2. IL RISK MANAGEMENT.
2.1 Il rischio nell’attività bancaria.
L’attività svolta dalla banca è un’attività di intermediazione e di gestione del rischio. La banca va infatti a reperire fondi nei confronti del pubblico di risparmio ed ad allocarli efficacemente nella concessione dei prestiti. Questa attività comporta che l’istituto di credito vada ad assumersi il rischio di eventuali insuccessi dei prenditori di fondi rimanendo altresì obbligato alla restituzione della somma pattuita con il risparmiatore.
Qualsiasi attività economica è caratterizzata da una forte componente di aleatorietà , legata all’andamento del mercato nazionale ed internazionale, al reperimento ed al costo delle materie prime, alla variabilità in termini produttivi ed operativi, alle competenze e conoscenze acquisite,… . Ciò rende difficile quantificare in maniera univoca quello che è il valore dell’impresa o di un progetto da essa posto in essere, l’incertezza ed il rischio caratterizzano infatti l’intera attività imprenditoriale. Se consideriamo il ruolo svolto dalla banca si vede come il rischio dell’impresa gravi sul bilancio bancario e come l’istituto di credito debba riuscire a valutare in tempi brevi e nel modo più preciso possibile il quantitativo di rischio sopportato, prevedendo un’adeguata copertura patrimoniale (secondo quanto previsto dall’Autorità di vigilanza, in accordo con i regolamenti internazionali).
Il rischio assunto dalla banca è però diverso da quello che caratterizza
l’attività d’impresa per due principali motivi: in primis la struttura del
bilancio della banca, con un attivo prevalentemente di valore “incerto” ed un
passivo che, per quote rilevanti deve essere mantenuto sempre liquido su
domanda, determina una esposizione sistematica ai rischi di credito, di
mercato ed a quelli operativi; secondariamente l’attività bancaria presenta
caratteristiche di esternalità, contribuisce alla corretta allocazione delle risorse
e condivide il potere di creare moneta e di far funzionare il sistema dei
pagamenti e dei regolamenti.
Da ciò discende l’importanza della stabilità del sistema banca e l’esigenza di una regolamentazione pregnante ed incisiva. L’introduzione dei nuovi regolamenti internazionali comporta un passaggio da forme di vigilanza orientante principalmente a controlli amministrativi ad altre orientate al mercato che rinnovano anche la definizione stessa di solidità e stabilità dell’intermediario finanziario: una banca verrà recepita come più “solida” in funzione dei suoi assetti, delle sue scelte e dei suoi comportamenti, tali da rendere bassa la sua probabilità d’insolvenza. Il tema del controllo del rischio assume un’importanza fondamentale insieme a quelle che possono essere le tecniche per la sua misurazione e la gestione delle medesime da parte dell’intermediario. In tal senso la banca deve cercare di sviluppare una propria crescita interna che le consenta di poter beneficiare appieno dei nuovi sistemi di misurazione del rischio e di usufruire dei vantaggi che essi comportano.
Il rischio bancario è unitario ed è rappresentato dalla volatilità dei profitti cui la banca è soggetta, la sua misurazione deve essere corretta ed omogenea considerando le diverse aree d’affari della banca. Si possono dunque individuare varie tipologie di rischio che compongono il rischio complessivo e che devono essere valutate in diversi modi.
Il rischio di credito viene valutato attraverso la misurazione della perdita
attesa (calcolata come media delle perdite nell’arco di un ciclo economico, e
va a misurare il costo del rischio creditizio) e della perdita inattesa (intesa
come volatilità delle perdite intorno alla media attesa, e coperta tramite
accantonamenti di capitale). Il rischio di mercato viene valutato tramite il
VAR per misurare gli effetti dei mutamenti attorno al tasso d’interesse. Il
rischio operativo considera eventuali perdite dovute a frodi, “disastri
naturali”, rischi legali, fallimenti dei sistemi. Il rischio di business considera
la volatilità dei profitti dovuta a cambiamenti dei volumi, dei costi o dei
margini, nonché rischi strategici e di reputazione, mentre il rischio
assicurativo considera la volatilità degli indennizzi da erogare a fronte di
sinistri o di maturazione di rendite.
GRAFICO 2.a.
.
RISCHIO volatilità dei profitti
RISCHIO DI CREDITO variazioni inattese delle perdite creditizie
RISCHIO DI MERCATO variazioni inattese dei prezzi di mercato o della liquidità
RISCHIO OPERATIVO -difetti di processo -comportamento del personale -decisioni legali avverse -eventi avversi
RISCHIO DI BUSINESS ED ASSICURATIV O
-variazioni inattese nei volumi, margini o costi
-rischi di carattere assicurativo
Fonte: Masera R., Il rischio e le banche. La revisione dell’Accordo di Basilea: implicazioni per banche e imprese, Il sole 24 ore, Finanza e Mercati, Milano, 2001.
Tutti questi rischi devono essere considerati nel calcolo del rischio complessivo cui va incontro la banca, anche se particolare attenzione per il peso che assume merita il rischio di credito.
2.2. Il credit risk management.
L’attività svolta dalla banca ha subito nel corso degli anni una rapida
evoluzione a causa di fattori sia di carattere endogeno che esogeno, quali la
maggiore volatilità dei mercati, l’accresciuta concorrenza e competitività nel
settore, le nuove disposizioni in termini di vigilanza, che hanno comportato
un maggior interesse verso le problematiche di gestione e misurazione del rischio, il risk management
1.
Assume un ruolo fondamentale il problema dei rischi assunti legato sia alla dotazione minima di capitale necessaria per fronteggiarli, sia alla redditività attesa per l’azionista: un livello di capitale proprio troppo esiguo non consentirebbe infatti di coprire le eventuali perdite inattese delle posizioni rischiose, di contro una dotazione di capitale troppo elevata può avere l’effetto di deprimere la redditività media della banca, diminuendo il rendimento atteso degli azionisti.
Dagli anni ’70, soprattutto a seguito delle modificazioni di carattere macroeconomico che hanno caratterizzato l’economia (evoluzione del mercato e del sistema bancario in un’ottica di operatività transnazionale), si inizia a parlare in maniere sempre più problematica del rischio bancario e della sua gestione
2. Il focus del problema viene dapprima concentrato sul rischio di credito, evidenziando come oltre alla valutazione della posizione del singolo affidato si deve procedere anche alla valutazione del portafoglio bancario complessivo, attraverso il ricorso ai principi del frazionamento e della diversificazione. Secondariamente vengono considerate anche le altre tipologie di rischio: il rischio di liquidità ed il rischio di cambio e d’interesse.
Dopo aver valutato queste componenti di rischio l’attenzione si concentra sul problema del capitale proprio, ovvero sull’ammontare di capitale ritenuto congruo per fronteggiare il rischio assunto
3. In tale prospettiva si sviluppano i modelli di Assets e Liability Management (ALM) che propongono un approccio integrato ai rischi di mercato da parte della banca. All’origine dello sviluppo dei modelli di ALM c’è il marcato incremento delle condizioni di
1 Per risk management si intende “il complesso delle metodologie e dei processi volti alla misurazione e al controllo integrato dei rischi di una banca, finalizzati alla efficiente gestione in chiave dinamica del capitale proprio a disposizione”. Saita F., Il risk management in banca. Performances corrette per il rischio e allocazione del capitale, EGEA.
2 Non è che prima il problema del rischio non esistesse, la variabile incerta è presente sempre nell’attività bancaria, ma è dagli anni ’70 che il problema viene affrontato con taglio più aziendalistico, vedendo la banca come un impresa che deve coprire il rischio e gestirlo nel migliore dei modi. Questo anche in linea con le nuove disposizioni in materia di vigilanza e con i nuovi prodotti del mercato finanziario.
3 Si viene qui a creare un conflitto d’interessi tra azionisti, orientati alla minimizzazione del capitale proprio fino al limite minimo necessario, e creditori, che vorrebbero disporre di accantonamenti più consistenti per tutelare il proprio investimento.
volatilità dei mercati finanziari, che, insieme ad una maggiore articolazione della struttura del passivo della banca, ha reso urgente la definizione di modalità di coordinamento più efficaci nella gestione dell’esposizione del rischio di tasso. A tale esigenza si aggiunge la necessità di coordinare i flussi finanziari della banca su base non breve in modo da gestire la liquidità della banca in tempi contenuti affiancando alla tradizionale politica di intervento sulla tesoreria una politica di gestione della liquidità. Viene dunque sollecitato dal mondo accademico un approccio integrato alla gestione finanziaria della nuova azienda banca, rivedendo la funzione dell’area finanziaria non più delegata a mera attività di supporto della direzione crediti, ma vista come unità di profitto autonoma capace di svolgere diversi compiti, dall’attività di tesoreria alla negoziazione in conto proprio e per conto della clientela.
Gli obiettivi dei modelli di ALM sono fondamentalmente due: da un lato mantenere le condizioni di equilibrio finanziario non soltanto nel breve, ma anche nel medio lungo termine (le tecniche di ALM affermano la centralità della gestione integrata del rischio a livello aziendale), dall’altro definire le strategie di esposizione ai rischi di tasso e di cambio nel rispetto delle condizioni generali di rischio ritenute ottimali dagli azionisti.
Dalla fusione delle tecniche di Assets e Liability management e dal percorso di ricerca volto a realizzare un legame tra capitale proprio e rischi assunti dalla banca nasce la politica del risk management
4.
Il risk management, così come le metodologie di ALM, non è unicamente una tecnica di misurazione del rischio, ma un processo complesso che consente, una volta quantificate, di gestire in maniera integrata le varie componenti del rischio.
Le metodologie di risk management si propongono come obiettivo non solo la misurazione integrata di tutte le diverse tipologie di rischio della banca, ma anche una loro attenta valutazione e gestione basandosi sull’approccio del
4Per maggiori approfondimenti vedere: Saita F., Il risk management in banca. Performances corrette per il rischio e allocazione di capitale, EGEA, Milano, 2000.
Value at risk
5e prevedendo delle opportune azioni gestionali da correlare alla rischiosità misurata.
Il risk management riprende, infatti, il concetto di VAR, utilizzato come strumento utile per quantificare il rischio, ed associa a detta quantificazione delle opportune modalità gestionali (si riprende qui il concetto di fondo delle politiche di ALM) ed un’opportuna quantità di capitale proprio. Il risk management è dunque il frutto dell’integrazione delle metodologie di gestione del rischio precedenti
6con i nuovi supporti matematici, il VAR appunto, e con i nuovi regolamenti in materia di adeguamento del capitale.
Nella prima metà degli anni ’90 prendono forma strumenti innovativi per quella che è la misurazione del rischio a livello aziendale. I principali contributi derivano da due opere fondamentali: “Derivates: Practices and Principles” del 1993 e “Risk Metric” (J. P. Morgan) del 1994. Il primo è il risultato di un progetto avviato dalle trenta maggiori banche intenzionali con l’obiettivo di individuare delle linee guida che possano garantire una “sana”
negoziazione e gestione dei titoli derivati, il secondo introduce le modalità pratiche ed operative per la misurazione del Value at Risk
7.
Il risk management può essere definito in maniera più ampia come “l’insieme di tutte le azioni volte sia al monitoraggio che alle alterazioni o modifiche dei rischi assunti da un intermediario”
8. Da questa definizione allargata l’oggetto del risk management ricomprenderebbe anche tutte le attività volte alla
5 Si va infatti a considerare la massima perdita possibile entro un certo orizzonte temporale e con un certo livello di confidenza.
6 Il risk management si differenzia dai modelli ALM per diversi motivi. Primo fra tutti perché va a considerare non soltanto il rischio di tasso e di cambio, ma anche tutte le altre componenti del rischio bancario. Secondariamente il risk management viene calcolato partendo dal VAR del portafoglio e prevedendo un certo ammontare di capitale a copertura del rischio assunto, mentre i modelli ALM misurano il rischio in base alla sensibilità del portafoglio a variazioni dei tassi d’interesse, utilizzando la maturity gap o la duration, che nulla dicono sulla volatilità attesa dei tassi nei periodi successivi a quello esaminato. Infine diversa è la logica di fondo: le metodologie ALM mirano ad orientare in maniera accentrata le decisioni finanziarie in materia di politiche di tasso e di cambio, il risk management mira invece a realizzare un coordinamento ex ante assegnando dei limiti preventivi di rischio, ma lasciando poi ad ogni singola autonomia la possibilità di adottare le politiche da loro ritenute più corrette.
7 Per maggiori approfondimenti vedere: Masera R., Il rating interno e la gestione dei rischi bancari nei gruppi creditizi, intervento tenuto nell’ambio del Seminario sul Credito e risparmio: intermediari, mercati e istituzioni, S. Marco, Perugia, 17 marzo 2000.
8 Saita F., Il risk management in banca. Performances corrette per il rischio e allocazione di capitale, EGEA, Milano, 2000.
copertura delle esposizioni a rischio non volute dalla banca o trasferite a terzi (attraverso l’uso dei derivati finanziari, il ricorso a polizze assicurative,ecc).
La banca va dunque ad esternalizzare i rischi non voluti ed a fronteggiare i rischi rimanenti con un opportuno ammontare di capitale. Un’ analisi più completa del risk management dovrebbe dunque considerare anche queste tecniche di mitigazione del rischio che concretamente vanno a limitare l’esposizione bancaria. La dottrina più recente ha, però, focalizzato l’
attenzione sulle problematiche di risk management considerando in via prioritaria le modalità di gestione del rischio interno alla banca e la dotazione di capitale necessaria per fronteggiarlo.
All’interno del risk management si è poi sviluppato in tempi più recenti il concetto di credit risk management
9che va ad utilizzare i supporti matematici delle tecniche di risk management.
A metà del 1997 possiamo individuare diversi filoni di utilizzo del risk management riconducibili alle varie linee aziendali:
• costituzione ed utilizzo dei metodi di scoring per il supporto delle istruttorie di affidamento al fine di migliorare le decisioni decentrate e l’intervento nel processo. Tali meccanismi si dimostrano diffusi sia presso le grandi banche sia nelle realtà minori con particolare riferimento alle controparti corporate,
• monitoraggio della qualità del credito delle controparti sulla base sia di informazioni interne (insoluti, sconfinamenti, tensioni d’utilizzo,…) od esterne ( notizie pregiudizievoli, Centrale dei Rischi, segnalazioni pubbliche,…). Tali strumenti sono stati principalmente usati dalle banche maggiori che presentavano problemi più ampi di complessità organizzativa,
• talune esperienze di valutazioni del portafoglio, limitata alle banche di maggiori dimensioni,
9 Si è definito a livello internazionale nel 1996 anno in cui, con le proposte tecniche di alcune grandi banche d’affari, si sono consolidati alcuni approcci metodologici e sono stati stabiliti legami con altre metodologie di calcolo del rischio (VAR).
• talune esperienze di valutazioni ex ante ed ex post della redditività corretta per il rischio di operazioni creditizie di particolare rilievo, anch’essa limitata alle banche di maggiori dimensioni.
In questo periodo si sviluppa anche l’applicazione del Value at Risk come strumento di supporto all’analisi del rischio di mercato, soprattutto a seguito del Nuovo Accordo di Basilea, dove è prevista una commisurazione delle posizioni a rischio, in particolare per il settore trading, che consideri un certo livello di sicurezza. Il calcolo del Value at Risk crea non poche problematiche che ne rendono difficoltosa l’implementazione: un supporto informatico ed elettronico idoneo, la necessità di far conoscere i concetti sottostanti ai vertici aziendali, di costituire nuove figure professionali in grado di gestire il risk management .
Contestualmente il credit risk management si è sviluppato fortemente dal 1997 a seguito, appunto, dell’apparizioni di strumenti e tecnologie molto strutturate; 5 banche su 6
10hanno avviato iniziative strutturate ed integrate di credit risk management che muovono dalla valutazione analitica del rischio di controparte per pervenire alla valutazione del capitale a rischio impegnato.
Dai risultati emersi da un’analisi del Comitato di Basilea al fine di stabilire l’adeguatezza dei modelli interni nel calcolare i requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di mercato, emerge chiaramente come il requisito patrimoniale così determinato abbia costituito un margine idoneo a coprire le perdite derivanti dal portafoglio di negoziazione delle diverse istituzioni finanziarie considerate, nessuna di queste, nel periodo considerato, ha realizzato perdite superiori al requisito patrimoniale di volta in volta determinato
11. Chiaramente l’applicabilità di tali metodologie deve essere correlata anche con gli scenari che via via si possono manifestare.
Lo sviluppo del credit risk management si articola oggi lungo tre filoni principali; una di carattere micro-economico, volta al governo analitico della redditività e del rapporto creditizio, l’altro di carattere aziendale volto al
10 Secondo un’analisi condotta dal fondo Interbancario per la Tutela dei Depositi e dall’ABI.
11 Una task force costituita appositamente ha valutato le performances dei modelli interni di circa 40 banche localizzate in 9 Paesi diversi.
governo del portafoglio e l’ultima legata alla gestione dinamica ed al governo consapevole, tramite le informazioni a disposizione, del valore aziendale.
Le aree su cui si è maggiormente concentrata l’attenzione e la ricerca sono principalmente 4: la determinazione della probabilità d’insolvenza attraverso la determinazione del rating, l’analisi delle determinanti della perdita in caso d’insolvenza, la determinazione delle correlazioni e la costituzione di modelli di portafoglio anche integrabili con le misure relative ad altre tipologie di rischio, l’analisi della redditività corretta per il rischio ed i legami con le altre misure di redditività e di valore aziendale.
2.2.1. L’applicazione delle metodologie di risk management nella valutazione del merito creditizio.
La valutazione dell’affidabilità finanziaria di un debitore è un’operazione che banche, società finanziarie, società di leasing, di credito al consumo svolgono quotidianamente. La decisione in merito all’erogazione viene presa al termine di accertamenti, analisi di documenti e verifiche dei dati dichiarati dal cliente
12. In questo momento la banca va effettivamente a valutare la consistenza del patrimonio e la capacità dell’azienda di generare reddito, andando a misurare quale è il rischio complessivo assunto. Sulla base di tali analisi l’istituto creditizio va dapprima a decidere se concedere o meno credito e se sì quanto fido concedere ed in che forma.
La valutazione del merito creditizio considera il rischio di credito e come esso potrebbe evolvere nel tempo.
Il rischio di credito è “il rischio che una variazione inattesa del merito creditizio di una controparte nei confronti della quale esiste un’esposizione generi una corrispondente variazione inattesa della posizione debitoria”
13. Questa definizione racchiude alcuni concetti chiave: innanzitutto il rischio di credito non è limitato alla sola insolvenza della controparte, anche il
12 Questa valutazione costituisce la fase d’istruttoria bancaria.
13 A. Resti, Misurare e gestire il rischio di credito nelle banche: una guida metodologica, Roma, 2001.
deterioramento del merito creditizio è una manifestazione del rischio di credito; la definizione prevede inoltre che la perdita sia inattesa, se infatti la perdita fosse prevedibile e dunque stimabile da parte della banca essa l’avrebbe già considerata nella delibera di fido; la definizione richiama inoltre il fatto che ad una variazione del merito creditizio debba corrispondere una variazione del valore del credito sul mercato in modo che si manifesti un’effettiva perdita di valore sul portafoglio della banca
14; infine va evidenziato quello che è il grado di estensione del concetto di esposizione creditizia e quindi quello che è l’ambito di applicabilità del concetto di rischio di credito, la suddetta definizione si applica, infatti, oltre che ai titoli od ai prestiti iscritti in bilancio, anche alle posizioni fuori bilancio
15e va anche a considerare il rischio di variazione dei prestiti dei titoli obbligazionari
16.
Il rischio di credito può essere successivamente scomposto in diverse tipologie di rischio, cui possono essere soggette diverse esposizioni(vedere tabella 2.a.).
L’analisi dell’istituto di credito va dunque a considerare tutte le varie componenti di rischio ed a cercare di prevedere il rischio insito in ogni singola posizione così da tutelarsi da deterioramenti del merito creditizio o da evitare l’assunzione di posizioni troppo rischiose. La complessità e la molteplicità dei rischi che gravano sul bilancio bancario rendono abbastanza difficoltosa sia la loro individuazione che la loro successiva quantificazione.
14 Questo crea non poche difficoltà di valutazione, la maggior parte delle posizioni della banca sono, infatti, valutate secondo una logica contabile più che non secondo le regole di mercato, inoltre la gran parte dell’attivo della banca è rappresentato da impieghi illiquidi e per i quali non esistono ancora mercati secondari sviluppati.
15 Viene qui ricompreso l’uso dei derivati finanziari negoziati in mercati over the counter ed il regolamento di transazioni nazionali ed internazionali in titoli, in valute od in strumenti finanziari derivati.
16 Questo se si percepisce tale rischio di variazione dei prezzi come legato ad un peggioramento del merito creditizio degli emittenti.
TABELLA 2.a.
Tipologia di rischio Definizione Esposizioni soggette Rischio d’insolvenza Possibilità che una
controparte affidata divenga insolvente
Tutte
Rischio di migrazione Possibile deterioramento del merito creditizio di una controparte
Tutte
Rischio di recupero Possibilità che il tasso di recupero della posizione sia inferiore a quanto stabilito
Tutte
Rischio di esposizione Possibilità che la dimensione della esposizione aumenti prima del verificarsi dell’insolvenza
Esposizioni per le quali il debitore gode di discrezionalità (es.
apertura di credito in conto corrente)
Rischio di spread Possibilità che aumenti il premio per il rischio richiesto dal mercato finanziario a parità di merito creditizio
Titoli obbligazionari ed attività dotate di mercato secondario
Fonte: nostra elaborazione.
L’Autorità di vigilanza si trova a dover considerare non più soltanto i rischi
finanziari, ma anche altre tipologie di rischio, ad esempio legati al
malfunzionamento delle organizzazioni, all’ inadeguatezza dei controlli, a
carenze nella struttura organizzativa, che possono generare perdite inattese di
rilevante entità.
La regolamentazione prudenziale individua un nesso tra quello che è il rischio a cui è sottoposta la banca e l’ammontare minimo di patrimonializzazione necessario per fronteggiarlo. L’Accordo del 1988
17ebbe il pregio di introdurre una standard di adeguatezza patrimoniale universalmente riconosciuto, contribuendo così alla crescita patrimoniale delle grandi banche internazionali.
Nel corso degli anni ’90 la rapida evoluzione dei mercati finanziari e delle tecniche di risk management ha posto in evidenza la necessità di regole che consentano di meglio correlare i requisiti patrimoniali con i profili di rischio complessivi di ogni banca. I parametri attraverso cui valutare il merito creditizio non sono però individuabili univocamente, variano in base al settore, all’impresa, al periodo temporale considerato. Si possono tuttavia considerare alcune peculiarità che caratterizzano lo stato di crisi aziendale e che possono essere evidenziati da alcuni valori di bilancio (illiquidità, eccessivo indebitamento, riduzione dei margini di contribuzione unitari, sovracapacità produttiva). La valutazione della capacità di credito non può prescindere dall’analisi di tali indicatori in modo da prevedere tempestivamente l’insorgere di alcuni segnali di squilibrio. I tradizionali strumenti usati a tale scopo sono le analisi per indici e per flussi che guardano sia alla situazione attuale che a quella prospettica, avvalorate da informazioni qualitative.
Nell’ultimo ventennio anche in Italia sta prendendo forma una metodologia sintetica di valutazione che si è sviluppata negli Stati Uniti e che tende ad analizzare in maniera asettica i dati del richiedente credito e la fattibilità di erogazione del credito. Tali metodi si propongono di semplificare le procedure di analisi di bilancio, in modo da stabilire parametri oggettivi in base ai quali esprimere un giudizio sulla singola azienda da esaminare. L’applicabilità del credit scoring alle procedure di analisi finanziaria, ed alla concessione e controllo del credito da parte delle banche in particolare, è molto dibattuta. Da un lato i risultati empirici positivi indicano una forte potenzialità del loro utilizzo, dall’altro alcuni sostengono l’impossibilità di arrivare ad un giudizio adeguato
17 Il primo Accordo di Basilea va infatti a prevedere che una disciplina di vigilanza prudenziale in base alla quale ogni banca deve accantonare un ammontare di capitale pari all’8% per ogni esposizione rischiosa.
applicando i metodi statistici, la valutazione in merito alla concessione del credito dovrebbe infatti pervenire da una serie di informazioni non efficacemente sintetizzabili in un modello di stampo matematico.
I vantaggi dell’uso di tali metodologie si rifanno ad una certa economicità nell’effettuare l’operazione in termini di tempi e costi da sostenere, di contro si rischia di perdere delle informazioni qualitative importanti al fine dell’ analisi.
I modelli basati sul rating interno dovrebbero consentire di creare un’opinione strutturata sul cliente, soggetta alle continue verifiche del rapporto con la clientela, basata su giudizi interpretati dall’analista ed avvalorata da valutazione proiettive (ad esempio simulazioni di scenario e sensitivity analysis)
18.
Le metodologie di risk management consentono un controllo interno più diretto, accurato e consapevole delle fonti di rischio e del loro impatto sui risultati aziendali. Si ha maggiore consapevolezza e conoscenza del rischio e delle sue componenti che portano a scelte consapevoli in base all’allocazione delle risorse, ai rapporti rischio/rendimento ed alla valutazione delle performances delle varie linee d’affari. In particolare si generano segnali verso l’esterno (quali ad esempio il pricing) “aggiustati” per il rischio, si ha una maggiore efficienza e riduzione del costo di produzione di informazioni sul rischio, ed un ridisegnamento gestionale volto a ricomprendere nell’attività di selezione e monitoraggio la variabile rischio; si definiscono inoltre in maniera precisa e puntuale gli obiettivi perseguiti dall’intermediario.
La realizzazione di un sistema di gestione dei rischi bancari non è, però, né un impegno facile né breve; si tratta infatti di considerare operazioni che riguardano processi di investimento complessi ed in continua evoluzione, di rivedere gli assetti organizzativi, operativi e gestionali delle aziende fino a toccare i punti più profondi della loro cultura e del loro comportamento, di avere la disponibilità ad innovare, di essere abili ad usare strumenti sofisticati, con diverse combinazioni di prodotti, attivando nuove modalità di relazione e di rapporto con la clientela.
18 Spesso nella determinazione del rating la valutazioni qualitative hanno un peso maggiore delle indicazioni contabili in quanto sono legate ad una situazione aziendale duratura e non a difficoltà o crisi che possono riguardare il sistema economico od il settore complessivo od essere di carattere temporaneo.
La gestione moderna e sofisticata dei rischi bancari è necessaria soprattutto per le grandi banche che, a seguito dei mutamenti che negli ultimi anni hanno caratterizzato il sistema, si trovano ad operare in un’ottica sempre più internazionale
19.
Per quanto attiene la realtà italiana le tecniche di risk management hanno trovato alcuni inibitori al loro sviluppo, in particolare manca un legame concreto fra le tecniche di risk management e le scelte strategiche di carattere organizzativo, dovuto allo sviluppo ed alla qualità della governance aziendale.
La banca dovrebbe utilizzare i metodi di credit scoring per arrivare ad un giudizio oggettivo e da qui procedere ulteriormente, affiancando l’analisi qualitativa a quella quantitativa e sintetizzando entrambe nel giudizio di rating. È infatti scontato come processi automatizzati e rapidi consentano di avere un parametro oggettivo di partenza uniforme e standard, è, però, altrettanto ovvio che questo debba essere avvalorato con informazioni e dati da interpretare nel giusto modo.
I modelli di previsione delle insolvenze non hanno l’obiettivo di predire il fallimento dell’impresa, ma di evidenziare l’andamento della situazione aziendale e di eventuali criticità, situazione che potrà sfociare o meno in una crisi.
È chiaro che la scelta riguardo l’implementazione dell’uno o dell’altro modello sarà a discrezione dell’analista e dipenderà dai valori ritenuti più importanti nella determinazione dell’insolvenza in base ai valori di bilancio, al settore d’appartenenza, alla tipologia d’impresa considerata, alla dimensione.
Nell’ottica di Basilea 2 tali valutazioni sono di supporto alla banca per sviluppare rating interni andando a stimare la perdita attesa, e quindi il rischio associato al
19 L’ internazionalizzazione del sistema è legata a diverse ragioni: l’unione monetaria europea implica che i mercati si allarghino spontaneamente comportando l’operatività con soggetti che operano in contesti nuovi; la liberalizzazione, la privatizzazione e le ridefinizioni dei limiti dell’intervento statale, delle concessioni governative e delle competenze locali ampliano il sistema competitivo; la diversa dinamica delle economie emergenti rispetto a quelle mature richiede flussi di capitale su mercati nuovi e
radicalmente differenti; devono essere altresì considerati la diversificazione dell’attivo bancario per attenuare i rischi e gli eventi estremi del mercato locale; la nascita di nuovi prodotti, contratti e strumenti consentono di rendere più liquido l’attivo bancario e permettono di ricercare più efficaci allocazioni del rischio e negoziando le proprie posizioni con intermediari globali.
prestito erogato, sulla base dell’analisi delle sue tre componenti: la probability at default, l’exposure at default e la loss given default
20.
2.3. I modelli di previsione delle insolvenze.
Esistono diversi modelli matematici che sono di supporto alla gestione bancaria per la quantificazione del rischio di credito. La necessità di valutare il rischio di credito e di avere una rappresentazione qualitativa di supporto alle decisioni bancarie si è avuta in tempi recenti a causa dell’aumentata concorrenza internazionale, dello sviluppo dei mercati mobiliari e della nascita dei nuovi strumenti derivati, delle politiche di securitization
21e dello sviluppo dei nuovi strumenti contrattuali.
La misurazione del rischio è di supporto a diverse fasi del processo decisionale della banca; ogni fase ha delle caratteristiche e degli obiettivi che rendono preferibile l’implementazione di uno o di un altro modello.
Nella fase di screening la banca va a selezionare quali imprese finanziare, l’importo da concedere ed il tasso da praticare. In quest’ottica è necessario quantificare tre variabili chiave che determinano questi valori: la probability at default, che a sua volta dipende dalla forma tecnica di credito concessa, il recovery rate
22, influenzato dall’importo, e la correlazione dell’operazione analizzata con il portafoglio crediti complessivo.
La seconda fase è quella di monitoring: una volta concesso il credito la banca provvede al controllo dei crediti in portafoglio. Questa fase è fondamentale per decidere se mantenere o meno la posizione, se modificare il pricing , per
20 La misurazione del rischio di credito avviene infatti andando a calcolare la probabilità che il soggetto diventi insolvente nell’orizzonte temporale considerato, cercando di stimare l’esposizione che egli avrà alla scadenza nei confronti della banca e l’ammontare di fido che la banca prevede di recuperare.
21 La securitization è un tipo di operazione finanziaria sviluppatasi inizialmente nel mercato statunitense intorno alla fine degli anni ’70 (la prima cartolarizzazione di attivi creditizi è stata realizzata negli USA da “Bank of America” nel 1977 su un portafoglio di mutui immobiliari), introdotta e tipizzata in Italia con la legge 30 aprile 1999 n. 130, consiste, secondo la definizione fornita dall’ABI in una “tecnica
finanziaria mediante la quale flussi di cassa derivanti da impieghi creditizi (mutui o altre classi di attivo predeterminate) vengono selezionati e aggregati al fine di costituire supporto finanziario e garanzia di titoli (asset backed securities) rappresentativi di tali crediti, collocati nel mercato dei capitali”.Vasselli L.M.D., La securitization ovvero la cartolarizzazione dei crediti, Caos management
22 Il recovery rate è il tasso di recupero della posizione rischiosa. La banca va a stimare quanto prevede di poter recuperare in termini percentuali su un certa esposizione qualora si verifichi l’insolvenza.
verificare l’affidabilità dell’intermediario, per valutare congiuntamente le varie tipologie di rischi (ad esempio i rischi operativi) e misurare il rischio complessivo in modo da arrivare ad un’allocazione ottimale del capitale. Le variabili chiave da quantificare in questa fase sono la probability at default, gli assets dell’impresa e le eventuali garanzie collaterali.
La terza fase va ad analizzare i rischi a cui la gestione bancaria è assoggettata e l’ultima fase a valutare il portafoglio prestiti in modo da arrivare alla redazione del bilancio bancario.
I sistemi di previsione delle insolvenze troveranno ampio utilizzo soprattutto nei primi due momenti, di screening e di monitorino. La scelta di un modello statistico piuttosto che di un altro andrà però anche ad influenzare le due fasi conclusive della gestione dell’azienda banca.
Fino agli anni ’70 le metodologie usate per valutare tali processi consideravano prevalentemente parametri di tipo soggettivo, si guardava unicamente ad elementi di natura qualitativa come la reputazione del management, e si univano a questi alcuni fattori quantitativi ritenuti significativi, ad esempio il grado di leverage. Negli ultimi anni si sono sviluppati, a partire dalla Gran Bretagna, metodi econometrici usati per avvalorare il giudizio soggettivo. In un primo momento tali supporti matematici erano utilizzati unicamente per stimare la probability at defautl del prenditore, dunque principalmente nelle fasi di screening e di monitoring, oggi svolgono un ruolo fondamentale nella misurazione del rischio complessivo assunto da un intermediario.
23I modelli in questione possono essere distinti in cinque classi:
1) I modelli di scoring o di previsione delle insolvenze, che hanno come obiettivo quello di stimare la probability at default del singolo prenditore in funzione di indicatori economici e finanziari storicamente significativi.
Vengono dunque raggruppate le singole posizioni in classi di rischio omogenee. Per ognuna di esse vengono quantificate le insolvenze che risono manifestate ed, attraverso un’analisi di tipo statistico, vengono
23Per maggiori approfondimenti vedere: Anolli M., Gualtieri P., La misurazione del rischio di credito nella gestione delle banche, Il mulino,1999.
individuati quei fattori (indicatori di bilancio, settore d’appartenenza, qualità del management, ecc) che potevano prevedere il default.Ognuno di questi fattori viene successivamente pesato in base all’importanza che ha avuto nel prevedere la crisi. Il risultato di questi metodi è dunque uno score attribuito alla singola posizione che consente di classificare il soggetto in solvente od insolvente basandosi sulla probabilità passata relativa alla classe e sulle variabili di rischio considerate nel modello. Il limite principale di queste metodologie è quello di considerare un dato storico che non sempre può risultare applicabile ai contesti attuali.
Appartengono ai metodi di scoring i modelli lineari, logit o probit, il modello della Z-score di Altmann e le reti neurali
24.
2) I modelli che usano i dati estratti dal mercato delle obbligazioni. Questi modelli stimano la probability at default sulla base dello spread dei titoli rischiosi e non appartenenti alla stessa classe di rating
25. I limiti di questi modelli si rifanno ad alcune assunzioni di base e cioè considerare che il diverso rendimento è unicamente legato al rating e non tener conto della variabilità dei prodotti sul mercato.
3) I modelli basati sul tasso storico di mortalità, che calcolano su un campione di imprese il tasso storico di mortalità lungo un orizzonte temporale ritenuto significativo. I limiti di questi modelli si rifanno al fatto di dover considerare, per rendere attendibile l’analisi, un numero notevole d’imprese non sempre a disposizione della singola banca, nella difficoltà di classificare un prenditore in una determinata classe di rating e nell’assumere che ciò che è accaduto in passato si ripeta in futuro.
4) Gli option pricing model. Questi modelli si rifanno alla metodologia di Merton
26ed assumono che il valore della posizione creditoria sia pari al
24 Vedere cap.2.3.1. La stima della perdita attesa.
25 Vedere allegato 3.: La stima della perdita attesa sulla base dei credit spread.
26
L’
approccio di fondo del modello di Merton deriva dal modello di pricing delle opzioni sviluppato originariamente da Black e Scholes (1973), che si fonda sui principi della contingent claim analysis.Merton (1974) fu il primo ad applicare tale logica al rischio di insolvenza. La sua elaborazione si basa sul presupposto che per una società l’insolvenza si manifesta esattamente nel momento in cui il valore delle attività risulta inferiore al valore delle passività. Quindi l’evento insolvenza si verifica in
valore di vendita di un’opzione call. I limiti di tale modelli sono dovuti alle difficoltà di stima del valore di mercato degli assets, della loro variabilità e, per le società non quotate, nell’individuazione di società quotate comparabili.
5) Analisi di migrazione tra le classi di rating. Si va qui a considerare la probabilità storica con cui posizioni appartenenti ad un certa classe di rating sono migrate in un’altra fascia.
A questi approcci di carattere matematico sono stati lungamente contrapposti i modelli analitici di natura soggettiva che vanno a suddividere l’analisi in due parti: l’esame delle condizioni economiche-finanziarie attuali e prospettiche dell’impresa e l’analisi qualitativa legata al settore d’appartenenza, al quadro macroeconomico di riferimento.
Questa tendenza valutativa caratteristica dell’istruttoria bancaria ha influenzato altresì il meccanismo valutativo dei rating interni inserendo come variabili determinati del modello gli aspetti qualitativi.
I modelli di previsione delle insolvenze entrano nel calcolo della perdita attesa, vediamo allora cosa si intende per perdita attesa e come questi modelli possono influenzarne al stima.
2.3.1. La stima della perdita attesa: l’utilizzo dei modelli di credit scoring.
Come abbiamo visto precedentemente il rischio di credito è identificato con la possibilità che alcune controparti affidate non siano in grado di ripagare in tutto od in parte i crediti ricevuti. Il rischio di credito rappresenta quindi la possibilità che all’interno di un certo portafoglio si manifestino un numero più o meno consistente di casi di insolvenza. All’interno di un portafoglio bancario è fisiologico che si manifestino un certo numero d’insolvenze che la banca va a
corrispondenza del primo pagamento che l’impresa deve effettuare quando il valore delle attività è tale da non rendere più conveniente per gli azionisti adempiere alle proprie obbligazioni. Epis C.,
I
ntroduzione al modello di merton/kmv per la stima delle probabilità di insolvenzadi societa’ quotate, www.unibg.it.Per maggiori approfondimenti vedere allegato4.: Il modello di Merton.
considerare nell’attuazione della propria politica di concessione del credito. Il rischio di credito non mira a considerare tali perdite, bensì cerca di quantificare quanto i valori assunti in futuro dal portafoglio possano discostarsi dal valore della perdita attesa stimata dalla banca. Per fronteggiare tale rischio l’istituto di credito ha a disposizione principalmente due mezzi: da un lato andrà ad accantonare in un opportuno fondo rischi un ammontare adeguato a fronteggiare il rischio di variazione del credito concesso, dall’altro prevederà un’adeguata patrimonializzazione per fronteggiare la componente inattesa delle perdite.
Nel momento in cui la banca va a concedere un affidamento già considera la componente attesa della perdita, prevedendo a copertura della medesima un accantonamento a fondo rischi ripagato dallo spread del tasso applicato al finanziamento rispetto alla raccolta; la dotazione patrimoniale assume invece importanza quando si va a considerare la stima di perdite inattese e dunque non coperte da tale accantonamento, in questo senso bisogna considerare sia il rischio di fallimento (default risk) sia il rischio di deterioramento del merito creditizio e quindi di migrazione da una classe di rating ad un’ altra (migration risk).
La perdita attesa è data dal prodotto di tre componenti:
1) l’esposizione assunta nei confronti della controparte (exposure at default);
2) la probabilità d’insolvenza della controparte (probability at default);
3) la percentuale attesa di perdita in caso d’insolvenza (loss given default).
Tutte queste tre componenti hanno determinazione incerta. Ciò è intuitivo per la loss given default e per la probability at default, ma anche per l’exposure at default non è semplice determinare certamente l’esposizione soggetta a rischio, in quanto molte forme tecniche di concessione di fido, pensiamo a quelle per elasticità di cassa come l’apertura di credito in conto corrente, lasciano discrezionalità al cliente di decidere quanto (e quando) utilizzare dell’affidamento concesso.
La perdita attesa è dunque data da:
PA= EA*p(ins)*LGD
Dove: con PA indico la perdita attesa
con EA indico l’esposizione soggetta a perdita con p(ins) indico la probabilità d’insolvenza
con LGD indico la percentuale sull’ammontare di fido complessivo che la banca stima di non recuperare in caso si manifesti l’insolvenza
(rappresenta la stima di perdita attesa sull’affidamento)
Sostituendo alla loss given default il recovery rate, ovvero la percentuale di fido che la banca stima di recuperare (è matematicamente il complemento ad 1 della loss given default) in caso d’insolvenza, avremo:
PA= EA*p(ins)*(1-RR) Dove: con RR indico il recovery rate
Una volta valutata la perdita attesa si va quindi a considerare, in linea con il concetto di rischio di credito precedentemente esposto, la possibilità che tale valore possa differire in futuro da quanto stimato.
Per la stima della perdita attesa si può procedere in due modi:
1) classificare, in base a valutazioni soggettive delle operazioni e delle controparti, i soggetti affidati in classi di rischio omogenee e procedere poi ad associare ad ogni classe una certa perdita attesa,
2) attribuire direttamente una perdita attesa alla singola controparte sulla base di valutazioni di tipo quantitativo.
La prima modalità di calcolo prevede dapprima l’identificazione da parte dell’analista del livello di rischiosità della singola operazione o del singolo affidato e secondariamente la quantificazione delle perdite associate a tale scala di rischio. Nel secondo caso è possibile invece quantificare una probabilità per il singolo prenditore applicando funzioni di tipo matematico.
Nell’andare a definire la classe di rating corrispondente ad un certo soggetto
affidato l’analista andrà ad effettuare un processo di valutazione più specifico di
quello adottato considerando unicamente i dati storici e le variabili economico- finanziarie, potrà infatti avvalersi delle informazioni qualitative non strettamente quantificabili quali la posizione competitiva dell’azienda rispetto ai concorrenti, le prospettive di evoluzione del settore di appartenenza, la qualità del management, difficilmente utilizzabili in modelli di stampo statistico.
L’analisi così effettuata può inoltre presentare gradi di dettaglio differenti a seconda dei diversi casi pratici analizzati; ad esempio una banca può utilizzare la determinazione del rating unicamente per discriminare tra l’accettazione o meno degli affidamenti (chiaramente il valore aggiunto dato dal sistema di analisi è in tal senso molto limitato) o per ponderare le proprie politiche di credito, ad esempio fissare il tasso. Le singole banche possono inoltre scegliere la numerosità delle classi di rating, l’oggetto del rating (singola controparte o singola operazione) e le variabili che impattano sul rating
27.
Una volta definita la classe di rating all’interno della quale ricomprendere l’operazione o la controparte considerata bisogna passare alla quantificazione della perdita attesa associata a tale classe. Adottando una valutazione soggettiva e non statistica le metodologie di stima della perdita attesa devono necessariamente considerare l’affidabilità della controparte esaminata, si può dunque procedere alla valutazione in base all’esperienza storica del valutatore od a quella della banca o di un pool di banche o dell’intero sistema bancario. Tali valutazioni soggettive sono spesso avvalorate con supporti di carattere matematico. I modelli utilizzati sono: i modelli basati sul tasso storico di mortalità, che valutano la perdita sulla base dei tassi di default cumulati registrati storicamente da titoli obbligazionari di uguale rischio
28od i modelli che usano i dati estratti dal mercato delle obbligazioni, basandosi sui tassi di perdita attesa desunti dagli spread dei titoli obbligazionari di uguale rischio
29.
27 La tendenza attuale è verso un incremento del numero delle classi di rating e verso un calcolo del rating riferito alla singola operazione, anche se una soluzione più avanzata sarebbe rappresentata dall’integrazione di due rating, uno per la controparte affidata ed uno per l’operazione stimata.
28 Vedere allegato 2:metodo di Altamn.
29 Vedere allegato 3:stima della perdita attesa sulla base dei credit spread.
I modelli di stampo quantitativo si rifanno invece all’analisi dell’esperienza storica sulla probabilità d’insolvenza di soggetti appartenenti a determinate classi di rating.
Sono qui individuabili i modelli tradizionali: i modelli di scoring o di previsione delle insolvenze,basati sull’osservazione dei dati storici, come i modelli di credit scoring, e gli option pricing model, tra i quali: i Firm Value Model o Structural Model, per i quali il valore dell’attività rischiosa è legata alla struttura patrimoniale dell’azienda (fa parte di questa categoria il metodo di Merton
30), i First Passage Time Model, che cercano di superare alcuni limiti del modello di Merton, quali il fatto che il default non si possa verificare se non alla scadenza del debito ed il fatto di considerare unicamente due classi di rischio
31, e gli Intensity Model
32dove le situazioni di default si possono manifestare in tempi successivi.
Difficilmente però questi modelli trovano applicazione nell’assegnazione della probability di default effettuata dalla singola banca. Sono più utilizzate delle tecniche che fungono da supporti per il calcolo automatico dello score attribuito ad ogni soggetto, il cosiddetto credit scoring.
Queste tecniche si basano su indagini campionarie e su supporti statistici in modo da arrivare alla costruzione di una funzione matematica utilizzata per l’assegnazione del rating interno. I modelli di scoring hanno come obiettivo la ricerca, mediante analisi matematico-statistiche effettuate su campioni d’imprese, di relazioni tra variabili indipendenti di tipo economico-finanziario e l’evento di default.
Le tecniche di credit scoring discendono da tecniche statistiche di previsione dei dissesti aziendali. Queste ultime nascono negli USA sul finire degli anni ’70 ad opera di Altman che, nel 1968, elaborò, basandosi su una tecnica statistica, una funzione lineare (la Z-score di Altman) fondata su 5 quozienti, 4 calcolati su valori contabili ed 1 sul valore di mercato.
30 Vedere allegato 4:metodo di Merton.
31 Vedere allegato 5:i First Passage Time Model.
32 Vedere allegato 6: gli Intensity Models.
La funzione di Altman individua un valore di cut-off sulla base della seguente equazione:
Z=1,2*X1+1,4*X2+3,3*X3+0,6*X4+0,999*X5
Dove: con X1 indico il Capitale circolante netto/Capitale investito con X2 indico le Riserve di utili accantonati/Capitale investito con X3 indico il Reddito operativo/Capitale investito
con X4 indico il Valore di mercato delle azioni/Valore contabile dei debiti con X5 indico le Vendite/Capitale investito
e calcola un valore di separazione tra aziende “buone” e “cattive” pari al 2,675, nel senso che non verranno affidate le imprese che presentano un punteggio superiore al valore di separazione.
L’analisi di Altamn si dimostrò dotata si capacità previsionali migliori della tradizionale analisi per quozienti. La comunità accademica statunitense mostrò dunque un crescente interesse verso i criteri di selezione statistica degli indici di bilancio in grado di individuare a priori le imprese suscettibili di un dissesto aziendale.
Nonostante tutto i modelli di scoring hanno trovato ampia applicazione soltanto in tempi più recenti. Questo è motivabile, da un lato, dal tempo necessario sia per testare il modello e valutarne le proprie capacità previsionali, sia per verificarne il valore economico, ovvero la capacità di prevedere l’insolvenza con ampio anticipo, dall’altro dalla necessità di confrontare questi nuovi modelli valutativi con le tecniche tradizionali in modo da effettuare un’analisi comparata del trade- off costi-benefici di entrambi.
Le tecniche di credit scoring fanno ricorso all’analisi discriminante. Al fine di questa analisi è necessario poter disporre di un numero di aziende , rappresentativo dell’universo a cui si intende applicare lo strumento, per le quali sia nota a priori e con certezza lo stato di azienda affidabile o meno. Seguono poi varie fasi per la costruzione di un modello statistico per stimare la probabilità d’insolvenza di una controparte affidata riassumibili nei seguenti steps
33:
33Nadotti Loris L. M., Rischio di credito e rating interno, Egea, 2002.
1) selezione ed organizzazione del database; in un modello statistico le stime sulla probabilità di default si rifanno all’analisi della frequenza con cui tali situazioni si sono manifestate in passato, è necessario andare a considerare una classe omogenea e sulla base di questa verificare quanti clienti sono stati definiti “buoni” ovvero “cattivi”( la proxy determinante per definire le aziende non affidabili porta di norma a selezionare all’interno del portafoglio dell’intermediario un certo numero di partite in sofferenza e/o incagliate). Nel database sono inoltre inseriti tutti gli input ed i dati necessari a qualificare la posizione del soggetto, rivisti e controllati periodicamente per valutarne la congruenza e l’affidabilità;
2) determinazione delle caratteristiche e delle dimensioni del campione; si va qui a considerare le caratteristiche del campione su cui viene effettuata l’
implementazione del modello, ad esempio si può parlare di campione bilanciato se il numero dei “cattivi” è circa uguale al numero dei “buoni”.
Il campione considerato deve inoltre rispecchiare la composizione del portafoglio della banca ed essere di una dimensione statisticamente significativa;
3) sviluppo ed implementazione del modello; si vanno a considerare in questa fase l’insieme delle variabili che possono portare alla quantificazione del default. Si prendono in considerazione le diverse variabili
34che possono impattare nella valutazione del default e ad ognuna di essa si attribuisce un peso nel risultato finale. Chiaramente anche questa analisi sarà sottoposta ad una validazione su un arco temporale sufficientemente ampio e significativo;
4) test di coerenza del modello; si va cioè a verificare l’ attendibilità del modello implementandolo su un altro insieme di variabili differenti dal campione usato per effettuare la stima e si vanno a stimare i costi che possono derivare da errori legati all’uso del modello (ad esempio può accadere che un’impresa venga classificata dal modello come “buona” ed
34 Di solito le variabili utilizzate nel modello sono: indici di bilancio, variabili attinenti al comportamento della controparte nei precedenti rapporti con la banca e rispetto all’intero sistema, variabili di carattere qualitativo e dati anagrafici.
invece è insolvente, verrà dunque sostenuto dalla banca un costo in termini di perdita del prestito concesso, ovvero un’ altra classificata come
“cattiva” potrebbe essere una buona cliente, il costo qui sostenuto è quantificabile come costo opportunità legato alla perdita di possibili profitti alternativi);
5) ulteriori correzioni ed adattamenti del modello; se dalle analisi precedentemente effettuate si evidenziano situazioni anomale sarebbe opportuno andare a rivedere il modello;
6) verifica finale e manutenzione del modello; eventuali modifiche dell’ambiente esterno o della realtà operativa della banca renderebbero necessario rivisitare e riadattare il modello.
I modelli di scoring risultano essere utili nella fase di screening, consentendo di ordinare i debitori dal peggiore al migliore, anche se la loro capacità di determinare la probability at default è abbastanza limitata (si ha un’area di sovrapposizione delle imprese sane e non), e nella fase di monitoring, facilitando l’individuazione delle imprese problematiche.
Il credit scoring è una metodologia di analisi del rischio basata su una suddivisione in diversi stadi caratterizzati da uno “score”, o punteggio, da assegnare alle voci che rappresentano le fasi della stessa analisi. Il concedente il credito va cioè ad assegnare una serie di punteggi, positivi o negativi, alle diverse variabili che impattano sul rischio creditizio
35. La somma algebrica (ponderata a seconda dell’importanza data alle diverse variabili
36) dei punteggi permette di arrivare ad un giudizio sintetico in merito alla concedibilità o meno del fido, alla rischiosità ad esso associata ed anche la forma tecnica più idonea per la copertura. Vengono infatti create delle fasce di punteggio a cui corrisponde una specifica azione decisionale da parte della banca (concedere o meno il fido,
35 Tali variabili possono essere tra le più varie (settoriali, andamentali, legate al bilancio,…) e possono provenire da diverse fonte (CEBI, comportamenti tenuti dal cliente con altri enti, garanzie,…). È dunque necessario che la banca predisponga anche un accurato database in grado di gestire tutte queste
informazioni.
36 La ponderazione delle varie componenti avviene sulla base di analisi statistiche effettuate su campioni di pratiche estratte dal database.
concederlo con particolare attenzione alla sua evoluzione). Le tecniche di scoring possono bloccare la fase d’istruttoria e spetterà agli organi competenti la decisione di procedere ugualmente nell’affidamento.
Concretamente si vanno a creare delle griglie di accettazione/rifiuto (cosiddette Scorecard) che forniscono in base a ciascun score la probabilità che il richiedente credito, appartenente all’una od all’altra fascia, su un orizzonte temporale definito, si dimostri un buono o cattivo pagatore. Questo punteggio ottenuto dal singolo viene comparato al punteggio ed alla distribuzione complessiva su un portafoglio crediti, la banca va quindi a decidere una soglia al di sotto della quale accettare o non accettare il credito od accettarlo a condizione di aumentare il pricing. Si va quindi a minimizzare il rischio legato ad una certa soglia di accettazione.
Si possono individuare tre tipi di scoring a seconda del momento in cui si inseriscono:
• application scoring o score d’accettazione: strumento d’ausilio all’erogazione di credito ad un richiedente,
• behavioural scoring o score comportamentale: strumento che controlla e monitora l’andamento del rapporto ed il comportamento del cliente, facilitando l’individuazione di eventuali criticità,
• collection scoring o score di recupero: strumento che permette di valutare economicamente il recupero della posizione qualora il soggetto diventi insolvente.
Le prime due tipologie di score sono volte alla prevenzione di situazioni d’insolvenza, mentre lo score di recupero è orientato ad una valutazione nel caso in cui l’insolvenza si sia già manifestata.
Il credit scoring porta ad un risultato finale in termini di affidabilità o meno dell’azienda in relazione al punteggio ad essa attribuito. Assume in tal senso un ruolo fondamentale la funzione di ponderazione, ovvero la combinazione pesata delle variabili critiche che entrano nella determinazione dell’insolvenza.
Esistono diversi tipi di funzione di ponderazione, ognuna basata su determinati
presupposti matematici, che danno vita a diverse tipologie di scoring.
Un primo esempio è dato dall’analisi univariata. Tale analisi è forse la metodologia più semplice per individuare una situazione di crisi aziendale, si propone infatti di andare a classificare le imprese come “sane” o “non sane” a seconda del valore di un indicatore di bilancio ritenuto significativo. Si va cioè a prefissare un determinato valore dell’indicatore suddetto e poi a classificare come problematiche le imprese che presentano una situazione di bilancio inferiore a tale valore
37. Questa tecnica riprende ed avvalora l’analisi di bilancio attribuendo un importanza fondamentale alla prevalutazione degli indicatori ritenuti sufficientemente rappresentativi della crisi e quindi focalizzando l’analisi finanziaria su questi ultimi. Un’evoluzione dell’analisi univariata consiste nell’andare a considerare non più un solo indicatore, ma un insieme di indici ritenuti significativi, si passa dall’analisi univariata a quella multivaraita.
Tutte le tecniche di scoring successive, con le quali si va ad attribuire un peso diverso alle variabili ritenute più significative, si basano su questa semplice logica sottostante. I limiti insiti in tale metodo si rifanno alla non considerazione delle eventuali sinergie ed influenze che possono essere presenti tra le variabili considerate, spesso si vanno ad attribuire dei pesi a priori tralasciando le caratteristiche del campione considerato, si rischia dunque di arrivare ad una ponderazione asettica che non è sufficientemente provata nei casi concreti (sarebbe infatti necessario effettuare numerose analisi per verificare l’importanza effettiva che la variabile assume nella realtà e su questa costruire la funzione di ponderazione).
L’analisi discriminante, lineare e non lineare, si basa sugli obiettivi insiti nei modelli precedentemente analizzati, ma differisce da quest’ultimi in quanto va ad individuare in maniera più accurata le variabili chiave ed il valore dei coefficienti andando ad inserire tali informazioni in un’algoritmo.
La funzione discriminante assume la forma di un’equazione parametrica del tipo:
d=a
0+a
1x
1+a
2x
2+a
3x
3+…+a
nx
nDove:con d indico lo score, ovvero il punteggio complessivo attribuito al
37 Chiaramente non sempre il singolo indicatore di bilancio può essere sufficiente a prevedere uno stato di crisi d’impresa.
soggetto od alla posizione da valutare
con a i parametri, ovvero i pesi attribuiti alle varie variabili ritenute determinanti per la valutazione
con x le singole variabili indipendenti che vengono considerate per determinare la valutazione
Fa parte di questa classe di funzioni anche la Z-score di Altamn.
I coefficienti a della funzione discriminante vengono stimati in modo che tali funzioni massimizzino la differenza complessiva tra i gruppi in base alle variabili indipendenti (viene infatti massimizzata la distanza tra le medie degli score dei due gruppi e minimizzata la varianza degli score di ognuno dei due gruppi). Si vanno dunque a considerare dei pesi che consentano di focalizzare l’analisi sulle variabili maggiormente rappresentative della crisi, ovvero quelle che presentano una netta differenziazione di valori tra imprese classificate come solventi e quelle classificate come insolventi.
I valori d possono essere ricavati per ognuna delle singole osservazioni analizzate e consentono, qualora le variabili indipendenti risultino significative, la classificazione dell’esposizione nel gruppo di imprese “buone” o “cattive”.
Le variabili considerate assumono infatti un funzione preponderante per verificare se l’impresa è più o meno rischiosa. Si cerca dunque di individuare un range di fattori quali e quantitativi che possono prevedere una crisi, se negativi, ovvero rappresentare una situazione di efficienza e vitalità aziendale, se positivi.
Successivamente si va ad individuare un parametro che funge da cut-off separando le aziende “buone”, quelle che superano il valore indicato, da quelle
“cattive” quelle che hanno un valore inferiore a quello prefissato.
Questa tipo di analisi consente di avere la migliore efficacia di classificazione qualora siano rispettate 4 ipotesi fondamentali:
1) per ogni variabile esplicativa le osservazioni siano tra loro indipendenti (venga cioè considerata una variabile alla volta e non un insieme di variabili per cui potrebbe essere difficoltoso verificare quale è l’importanza di ciascuna nel prevedere il default),
2) le variabili esplicative devono seguire una distribuzione di tipo normale,
3) le varianze delle variabili esplicative tra ciascun gruppo dovrebbero tra loro risultare uguali o quanto meno simili,
4) per ciascuna coppia di variabili la covarianza all’interno di ciascun gruppo facente parte della popolazione dovrebbe essere uguale o molto simile.
Nella pratica queste ipotesi sono difficilmente verificabili nella loro totalità. Se vengono meno alcune delle ipotesi che rendono efficace l’utilizzo della funzione lineare è opportuno usare altre tecniche di stima. In particolare se la matrice varianza-covarianza è significativamente diversa tra i due gruppi allora non è opportuno utilizzare una funzione di ponderazione di tipo lineare, ma risulta essere migliore una funzione non lineare, ad esempio una quadratica. Se invece la distribuzione delle variabili non è di tipo normale allora può essere usata la logit analisys.
L’analisi logit fornisce ancora un modello lineare, ma le variabili esplicative sono combinate in tale funzione lineare per stimare il logaritmo del rapporto tra la probabilità che un evento (in questo caso l’appartenenza ad un determinato gruppo) accada e la probabilità che esso non accada:
log(P
j/1- P
j)=β
0+β
1X
1j+β
2X
2j+…+β
pX
pjcon j=1,2,…, n
Dove: con P
jla probabilità che l’osservazione considerata appartenga ad un certo gruppo
con β indico il peso
con X le variabili esplicative
Più specificamente per ogni osservazione viene stimata la probabilità di appartenere ad una delle due categorie definita dalla variabile dipendente, in base al valore assunto dalle variabili esplicative e l’osservazione viene poi classificata nel gruppo con più elevata probabilità stimata
38.
Il vantaggio rispetto all’analisi discriminante sta nella minore gravosità delle ipotesi sottostanti; unica condizione per l’applicabilità è infatti che le
38 Per maggiori approfondimenti vedere: Barontini R., La valutazione del rischio di credito. I modelli di previsione delle insolvenze, Il mulino, Bologna, 2000.
osservazioni siano indipendenti, non sono necessarie le ipotesi di normalità, né di uniformità delle matrici di varianza e di covarianza nei gruppi.
Tutti i modelli di stima fin qui considerati sono di tipo parametrico (ovvero vanno ad individuare una funzione di ponderazione che assegna un valore ad ogni singola posizione sulla base di variabili e pesi ad essi assegnati); esistono però anche supporti di tipo non parametrico alla valutazione come il modello elaborato da Frydman, Altman e Kao nel 1985. Tale modello dà una sorta di albero decisionale da percorrere in modo da arrivare alla classificazione dell’azienda come sana o meno. I nodi dell’albero sono dati da vari indici di bilancio ed i rami percorsi derivano dal fatto che l’azienda presenti un valore dell’indicatore superiore od inferiore a quanto indicato. I vantaggi di tale metodologia si rifanno principalmente al fatto di poter assegnare un ordine gerarchico ai vari indici ritenuti più significavi, anche sulla base delle esperienze maturate nell’operazione di valutazione e sulle variabili cui la banca assegna un’importanza maggiore.
L’algoritmo a scomposizione ripetitiva elaborato da Frydman, Altamn e Kao è quello indicato in figura 2.a..
FIGURA 2.a.
Cash Flow/Debiti totali
<=11,15% >11,15%
Riserve accantonate/Capitale investito Debiti totali/Capitale investito <=14,53% >14,53% <=69,75% >69,75%
N1 Liquidità/Vendite N4 N5 <=2,5% >2,5%
N2 N3
Fonte: Barontini R., La valutazione del rischio di credito. I modelli di previsione delle insolvenze, Il mulino, Bologna, 2000.