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Le procedure sperimentali sono state eseguite presso i laboratori dell’Istituto di

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PREMESSA

La presente tesi di laurea è frutto di una collaborazione con l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa.

Le procedure sperimentali sono state eseguite presso i laboratori dell’Istituto di

Fisiologia Clinica del CNR di Pisa e gli animali sono stati stabulati presso il

Centro di Biomedicina Sperimentale del CNR di Pisa. Gli esperimenti sono stati

condotti in accordo con il Decreto Legislativo 116 del 27 gennaio 1992 in

materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini

scientifici.

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1. INTRODUZIONE

Le alterazioni patologiche delle arterie possono essere distinte in arteriosclerosi, arteriolosclerosi ed aterosclerosi.

L’aterosclerosi è caratterizzata dallo sviluppo di lesioni intimali dei vasi arteriosi definite ateromi o placche ateromatose e/o fibroadipose, che protrudono all’interno del lume vasale ostruendo ed indebolendo la tunica media sottostante, predisponendo all’insorgenza di gravi complicanze.

Estremamente diffusa nell’uomo, l’aterosclerosi rappresenta un’entità nosologica che appare in special modo nell’età senile e presenile ed è al primo posto nel mondo occidentale fra le cause di morte o di grave invalidità.

È responsabile di gravi disturbi circolatori, ad esempio la trombosi delle coronarie, che ha un’incidenza in costante aumento.

La patologia aterosclerotica si manifesta anche negli animali domestici, specialmente nel coniglio, nel cane e nel suino, ma soltanto in animali che raggiungono l’età senile, o in animali gravemente iperlipoproteinemici per cause genetiche od endocrine (ipotiroidismo nel cane), può talvolta provocare complicanze trombotico-ischemiche infartuali nel cuore o nel sistema nervoso centrale. È quindi prevalentemente nell’uomo, data la sua longevità, che si manifestano con frequenza quelle turbe circolatorie (stenosi arteriosa, trombosi, emorragie) che sono l’espressione terminale dei processi lenti e progressivi dell’aterosclerosi.

La classificazione dell’American Heart Association divide le lesioni

aterosclerotiche in 6 categorie, iniziando dalla presenza isolata di cellule

schiumose (“macchie lipidiche”), passando per le strie lipidiche, gli ateromi, ed i

fibroateromi, fino allo sviluppo delle cosiddette lesioni complicate.

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Le placche aterosclerotiche si sviluppano soprattutto nelle arterie elastiche (aorta, carotidi, arterie iliache) ed in arterie muscolari di grande o medio calibro (coronarie, arterie poplitee).

Nelle piccole arterie, gli ateromi possono occludere il lume, compromettendo il flusso ematico diretto agli organi periferici, fino a determinare un danno ischemico. Le placche possono frammentarsi e favorire la formazione di trombi friabili che rilasciando emboli nel torrente ematico contribuiscono a creare ulteriori ostruzioni nel flusso distale.

Nelle grosse arterie, le placche insidiano la tunica media sottostante ed indeboliscono la parete dei vasi affetti, favorendo così la formazione di aneurismi che possono poi rompersi.

I processi chiave nello sviluppo della patologia aterosclerotica sono rappresentati dall’ispessimento intimale e dall’accumulo di lipidi. Le placche ateromatose sono caratterizzate da una lesione focale rilevata rispetto alla superficie endoluminale, che origina nella tunica intima. Esse sono dotate di un nucleo di consistenza molle e colorito giallastro, ricco di lipidi (colesterolo), rivestite da un solido cappuccio fibroso, di colore bianco lattescente. Le componenti principali che costituiscono le placche aterosclerotiche sono: gli elementi cellulari (cellule muscolari lisce, macrofagi), la matrice extracellulare (collagene, fibre elastiche, proteoglicani), i depositi intracellulari ed extracellulari di lipidi. Le proporzioni relative di queste tre componenti variano nelle differenti lesioni.

Secondo la caratteristica distribuzione delle placche aterosclerotiche nell’uomo,

l’aorta addominale è in genere interessata in maniera molto più cospicua di

quella toracica e le lesioni tendono ad essere molto più severe nelle aree

circostanti gli osti delle principali ramificazioni.

3,4

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Considerata la gravità e la relativa frequenza con la quale si sviluppa la patologia aterosclerotica, sono numerose le indagini condotte al fine di caratterizzare la morfologia delle lesioni e studiarne l’evoluzione nel tempo.

Lo sviluppo, ottenuto nel corso degli anni, di innovative tecniche di “imaging”

capaci di rendere possibile la valutazione morfologica ed il monitoraggio delle lesioni aterosclerotiche, attraverso la visualizzazione in vivo di queste, è strettamente correlato all’utilizzo di modelli animali capaci di mimare i processi patologici che si verificano nell’uomo.

Il presente lavoro di ricerca, centra l’attenzione sull’utilizzo del coniglio come modello aterosclerotico capace, attraverso la somministrazione di una dieta ad elevato contenuto lipidico, in combinazione con l’induzione di una lesione endovascolare, di sviluppare le tipiche lesioni aterosclerotiche, molto vicine a quelle umane.

L’utilizzo delle tecniche di “imaging”, viene integrato con l’osservazione anatomopatologica del tratto toraco-addominale dell’aorta e con la valutazione dei principali distretti organici.

Tali valutazioni permettono di mirare le indagini sulle modificazioni fisiopatologiche conseguenti alla patologia aterosclerotica ed allo stato di ipercolesterolemia indotto nel modello animale.

Alla luce di quanto affermato, con questo lavoro di ricerca, si intende fornire le basi per ampliare le conoscenze sull’efficienza ed efficacia delle tecniche di

“imaging” nel rendere possibile, in vivo, lo studio della patologia aterosclerotica indotta sperimentalmente in un modello animale valido quale il coniglio.

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2. STRUTTURA DELLE ARTERIE

2.1 Anatomia

1

Le arterie si presentano come strutture cilindriche di colore bianco-roseo e di consistenza elastica. La loro funzione è quella di trasportare il sangue e consentire, a livello dei tessuti, gli scambi tra questo e i liquidi intercellulari.

Nelle arterie il sangue scorre in direzione centrifuga (dal cuore verso gli organi).

Nei tessuti, le ultime diramazioni delle arterie (arteriole) si risolvono in un’amplissime rete di capillari dalla parete molto sottile, da cui iniziano i primi tratti delle vene (venule).

La parete delle arterie è formata, procedendo dal lume verso l’esterno, dalle tuniche intima, media e avventizia.

La tunica intima consta di una lamina di cellule appiattite, l’ endotelio , che poggia su una membrana basale e di uno strato sottoendoteliale , di tessuto connettivo. In questo sono presenti più piani di fibre collagene ed elastiche, con direzione diversa, e poche fibre muscolari lisce. Al confine con la media, la componente elastica dell’intima si individua spesso come una lamina fenestrata, la membrana limitante interna. Nella maggioranza dei vasi, le cellule endoteliali formano un rivestimento continuo e sono connesse da giunzioni occludenti e comunicanti (giunzioni serrate).

La tunica media è formata da tessuto connettivo e da fibre muscolari lisce, in

proporzione diversa a seconda del calibro dei vasi. Nella componente

connettivale, numerose sono le fibre collagene ed elastiche. Queste ultime

possono essere organizzate in fasci e lamine isolate oppure poste in modo

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concentrico e collegate tra di loro. Alla periferia della tunica media, le lamine elastiche si associano a costituire la membrana limitante esterna.

La tunica avventizia è di natura connettivale. Contiene fasci di fibre collagene ed elastiche e una quantità limitata di fibre muscolari lisce. Nell’ambito di questo strato si riscontrano anche linfatici, fibre nervose e vasi (vasa vasorum).

Nel corpo le arterie assumono spesso andamento rettilineo e hanno posizione profonda e in molti casi sono accompagnate da una o più vene ( vene satelliti).

Alcune arterie, destinate a irrorare visceri che vanno in contro a variazione di volume o di disposizione, possono presentare un andamento flessuoso.

Procedendo dal cuore verso la periferia, le arterie si suddividono molte volte e lo fanno secondo due modalità principali. Nella prima, chiamata divisione di tipo monopodico, il vaso dà origine ad un collaterale senza perdere per un lungo tratto la propria individualità. Alla fine si esaurisce in un ramo terminale. Nella seconda, chiamata divisione di tipo dicotomico, l’arteria si risolve, a ogni divisione, in due vasi di diametro equivalente.

Le diramazioni delle arterie sono definite di tipo terminale quando il territorio da esse irrorato non è raggiunto da altri vasi. Di solito però tra i vasi si stabiliscono dei collegamenti, le anastomosi, le quali sono di grande importanza in quanto consentono, in caso di necessità, l’istaurarsi di circuiti alternativi e possono regolare il flusso del sangue in un certo territorio in base alle esigenze funzionali del momento.

Le arteriole rappresentano gli ultimi tratti dell’albero arterioso e si continuano

nei capillari. Di diametro piuttosto vario (da 30 a 300 µ) hanno un’intima con

strato endoteliale ridotto, contenente poche fibre collagene ed elastiche. La

membrana limitante interna è sottile. Nella media si trova un solo strato (di rado

due) di fibre muscolari con andamento spirale. Nel loro tratto terminale, le

arteriole presentano un restringimento conico nella cui media le fibre muscolari

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componente muscolare può variare di molto l’afflusso di sangue ai capillari.

L’avventizia è sottile e accoglie anche macrofagi, mastociti, e terminazioni nervose di tipo vegetativo. In vari distretti le arteriole possono essere connesse da tratti anatomici con le venule (anastomosi arterovenose) , che se attivate possono escludere il circolo capillare della zona.

Le arterie propriamente dette possono essere di tipo elastico o di tipo muscolare.

Le arterie di tipo elastico sono quelle di calibro maggiore che dal cuore si portano alla periferia (aorta, tronco e arterie polmonari, tronco brachiocefalico, carotide comune, succlavie, iliache, ecc.). Loro carattere distintivo è la prevalenza nella media di lamine elastiche, per cui ad ogni sistole, sotto la pressione del sangue spinto dal cuore, la loro parete cede parzialmente, per tornare nella posizione normale durante la diastole. Queste oscillazioni del calibro contribuiscono a rendere regolare il flusso del sangue nei vasi periferici, mantenendolo costante nonostante l’intermittenza del battito cardiaco.

Nelle arterie elastiche, l’intima, spessa oltre 100 µ, presenta una membrana elastica interna molto netta. Nella media, relativamente sviluppata, le lamine elastiche sono spesse 2-3 µ e costituite da nastri fenestrati e intrecciati tra le cui maglie si trovano poche fibre muscolari lisce. L’avventizia ospita vasi sanguiferi, linfatici e fibre nervose, che si approfondano poi nella parte più periferica della media. Nei rami derivati dalle arterie elastiche, si osserva, con la riduzione del diametro, un progressivo incremento della componente muscolare.

Le arterie di tipo muscolare sono quelle di medio e piccolo calibro. La loro

intima non differisce da quella delle arterie elastiche, ma, nei punti di

suddivisione di alcune arterie di medio calibro, essa può costituire dei cuscinetti

che protrudono nel lume. La media è composta prevalentemente da fibre

muscolari lisce che si dispongono in più strati, in ciascuno dei quali assumono

orientamento longitudinale o spirale. L’avventizia ha un discreto spessore; è

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formata da tessuto connettivale che nella porzione più superficiale è di tipo lasso. In queste arterie, a mano a mano che diminuisce il calibro, la tunica media si assottiglia e le fibre muscolari diminuiscono di numero.

2.2 Istologia

Arterie elastiche

2

Le grandi arterie elastiche, quali l’aorta, la polmonare, la brachiocefalica, la succlavia, la carotide comune e l’iliaca comune, sono provviste di pareti costituite, nella tonaca media, da numerose lamine fenestrate di elastina. Per la predominanza dell’elastina, se esaminate a fresco, le pareti talvolta appaiono di colore giallastro.

La tunica intima di queste arterie è costituita da un sottile strato cellulare di tipo pavimentoso, separato dalla lamina elastica interna da tessuto connettivo lasso contenente pochi fibroblasti, sporadiche cellule muscolari lisce e poche fibre collagene. L’endotelio fornisce al vaso un rivestimento liscio ed una barriera di diffusione parzialmente selettiva fra sangue e tuniche esterne del vaso sanguigno. Le sue cellule mostrano un contorno poligonale; la loro larghezza è di 10-15 µm, la lunghezza di 25-50 µm, ed il loro asse maggiore è orientato longitudinalmente.

Le cellule endoteliali contengono tutti i comuni organuli, di solito posti nella

regione più spessa del citoplasma, intorno al nucleo appiattito e situato in

posizione centrale. Esse si rinnovano lentamente e solo di rado appaiono in

mitosi. Le loro membrane, rivolte rispettivamente verso il lume e verso le altre

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trasporto transendoteliale di acqua, elettroliti ed alcune macromolecole. Talora brevi e tozzi processi si estendono dalla base delle cellule endoteliali attraverso le fenestrature della lamina elastica interna stabilendo giunzioni con le cellule muscolari lisce della media.

Al microscopio elettronico, nell’endotelio arterioso, si osservano inclusioni citoplasmatiche bastoncellari, chiamate corpi di Weibel-Palade. Si tratta di strutture delimitate da membrana con un diametro di circa 0,1 µm e lunghe fino a 3 µm, che contengono elementi tubulari, situati in una matrice moderatamente densa. Sono la sede di accumulo del fattore di von Willebrand , una glicoproteina molto voluminosa sintetizzata in tutto il sistema vascolare dalle cellule endoteliali, ma depositata all’interno dei corpi di Weibel-Palade soltanto negli endoteli arteriosi. Tale fattore viene secreto di continuo nel plasma sanguigno e rappresenta una delle componenti principali dell’aggregazione e dell’adesione piastrinica, ovvero serve a formare un coagulo nei punti di lesione delle pareti dei vasi.

La tunica media delle arterie elastiche è costituita da lamelle multiple concentriche e fenestrate di elastina, che si alternano con sottili lamine di cellule muscolari lisce disposte circolarmente e da fibre collagene e di elastina poste in una matrice di proteoglicani extracellulari. Le lamelle elastiche e le altre componenti extracellulari vengono secrete dalle cellule muscolari lisce.

La lamina elastica interna è meno evidente rispetto alle arterie muscolari, in

quanto rappresenta semplicemente la più interna tra le molteplici la mine

elastiche della parete. Negli animali adulti queste ultime possono ammontare a

50 e oltre nell’aorta toracica e nell’aorta addominale. La configurazione

tridimensionale delle componenti elastiche della parete vascolare è difficile da

visualizzare nelle sezioni istologiche. Esaminando l’elastina, dopo aver rimosso

le altre componenti parietali, si evidenzia che le lamelle elastiche dispongono di

fenestrature relativamente ampie, variabile per forma e dimensioni e che le

lamelle in successione sono unite fra loro da sottili fasci di elastina. A causa

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della predominanza di elastina nelle grandi arterie elastiche, le fibrocellule muscolari lisce rappresentano soltanto una frazione relativamente piccola della tunica media. Nell’aorta di coniglio, la componente muscolare liscia costituisce solo il 35% dello spessore della parete, mentre ne rappresenta invece il 74% del volume dell’arteria tibiale, che è un’arteria di distribuzione.

La tunica avventizia delle arterie elastiche è piuttosto sottile ed è costituita da fibroblasti, da fasci longitudinali di fibre collagene e da un lasso reticolo di fibre elastiche. Le pareti delle arterie elastiche maggiori sono troppo spesse per poter essere nutrite per diffusione dal lume del vaso. Queste arterie dispongono, al loro interno, di una microvascolarizzazione, costituita da piccoli vasi (vasa vasorum) che si ramificano sulla superficie dei vasi di diametro maggiore formando nell’avventizia una rete dalla quale i capillari penetrano nelle rete esterna della media. La profondità alla quale i capillari si spingono non è costante, ma almeno la metà esterna ed i 2/3 della parete possono ricevere sostanze nutritive e ossigeno dai vasa vasorum. Tuttavia, una parte considerevole dello spessore della parete dipende, per la nutrizione, dalla diffusione dal lume. Si ritiene che la fenestrazione delle lamelle elastiche faciliti la diffusione di sostanze nutritizie. Il sangue viene poi drenato in piccole vene che confluiscono in vene adiacenti di dimensioni maggiori.

Arterie muscolari

2

Con la progressiva diminuzione di calibro e di spessore della parete, le arterie

elastiche hanno origini e ramificazioni laterali dotate di pareti che contengono

meno elastina e più tessuto muscolare. Le arterie muscolari o di distribuzione

comprendono le arterie brachiale, femorale, radiale e poplitea con le loro

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diramazioni e costituiscono la maggioranza dei vasi del sistema arterioso. Le

loro dimensioni sono molto varie ed il diametro può ridursi fino a 0,5 mm.

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3. ATEROSCLEROSI IN MEDICINA VETERINARIA E COMPARATA

3.1 Arteriosclerosi

3

Alcune alterazioni degenerative delle arterie sono accompagnate da fenomeni proliferativi dei miociti che producono un eccesso di collagene (fibrosi). Ne deriva un indurimento della parete vasale, una perdita di elasticità ed un restringimento del lume. Questa condizione è indicata con il termine di arteriosclerosi ed ha luogo prevalentemente durante i processi fisiologici di invecchiamento in tutti i vertebrati. Tuttavia, trattandosi di un processo a lentissimo sviluppo, soltanto nell’uomo e in animali particolarmente longevi, può portare a una vera malattia causando disturbi circolatori.

Nell’arteriosclerosi si distinguono delle varianti:

• la sclerosi arteriosa tipo Mönckeberg, dove il fenomeno primario e dominante è la calcificazione della media di arterie di tipo muscolare di medio e piccolo calibro;

• la sclerosi intimale, ispessimento mioelastico limitato all’intima;

• l’elastosi intimo-mediale delle arterie uterine, iperplasia delle lamine elastiche dell’intima e della media;

• l’arteriolosclerosi, di regola strettamente correlata a situazioni di ipertensione;

• l’aterosclerosi, dove ha carattere preminente, anche sul piano istogenetico,

l’accumulo di lipidi nell’intima.

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3.2 Sclerosi calcifica arteriosa tipo Mönckeberg

3

La sclerosi calcifica tipo Mönckeberg, o calcificazione pura della media , è una forma tipica dell’uomo di oltre 50 anni e colpisce determinate aree di calibro medio-piccolo (femorali, tibiali, poplitee, ulnari, radiali, pelviche, uterine, tiroidee, coronarie) e risulta spesso correlabile a prolungati stadi vasospastici. La tunica media arteriosa presenta una calcificazione compatta, distribuita in brevi e ripetuti segmenti quasi anulari o diffusa per tratti continui.

Il fenomeno può essere o meno associato a lesioni arteriosclerotiche, e perciò si tende a considerarlo quale espressione di un’affezione diversa.

Nell’animale la sclerosi calcifica arteriosa è stata ottenuta sperimentalmente con infusione prolungata di vasocostrittori (adrenalina, nicotina). Tuttavia la sclerosi calcifica tipo Mönckeberg differisce dalle forme spontanee di calcificazione primaria della media degli animali soprattutto per le arterie interessate. Infatti negli animali, nelle forme legate all’età, sono colpite in primo luogo le arterie di grosso calibro di tipo elastico, mentre nelle forme eziopatogeneticamente definite ( ad esempio nella calcinosi enzootica), possono essere coinvolte indistintamente tutte le arterie, al contrario nell’uomo sono colpite determinate arterie medio piccole.

Nei conigli di 6 settimane e oltre di età è abbastanza frequente una forma di

calcificazione della media che è stata avvicinata alla sclerosi calcifica tipo

Mönckeberg, ma che ne differisce per la localizzazione in arterie di grosso

calibro e specialmente nell’aorta. In conigli anziani ipercalcemici sono segnalati

rari casi di calcificazione e sclerosi arteriosa generalizzata con sintomi clinici.

(14)

3.3 Sclerosi intimale

3

In vari mammiferi (bovino, cavallo, suino, cane, gatto) si manifestano lesioni di sclerosi intimale (c.d. ispessimenti intimali o placche intimali ) come alterazione legata all’invecchiamento.

L’aorta addominale è la sede costantemente interessata, ma anche le arterie periferiche e polmonari, nonché l’aorta toracica, manifestano tale alterazione.

Nelle grosse arterie si possono osservare macroscopicamente corrugamenti dell’intima o piatti rilievi più o meno evidenti di colore biancastro e di forma ovale o lineare.

Queste lesioni sono spesso più distinte all’imbocco dei rami collaterali dell’aorta. Ciò suggerisce che nella loro patogenesi, entrino in gioco fattori emodinamici, in relazione alla turbolenza del flusso sanguigno in corrispondenza degli orifizi di questi vasi.

Istologicamente l’alterazione iniziale è la c.d. degenerazione mucoide, cioè un accumulo di glicosaminoglicani (matrice extracellulare mucoide) nell’intima, che di conseguenza manifesta aspetto edematoso.

Un’altra alterazione iniziale riguarda la lamina elastica interna, che diventa regolare, con parziali replicazioni e discontinuità. I miociti intimali, che risiedono al di sotto dell’endotelio o che migrano dalla media nello spazio intimale attraverso le discontinuità della lamina elastica interna, proliferano e producono fibre collagene e fibre elastiche. Queste ultime possono formare diversi strati concentrici irregolari lungo la lamina elastica interna (c.d.

duplicazione della lamina elastica interna).

A seconda della prevalenza, nella placca fibrosa, di matrice extracellulare, cioè

di sostanza fondamentale mucoide (glicosaminoglicani) o di miociti, si può

parlare rispettivamente di placca fibromixoide e di placca fibrocellulare.

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cellule proliferate si nota un accumulo più denso di collagene ed elastica (proliferazione fibroelastica intimale). In presenza di scarse cellule e di ispessimento intimale costituito soprattutto da connettivo denso fibroialino, la placca viene denominata placca fibrosa o fibroelastica. Nelle placche di sclerosi intimale, soprattutto nel suino, è presente talvolta una certa quantità di lipidi. La quota minoritaria di questa componente lipidica non può deviare la diagnosi verso le forme propriamente aterosclerotiche, ma riflette comunque la complessità della arteropatie regressive che in certi casi non presentano linee di confine nettamente delineate.

Una proliferazione fibroelastica intimale, con prevalenza della componente fibrosa e con stenosi più o meno grave, è frequentissima nelle arterie coronarie intramurali dei cavalli. È stato determinato un rapporto diretto tra la frequenza di queste lesioni e la progressione dell’età: cavalli di 1-5 anni (23%); di 6-10 anni (64%); di 5-15 anni (85%).Proliferazioni fibroelastiche intimali sono frequentemente rilevabili anche nelle arterie cerebrali di cavalli di 8-23 anni di età.

Ispessimenti intimali concentrici o eccentrici si trovano molto frequentemente nelle coronarie intramurali dei suini di 9 mesi e oltre. L’ispessimento è costituito da proliferazione mioelastica oppure da edema mucoide (accumulo di glicosaminoglicani) associato a proliferazione di collageno immaturo. Queste alterazioni vascolari stenosanti possono avere relazione con la micronecrosi miocardia (necrosi migliare) ischemica disseminata nel suino. Possono perciò costituire un substrato patogenetico dell’insufficienza cardiovascolare acuta che si manifesta nel suino, specialmente per lo stress durante il trasporto al macello.

Le lesioni vascolari sopra ricordate si trovano anche nei cinghiali, ma la loro frequenza risulta 1/3 di quella dei suini.

Gli ispessimenti intimali mioelastici sono relativamente comuni anche nelle

coronarie intramurali dei cani anziani, dove si possono trovare associati a

ialinosi. Una necrosi migliare del miocardio può conseguire a tali arteriopatie.

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La sclerosi dell’intima con ispessimento mioelastico non è solamente tipica delle lesioni arteriose dell’invecchiamento. Può manifestarsi anche in condizioni assai diverse: tragitti parassitari (larve di Strongylus vulgaris, Oncocerca armillata, Dirofilaria immitis); in concomitanza con la calcificazione della media;

nefropatie croniche (ipertensione renale); feocromocitomi (tumori adrenalino- secernenti delle surrenali); ipertensione del piccolo circolo (insufficienza cardiaca, embolia polmonare, fibrosi polmonare); in distretti sedi di infiammazione cronica; nella cirrosi epatica; in tessuti neoplastici.

3.4 Elastosi intimo-mediale delle arterie uterine (angiosi uterina)

3

Un’estesa iperplasia delle lamine elastiche dell’intima e della media (elastosi intimo mediale) accompagnata da atrofia della muscolare media è la caratteristica dominante di una modificazione delle arterie uterine che avviene nel quadro dei processi involutivi dell’utero dopo il parto (c.d. sclerosi gravidica, angiosi uterina).

L’alterazione è riconosciuta nella donna ed in vari animali domestici (bovini, piccoli ruminanti, bufali, cavalli e suini). Macroscopicamente le arterie nella parete dell’utero appaiono notevolmente ispessite e assumono un decorso tortuoso, spiraliforme.

Queste lesioni vascolari uterine sono state studiate soprattutto nelle cavalle. Vasi uterini normali si trovano soltanto nelle cavalle vergini giovani, nelle cavalle vergini più vecchie è presente una moderata sclerosi intimale ed avventiziale.

L’incidenza e la gravità dell’angiosi aumenta con il numero delle gravidanze e

con l’età. Nelle giumente pluripare si rilevano lesioni simili a quelle segnalate

nelle c.d. sclerosi gravidica delle altre specie: sfilacciamento e distruzione della

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della media, elastosi e fibrosi intimale, mediale e avventiziale, calcificazioni della media.

L’aumento delle fibre elastiche dell’intima sembra rappresentare una compensazione per l’atrofia e la scomparsa dei miociti della media, ossia per rinforzare la parete vasale indebolita da stress meccanici. La correlazione patogenetica con la gravidanza si deduce dalle indagini microscopiche in giumente dopo il primo parto, che rivelano distruzione dell’elastica interna, alterazione dei miociti e fibre elastiche immature nell’intima e nella zona interna della media.

L’alterazione può segnalare un rimodellamento attivo indotto da turbe emodinamiche e ormonali nella gravidanza e nel puerperio. Verosimilmente è l’alternarsi dei cicli di accrescimento dei vasi durante la gravidanza seguiti dall’involuzione post partum a determinare progressivamente le alterazioni vasali di tipo regressivo che si rilevano nelle giumente pluripare.

Sono da valorizzare come fattori patogenetici aggiuntivi i processi di

invecchiamento, l’infiammazione cronica e la brevità di intervalli tra le

gravidanze. Inoltre l’angiosi grave è frequentemente combinata con fenomeni di

flebectasia e linfangectasia, che potrebbero segnalare nei vasi uterini una ridotta

adattabilità alle variabili necessità della circolazione uterina, con conseguente

riduzione della per fusione e del drenaggio linfatico. L’angiosi potrebbe essere

perciò correlata con l’infertilità delle giumente pluripare più vecchie.

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3.5 Arteriolosclerosi

3

La ialinosi semplice delle arteriole va distinta dalle forme propriamente dette di arteriolosclerosi, dove i fenomeni proliferativi ( fibrosi, proliferazione dei miociti) prevalgono sui fenomeni regressivi.

L’arteriolosclerosi si classifica nel tipo ialino e nel tipo iperplastico. Entrambi sono correlati ad una elevata pressione sanguigna.

Nell’arteriolosclerosi ialina, oltre al deposito di sostanza ialina con perdita dei dettagli strutturali della parete, si ha deposito di collagene e di matrice non fibrillare. Ne deriva un restringimento del lume.

Nell’arteriolosclerosi iperplastica, l’ispessimento della parete e il conseguente restringimento del lume si devono soprattutto a proliferazione di miociti nella media e nell’intima. Fra le cellule muscolari lisce aumentate di numero, si trovano fibre collagene ed elastiche, anch’esse aumentate. L’ispessimento concentrico della parete appare sulla sezione istologica con la configurazione “a buccia di cipolla”. Queste arteriolopatie si osservano nel rene del cane nell’insufficienza renale cronica che genera un’ipertenione sistemica (nefrosclerosi renale ipertensiva). Nella c.d. ipertensione maligna dell’uomo può comparire anche una necrosi fibrinoide. Lo stesso accade nel cane affetto da feocromocitoma , che secerne sostanze ad effetto ipertensivo (catecolamine).

Un’arteriolosclerosi iperplastica si manifesta anche nel letto vascolare

polmonare, nel caso di ipertensione del piccolo circolo ovvero nel quadro di

un’arteriolosclerosi polmonare secondaria (ad esempio: nella Brisket desease

del bovino; nella aelurostrongilosi polmonare del gatto; nella sindrome di

Eisenmenger del cane, caratterizzata da difetti congeniti del cuore.

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3.6 Aterosclerosi

3,26

L’aterosclerosi è una lesione evolutiva complessa, alla quale partecipano non soltanto fenomeni regressivi, ma anche infiltrativi e proliferativi. Nel tempo l’aterosclerosi è stata definita come una lesione degenerativa o un processo proliferativo o un accumulo di lipidi, ma si è anche consolidato il concetto di Ross, che addirittura si rifà ad antiche ipotesi di R. Virchow (1856), secondo il quale l’ateroslerosi rappresenta “una forma specializzata di reazione infiammatoria fibroproliferativa a vari tipi di insulti alla parete vasale”

26

.

Il termine aterosclerosi è stato proposto da Marchand nel 1904 per sottolineare la presenza dell’ateroma, dal greco atheroma, che significa “poltiglia”, a indicare il materiale grasso, poltaceo contenuto nelle placche.

La parte di rilievo svolta dall’infiltrazione di cellule infiammatorie ( macrofagi e linfociti attivati) e le loro interazioni tramite fattori di crescita e citochine nel quadro di una risposta immunologia, conferma il concetto di processo reattivo, che tuttavia costituisce un “meccanismo di difesa non andato a buon fine”.

L’aterosclerosi rappresenta un’entità nosologica principalmente dell’uomo, in special modo nell’età senile e presenile. È responsabile di gravi disturbi circolatori, ad esempio la trombosi delle coronarie, che ha un’incidenza in costante aumento e rappresenta una delle più comuni cause di morte.

L’aterosclerosi si manifesta anche negli animali domestici, specialmente nel coniglio, nel cane e nel suino, ma è raro che vi acquisti qualche rilevanza clinica. Infatti, soltanto in animali che raggiungono l’età senile, o in animali gravemente iperlipoproteinemici per cause genetiche o endocrine ( ipotiroidismo nel cane), l’aterosclerosi può talvolta provocare complicanze trombotico- ischemiche infartuali nel cuore o nel sistema nervoso centrale.

A parte la complicanze circolatorie, l’aterosclerosi è un processo regressivo

ormai conosciuto proprio di tutti i vertebrati. Tuttavia è prevalentemente

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dell’uomo, data la sua longevità, che si manifestano con frequenza quelle turbe circolatorie (stenosi arteriosa, trombosi, emorragie) che sono l’espressione terminale dei processi lenti e progressivi dell’aterosclerosi.

3.6.1 Tipi di lesioni aterosclerotiche

3

Nella graduazione della gravità delle lesioni aterosclerotiche si devono distinguere:

• la stria o chiazza lipidica;

• la lesione intermedia fibrolipidica;

• la placca ateromasica o ateromatosa;

• la lesione complicata.

Strie lipidiche

3,4,6

Le chiazze o strie lipidiche c.d. fatty streaks o strie sudanofile si possono evidenziare quasi sempre nell’aorta dei bambini che hanno superato i 10 anni di età e nelle arterie coronarie degli adolescenti. Si rivelano anche in animali giovani, specialmente nell’aorta toracica.

Si tratta di chiazze e strie discontinue di lipidosi intimale, che il colore giallognolo può rendere maroscopicamente evidenti. La loro superficie è liscia.

Per svelare tale lipidosi intimale in tutti i casi, e specialmente quando è

all’inizio, si usa la colorazione macroscopica dei lipidi con il Sudan ІV: la

(21)

superficie interna del vaso mostra le strie lipidiche, che spiccano colorate in rosso-arancio dal Sudan.

Istologicamente si nota l’intima arteriosa ispessita da materiale lipidico subendoteliale derivato dalle lipoproteine del plasma sanguigno e in particolare dalle LDL (Low density lipoproteins), come si può dimostrare con l’evidenziazione immunoistochimica della apolipoproteina B-100 (ApoB-100), una importante componente delle LDL nel plasma. Il materiale lipidico è composto sia da colesterolo sia da altre sostanze lipidiche (colesteridi, fosfolipidi, trigliceridi) derivate dalle LDL in massima parte da trigliceridi dimostrabili con il Sudan.

Questo materiale è in parte libero, sotto forma di liposomi extracellulari fosfolipidici ricchi di colesterolo non esterificato, ed in parte trattenuto da cellule rese schiumose per l’accumulo di vacuoli intracitoplasmatici c.d.

lipofagi, foam cells. Tali cellule, che in parte hanno nucleo picnotico, in seguito si dissolvono per necrosi, liberando nell’interstizio il contenuto lipidico. La membrana elastica interna è intatta. Le cellule schiumose lipidofore sono per lo più macrofagi derivati da monociti del sangue penetrati nello spazio subendoteliale dell’intima. Le cellule schiumose lipidofore possono derivare anche da miociti della media, ma ciò avviene soprattutto nelle fasi più avanzate della lesione.

Nell’accumulo intimale di lipidi hanno una parte anche i proteoglicani della matrice extracellulare, che aumentano in sede: favorisce tale accumulo lipidico un legame elettrostatico tra i gruppi aminoacidici a carica positiva dell’apoproteina B-100 delle lipoproteine filtrate ed i gruppi glicosaminoglicanici a carica negativa dei proteoglicani. Nella stria lipidica sono presenti anche linfociti T.

La stria lipidica è considerata una lesione reversibile, cioè capace di regredire,

ma può anche permanere ed evolvere. Sebbene sia dimostrata la transizione

(22)

della stria lipidica alla placca aterosclerotica, non tutti sono d’accordo nel ritenere la stria lipidica la lesione iniziale dell’aterosclerosi, anche perché la sede arteriosa di questa lesione nei giovani (ad es. l’aorta toracica) non corrisponde alla sede delle lesioni più gravi negli anziani (ad es. l’aorta addominale). Alcuni pensano che la lesione iniziale sia una migrazione e una proliferazione nell’intima di miociti, i quali vanno a costituire un ispessimento intimale o

“massa cellulare intimale” (intimal cell mass). Questi ispessimenti intimali precoci corrisponderebbero meglio per la loro sede alle lesioni arteriose più evolute.

In suini Sinclair miniatura in parte alimentati con dieta iperlipidica e in parte alimentati con dieta iperlipidica ma resi anche diabetici con allossana, che distrugge le cellule del pancreas che producono l’insulina, si può constatare che le strie lipidiche della carotide aumentano significativamente solo nei suini diabetici. In questi ultimi si ha ipertrigliceridemia (quasi tre volte superiore a quella dei suini alimentati solo con dieta iperlipidica) e un aumento della percentuale di colesterolo nella frazione lipoproteica a bassa densità del plasma (81% contro 64%).

Lesione intermedia e placca aterosclerotica

3,4,5,6,63

Con l’evoluzione del processo, l’accumulo lipidico iniziale aumenta,

rappresentato sia dall’incremento delle cellule schiumose sia dalla presenza in

forma libera nella matrice extracellulare tra le fibre collagene della zona più

interna dell’intima. L’intima risulta ispessita anche per ulteriore proliferazione

di miociti che migrano dalla tunica media attraverso discontinuità della lamina

elastica interna. I miociti migranti sono in grado di produrre fibre collagene,fibre

(23)

Tutte queste componenti aumentano fino a formare una lesione, nella sua fase iniziale detta lesione intermedia o fibrolipidica (intermediate or fibrofatty lesion) e nella sua fase progredita placca aterosclerotica o ateromasica, nettamente sporgente sul piano dell’intima, con una superficie liscia o scabra, ma non ulcerata, un colorito biancastro o giallastro, una consistenza solida.

La sezione istologica della placca rivela una porzione basale a ridosso della media, sovente atrofica per miolisi, dove si trova un accumulo di:

• lipidi extracellulari ed intracellulari (cristalli aghiformi di colesterolo, trigliceridi sudanofili);

• lipofagi schiumosi, molti dei quali in necrosi con nucleo picnotico marginale ed anche leucociti;

• elementi cellulari vari, comprese le cellule muscolari lisce;

• tessuto connettivo,

• materiale ialino (PAS positivo e alcianofilo) costituito da proteoglicani.

Questa raccolta di cellule necrotiche e di materiali, c.d. cisti lipidica, fatty cyst, può apparire in parte disgregata e calcificata. La massa necrotico-lipidica costituisce la c.d. pappa ateromasica (dal greco αθάρη: poltiglia, polenta), un materiale untuoso, molle, asportabile, che si rivela macroscopicamente soltanto nelle lesioni aterosclerotiche più gravi dell’uomo (ateromi).

Fig. 1. Principali componenti di una placca aterosclerotica. 4

(24)

Negli animali questo tipo di alterazione rimane visibile di regola soltanto in aspetti istologici, cioè allo stadio intermedio che nell’uomo viene indicato come lesione fibrolipidica, ma con gli stessi componenti ricordati sopra negli spazi cistici tra l’intima e la media: trigliceridi abbondanti, colesterolo, lipofagi schiumosi, detriti necrotici, materiale ialino, depositi granulari di calcio.

La calcificazione è il frutto di un processo organizzato e regolato simile alla formazione dell’osso. Infatti, sebbene inizialmente fosse stato ritenuto un fenomeno passivo di precipitazione di sali di calcio all’interno della placca, attualmente si ipotizza che la calcificazione aterosclerotica sia un processo attivo, regolato da una serie di molecole solo in parte note. I depositi di calcio seppure più frequenti nelle lesioni avanzate, possono essere osservati in piccole quantità anche nelle lesioni iniziali. Nel processo di calcificazione sembrano coinvolte diverse proteine come l’osteopontina (proteina di membrana), l’osteonectina (proteina legante il calcio), la proteina 2a (potente fattore di differenziazione osteoblastica). I meccanismi attraverso i quali la calcificazione è stimolata e regolata sono molteplici, anche se un ruolo centrale sembra rivestito dalle gamma carbossiglutammato-containing proteins. Il gamma carbossigluttammato infatti è un particolare residuo aminoacidico in grado di legare il calcio. L’origine delle gamma carbossiglutammato-containig proteins non è chiaro, ma è stato ipotizzato che vengano assorbite dal siero attraverso le cellule endoteliali solamente nelle zone di lesione aterosclerotica. È stata quindi avanzata l’ipotesi che tali proteine siano specificatamente espresse in corso di malattia aterosclerotica.

Nella placca aterosclerotica, si assiste ad una scomparsa, totale o parziale,

dell’elastica interna. Alcuni miociti della tunica media possono contenere

piccole gocce di lipidi sudanofili. Verso il lume la zona cistica ricca di lipidi

appare coperta da uno strato spesso di tessuto connettivo fibroso, che contiene

miociti e macrofagi schiumosi, c.d. cappa fibrosa. Queste lesioni fibrolipidiche

(25)

specialmente nelle arterie coronarie. In cani di 13 anni e oltre di età, esse sono state rivelate anche in arterie elastiche e muscolari di vari organi: milza, reni, polmoni, pancreas, tubo digerente, organi urogenitali, occhi, prostata, vescica e aorta.

Mentre secondo alcune indagini istologiche le lesioni aterosclerotiche del cane si sviluppano inizialmente negli strati medio ed esterno della tunica media, e perciò avrebbero un meccanismo di sviluppo diverso da quello prevalente nell’uomo, secondo altre ricerche sono invece strettamente simili, in quanto originano da depositi lipidici nell’intima e da infiltrazione di monociti nello spazio subendoteliale con sviluppo iniziale delle c.d. strie lipidiche e successiva formazione di placche ateromasiche.

La placca è soggetta a fenomeni progressivi che ne determinano la crescita, rappresentati da proliferazione di macrofagi, miociti, cellule endoteliali e linfociti T. La neovascolarizzazione (neoangiogenesi) è un importante meccanismo di progressione della placca aterosclerotica. Ma la placca è anche soggetta a rottura con trombosi, determinata da morte delle componenti intimali, a cui contribuisce anche l’apoptosi, e da un aumento dell’attività collagenasica.

Lesioni complicate dell’aterosclerosi

3,4,5,6,42

Compaiono spontaneamente nell’uomo anziano normale (oltre i 50 anni), mentre

nei mammiferi domestici richiedono la coesistenza di malattie metaboliche

predisponenti (come l’ipotiroidismo nel cane) o procedure sperimentali capaci di

accelerare il processo vasculopatico. Gli aspetti delle lesioni complicate sono

vari e comprendono le seguenti modificazioni della placca ateromasica:

(26)

• calcificazione, le arterie in seguito ad un massivo deposito di calcio, possono diventare come cannucce virtuali, e l’aorta può assumere la consistenza di un guscio d’uovo;

• ulcerazione della cappa fibrosa o rottura focale, della superficie della placca ateromatosa come conseguenza dell’esposizione a sostanze trombogeniche che inducono la formazione di trombi o il rilascio di detriti nel flusso sanguigno, con formazione di microemboli;

• emorragia, all’interno della placca, può verificarsi, soprattutto nelle arterie coronarie, in seguito alla rottura della cappa fibrosa o dei sottili capillari che vascolarizzano la placca;

• trombosi, rappresenta la complicazione più pericolosa, solitamente si verifica nelle lesioni più avanzate (quelle con rottura, ulcerazione, erosione, emorragia). I trombi possono ostruire parzialmente o totalmente il lume del vaso oppure possono rimanere incorporati nell’organizzazione della placca.

Nonostante l’aterosclerosi sia inizialmente una lesione intimale, nei casi più gravi e soprattutto nei grossi vasi, la tunica media sottostante può andare incontro ad atrofia, con perdita di tessuto elastico e predisposizione all’insorgenza di aneurismi.

L’American Heart Association ha fornito una classificazione delle lesioni aterosclerotiche dell’uomo, distinguendone 6 tipi, sulla base delle caratteristiche istologiche e della gravità di queste:

• lesione di Tipo I (iniziale): presenza di foam cells (macrofagi);

• lesione di Tipo II (fatty streak): accumulo intracellulare di lipidi;

• lesione di Tipo III (intermedia): presenza di piccoli “pool” lipidici

extracellulari;

(27)

• lesione di Tipo IV (ateroma): presenza di un “core” di lipidi extracellulari;

• lesione di Tipo V (fibroateroma): presenza di un “core” di lipidi extracellulari e di uno strato fibroso. Iniziale o avanzato stadio di calcificazione;

• lesione di Tipo VI (complicata): grave alterazione della superficie della placca aterosclerotica con formazione di ematomi, emorragie e trombi.

4,42

3.6.2 Patogenesi dell’aterosclerosi

3,4,5,6

Lo sviluppo delle lesioni aterosclerotiche è condizionato da un complesso o combinazione di fattori genetici ed ambientali:

• disturbi del metabolismo lipidico generale;

• influenze emodinamiche;

• disturbi della permeabilità endoteliale;

• disturbi metabolici della parete arteriosa.

Sarebbero in causa soprattutto gli squilibri dei meccanismi di controllo, soggetti a influssi genetici e ambientali, che regolano la concentrazione dei lipidi nel sangue e le reazioni della parete arteriosa a tale concentrazione.

Nella comparsa, progressione e possibile regressione dell’aterosclerosi,

l’importanza dei lipidi plasmatici (lipoproteine) ha avuto molteplici

dimostrazioni. Una dimostrazione decisiva è derivata dalla selezione di una linea

genetica di suini che esibisce spontaneamente una iperlipoproteinemia a bassa

densità e una ipercolesterolemia (suini IHLC: inherited hyper-LDL

(28)

cholesterolemia), anche se sottoposti a una dieta priva di colesterolo e povera di lipidi.

In questi animali, a partire dall’età di 3 anni, si sviluppano placche aterosclerotiche, complicate da neovascolarizzazione, emorragia ed ulcerazione, perfettamente sovrapponibili alle lesioni aterosclerotiche complesse progredite dell’uomo anziano. Anche il suino normale, normocolesterolemico, sembra più predisposto di altri animali a queste lesioni, come si è visto mantenendolo in vita fino a 10 anni e oltre. Tuttavia nelle lesioni spontanee non si arriva ai fenomeni ateromasici veri e propri.

Nei cani con ipotiroidismo si ha un elevato tasso di colesterolo nel sangue e le lesioni aterosclerotiche sono presenti in quasi tutte le arterie.

Nel gatto l’iperlipoproteinemia primaria aggravata da una terapia cortisonica protratta può causare una grave aterosclerosi e una xantomatosi cutanea.

Le diete iperlipidiche causano significative alterazioni di varie lipoproteine del plasma:

• diminuizione delle tipiche lipoproteine ad elevata densità (HDL: High density lipoproteins, prive di apoproteina E), povere di colesterolo e ricche di fosfolipidi;

• aumento di HDL con apoproteina E (HDLc), che sono importanti nell’eliminazione epatica dell’eccesso di colesterolo, che esse captano dai macrofagi vasali e da altre cellule;

• aumento di lipoproteine a bassa densità (LDL);

• comparsa di lipoproteine a bassissima densità (VLDL: Very low density lipoproteins) come le LDL ricche di colesterolo.

I macrofagi hanno specifici recettori per le LDL acetilate e ossidate

(lipoperossidi) e per le VLDL, c.d. “recettori spazzini”, scavenger receptors.

(29)

Anche i miociti presenti nelle lesioni aterosclerotiche possono esprimere recettori per le VLDL nelle fasi più avanzate del processo.

Le lipoproteine hanno la funzione principale di veicolare i lipidi del sangue.

Esse sono particelle globulari, composte da un nucleo centrale di lipidi neutri (trigliceridi ed esteri del colesterolo o colesteridi) circondati da uno strato esterno di lipidi polari (fosfolipidi e colesterolo libero) e di proteine (apolipoproteine). Queste ultime sono di 8-10 tipi, ed alcune (Apo A, Apo B, Apo E, Apo U) provvedono a regolare il metabolismo delle lipoproteine del plasma, essendo capaci di interazioni specifiche con i recettori di particolari cellule.

I due terzi delle lipoproteine LDL vengono metabolizzate attraverso la via specifica dei recettori presenti nelle cellule epatiche, muscolari lisce, corticosurrenaliche e nei fibroblasti. Se il colesterolo delle LDL viene assorbito dal fegato, può essere escreto o catabolizzato a sali biliari, ma se viene assorbito dai tessuti extraepatici che hanno recettori per le LDL, i tessuti accumulano colesterolo.

Un terzo delle LDL viene metabolizzato da un meccanismo che interessa soprattutto il sistema dei macrofagi.

Nell’uomo la più comune iperlipoproteinemia familiare (ipercolesterolemia tipo ІІa) è caratterizzata dalla deficienza o assenza dei recettori delle LDL, cosicché l’ingresso di LDL nel fegato e in altri tessuti è impedito. Ne deriva un aumento del tasso plasmatico di LDL ed i macrofagi vasali si caricano di colesterolo, rendendosi responsabili di processi aterosclerotici accelerati.

Nei suini IHLC ricordati sopra è presente una mutazione delle apolipoproteine

B ed U, perciò si ha una ridotta clereance delle LDL ricche di colesterolo, che

pertanto si accumulano nel plasma favorendo e accelerando lo sviluppo

dell’aterosclerosi. I recettori non presentano modificazioni, ma le LDL non sono

capaci di legarsi ai recettori per mancanza dei ligandi.

(30)

Analogamente nei topini “apolipoprotein E knockout (ApoE -/-)” si sviluppa una grave aterosclerosi in quanto sono geneticamente ipercolesterolemici per effetto di una distruzione mirata del gene dell’apolipoproteina E (ApoE).

L’ApoE è un ligando che media la clereance recettoriale di chilomicroni, VLDL, e altre lipoproteine sieriche. Anche la “iperlipemia ereditaria di Watanabe”

dei conigli è dovuta a un deficiti recettoriale per le LDL e causa un’aterosclerosi spontanea. Nei cani ipotiroidei con aterosclerosi i recettori per le LDL sono poco espressi e si presume che ciò causi l’aumento delle LDL ricche di colesterolo nel plasma.

La lesione iniziale aterogena è caratterizzata da:

• infiltrazione lipidica dell’intima (disturbo nell’omeostasi del trasporto transendoteliale di lipidi );

• proliferazione nell’intima di miociti migrati dalla media (iperplasia miointimale).

I lipidi che infiltrano la parete, derivano principalmente dalle lipoproteine plasmatiche cariche di colesterolo, le LDL. La filtrazione di una piccola quantità di lipidi dal plasma sanguigno attraverso l’intima è un fenomeno normale correlato con l’imbibizione plasmatica dell’intima, c.d. insudazione. Tale filtrazione avviene attraverso l’endotelio intatto (transcitosi) mediante vescicole di pinocitosi, dopo captazione specifica delle lipoproteine da parte di recettori, oppure passivamente attraverso canalicoli transendoteliali o spazi intercellulari . Affinché aumenti il transito di LDL, occorre un’alterazione funzionale dell’endotelio e tale disfunzione è critica nella patogenesi dell’aterosclerosi.

Quando vi sono elevati tassi plasmatici di LDL queste vengono in parte ossidate

dall’endotelio durante il suo attraversamento. Un’ulteriore ossidazione avviene

per interazione con i macrofagi e in minor misura con i miociti. La comparsa in

queste cellule, durante la formazione della lesione aterosclerotica, di

(31)

la cui sintesi viene indotta da lipoperossidi (come le LDL acetilate o ossidate) e che riduce i lipoperossidi con concomitante ossidazione del glucatione, dimostra che vi si accumulano lipoperossidi. Questi si depositano nel citoplasma a formare goccioline lipidiche che le trasformano in cellule schiumose.

Le LDL ossidate che penetrano nell’intima vengono assunte dai macrofagi, derivati dai monociti migrati dal sangue ed in parte dai miociti tramite recettori di superficie (c.d. scavenger receptor). I macrofagi hanno inoltre recettori per le lipoproteine contenenti ApoE, comprese le VLDL.

Sono soprattutto questi recettori dei macrofagi ad avere una parte importante nella formazione di cellule schiumose e nel conseguente accumulo di lipidi.

Infatti i macrofagi intimali non sono in grado di regolare l’espressione dei loro recettori per le lipoproteine quando aumenta il tasso intracellulare di colesterolo, quindi ne immagazzinano massive quantità trasformandosi in macrofagi schiumosi, i quali tendono inoltre ad aumentare di numero.

La popolazione di miociti migranti e proliferanti nell’intima sarebbe omogenea e derivante da una singola cellula, cioè avrebbe origine monoclonale. È stata pertanto avanzata l’ipotesi che la proliferazione leiomiocitaria possa essere indotta da agenti mutageni, chimici o infettivi, mediante qualche alterazione del meccanismo genomico del controllo della proliferazione dei miociti.

Ispessimenti intimali da accumulo di lipidi e da proliferazione di miociti sono stati ottenuti in pulcini SPF (Specific pathogen free), sia iper che normocolesterolemici, infettati con herpesvirus della malattia di Marek, una forma di neoplasia linfoide che interessa tipicamente i nervi (neurolinfomatosi).

Il virus della malattia di Marek e il virus dell’herpes simplex umano sono capaci in vitro di alterare il metabolismo dei lipidi e del colesterolo dei miociti.

La presenza allo stato latente di cytomegavirus in arterie umane con

aterosclerosi è stata evidenziata con elevatissima frequenza.

(32)

L’intervento di infezioni virali potrebbe dunque causare non solo effetti mutageni, ma anche alterazioni del metabolismo lipidico e alterazioni endoteliali. Tuttavia l’ipotesi di questo intervento nell’aterosclerosi spontanea ha una portata limitata, se si considerano gli innumerevoli fattori che possono alterare la parete vasale ed il suo metabolismo.

In patologia umana è in discussione la relazione tra aterosclerosi e infezione latente da Chlamydia. Nelle lesioni dell’aterosclerosi sistemiche del cane si possono trovare Chlamydie e loro antigeni in cellule endoteliali, macrofagi, cellule schiumose e miociti. Anche nell’infezione sperimentale del coniglio da Chlamydia compaiono lesioni arteriose di aterosclerosi. Ciò dimostra che anche nei mammiferi domestici è ammissibile l’intervento di un’infezione latente da Chlamydia nella patogenesi dell’aterosclerosi.

Nelle lesioni aterosclerotiche vengono prodotte varie molecole che regolano la proliferazione cellulare e citochine, ma non sono molte quelle che vi hanno una parte di rilievo.

Queste comprendono:

• il PGDF (Platelet derived growth factor), il principale mediatore della proliferazione dei miociti;

• il CSF (Colony stimulating factor);

• il bFGF (basic Fibroblast growth factor);

• l’IGF-I (Insulin-like growth factor-I);

• il TGF-β (Transforming growth factor-β);

• il VEGF (Vascular endothelial growth factor), che aumenta la permeabilità dell’endotelio e stimola l’angiogenesi;

• l’IL-1 (Interleuchina-1);

• il TNF-α (Tumor necrosis factor-α).

(33)

Altre molecole più piccole hanno effetti sull’endotelio e pertanto sull’aterogenesi: l’ossido nitrico (NO) e la prostaciclina PGI

2,

sostanze vasoattive. Molte di queste molecole vengono formate in stadi diversi delle lesioni e partecipano a una rete complessa di interazioni tra le cellule, determinando se le lesioni devono progredire, stabilizzarsi o regredire.

I miociti proliferati acquistano la proprietà di produrre fibrille di collagene e sostanza fondamentale (glicosaminoglicani), ma diventerebbero incapaci di metabolizzare le frazioni lipidiche “insudate” provenienti dal plasma, anche per un’anomala espressione dei loro recettori per le lipoproteine. Essi andrebbero perciò incontro a trasformazione in cellule schiumose e necrosi.

Queste modificazioni sono accompagnate da lesioni endoteliali e di conseguenza si ha un intervento delle piastrine che aderiscono al collagene subendoteilale messo allo scoperto.

Le piastrine liberano un fattore (PDGF: Platelet derived growth factor) capace di effetti chemiotattici e mitogeni sui miociti. Tale sequenza di eventi è supportata dal fatto che suini affetti da malattia di von Willebrand, privi cioè del fattore plasmatico di von Willebrand, necessario per l’adesione delle piastrine all’endotelio alterato, risultano relativamente refrattari a manifestare lesioni aterosclerotiche indotte da diete iperlipidiche, così come avviene in altri animali trattati con prodotti inibenti la funzione delle piastrine, ad esempio l’acido acetilsalicilico.

L’adesione all’endotelio ed il transito attraverso questo dei monociti-macrofagi sono aumentati negli animali ipercolesterolemici. Le LDL ossidate che si depositano nell’intima hanno effetto chemiotattico per i macrofagi. Sono state inoltre identificate nella parete arteriosa delle citochine che agiscono da sostanze chemiotattiche specifiche per i monociti.

I macrofagi liberano fattori che determinano la proliferazione dei miociti (IL-1,

TNF e PDGF), così non hanno soltanto una parte di rilievo nell’accumulare i

(34)

lipidi, ma anche nello stimolare un ulteriore accumulo di miociti, che porta alla formazione della cappa fibrosa della placca. Infatti la cappa è formata per la gran parte da miociti che producono collagene (miofibroblasti), una ridotta quantità di elastina e glicosaminoglicani. Nella cappa si trovano anche macrofagi e linfociti T.

I monociti-macrofagi liberano interleuchina-1 (IL-1) e fattore necrogeno tumorale (TNF) che, oltre a promuovere la proliferazione dei miociti, stimolano nelle cellule endoteliali la produzione di un fattore attivante le piastrine (PAF), un fattore tessutale ed un inibitore dell’attivatore del plasminogeno. Si realizza pertanto un’azione sinergica macrofagi-endotelio nel trasformare la superficie interna delle arterie da anticoagulante in procoagulante e perciò trombogena.

La lesione endoteliale crea delle discontinuità in superficie che aumentano ulteriormente la permeabilità della parete vasale alle lipoproteine e che favoriscono la formazione di trombi sulla placca aterosclerotica. Inoltre sulla superficie delle cellule endoteliali, una lipoproteina plasmatica, Lp(a), compete con il plasminogeno, verosimilmente per l’omologia con l’enzima fibrinolitico inibendone l’azione trombolitica a favore di quella trombogenetica. La Lp(a) possiede evidenti effetti aterogenetici, quali l’accumulo di lipidi, la modulazione delle cellule endoteliali, la proliferazione delle cellule muscolari lisce e il controllo della neovascolarizzazione della placca.

Sia nell’uomo che negli animali è documentata dunque l’importanza del sinergismo dell’alterazione arteriosa (lesioni dell’intima) e dell’ipercolesterolemia nel predisporre l’aterosclerosi e nel farla progredire.

Le interazioni cellulari fra i linfociti e i monociti-macrofagi e tra questi e

l’endotelio sono inoltre eventi critici nello sviluppo dell’aterosclerosi. Infatti

quando monociti-macrofagi e cellule endoteliali si attivano mediante interazioni

dirette cellula-cellula, entrambi questi tipi di cellule esprimono molecole

(35)

biologicamente attive che contribuiscono tutte all’aterogenesi e alla trombogenesi, quali:

• molecole di adesione;

• citochine;

• fattori procoagulanti e fibrinolitici;

• metalloproteasi;

• sostanze vasoattive.

In esperimenti sul suino, la rimozione delle cause di lesioni intimali e di ipercolesterolemia, che avevano indotto lesioni aterosclerotiche complicate nell’aorta, ha consentito di osservare nel corso di poco più di un anno una regressione della sudanofilia, delle placche aterosclerotiche, delle emorragie e delle trombosi a sede nelle placche. Solamente i fenomeni di calcificazione che accompagnano le lesioni non hanno manifestato una significativa regressione.

Si è affermata l’ipotesi che eventi immunologici possano influenzare lo sviluppo di lesioni aterosclerotiche, basandosi sulla constatazione che i linfociti T attivati sono una componente costante delle lesioni iniziali e progredite e che si manifestano reazioni autoanticorpali verso lipidi modificati o heat shock proteins che vi si trovano.

La maggior parte dei linfociti T sono CD4

+

helper ; questo suggerisce che essi interagiscano con i macrofagi e anche con le cellule dendritiche presentanti l’antigene, che sono state rinvenute a contatto con i linfociti T nelle lesioni aterosclerotiche.

Macrofagi e cellule dendritiche presentano l’antigene ai linfociti T e questi liberano citochine che attivano i macrofagi.

L’attivazione dei linfociti è dimostrata dall’espressione di molecole di superficie

che indicano una loro recente attivazione, come l’interleuchina-2 (IL-2) e MHC

ІІ. Per quanto riguarda la natura dell’antigene da riconoscere, è stato rilevato che

(36)

gli animali in esperimento con lesioni aterosclerotiche producono autoanticorpi specifici per LDL ossidate. Questi anticorpi sierici si legano alle LDL ossidate presenti nelle lesioni, dove poi possono essere isolate immunoglobuline con specificità anti LDL ossidate. Pertanto, si ipotizza che il riconoscimento dei linfociti T CD4

+

helper di peptici derivati da LDL ossidate possa essere implicato nel promuovere l’attivazione dei linfociti B che producono anticorpi anti LDL ossidate.

Data l’eterogeneità dei modelli animali in esperimento, non è ancora chiaro se il sistema immunologico contribuisca ad innescare, esacerbare o invece ad alleviare le lesioni aterosclerotiche. Ad esempio l’aterosclerosi può essere indotta in conigli normocolesterolemici mediante immunizzazione con heat shock protein 65, una chaperonina espressa nelle lesioni aterosclerotiche, mentre l’immunizzazione di conigli mancanti del recettore per le LDL con una LDL modificata per ossidazione (malondialdeide-LDL) riduce l’estensione delle lesioni aterosclerotiche.

In alcuni modelli sperimentali è possibile accentuare lo sviluppo

dell’aterosclerosi sopprimendo l’immunità a mediazione cellulare. Tuttavia è

rilevante che in topini geneticamente iperlipemici, lo spopolamento sperimentale

dei linfociti T CD4

+

è capace di ridurre del 70% lo sviluppo delle lesioni

aterosclerotiche aortiche che essi normalmente manifestano.

(37)

Fig. 2. Sviluppo di una lesione ateromatosa in risposta ad un danno endoteliale 4

(38)

3.6.3 Incidenza e fattori di rischio dell’aterosclerosi sulla popolazione umana

4,51

La cardiovasculopatia aterosclerotica costituisce la prima causa di mortalità e morbilità nell’adulto nei paesi industrializzati, primi fra tutti gli USA, seguiti dal Giappone. Per quanto riguarda l’Europa, è riportata un’incidenza particolarmente elevata nelle regioni del Nord, Centro ed Est ed un’incidenza inferiore nei paesi del bacino del Mediterraneo.

La distribuzione delle placche aterosclerotiche è caratteristica. L’aorta addominale viene colpita più frequentemente di quella toracica e le lesioni tendono a diventare più prominenti attorno agli osti delle sue maggiori diramazioni. Dopo l’aorta addominale, i vasi maggiormente coinvolti sono le arterie coronarie, le poplitee, l’aorta toracica discendente, la carotide interna e i vasi del circolo di Willis.

Le lesioni aterosclerotiche di solito interessano la parete arteriosa parzialmente e lungo la sua circonferenza, rimanendo isolate o distribuendosi in maniera non uniforme lungo tutto il vaso in relazione alla gravità del caso.

La prevalenza e la gravità della patologia aterosclerotica sono legate a un numero molteplice di fattori, alcuni fissi ed immutabili, altri modificabili e potenzialmente controllabili.

I fattori fissi sono:

• età ;

• sesso;

• predisposizione genetica.

I fattori modificabili e controllabili sono:

• iperlipidemia;

(39)

• ipertensione arteriosa;

• fumo di sigaretta;

• diabete mellito;

• elevati livelli plasmatici di omocisteina;

• fattori riguardanti la funzione emostatica e trombotica;

• altri fattori.

Età

4,51,54

È un fattore molto influente. Sebbene l’aterosclerosi non sia clinicamente evidente fino all’età media o tarda, la lesione arteriosa può verificarsi già a partire dall’infanzia e progredire lentamente per molti anni.

Da numerosi studi è emerso che le strie lipidiche possono essere presenti sin dalla nascita, anche se nella maggior parte dei casi compaiono nell’aorta dei bambini di età superiore ad un anno, senza differenze razziali, geografiche ed ambientali. Le strie lipidiche aumentano rapidamente di estensione durante la pubertà, rendendosi visibili anche dopo i dieci anni, con una incidenza del 50%

nei bambini tra 10 e 15 anni.

Le manifestazioni cliniche della patologia aterosclerotica sono invece

maggiormente evidenziabili nei soggetti adulti tra i 40 e i 60 anni di età, con

fenomeni ischemici acuti o cronici che colpiscono principalmente cuore, fegato

intestino e arti anteriori. Riguardo la localizzazione periferica dell’aterosclerosi

agli arti inferiori, il rischio raddoppia per ogni dieci anni di incremento di età.

(40)

Sesso

4,52

La patologia aterosclerotica si manifesta in modo diverso nell’uomo e nella donna. Le ragioni di questa differenza sono in prevalenza di natura biologica e ormonale. Nel sesso maschile la formazione della placca aterosclerotica inizia a rendersi evidente verso i 30 anni circa. A partire da questa età vari studi anatomopatologi segnalano, solo nell’uomo, placche aterosclerotiche coronariche in fase di avanzata maturazione.

Nella donna ciò non avviene perché il sesso femminile è protetto, durante la vita fertile, dal cosiddetto “ombrello estrogenino”creato dagli ormoni sessuali. La formazione delle placche ateromatose, quindi, non ha inizio, salvo eccezioni, prima della menopausa, che insorge in media verso i 50 anni di età. Dopo la menopausa, l’incidenza della patologia aterosclerotica aumenta sensibilmente, probabilmente in seguito al naturale calo del livello di estrogeni.

Considerando che la placca ateromatosa impiega in media dai 15 ai 25 anni per creare nell’arteria un restringimento emodinamicamente significativo, questo spiega perché nel sesso maschile le sindromi coronariche acute insorgano, sempre in media, a partire dai 50 anni, mentre nelle donne questo avvenga circa 20 anni dopo, cioè dopo i 70 anni.

L’uomo è quindi maggiormente predisposto, rispetto alla donna, sia

all’insorgenza della lesione aterosclerotica, sia alle sue conseguenze e

complicazioni cliniche, a meno che questa non sia affetta da patologie quali il

diabete, l’iperlipidemia, l’ipertensione grave, che in questo caso mettono i due

sessi sullo stesso piano.

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