cellulo-mediata (Bancherau et al., 1999). Infatti, le DC sono cellule presentanti l’antigene (APC) essenziali per l’immunità innata e specifica. Si sviluppano nel midollo dalle cellule staminali (CD34

+

) che possono evolversi in monoblasto, promonocita e andare poi nel sangue come monocita (CD11

+

, CD14

+

) oppure diventare progenitore del linfocita, prolinfocita e, nel sangue, linfocita (Banchereau e Steinman, 1998).

Nei tessuti periferici, le cellule di derivazione monocitica sono i macrofagi (MΦ), le DC interstiziali e le cellule di Langerhans dell’epidermide (Mariotti et al., 2002). Invece, nei tessuti linfoidi abbiamo le DC interdigitate e le DC dei

centri germinali.

Le DC mieloidi si trovano nel sangue in forma immatura, come monociti CD14

+

e sono in grado di trasformarsi, con adeguati stimoli, in DC mature (Zhou e Tedder, 1996). Un'altra popolazione di DC, diverse dalle DC mieloidi, è rappresentata dalle DC plasmocitoidi che rappresentano un sottotipo cellulare unico, capace di rilasciare grandi quantità d’interferone di tipo I (IFN α-β) dopo l’incontro con virus o sotto altro stimolo (Jego et al., 2003).

Esse sono importanti non solo per la produzione di quest’importantissima citochina ad attività antivirale, ma anche per la generazione delle plasmacellule e la risposta anticorpale (Jego et al., 2003).

Le DC migrano verso gli organi linfoidi secondari, dopo l’interazione con i vari

patogeni, dove iniziano la risposta specifica delle cellule T (Banchereau et al.,

2000); ossia sono in grado di attivare le cellule T citotossiche (CTL) o i

(5)

linfociti T helper a seconda se viene espresso il complesso MHC di classe I o di classe II rispettivamente (Banchereau et al., 1998).

Generalmente a livello fenotipico, le DC sono caratterizzate da elevati livelli del complesso maggiore d’istocompatibilità di classe II (MHCII) e di molecole di superficie ad attività costimolatoria come il CD80 e il CD86 (detto anche B 7.1) e altre.

Le DC si ritrovano in genere come cellule immature e in questo stadio

sono in grado d’internalizzare gli antigeni ma hanno una mediocre attività linfostimolatrice; queste si comportano soprattutto come “sentinelle” nei tessuti periferici. E’ solo con l’attivazione da parte di un segnale di pericolo o dopo l’attivazione da parte dei fattori infiammatori che queste vanno incontro al processo di maturazione che fa diminuire la capacità di captare gli antigeni dal mezzo esterno ma, allo stesso tempo, permette di presentare sulla propria membrana gli antigeni in precedenza catturati in associazione con le molecole del MHC contestualmente ad altre molecole costimolatorie.

Quando le cellule sono mature, esprimono sulla loro superficie una certa quantità di molecole che secernano fattori solubili che vanno ad aumentare l’attività linfostimolatrice; inoltre da mature, le DC, sono in grado di migrare ai linfonodi e qui si differenziano in sottopopolazioni grazie a marcatori specifici:

CD1a e CD11c per le mieloidi; CD123 per le plasmocitoidi; CD34

+

per le interstiziali; CD83 per quelle dei gangli (cellule interdigitate).

Lo studio della fisiologia delle DC è molto importante perchè potrebbe

permettere, non solo lo sviluppo di nuovi approcci nell’ambito

dell’immunoterapia del cancro e delle malattie infettive, quali ad esempio

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l’AIDS, ma fornire anche una nuova visione sul funzionamento del sistema immunitario.

3.3 FUNZIONI DELLE DC

Le DC hanno molte proprietà: a) cattura in vivo dell’antigene e migrazione verso i tessuti linfoidi; b) capacità d’innescare l’immunità da parte dei linfociti T CD4 e CD8 (Fig 1).

Una delle funzioni chiave come APC è quella di catturare l’antigene e processarlo a formare il complesso MHC e il peptide antigenico. Il complesso MHC-peptide è il ligando per le cellule T (Steinman, 2001). Le DC inoltre sono specializzate nella captazione dell’antigene e nel suo processamento e presentazione nel contesto dell’ MHC sia di classe I che II. Questo implica che le DC sono in grado di presentare antigeni esogeni a linfociti T CD4

+

che CD8

+

. La base di questa capacità non è ancora stata del tutto spiegata, ma recentemente sono state individuate alcune caratteristiche: 1) l’espressione selettiva per le DC di una lectina, DC-specific intercellular adhesion molecoles 3-grabbing nonintegrin (DC-SIGN), che lega le molecole d’adesione

intracellulare (ICAM 3) sulle cellule T a riposo e migliora l’interazione DC- cellule T (Geijtenbeek et al., 2000);

2) le molecole costimolatrici CD86 non sono solo abbondanti sulle DC (Inaba

et al.,1994), ma sono anche associate con i peptidi MHC presentanti l’antigene

sulla superficie delle DC (Turley et al., 2000).

(7)

E’ stato affermato che in vivo la risposta immunitaria segue due vie: 1) via linfatica afferente, dove le DC dopo aver captato l’antigene si dirigono verso gli organi linfoidi, dove le DC iniziano l’espansione e la differenziazione delle cellule T; 2) via linfatica efferente dove si ha l’attivazione dei linfociti T CD4

+

e CD8

+

presentanti l’antigene, che migrano successivamente nel sito infiammatorio (Steinman, 2001).

Nella risposta immunitaria i linfociti T ricevono tre segnali dalle DC: quello dato dal complesso MHC/Peptide antigenico, quello dato dalle molecole co- stimolatorie e quello dato dalle citochine per la risposta T cellulare sia citotossica, sia regolatoria che consente la differenziazione dell’immunità cellulare di tipo Th1 (con la principale secrezione di IL2, IFN gamma) o Th2 (con la principale secrezione di IL4, 5, 10) (Cella et al., 2000).

Sicuramente la caratteristica più importante delle DC, per la quale sono stati iniziati gli studi su queste cellule, è il loro coinvolgimento nel processo di cross-presentazione, così detto perché non è altro che la presentazione di proteine esogene sull’MHC di classe I alle cellule T CD8

+

(Accapezzato et al., 2005). Infatti le molecole MHC di classe I generalmente presentano peptidi derivati da antigeni endogeni (i.e, virus, tumori, etc.) che sono sintetizzati e processati dentro le cellule (Rock, 1996). Tuttavia alcune APC specializzate sono in grado di presentare antigeni esogeni alle cellule T-CD8

+

(Crowley et al., 1990; Yewdell et al., 1999).

Questo processo, definito come cross-presentazione (Bevan, 1976), è

principalmente eseguito dalle DC in vivo (Crowley et al., 1990; Steinman et al.,

2001; Yewdell et al., 1999) (Fig.2). In questa situazione, la cross-presentazione

(8)

effettuata da iDC induce a tolleranza (Steinman et al., 2003), al contrario nelle mDC innesca una risposta cellula T-CD8

+

contro tumori,infezioni virali, apoptosi cellulare o altre patologie che non infettano ne indeboliscono funzionalmente le APC (Heath et al., 2001; Yewdell et al., 1999) (Lindquist et al., 2002 ; Schulz et al., 2005).

Le DC sono separate in base alle loro due principali funzioni: 1) cattura dell’antigene tipica delle iDC (Fig. 1); 2) stimolazione immunitaria tipica delle mDC.

1) Le iDC che sono addette alla cattura dell’antigene, presentano diversi recettori endocitotici appartenenti alla famiglia delle lectine di tipo C che riconoscono gli antigeni glicosilati. Essi includono proteine espresse specificatamente sulle DC, come il DEC 205 e molti recettori come il recettore del mannosio dei macrogafi (MMR) o recettori Fc (FcR) per le IgE o IgG che media l’internalizzazione dei complessi immuni e che inoltre possono raccogliere una gran quantità di substrati mediante macropinocitosi e fagocitosi (Steinman, 2001; Théry et al., 2001). Alcuni di questi recettori come l’MMR sono internalizzati mediante endosomi precoci, altri come il DEC 205 si ritrovano negli endosomi e nei lisosomi in fase tardiva legati alle molecole di MHC di classe II prima della loro espressione in superficie (Steinman, 2001;

Théry et al., 2001). Un altro recettore delle DC, di cui si è già parlato

precedentemente, è il DC-SIGN che, oltre al ruolo già descritto, permette di

legare le molecole di HIV alle DC permettendo la cosiddetta transinfezione

delle cellule T (Théry et al., 2001), ossia inducendo l’interazione tra DC-cellula

T data dal legame ICAM-3, fa si che le DC che hanno già legato la molecola

(9)

virale, poiché DC-SIGN si lega alla glicoproteina gp120 dell’envelope di HIV- 1, siano in grado di facilitare la trasmissione del virus mediante le DC-SIGN transfettate, alle cellule T CD4 bersaglio (Trumpfheller et al., 2003).

2) Le mDC invece producono grandi quantità di IL-12, in alcuni casi IFN di tipo I e alti livelli di molecole che interagiscono con le cellule T come il CD40 e il CD86,un importante recettore per la chimochina CCr7, e alti livelli del complesso peptide-MHC o di ligando TCR (Steinman, 2001; Lanzavecchia et al., 1995).

Nel 1996 nel topo e nel ratto è stata evidenziata per la prima volta la capacità delle DC di presentare antigeni ai linfociti T CD8

+

ad attività citotossica; solo recentemente alcuni lavori hanno dimostrato tale attività anche nell’uomo (Banchereau et al., 1998; Shortmann et al., 2002).

La capacità delle DC di stimolare una risposta da parte di CTL è mediata da specifici ligandi, sintetizzati dalle DC stesse, appartenenti alla famiglia del TNF, come il TNFα, la linfotossina α

1

β

2

e il FasL (Lu et al., 2002).

3.4 METODI DI COLTIVAZIONE DELLE DC

In passato la ricerca sulle DC era impedita, oltre che dalla scarsa presenza di

queste cellule in circolo, anche dalla mancanza di marker specifici

indispensabili per il loro riconoscimento. Oggi, invece, le DC possono essere

ottenute in numero sufficiente, da cellule progenitrici, presenti nel sangue e

riconoscibili perché CD14

+

, coltivate in presenza di Fattore stimolante le

colonie di granulociti-macrofagi (GM-CSF) ed Interleuchina 4 (IL4) (Dunham

(10)

et al., 2004). Le DC così generate presentano numerose caratteristiche delle DC

immature, inclusa l’espressione di molecole e recettori specifici che catturano l’antigene e guidano queste cellule da e verso i diversi siti dove avviene la risposta immunitaria.

Dai protocolli tradizionali si possono ottenere vari metodi di purificazione e coltivazione delle DC: le DC umane possono essere ottenute da cellule mononucleari di sangue periferico (PBMC) ricavati da sangue eparinizzato isolati su un gradiente di Ficoll e centrifugati per 30 min a 1800 rpm. Da questi, in seguito, vengono purificati i monociti CD14

+

isolati grazie ad anticorpi anti- CD14 umano legati covalentemente a ferro colloidale e coltivate in RPMI 1640 in assenza di siero fetale bovino, cui è aggiunto GM-CSF umano e IL-4 (Hoover et al., 2005; Park et al., 2006).

Inoltre, le DC sono ottenute per adesione in piastra dei monociti, eliminazione delle cellule non aderenti, e aggiungendo alle aderenti GM-CSF e IL-4. Dopo 5-7 giorni, si può ottenere la maturazione per aggiunta d’IL-1β e TNF-α (Qing et al., 2001).

In altri casi come nella generazione di DC umane ad uso immunoterapico nel melanoma, sono stati utilizzati PBMC coltivati in RPMI 1640 in plasma autologo all’1%. Dopo 6 giorni sono stati aggiunti IL-1β, TNF-α, IL-3 e PGE2 (Helmut et al., 2001; Romani et al., 1996).

Dagli anni ‘60 fino agli ‘80 furono ideati numerosi protocolli per l’isolamento

dei monociti tramite un gradiente di densità (Almeida et al., 2000; Lehner et

Holter, 2002). La separazione di cellule e organelli subcellulari mediante

gradiente su percoll per centrifugazione, è stata introdotto nel 1978 (Pertoft et

(11)

al., 1978). Solo nel 1981, però, è stato visto che la purezza dei monociti poteva

essere migliorata mediante l’uso di un gradiente di densità superosmotico (Fluks et al., 1981). La caratterizzazione fenotipica delle cellule così ottenute è fatta sulla base di proprietà che sono tipiche delle iDC. L’osservazione al microscopio ottico delle cellule dopo 6-7 giorni di coltura mostra la tipica morfologia delle DC, generalmente in sospensione oppure semiaderenti. Nel loro stato maturo, è possibile osservarle raggruppate in piccoli clusters in sospensione. Inoltre le DC prodotte in vitro, come le DC isolate direttamente dal sangue, esprimono tutta una serie di molecole di superficie, che includono il CD1a, il CD14 e MHC II, che le contraddistingue dai MΦ o dai monociti circolanti.

3.5 MATURAZIONE DELLE DC

Il passaggio da iDC a cellula completamente matura è un evento fondamentale per l’inizio della risposta immunitaria. Oggi è noto che la maturazione delle DC è iniziata da diversi fattori, principalmente fattori di natura microbica e prodotti infiammatori. Infatti, sia batteri interi che il solo lipopolissaccaride (LPS), e citochine come il TNF-α e altre, stimolano la maturazione delle DC (Fig. 3).

1) Stimoli maturativi

In letteratura sono stati descritti numerosi stimoli che inducono le iDC a

maturare:

(12)

a) LPS: stimola diverse cellule a produrre citochine e chemochine (GM-CSF,

TNF-α, IL-1, MIP-1α) che modulano la maturazione ma anche il movimento verso i tessuti linfoidi delle DC ormai mature e quindi in grado di attivare le cellule T.

b) TNF α: nella sperimentazione di una terapia per il mieloma multiplo, basata

su DC mature, è stato osservato che le iDC in coltura dopo 7 giorni presentavano un alta espressione di MHC di classe II, CD1a, CD40, CD80 e CD86, ma erano CD14 e CD83 negative. Dopo l’esposizione ad IL-1β e a TNF-α le DC maturavano e diventavano CD83

+

inoltre aumentava di circa 10- 20 volte l’espressione di CD80, CD86 e di HLA (Fanger et al., 1999). Il CD83 appartiene alla superfamiglia delle Ig ed è espresso sulla superficie delle DC attivate e dei linfociti B e in misura minore su mitogeni che vanno ad attivare le cellule T (Zhou e Tedder, 1995). La sua espressione è molto bassa nelle iDC, mentre è altamente espresso dopo la differenziazione/attivazione delle DC insieme ad altre molecole co-stimolatrici come il CD80 e il CD86, il quale provvede a stimolare l’attivazione di una risposta immunitaria da parte delle cellule T CD4 (Lechmann et al., 2007).

c) Poly (I:C): Spesso usato in modelli d’infezione virale, è un analogo sintetico

del RNA, l’acido poliribocitidilico poliriboinosinico, il Poly (I:C), un potente induttore dell’IFN che può attivare i monociti a produrre IL-1β, IL-12 e PGE

2

(Akiyama et al., 1985; Manetti et al., 1995). Esso è stato utilizzato in diverse prove cliniche con risultati ottimali (Robinson et al., 1976; Salazar et al. ,1996).

L’effetto del Poly (I:C) sulla maturazione delle iDC è stato studiato e

comparato con gli effetti di supernatanti di monociti attivati che inducano una

(13)

maturazione stabile delle DC. Si è visto che il trattamento delle iDC con Poly (I:C) ha portato ad un aumento dell’espressione delle molecole costimolatrici CD80 e CD83, e del marker CD86 nelle DC (Verdijk et al., 1999). Di conseguenza, la maturazione fenotipica delle DC è accompagnata da una diminuzione dell’attività pinocitotica e dalla produzione d’elevati livelli d’IL- 12 e un trascurabile aumento d’IL-10.

Le DC umane trattate con il Poly (I:C) sono potenti stimolatori della reazione mista leucocitaria (MLR) primaria presentano adeguatamente peptidi per l’Ag dei leucociti umani (HLA) di classe I ristretta ai CTL antigene-specifici. La stabilità della forma matura delle DC è cruciale per l’applicazione in vivo di DC caricate con Ag per i protocolli in immunoterapia. E’ stato quindi osservato che le DC umane trattate con il Poly (I:C) conservano stabile il loro fenotipo per almeno 48 oro in assenza di citochine (Verdijk et al., 1999).

Rimane ancora sconosciuto il meccanismo con il quale il Poly (I:C) induce la maturazione nelle iDC; sappiamo che si lega a specifici recettori dei macrofagi (Brown et al., 1983; Yoshida et al., 1992), ma non si sa se questo legame è accompagnato da internalizzazione o se l’internalizzazione è richiesta per l’attivazione. Inoltre le DC trattate con Poly (I:C) tendono a produrre elevate quantità di IL-12 e basse quantità di IL-10, che è molto importante per i protocolli immunoterapici (Verdijk et al., 1999).

d) Piastrine attivate: L’incubazione di iDC con piastrine CD154 attivate

induce la maturazione delle DC umane e murine, con l’aumento di espressione

dei marker di superficie e dall’aumento di secrezione di citochine quali IL-6 e

IL-12 (Martison et al., 2004);

(14)

e) CD40L: Nella sperimentazione di una immunoterapia in pazienti affetti da

HIV, la maturazione delle DC è stata indotta anche da cellule che esprimevano il CD40 ligando (CD40L) (Granelli-Piperno et al., 2004). E’ stato, infatti, visto che la maturazione delle DC può essere indotta dalla aggiunta del CD40L che oltre ad indurre la maturazione permette un aumento dell’espressione dell’IFN I che coadiuvato dall’ IL-12 promuove una potente polarizzazione Th1 (Cella et al., 2000).

Queste scoperte sono coerenti con l’osservazione che il trattamento di iDC con singole citochine o con una combinazione di citochine come TNF-α, IFN-β, IFN-γ, IL-1β o prostaglandine (PGE

2)

induce, parzialmente o reversibilmente, la maturazione delle DC (Sallusto et al., 1994; Luft et al., 1998).

Indipendentemente dai fattori usati per la maturazione, il profilo delle DC dipende dalle citochine (Cella et al., 1996).

L’IL-12 è un importante iniziatore della risposta delle cellule T di tipo Th1, che è implicata nell’immunità antitumorale o antivirale (Trinchieri, 1998).

L’IL-10 è generalmente considerata come una citochina di tipo Th2. Infatti, l’IL-10 prodotta dalle DC guida le cellule T nella direzione di una risposta immunitaria di tipo Th2 (Kalinski et al., 1997).

In letteratura sono state trovate anche differenze nell’induzione della risposta

immunitaria da parte delle DC immature e mature; infatti, nello studio di una

terapia immunitaria contro il melanoma, è stato osservato che DC maturate in

vitro e iniettate in persone affette da tale forma di cancro inducevano un

incremento della risposta delle cellule T antigene specifiche CD4

+

nella

(15)

maggior parte dei pazienti sottoposti a tale trattamento, diversamente le DC immature solo in una minima parte (Jonuleit et al., 2001).

2) Effetti della maturazione

Con la maturazione le iDC vanno incontro a numerosi cambiamenti fenotipici e morfologici come si può osservare in Figura 3.

Dal punto di vista morfologico le mDC appaiono più grosse e granulose rispetto alle iDC, ricche di vescicole e assumono la tipica forma stellata, data dai sottili dendriti che circondano il corpo della cellula (Fig. 3).

A livello fenotipico le mDC umane, esprimono sulla loro superficie alti livelli di MHC di classe II, ma anche molecole costimolatorie come il CD40, il CD80/86 e nello stadio di differenziazione finale il CD83.

Le mDC si oppongono all’effetto soppressivo dell’IL-10, ma riescono a sintetizzare elevati livelli di IL-12 che aumentano la risposta immunitaria sia innata (cellule natural killer o NK) sia quella acquisita (cellule B e T). Inoltre come già detto sono in grado di esprimere molecole costimolatorie, che interagendo con i recettori delle cellule T ne migliorano l’adesione e la co- stimolazione.

Inoltre sono in grado di indurre diverse risposte immunitarie: 1) attivando i

CTL che esprimono molecole CD8 accessorie, e quindi interagiscono con

MHC di classe I, inducendo una proliferazione inusuale per le cellule T CD8

+

;

2) Le cellule T CD4 helper interagiscono invece con le cellule che esprimono

MHC di classe II, le quali in presenza di mDC e IL12 da esse prodotta, queste

cellule T mutano in cellule Th1 secernenti IFN γ il quale promuove la risposta

(16)

fagocitarla dei MΦ e insieme a IL12, promuove la differenziazione delle cellule T in cellule killer.

Infine con la maturazione le DC perdono si la capacità di fagocitare gli antigeni, ma assumano la capacità di muoversi.

3.6 ESPERIMENTI DI IMMUNOTERAPIA CON LE DC

L’ impiego delle DC in campo medico, fino ad ora, è stato prevalentemente utilizzato nello sviluppo di immunoterapia nei carcinomi e melanomi (Nestle et al., 1998) (Fig. 4).

Nello sviluppo di una terapia per combattere il mieloma multiplo, è stato osservato che l’utilizzo di mDC, in pazienti affetti induceva una risposta cellulare e umorale primaria, con la stimolazione delle DC a secernere IFN-γ per indurre la proliferazione di cellule T (Qing et al., 2001).

Un'ulteriore terapia sviluppata per indurre un immunità antitumorale o antivirale propone l’utilizzo di DC derivanti dal midollo osseo e maturate con CD40L o LPS, capaci d’indurre un immunità antitumorale grazie all’elevata secrezione di IL-12 e ad un efficace stimolazione delle cellule T, in quanto l’IL-12 induce la polarizzazione della risposta immunitaria Th1 ed è anche una potente induttrice del’IFN-γ e del TNF-α prodotte dalle cellule T e dalle NK nello sviluppo di una risposta immunitaria cellula mediata (Labeur et al., 1999).

Oltre ad una terapia immunitaria, le DC sono state utilizzate anche per lo studio

di un immunoprofilassi in pazienti affetti da melanoma allo stadio VI. Infatti,

DC differenziate con un peptide tumorale (MAGE-3), inducevano cellule T

(17)

CD8

+

antigene specifiche e produzione di IFN-γ in pazienti affetti da questo tumore, permettendo una futura strategia nell’immunoterapia antitumorale (Schuler et al., 2000).

Oltre all’utilizzo delle DC per la cura di tumori, se ne sta valutando un impiego anche nella terapia antiretrovirale, soprattutto contro il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e di scimmia (SIV) (Lu et al., 2004; Lu et al., 2003). E’ stato osservato infatti che, sebbene la normale risposta

immunitaria non riesce a eradicare l’infezione da HIV, una vigorosa risposta delle cellule T CD4

+

specifiche per l’HIV-1 si può associare con il controllo della viremia nell’infezione progressiva e a lungo termine degli individui (Rosemberg et al., 1997; Harari et al., 2004). Infatti, un precoce intervento con una terapia ad alta attività antivirale durante o poco dopo un infezione acuta è associata con un miglioramento della risposta delle cellule Th-CD4

+

specifiche per HIV-1 (Malhotra et al., 2000; Oxenius et al., 2000). Successivamente è stato osservato che tale terapia ad alta attività antivirale induceva una progressiva perdita delle APC richieste per l’induzione della risposta immunitaria.

Da quanto è stato visto, quindi, le DC, le più potenti APC, hanno un ruolo chiave nell’iniziazione e nel mantenimento della risposta immunitaria contro virus, ed infatti, in persone con una progressiva infezione da HIV sono state trovate indebolite (Mcllroy et al., 1998; Pacanowski et al., 2001).

Recenti studi hanno mostrato che il trasferimento di DC autologhe caricate, in

vitro, con HIV/AT2 inattivato induceva immunità protettiva antivirale nei

PBMC-SCID dei topi (Lapenta et al., 2003; Yoshida et al., 2003). Sulla base di

(18)

tali dati le DC derivate da monociti autologhi e stimolate con HIV intero inattivato sembrano capaci di indurre un effettiva risposta specifica delle cellule T associata con una sostanziale soppressione virale.

In questo caso la terapia vaccinica si poneva due obiettivi: 1) Indurre una forte e duratura risposta cellulare che controllasse la relazione virale, stabilendosi per lungo tempo nel tessuto linfoide; 2) ridurre, ad un livello più basso possibile, la carica virale nei pazienti infetti da HIV-1 al fine di minimizzare il rischio di trasmissione ad altre persone (Lu et al., 2004).

L’immunoterapia con DC generate ex vivo è stata recentemente sperimentata

sulle scimmie affette da SIV e in pazienti con AIDS ed è stato dimostrato che,

in entrambi i casi, tali DC hanno aumentato la risposta immunitaria protettiva

(Lu et al., 2003; Lu et al., 2004). Sono stati inoltre pubblicati i risultati di studi

clinici effettuati anche sull’uomo in cui DC trattate con antigeni tumorali sono

state adoperate per dar luogo a risposta immune contro tumori maligni in

pazienti oncologici (O'Neil and Bhardwaj, 2005). Poiché captazione

dell’antigene da parte delle DC, maturazione e migrazione sono eventi tanto

cruciali per il funzionamento delle DC come APC quanto imprevedibili in vivo,

la ricerca attuale sulle DC è in gran parte dedicata allo studio di metodiche per

la somministrazione dell’antigene alle DC in vitro: nel tentativo di sviluppare

strategie di vaccinazione efficaci, vengono studiati nuovi metodi per la

somministrazione (delivery) di antigeni, adiuvanti e immunostimolanti che,

utilizzati con antigeni noti, possano stimolare le difese immunitarie a dare una

risposta protettiva (Schijns. 2000).

(19)

3.7 IL MODELLO FELINO

Il modello animale più vicino all’uomo per lo studio dell’infezione con HIV è costituito dallo scimpanzè in quanto è un primate non umano che può essere infettato da HIV. Tuttavia lo scimpanzè quando infettato con HIV sviluppa una patologia molto attenuata e comunque non progressiva come la sindrome umana. Il costo e i motivi etici, tuttavia, ne limitano l’uso come modello animale.

Nel 1987, Pedersen isolò il virus dell’immunodeficienza felina (FIV) dai leucociti di sangue periferico di gatti domestici, affetti da un virus con caratteristiche simili all’HIV realizzando che poteva essere usato come modello animale per lo studio dell’HIV ( Pedersen et al., 1987 ).

Il gatto, negli ultimi anni, si è dimostrato molto utile come modello per lo studio dell’infezione da FIV da parte di molti studiosi (Elder et al., 1998).

L’uso del gatto come modello animale, rispetto alla scimmia, presenta numerosi vantaggi dovuti alla reperibilità di soggetti naturalmente infetti, il minor costo per l’acquisto e la stabulazione degli animali, l’assenza di rischio di contagio per l’uomo.

L’infezione da FIV nel suo ospite naturale si è rivelato un ottimo modello

animale. Infatti, la sindrome data da FIV nel gatto è molto simile a quella data

da HIV sia dal punto di vista immunopatogenico che clinico. Tale infezione,

(20)

infatti, è caratterizzata da una progressiva compromissione del sistema immunitario dell’ospite che porta in seguito alla morte dell’animale, in seguito ad infezioni di tipo opportunistico.

Un'altra omologia FIV/HIV si ha sia dal punto di vista molecolare:

organizzazione del genoma, replicazione virale, effetto citopatico in vitro, tropismo per i macrofagi e linfociti T.; sia dal punto di vista fenotipico, in quanto FIV come HIV è presente sottoforma di diversi sottotipi virali e questo permette di sperimentare l’efficacia dei vaccini per challernge eterologhi.

Inoltre, il modello felino presenta anche il vantaggio di essere meno artificiale del topo e, fra gli animali di dimensioni medio-grandi, molto meno impegnativo della scimmia e, poiché non è un modello animale singeneico, produce risultati e problematiche simili a quelli che si ottengono in una popolazione umana. Questo dipende dal fatto che, come già detto, il FIV mostra caratteristiche biochimiche e morfologiche simili all’HIV e induce nel gatto, l’ospite naturale,un’infezione che causa una progressiva compromissione delle funzioni immunitarie, terminando in una sindrome analoga all’AIDS, definita AIDS felino (Bendinelli et al., 1995; Yamamoto et al., 1991).

In letteratura si ritrovano diversi studi sulle DC per la sperimentazione di una

immunoterapia contro HIV (Lu et al., 2004), SIV (Lu et al., 2002), ma non

contro FIV.

(21)

3.8 SCOPO DELLA TESI

Dalla scoperta del loro ruolo nella risposta immunitaria, nel 1973 grazie a Steinman, sono stati studiati diversi metodi per la generazione di DC a partire da PBMC del sangue periferico (Steinman, 1991).

Tali studi, tuttavia, sono limitati alla specie umana e a poche altre specie. In particolare sono molti pochi gli studi in merito alla coltivazione e alla caratterizzazione delle DC feline. Anche se l’infezione da FIV nel gatto è stata per molto tempo studiata come modello per l’AIDS umano, ancora oggi, si conosce molto poco sul ruolo svolto dalle DC feline in questo contesto.

In questo lavoro, basandoci sulla conoscenza attuale delle DC umane descritta in Letteratura, ci si è posto tre scopi:

1) Stabilire le condizioni ottimali per riuscire a produrre, da PBMC felini, un congruo numero di DC feline da utilizzare a scopo clinico;

2) Ottenere iDC in assenza di proteine xenogeniche, quali l’FCS e citochine umane, al fine di evitare una risposta immunitaria verso queste al momento del reinoculo delle DC nei gatti.

3) Individuare, basandoci su quanto noto in Letteratura sulle DC umane, i migliori stimoli per indurre un’ottimale maturazione delle iDC feline;

4) Definire i parametri che permettono di prevedere la capacità delle mDC di attivare la risposta immunitaria, in vivo, in esperimenti d’immunoprofilassi/

immunoterapia, ossia individuare i marcatori correlati con la maturazione.

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