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1. FRAME: STORIA DI UN CONCETTO

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CAPITOLO 2

FRAMES E PSICOTERAPIA

1. FRAME: STORIA DI UN CONCETTO

1.1. Frame e script

Lo script che abbiamo introdotto e applicato nel capitolo precedente può essere considerato un caso specifico di una tipologia di struttura cognitiva più generale nota come frame. Essi entrano in un quadro teorico, interno alle scienze cognitive e sfaccettato nonostante alcuni presupposti comuni, incentrato sulla ricerca di strutture della conoscenza che: 1. sottostanno la categorizzazione, sia cognitiva sia linguistica; 2. sono in qualche modo formalizzabili o comunque la loro struttura può essere descritta in modo esauriente; 3. si fondano sul presupposto che, nel caso in cui il soggetto si trovi a fronteggiare situazioni stereotipate (sia che si tratti di reagire ad esse con un comportamento, sia di organizzarle mentalmente, sia di comprenderle quando vengono descritte, sia di descriverle), egli organizzi le conoscenze legate a questo tipo di eventi in un modo peculiare che ne facilita il recupero e il “calcolo” delle informazioni.

Il frame è il concetto nodale di questo insieme di approcci, rispetto ai quali in questa sede saranno approfonditi specificamente quelli che si concentrano sull’analisi del linguaggio o possono essere utilizzati in funzione di questa. Isolare dal concetto di “frame” – che trova, come vedremo tra breve, definizioni o quantomeno accenti diversi con i vari autori che lo impiegano – il concetto di

“script” è giustificato dalla peculiarità di quest’ultimo, che si distingue per

concentrarsi su quegli eventi stereotipati rispetto ai quali una descrizione esauriente

non possa che caratterizzarsi, come abbiamo visto nel capitolo precedente, come la

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descrizione di scene e azioni che costituiscono e si conformano secondo una sequenza temporale-causale.

Il concetto di “frame”, al di là delle sue specifiche definizioni, prescinde da questi elementi – il che non significa sempre che non li preveda. Esso descrive una situazione ricorrente secondo una serie di tratti che possono prevedere anche elementi che riguardino la dimensione temporale e quella causale, ma la cui caratteristica principale, in ogni caso, non è quella di andare a costituire né di essere implicati in una sequenza di tale tipo.

Più in particolare, in questa ricerca il mio interesse è quello di far interagire i due concetti in modo che possano descrivere in modo esauriente la concettualizzazione delle sedute terapeutiche (e della psicoterapia nel suo insieme), attraverso una descrizione in termini di scripts, come abbiamo visto, degli elementi delle terapie che siano vincolati a una sequenza temporale e causale, e in termini di frames per definire ogni elemento che entra a far parte degli scripts e la cui definizione abbia una valenza generale nella descrizione delle terapie dal punto di vista dei partecipanti.

Prima di concentrarmi sul concetto di “frame” e su un’esposizione delle caratteristiche che gli hanno assegnato gli autori che privilegerò in questa analisi, vorrei ricordare che la convergenza di visioni e interessi anche molto diversi accomunati da alcuni principi comuni (o simili) ha causato anche dispersione ed eterogeneità terminologica. Abbiamo già visto (supra, § 1.5) le polemiche di Schank sul presunto abuso del concetto di “script”; József Andor, ancora nel 1985, elenca varie definizioni, oltre che dei concetti di “frame” e “script” che già abbiamo incontrato, anche dei talvolta quasi equivalenti “scene” e “schema” (1985: 212-213;

cfr. anche Fillmore 1985: 223, n. 4; Barsalou 1992: 28-29). Il termine “schema”

indica un costrutto psicologico usato per descrivere le forme globali della

conoscenza generale umana (

MECS

: 729), ed è, tra tutti, forse quello che si avvicina

di più ad essere un sinonimo di “frame”, ma Minsky ha caratterizzato questo

secondo termine utilizzandolo sia per riferirsi al costrutto psicologico sia al

costrutto dell’intelligenza artificiale (

MECS

: 729). Barsalou (1992: 29), inoltre,

afferma che “schema” si è diffuso molto in relazione a teorie basate su liste di tratti

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(incompatibili con il costrutto del frame) e non di strutture complesse di attributi e valori; seguendo la sua scelta ho adottato “frame” come termine generale.

Ho già accennato al fatto che mi concentrerò prevalentemente sulle teorie e applicazioni del concetto di frame che pertengano il linguaggio. Ciò significa occuparsi della questione del significato, e in un’ottica che è stata, rispetto agli approcci precedenti (semantica componenziale; semantica basata sui valori di verità), rivoluzionaria. Un importante tratto comune delle teorizzazioni basate sul frame è quello che consente a Raskin (1985: 211) di parlare di una

«frame/script/situational semantics», riferendosi al fatto che la semantica dei frame, di qualsiasi autore ed approccio, è sempre fortemente context-sensitive. Ciò si oppone, in particolare, ad ogni semantica delle frasi isolate («sentence in isolation», ibidem), per cercare di spiegare in un modo più soddisfacente fenomeni come la presupposizione, l’implicatura, i postulati conversazionali, gli atti linguistici, i mondi possibili (ibidem), i livelli linguistici del lessico, della grammatica, del testo (Fillmore 1985), in genere (al di là del linguaggio?) tutto il concettualizzabile (Barsalou 1992).

1.2. Precursori

Il concetto di “frame” ed i suoi equivalenti, o quantomeno i loro presupposti, non rappresentano certo una novità assoluta introdotta dalle scienze cognitive. Il concetto di “schema” è già utilizzato in Kant e in Piaget (

MECS

: 729). John Stuart Mill (ne parla Fillmore 1985: 224-225) propone nel 1846 un concetto che condivide molti elementi con la nozione di “frame”: il fundamentum relationis, una struttura presupposta di relazioni sullo sfondo della quale è possibile comprendere, ad esempo, i termini inseriti in correlazioni (ad esempio: genitore, padre, figlio), che

“denotano”, sì, oggetti diversi, ma “connotano”, secondo i termini utilizzati da Mill,

lo stesso «set of facts». La “genitorialità”, poniamo, di un termine della relazione e

l’“esser figlio” dell’altra si riferiscono, con parole diverse, allo stesso fundamentum

relationis, appunto. La somiglianza, secondo Fillmore, con il frame sta soprattutto

nel fatto che in entrambi i casi: «we can know the meanings of the individual words

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[…] only by first understanding the factual basis for the relationship which they identify» (ibidem).

Ancora Fillmore (ivi: 225-230) trova un altro precursore importante nella teoria dei campi lessicali, che risale a Joseph Trier (specialmente un suo lavoro del 1931) e che, tra suoi successori, ha esponenti di spicco come Coseriu e Weinreich.

In questa teoria il concetto di “campo” («field») rimanda decisamente al frame:

capire il significato di una parola è comprenderne il ruolo in una struttura, detta appunto “campo”, in cui essa ha una posizione precisa e si relaziona ad un numero preciso di altre parole.

Ciò che distingue, però, in modo piuttosto forte questo campo di studi dalla semantica dei frame è il fatto che gli esempi classici della teoria dei campi lessicali rispecchiano casi in cui la lingua crea più che riflettere dei frame di conoscenza:

come nei sistemi di votazioni o di classificazioni in cui certi termini possono dare origine a malintesi in quanto usati con significato diverso rispetto a quello più comune, perché – come nota Fillmore – si trovano in un frame speciale e non più in quello familiare: “first class” che, nella valutazione statunitense degli alberghi, è la quarta categoria a partire dalla migliore; oppure il tedesco “gut” che, in diversi sistemi di valutazione scolastica, vale più o meno a seconda che sia inserito in un campo complessivo di quattro, cinque o sei valori. Secondo Fillmore, la cosa interessante non è solo valutare il nuovo frame in cui vengono spostati questi elementi e il nuovo valore che assumono, bensì valutare l’errore e spiegarlo in base a un errato, o mancato, reframing, a partire appunto da un frame familiare a cui il singolo elemento apparteneva in origine.

Resta il fatto che i casi che avvicinano maggiormente le due teorie sono quelli in cui la lingua non rispecchia una creazione con una struttura artificiale, ma va a strutturare una porzione (graduabile, segmentabile o strutturabile in qualche modo) di realtà: i colori, i manufatti, la parentela, eccetera.

Ma anche qui, mentre Fillmore si dichiara decisamente interessato ai concetti

che sottostanno le serie di termini tra loro correlati, in alcune sue applicazioni la

teoria dei campi lessicali estremizza il concetto (di derivazione sassuriana) del

valore strettamente dipendente dal rapporto di un elemento con tutti gli altri membri

della serie e del significato come opposto a tutti gli altri (che nel sintagma, dunque,

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è dato anche dal fatto di occorrere al posto di qualsiasi altra opzione teoricamente possibile): «Trier himself consistently spoke of the words themselves as being necessary in the interpreter’s consciousness, not the “concepts” or “facts” (or whatever) that underlie them» (ivi: 228).

Secondo questa teoria, dunque, in sistemi diversi (poniamo italiano e inglese), parole tra loro corrispondenti – poniamo “ipotenusa” e “hypotenuse” – se non si oppongono a parole con eguale valore – “cateti” e “(other two) sides”, in cui il secondo termine ha ovviamente molti altri significati e dunque un valore semantico molto diverso da quello di “cateto” – essi non hanno lo stesso significato. Fillmore, come vedremo, si discosta da questo approccio (che Lehrer e Kittay 1992: 12, definiscono “olismo locale”): rifiuta una teoria che si occupi solo di fenomeni interni alla lingua per comprendere invece l’aspetto semantico in relazione, come già detto, alla conoscenza e ai contesti d’uso; di conseguenza, un parlante, secondo la semantica dei frame, può avere piena conoscenza del significato di un termine anche senza conoscere a pieno l’intero dominio lessicale di cui questo fa parte.

Ancora sull’esempio precedente: per comprendere il termine “ipotenusa” e i suoi corrispondenti in qualsiasi lingua basta sapere, come esempio di una definizione possibile, che è il lato del triangolo che si oppone all’angolo retto; questa definizione (che può trovare anche un’espressione visiva) non offre certo problemi di mutua intelligibilità tra lingue diverse.

Un’ultima differenza, utile sia per caratterizzare la teoria dei campi lessicali

sia per sottolineare gli sviluppi ulteriori della teoria dei frame, infine, è riscontrabile

nell’individuazione di che cosa si deve intendere per “campo”: l’individuazione dei

frame è infatti sempre legata ai contesti d’uso, e non alla presenza di alcuni tratti

semantici, anche centrali, in una serie di termini. Ad esempio, termini indicanti

diversi modi di locomozione per i teorici dei campi lessicali sono da opporre tra

loro e definire l’uno rispetto all’altro; per un semanticista dei frame, essi

appartengono semplicemente a contesti (di realtà) diversi e dunque anche

cognitivamente e linguisticamente sono da associare, piuttosto, ognuno al campo

semantico riguardante il contesto di realtà appropriato (approfondiremo la

flessibilità che deriva da questi fatti: infra, §§ 1.4-1.5).

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Condividere alcune componenti semantiche non è dunque garanzia del far parte di uno stesso ambito semantico, nel senso contestuale delle teorie dei frame e, soprattutto, non è detto neanche che i termini di una lingua che condividono alcuni tratti semantici si oppongano e definiscano a vicenda, nel senso di Trier e seguaci, andando cioè a costituire una mappa senza rimanenze del campo semantico stesso (mentre questo potrebbe avvenire proprio in virtù di un medesimo frame legato a un contesto reale in cui si necessiti di distinguere oltre che di definire i singoli elementi). Fillmore discute un esempio di Uriel Weinreich sui termini inglesi che riguardano modi di saltare:

«There is no context-free frame within which [such words as skip, hop, leap, etc.]

occupy different ‘slots’, though such a frame could easily exist if there arose, for sports purposes, say, a need for stipulating precise distinctions among them.»

(Fillmore 1985: 229, n. 11)

33

Il precursore del concetto di “frame” più importante per le scienze cognitive, tuttavia, è senza dubbio lo psicologo Sir Frederic Bartlett, che nel 1932, studiando gli errori di memorizzazione di racconti popolari da parte di soggetti sperimentali, individua delle costanti che tendono a rendere le situazioni narrate più uniformi di quanto fossero originariamente, e postula così degli schemata di conoscenza generali e condivisi:

«Bartlett proposed that human beings have substantial amounts of generic knowledge in the form of unconscious mental structures (schemata) and that these structures interact with incoming information to produce schematized (conventionalized) errors in recall.» (

MECS

: 729)

Questa teoria può considerarsi a tutti gli effetti come la base delle teorie successive basate sui frames, in quanto sarà proprio basandosi sulle teorie di

33. Fillmore, a proposito di queste ultime differenze descritte, precisa che per la semantica dei frames è del tutto legittimo che un determinato frame sia rappresentato da un’unica parola (gli esempi che porta sono “devein” e “scratch”), mentre ciò sarebbe inconcepibile per la teoria dei campi lessicali.

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Bartlett che Minsky elaborerà questo concetto. Riprenderò questo tema (infra, § 1.3), ma intanto basti ricordare il rapporto di Minsky con la parternità, sempre attribuitagli, rispetto al frame: «avevo la continua sensazione che il concetto di frame fosse piuttosto ovvio e forse già implicito nei lavori precedenti di psicologi come Bartlett» (Minsky 1985: 507).

Meritano infine una menzione a parte gli studi di Gregory Bateson e, soprattutto, di Erving Goffman. Si tratta di precursori che hanno inaugurato un campo di studi talvolta parallelo talvolta intersecantesi con la tradizione qui descritta. In un contesto teorico assolutamente non formale, il sociologo Erving Goffman (1959) elabora il concetto di “routine” per riferirsi ai ruoli che le persone impersonificano, quasi fossero copioni teatrali imposti loro dalle relazioni sociali, nella vita quotidiana. Questo classico della sociologia fornirà spesso elementi di riflessione anche al campo delle scienze cognitive. Il concetto di “routine” troverà uno sviluppo nel successivo concetto goffmaniano di “frame”, che l’autore dichiara di trarre da uno spunto di Bateson (che citerò tra breve) che sviluppa in modo organico fino a farne il centro teorico di una sua influentissima teoria di analisi delle azioni sociali e dei modi dei soggetti di concettualizzarle.

Secondo Goffman, nel corso di una qualsiasi situazione sociale, un partecipante, per poter agire in modo appropriato alle norme sociali previste dal contesto, ha bisogno di comprendere che cosa stia succedendo intorno a lui. Le persone, insomma, si chiedono continuamente “che cosa sta accadendo qui ed ora?”

e gli elementi che permettono di rispondere rappresentano quindi un oggetto prioritario e privilegiato di attenzione. Ma la complessità del reale è tale che un’analisi esaustiva del contesto, dei partecipanti e dei loro comportamenti sarebbe interminabile. Per questo motivo (riprendendo le parole di Bateson cui Goffman si ispira): «Ci formiamo abitudini che applichiamo alla soluzione di classi di problemi […] il risparmio sta proprio nel non riesaminare o riscoprire le premesse di un’abitudine ogni volta che di tale abitudine ci serviamo» (Bateson 1969: 297).

Per fare questo, l’esperienza sarebbe costruita mentalmente come fosse

organizzata in frames, costellazioni di elementi che ricorrono in una data

configurazione; il punto è che possiamo riconoscere e ricostruire nella loro

interezza i frames – secondo un principio gestaltico – a partire da pochi elementi

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che giudichiamo pertinenti. Dopo che il frame (che in quest’ottica sociale e interazionale può identificare, poniamo, una conversazione amichevole, un tentativo di seduzione, una rapina in banca, l’avvio di un esame o di una sessione di lavoro, eccetera) è stato riconosciuto come attivo (Goffman 1974: passim), ci formiamo delle aspettative (ecco che qui il concetto di frame si incontra con quello di script) sullo sviluppo degli eventi a cui stiamo partecipando o che stiamo osservando.

La realtà cui si riferisce Goffman è prettamente interattiva; ma i frames sono anche – contemporaneamente – concettualizzazioni su cui si fonda l’attivazione (riducendo l’azione sociale alla comunicazione: dal punto di vista dei mittenti) e il riconoscimento (dal punto di vista dei destinatari) di quelle realtà interattive.

Il concetto interattivo di frame (elaborato in uno scritto coevo al classico di Minsky) tornerà a confrontarsi direttamente con le varianti (talvolta più formali) più strettamente cognitive e semantiche: da Goffman il concetto passerà alla microsociologia più attenta al linguaggio (analisi della conversazione, discourse analysis), finché, ad esempio, Deborah Tannen non farà confluire in alcuni suoi lavori entrambi i filoni (cfr. Tannen, Wallat 1986; 1987).

1.3. Il frame secondo Minsky

Minsky

34

è considerato l’autore che ha introdotto il concetto formale di “frame”

dando l’avvio, in pratica, a un filone di ricerche per cui verrà coniato da Collins nel 1976 la fortunata espressione “cognitive science” (cfr. Schank, Abelson 1977: 2).

Goffman, lo abbiamo appena visto, parla di frame già nel 1974,

35

con considerazioni che avranno un certo rilievo anche per le scienze cognitive, ma il suo concetto non è assolutamente introdotto in vista di una formalizzazione rigorosa e resta prevalentemente un’intuizione preziosa che offre lo spunto per la grande capacità ermeneutica del sociologo e per l’applicazione a una vasta varietà di esempi.

34. Le fonti principali dei contenuti di questo paragrafo sono la grande sintesi delle teorie di Minsky esposta in Minsky 1985, oltre a: Andor 1985; MECS: s.vv. “Frame-Based Systems”;

“Schemata”; Schank, Abelson 1977.

35. L’articolo di Minsky è stato pubblicato nel 1975, sebbene l’autore lo dati discorsivamente all’anno precedente (Minsky 1985: 506), forse riferendosi alla sua elaborazione o stesura.

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Minsky, interessato all’intelligenza artificiale, trova uno spunto fondamentale nelle scoperte di Bartlett (supra, § 1.2). Queste non si integravano con il behaviorismo allora imperante e non si hanno loro applicazioni precedenti alla ripresa da parte di Minsky. Applicando le scoperte di Bartlett ai suoi studi sull’intelligenza artificiale, Minsky pensa che un calcolatore, affinché possa comportarsi come un essere umano, abbia bisogno di grandi quantità di conoscenza, del tipo – generale, schematico, riguardante le situazioni stereotipate – di quella descrivibile in termini di “schemata”, per utilizzare il termine di Bartlett.

Nel suo famoso articolo, Minsky, per rappresentare la conoscenza di aspetti ordinari del mondo, introduce il concetto di “frame”. Il termine “schema” utilizzato da Bartlett indica un costrutto psicologico; ciò che Minsky chiama “frame” è invece da un lato lo stesso costrutto psicologico e dall’altro un costrutto dell’intelligenza artificiale (

MECS

: 729). Con Minsky il frame assume le sue caratteristiche tipiche, che ricorreranno più o meno inalterate in tutte le concettualizzazioni successive: il frame è un’entità che contiene informazioni fisse e strutturate; cattura l’essenza di un concetto o di una situazione stereotipati, racchiudendone tutte le informazioni rilevanti, incluse anche informazioni su “come usare” il frame, sulle aspettative che esso crea, che possono essere deluse, su che cosa fare se le aspettative vengono deluse, eccetera. Contiene dunque una grande quantità di conoscenza proceduralizzata:

«A frame is a data structure for representing a sterotyped situation. It is a collection of questions to be asked about a hypothetical situation.» (Minsky 1977, cit. in Andor 1985: 212)

Il tratto più caratteristico del frame è il fatto che esso struttura la conoscenza:

come lo script, anch’esso è infatti composto da slots

36

ognuno dei quali può assumere una certa varietà di valori, ma cui è assegnato un valore prefissato «if no value has been provided from the external world» (

MECS

: 729).

36. Chiamati terminali in Minsky 1985: 478.

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«A frame […] can be viewd as an organized matrix of slots for given states of affairs, assigned with specific terminal values on the basis of the particular state of affairs to which the frame is applied.» (Minsky 1977, cit. in Andor 1985: 212)

Il frame di “stanza”, ad esempio, prevederà dei muri, una porta, una o più finestre, una luce. La luce, in mancanza di informazioni esplicite, sarà supposta, poniamo, fluorescente. La presenza di una struttura concettuale come il frame spiega perché, ad esempio, una persona che entri in una stanza si stupisca che questa non abbia finestre (

MECS

: 729).

I frames si organizzano in sistemi di frames, nei quali sono interconnessi e si determinano reciprocamente, andando a costituire dei sistemi di conoscenze complessi (

MECS

: 324). Minsky rivendica questo come il proprio contributo più rilevante (Minsky 1985: 507).

Prima di Fillmore, nelle teorie dei frames gli spunti sulla lingua erano presenti ma non sistematici. Per esempio, in Minsky troviamo la coscienza che il frame riguardi la percezione della realtà sia diretta sia mediata dal linguaggio:

«Quando entriamo in una stanza, ci sembra di abbracciare con un’occhiata l’intera scena. In realtà, ci vuole tempo per vedere, per afferrare tutti i particolari […] Che cosa può spiegare la folgorante velocità della vista?

Il segreto sta nel fatto che la vista è intrecciata con la memoria» (ivi: 476)

Di fronte a questa scena:

«sembriamo reagire quasi all’istante, ma non tanto a ciò che vediamo quanto a ciò che quella vista ci “rammenta” […]

Con la lingua è più o meno lo stesso. Se qualcuno dice: “Piovono rane”, la nostra mente si riempie subito di pensieri sull’origine di queste rane, su che cosa accade loro quando toccano il suolo, su che cosa possa aver provocato questa strana calamità e sull’eventualità che chi ci ha annunciato la cosa sia diventato matto.»

(ivi: 476)

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Tutto ciò, ovviamente, senza probabilmente aver mai esperito

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in precedenza una pioggia di rane. Ma la descrizione evocherà una serie di frames che riguardano situazioni analoghe (la pioggia, per un verso, ma anche, aggiungerei, un animale che cade e tocca il suolo, secondariamente).

Il frame, intrecciando cognizione e memoria, si basa su ciò che è prototipico.

Per questo, la descrizione suddetta della stanza, o la “visione” della pioggia di rane, o la percezione della persona, assegneranno i valori prototipici a tutti gli slots a cui non sia stato esplicitato un valore. Le informazioni mancanti – aggiornate ovviamente online durante la percezione – vengono cioè aggiunte «per difetto di ulteriori specifiche» (ivi: 478).

Ovviamente, questo processo dà luogo ad errori di valutazione e anche alla necessità di aggiornare continuamente i frames o aggiungerne di nuovi: «I frames sono tratti dall’esperienza passata ed è raro che corrispondano perfettamente alle situazioni nuove. Dobbiamo perciò imparare ad adattarli ad ogni esperienza particolare» (ivi: 479).

Ma la cosa ancora più interessante (specialmente in vista dell’approccio semantico-pragmatico delineato supra, Introduzione) è che Minsky grazie a questo concetto afferma che la differenza tra la percezione della realtà per via diretta e quella mediata dal linguaggio sembra non sussistere, perché entrambe sembrano seguire esattamente gli stessi meccanismi: le opzioni per difetto sono in realtà il meccanismo principale attraverso cui conosciamo il mondo («ciò che sappiamo con assoluta certezza è pochissimo», ivi: 483) e in questo senso, «se è vero che le parole sono meri catalizzatori per innescare i processi mentali, tali sono anche le cose reali:

noi possiamo percepire non ciò che esse veramente sono, ma solo ciò che ci rammentano» (ibidem).

37. Ma potremmo dire “visto”. Il frame di Minsky è un costrutto mentale molto connotato visivamente. Il progetto iniziale per cui nasce la sua teoria riguarda infatti il riconoscimento visivo da parte di robot. Potrebbe in effetti suscitare qualche perplessità che per descrivere il frame di persona siano sufficienti i posti “corpo”, “testa”, “braccia”, “gambe” (Minsky 1985: 478).

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1.4. Il frame secondo Fillmore

Spesso l’intercambiabilità o la libertà che hanno caratterizzato l’utilizzo dei termini e dei concetti di frame, script, eccetera, non ha reso sufficientemente chiaro se, di volta in volta, fossero da considerarsi entità del linguaggio, della mente (Andor 1985: 214) o perfino della realtà (quantomeno della realtà interattiva, come in Goffman 1974, in cui il concetto di frame si riferisce sia al costrutto mentale che all’interazione effettiva: supra, § 1.2; Tannen e Wallat 1987 cercano una sistematizzazione diversa da quella proposta qui, e affermano che, tra le strutture di aspettative, il frame è il concetto generale interattivo-sociologico, lo schema quello cognitivo-semantico). Con Fillmore

38

questi concetti entrano definitivamente nella semantica, e si ancorano dunque al linguaggio e alla cognizione nella misura in cui questa si interfaccia con il linguaggio.

Il frame non è più semplicemente una struttura della conoscenza, ma coinvolge concetti o termini («concepts or terms», Fillmore 1975, cit. in Andor 1985: 213). Fillmore (1985) fonda sul frame una semantica della comprensione, in opposizione alla semantica della verità, che metta in relazione la dimensione linguistica del testo, il contesto in cui il testo è prodotto e le dinamiche necessarie per la sua comprensione.

Le premesse di Fillmore (1985), e sia il loro legame con le teorie di Minsky sia il loro applicarsi specificamente al linguaggio, sono molto chiare fin dagli esempi ipotetici usati per introdurre la sua argomentazione:

«In a program designed for the teaching of English vocabulary to, say, students of English as a foreign language, we would surely be surprised to find the word Thursday introduced in the first lesson, Sunday in the fourth, and the remaining weekday names distributed randomly throughout the curriculum. Nor would we expect to find father, mother, son, daughter, brother, and sister separated from each other, or buy, sell, pay, spend, and cost […] These words form groups that learners would do well to learn together, because in each case they are lexical

38. Per i contenuti di questo paragrafo mi riferirò in particolare a Fillmore (1985), oltre che a Andor (1985), Fillmore (1968), Goffman (1974).

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representatives of some single coherent schematization of experience or knowledge.» (Fillmore 1985: 223)

In pratica, questi concetti apparterrebbero, di volta in volta, a cornici o strutture concettuali o di conoscenza coese per un principio cognitivo-semantico, vale a dire perché presuppongono un insieme di conoscenze comuni, entro il quale formano delle distinzioni particolari ma che può considerarsi omogeneo. Ad esempio, i nomi dei giorni della settimana presuppongono almeno i seguenti concetti: il ciclo giornaliero che scandisce il moto apparente del sole, il riconoscimento socialmente condiviso delle porzioni di questo ciclo cui si dà il nome di “giorni”, il ciclo calendariale più ampio di sette giorni, la pratica di assegnare a diverse porzioni di tale ciclo fasi di lavoro e di non lavoro, eccetera.

Questo insieme di conoscenze è strutturato perché è legato da relazioni precise tra i suoi componenti ed è lo sfondo comune a tutto un ampio corpo di materiale lessicale, in cui ogni elemento è una possibile figura – in un’ottica gestaltica – che si staglia su tale sfondo (ivi: 224): «In each case, to understand what any one member of such a group is about is, in a sense, to understand what they are all about» (ivi: 223).

La semantica della verità, come noto, assume che comprendere un enunciato («utterance») significhi elencare le condizioni in cui quell’enunciato è vero.

Fillmore, in opposizione a questa, propone una semantica della comprensione – valida per le dimensioni lessicale, grammaticale e testuale – basata sulla comprensione, intesa come un processo che presuppone una categorizzazione del reale basata sui principi fin qui esposti.

Che cosa caratterizza l’approccio al dato linguistico della semantica della comprensione? Alcuni punti essenziali per descriverla sono questi:

- essa è sempre legata al contesto, che include in ogni caso anche il cotesto e i codici utilizzati;

- considera il rapporto tra unità di diverso livello (dalla “parola” alla frase al testo);

- a causa del punto precedente, è possibile affermare che essa è composizionale

perché tiene conto di unità di livello molto diverso, ma è olistica perché non

prevede procedure di operazioni simboliche «from bottom to top»;

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- valuta il registro;

- valuta i valori connotativi in genere;

- valuta il rapporto tra gli interlocutori, nell’hic et nunc e in genere;

- valuta i sistemi di valori di riferimento (i frames culturali condivisi), un punto molto importante e che racchiude in qualche modo tutti gli altri:

«In a [semantic of understanding] which makes critical use of interpretative frames, it is assumed that linguistically encoded categories […] presuppose particular structured understandings of cultural institutions, beliefs about the world, shared experiences, standard or familiar ways of doing things and ways of seeing things.

Lexical items can be seen as serving discriminating, situating, classifying, or naming functions, or perhaps merely a category-acknowledging function, within, or against the background of, such structures.» (ivi: 231-232)

Nell’ottica di Fillmore, i frames possono essere intesi come entità sia invocate dall’interprete, sia evocate dal testo (distinzione che richiama esattamente i due sensi esplicitamente definiti del frame di Goffman, 1974). I due eventi dell’invocazione e dell’evocazione non sono necessariamente compresenti nello stesso grado: l’evocazione da parte del testo avviene ovviamente secondo diversi gradi che offre minori o maggiori appigli (in altri termini, si tratta del tema griceiano della cancellabilità delle inferenze). Fillmore, ad esempio, rispetto ad esempi come:

a. Non apriamo mai i nostri regali prima del mattino;

b. Non apriamo mai i nostri regali di Natale prima del mattino;

afferma che probabilmente il ricevente invocherà in entrambi i casi il frame

“Natale” per interpretare le frasi, ma che solo nel secondo caso questo frame è esplicitamente (e, dunque, con più forza) evocato dal testo (attraverso l’unità lessicale “Natale”, appunto).

La semantica di Fillmore, sebbene molto ancorata al contesto, si discosta da

altre teorie del significato di stampo costruttivista perché prevede la compresenza di

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due piani sempre compresenti di interpretazione semantica da parte dell’interprete (l’attore su cui comunque è incentrata la semantica di Fillmore), legati uno al significato contestuale, ma l’altro al significato convenzionale, che può essere inteso come l’insieme delle condizioni della comprensione da parte dell’interprete di una certa frase che ricorrono per ogni occorrenza di quella frase.

39

Il meccanismo della comprensione linguistica avviene dunque per Fillmore in questo modo: per ogni singola forma linguistica, l’interprete da un lato richiama il frame pertinente (rispondendo implicitamente al perché dell’esistenza linguistica di quella certa categoria rappresentata dalla forma in questione) e dall’altro si colloca nella comprensione del testo (che è o contiene la forma suddetta) rispondendo implicitamente al perché sia stata utilizzata quella forma (che rimanda al frame invocato precedentemente) e non un’altra.

Un esempio di applicazione di una semantica dei frames proposto da Fillmore è quello dell’utilizzo delle preposizioni inglesi “on” e “in” in sintagmi in cui reggono termini che designano mezzi di trasporto. Le due preposizioni si alternano infatti proprio in virtù di (dunque: evocando) differenti contesti d’uso. L’utilizzo di

“on” presuppone infatti quantomeno che il mezzo di cui il testo sta parlando sia in servizio e avrebbe comunque seguito il percorso presente. Così, un passeggero è

“on the plane”, “on the train”, “on the bus”, eccetera, quando viaggia regolarmente su questi mezzi. L’utilizzo di “in”, al contrario, esclude le condizioni suddette:

ricevendo l’informazione che dei bambini sono “in the bus”, ad esempio, non si può fare a meno di pensare che il bus sia rotto, guasto, fermo e senza possibilità di muoversi: è insomma un qualsiasi oggetto capace di contenere qualcosaltro, fatto che giustifica nel suo senso più letterale l’utilizzo della preposizione “in”.

40

39. È la stessa necessità di integrazione proposta nel progetto semantico-pragmatico di Bertuccelli Papi (2000: 42): «We subscribe to an integrated view of communication, based on recognition that all comprehension is inferential, which does not exclude code formats, in that not even codes need be interpreted as rigid, automatic one-to-one associations of forms and meanings».

40. Ho richiamato qui, per descrivere un momento essenziale della storia del concetto, soprattutto i momenti in cui Fillmore ha teorizzato la struttura del frame e il suo valore psicologico-linguistico.

Naturalmente, però, il concetto di frame è legato a Fillmore in linguistica soprattutto per il suo lavoro del 1968 in cui l’autore afferma che il concetto di “frame” spiega, in particolare, la conoscenza sintattica dei verbi, cui attribuisce un case frame che ne definisce la valenza semantica e secondo il quale questi selezionano degli argomenti corrispondenti a casi profondi (da cui la denominazione di questa teoria come “case grammar”) secondo specifici principi e limitazioni.

(16)

1.5. Il frame secondo Barsalou

Dopo Minsky la teorizzazione sui frame è diventata un filone produttivo dall’ambito della psicologia. Rumelhart (1980) ha sviluppato una teoria psicologica degli schemata basata su Minsky (1975) e in genere molti psicologi hanno usato il concetto di “schema” (cfr.

MECS

: 729; Barsalou 1992).

Con il lavoro dello psicologo cognitivo Lawrence W. Barsalou,

41

il frame completa, per così dire, il suo ciclo: nato in ambito psicologico, applicato poi per la determinazione del significato prima nell’intelligenza artificiale e poi nella semantica, il concetto torna a radicarsi, sia pur con interessi semantico-lessicali, alla sua natura percettiva, specificandosi ulteriormente e superando una fase in cui mostrava ancora una certa vaghezza, come le classiche critiche alla versione di Minsky accentuavano (cfr. Minsky 1985: 506;

MECS

: s.v. “Frame-Based Systems”).

Barsalou (1992: 29) attribuisce l’eccessiva vaghezza, nonché un uso troppo eterogeneo, al termine “schema”, e preferisce dunque riprendere “frame” per rifarsi agli aspetti più formali e strutturati comuni a queste terminologie.

La novità più forte della versione di Barsalou, oltre alla precisa determinazione delle singole componenti del frame, sta nella caratterizzazione di questo costrutto come un’entità ricca di collegamenti interni che ne determinano la struttura sia nelle sue costanti che nella sua capacità di adattamento:

«frame theorists generally assume that frames are rigid configurations of indipendent attributes, whereas I propose that frames are dynamic relational structures whose form is flexible and context dependent.» (Barsalou 1992: 21)

Barsalou in particolare polemizza contro le teorie della conoscenza basate su liste di tratti, secondo cui una categoria sarebbe rappresentata cognitivamente attraverso una lista dei tratti che i soggetti producono tipicamente per la categoria.

La categoria “uccello”, ad esempio, sarebbe definibile attraverso la lista (aperta):

“piume”, “ali”, “becco”, “zampe”, “occhi”, “coda”, “vola”, eccetera.

41. Per i contenuti di questo paragrafo mi riferirò in particolare a Barsalou (1992).

(17)

Un tratto sarebbe ogni caratteristica che i membri della categoria possono possedere. In molti casi, rappresentazioni di questo tipo sono offerte senza verificare sperimentalmente la preferenza effettiva da parte dei soggetti di una certa serie di tratti. Alcune versioni più recenti di queste teorie (basate su «connectionist models», come alcuni lavori di Rumelhart e altri autori, cfr. Barsalou 1992: 22) hanno però proposto un modello più complesso, in cui i tratti non sono indipendenti, ma interrelati in modo da avere relazioni definite “eccitatorie” quando i tratti tipicamente cooccorrono e “inibitorie” quando invece tendono ad escludersi vicendevolmente. I tratti che emergono durante la categorizzazione variano così, in questa teorizzazione, al variare dell’input:

«Whereas traditional models represent a category with its entire feature list in every occasion, connectionist models represent a category dynamicallly with different feature subsets in different contexts.» (ibidem)

Altre teorie psicologiche, secondo Barsalou, presuppongono delle strutture simili a frame che però non vengono esplicitate né percepite dagli stessi sperimentatori. In alcune ricerche su categorie definite in base a liste di attributi a cui vengono assegnati dei valori, se gli elementi proposti come input sperimentali variano solo nei valori dati agli attributi e non nelle liste stesse di attributi, il frame non viene percepito come tale ma sembra essere una semplice lista di default degli attributi pertinenti. Sarebbe mancata cioè la capacità di queste teorie di concentrarsi sull’acquisizione di attributi, altrettanto importante nella concettualizzazione delle categorie che l’acquisizione dei valori di tali attributi (ivi: 23).

In queste teorie non viene comunque specificato se il soggetto percepisca le

categorie in termini di serie di tratti o di attributi-valori. Altre ricerche che variando

gli attributi hanno dato maggiore salienza alla distinzione tra attributi e valori,

mancano comunque di specifiche descrizioni di quali valori siano da collegare a

quali attributi, restando incapaci in definitiva di spiegare perché un soggetto sappia

che, poniamo, triangolo (valore) è una forma (attributo) e non un colore (altro

attributo possibile).

(18)

Successivamente, nella psicologia contemporanea sono emerse sempre di più le evidenze a favore di una visione della categorizzazione fondata su serie di attributi e valori e su relazioni, elementi che Barsalou incorpora all’interno della sua teoria dei frames.

Gli animali, ad esempio, usano serie attributo-valore nell’apprendimento di differenze («discrimination learning»); di fronte a stimoli che variano su due attributi, e rispetto ai quali ricevono ricompense quando uno di essi assume un particolare valore, gli animali, cui vengono insegnate due diverse discriminazioni, apprendono più rapidamente (ma non sempre, ivi: 26) se il cambiamento del valore pertinente è intradimensionale (es: blu vs verde), rispetto alla dimensione che era già pertinente, piuttosto che interdimensionale (forma vs colore), ovvero si aspettano che sia un certo attributo, non solo un suo valore, a predire la ricompensa.

Altri esperimenti sugli umani dimostrano che le narrazioni sono interiorizzate e riconosciute come pattern (vale a dire: frames) coerenti di attributi quali scopi, protagonisti, ostacoli, piani, soluzioni.

Per quanto riguarda l’importanza cognitiva delle relazioni, Barsalou cita una grande quantità di ricerche, tra i risultati delle quali ricorderò che: i soggetti sperimentali conoscono le interrelazioni tra sintomi che individuano una malattia;

imparare una relazione è più rapido se questa è inserita in un sistema di relazioni; le relazioni sono importanti per capire le analogie e le relazioni causali per integrare gli elementi di una storia.

42

Ma un ulteriore dato importante che emerge da queste ricerche è che le relazioni non sono semplicemente correlazioni, ma sono relazioni concettuali di tipi diversi (ad esempio: tassonomia, meronimia, eccetera).

Accogliendo tutte le importanti dimensioni fin qui esposte (il criterio di categorizzazione secondo attributi e valori, l’importanza delle relazioni, la flessibilità), il frame, nell’ottica di Barsalou, è definito dalle seguenti proprietà, che spiegherò in seguito nel dettaglio:

42. A proposito di queste osservazioni sulla narrazione e di quelle dei precedenti capoversi, si ricordi che Jerome Bruner (1986: 98-114) riporta alcuni esperimenti in cui si dimostra che un soggetto, di fronte a elementi che lo invitano, per qualsiasi ragione, ad essere “montati” tra loro in forma di trama, specialmente se si tratta di una trama stereotipata, sarà portato a seguire la logica narrativa (nei termini di Bruner) che gli permette di ricostruire questa trama nota anche laddove la logica paradigmatica (ancora un’espressione bruneriana), quella del calcolo delle probabilità e della razionalità, porterebbe a conclusioni opposte o incompatibili con quelle della logica narrativa.

(19)

- attributi che possono assumere diversi valori;

- costanti strutturali;

- limiti.

I frame sono caratterizzati da ricorsività, e i suoi elementi (gli attributi, i valori, le costanti strutturali e i limiti) sono a loro volta rappresentabili attraverso frames.

Vediamoli nel dettaglio:

43

ATTRIBUTI E VALORI

Il nucleo di un frame è composto da una serie di attributi cui vengono assegnati vari valori possibili. Ad esempio, tra gli attributi di “auto” troviamo

“pilota”, “carburante”, “motore”, eccetera; tra i valori possibili di questi, ad esempio, rispettivamente: “Lisa”, “benzina”, “quattro cilindri”, eccetera.

Ovviamente, la descrizione completa del frame che definisce una certa categoria «is a challenging and sobering experience» (Barsalou 1992: 30), ma questo non significa né ricadere nella vaghezza del concetto delle concettualizzazioni precedenti a Barsalou, né non poter individuare i principali, e soddisfacenti, elementi di un frame.

Può essere un attributo ogni concetto che descriva un aspetto di almeno un membro di una categoria e che rappresenti un aspetto di un tutto più grande. Ma come è possibile stabilire con precisione quali aspetti di una categoria possano essere i suoi attributi? Barsalou sostiene che dipende dal dominio ontologico («ontological domain», ivi: 31) di cui la categoria fa parte: «For physical objects, attributes are likely to include color, shape, and weight; whereas for events, attributes are likely to include location, time, and goal» (ivi: 31). L’aspetto è spesso parte di un membro della categoria, in una logica meronimica (e forse non solo) di cui non è difficile immaginare degli esempi: parte fisica, materiale, membro di una

43. Le proprietà del frame secondo Barsalou hanno delle corrispondenze specifiche nel concetto di script così come è stato applicato nel cap. 1. Quella che Barsalou chiama ricorsività corrisponde alla proprietà degli script che ho definito modularità (supra, cap. 1, § 2.0). Le costanti strutturali e i limiti del frame assumono per lo script le forme specifiche della temporalità e della causalità (ibidem). La struttura attributi-valori vale per entrambe le strutture concettuali (ibidem), mentre la contestualità (ibidem), anche se non esplicitata da Barsalou, sarà implicita nelle applicazioni e anche, come stiamo per vedere, nella determinazione degli attributi.

(20)

pluralità, azione in un’attività, oggetto in un’attività, luogo in un’attività, e così via;

ma può essere anche una valutazione (“apprezzamento” rispetto a “musica”), un costo (“sacrificio” rispetto a “carriera”): «people are highly creative in their construction of attributes, often producing new ones relevant to specific contexts»

(ivi: 31) e in particolare: «People frequently create new attributes to achieve goals, much like they create ad hoc categories to achieve goals» (ivi: 33); «people readily construct new attributes as they need them. As a side effect of the construction process, however, these attributes are likely to become stored in memory, such that they can be retrieved later in similar contexts» (ivi: 34).

Una conseguenza di tutto ciò è che la definizione di attributo è relazionale rispetto alla categoria che definisce: un attributo di natura spaziale, ad esempio, come “luogo”, avrà valori o sotto-attributi diversi a seconda di quale sia la categoria che descrive: “convenienza”, “benefici”, “tipo di collocazione urbana” e

“sicurezza” sono attributi di “luogo” che come vedremo tra breve si adattano a questo se “luogo” è a sua volta attributo di, poniamo, “abitazione”, ma non se è attributo di “seduta psicoterapeutica” o di “particella subatomica” o di “supernova”.

I valori seguono la definizione degli attributi, in quanto concetti che, oltre ad essere più specifici, sono a quelli subordinati, motivo per cui ne ereditano informazione, nella forma di:

– proprietà: “quattro cilindri”, ad esempio, eredita le proprietà di “motore”, attributo di cui rappresenta un valore: “consuma carburante”, “produce forza”, eccetera;

– relazioni: essendo “motore” un aspetto di “auto”, anche tutti i suoi valori possibili (ad esempio “quattro cilindri”) lo saranno.

Tra le caratteristiche degli attributi, una particolarmente importante è che essi partecipano alla ricorsività della struttura interna del frame, essendo a loro volta scomponibili in ulteriori attributi cui possono essere assegnati dei valori. Vediamo un esempio riguardante l’abitazione:

«the frame for house has an attribute for location, which in turn is a frame whose

attributes include convenience, utilities, zoning, and security. These secondary

attributes often have frames as well. For example, convenience is a frame whose

(21)

attributes include proximity to employment, proximity to entertainment, proximity to educational facilities, and proximity to shopping. Even these attributes continue to have frames. For example, proximity to employment is a frame whose attributes might include driving duration, which is a frame whose attributes might include traffic conditions.» (ivi: 33)

La variabilità di queste categorizzazioni, a tutti i livelli, è ovviamente grande, e tutto ciò lascia intravedere (ivi: 34-35) una sorta di continuum che va dalla condivisione sociale più ampia alla concettualizzazione soggettiva di una categoria e dei suoi attributi che determina, così, una sorta di idioletto difficilmente traducibile per gli altri. Barsalou afferma che la presenza di determinati attributi per una categoria è probabilistica (ivi: 35) e definisce sistematici quegli attributi che sembrano costituire, al di là della variazione, il nucleo, indispensabile o quantomeno assai ricorrente, di un frame. In particolare, alcuni sembrano possedere una necessità concettuale: comprendere il frame di “acquistare” senza prevedere l’attributo per “acquirente” sembra irragionevole. Sistematicità – ovvero, alta frequenza di occorrenza di soggetto in soggetto – e necessità o rilevanza concettuale sono i due criteri principali per determinare gli attributi.

COSTANTI STRUTTURALI

Come già visto, nel concetto di frame di Barsalou assumono particolare importanza le relazioni (e il tipo di relazioni) tra gli elementi del frame, in particolare nel suo nucleo, andando a costituire così un altro insieme di elementi costanti che contribuiscono alla riconoscibilità della struttura del frame, e che Barsalou chiama costanti strutturali. Ad esempio, nel frame di auto, tra “pilota” e

“motore” esiste una relazione “controlla”; tra “motore” e “trasmissione” la relazione è “muove”.

Le tipiche costanti strutturali rappresentano relazioni spaziali, temporali,

causali, intenzionali, e una grande varietà di relazioni che possono essere

considerate come corrispondenti a vari significati di “essere parte di” (si veda

quanto detto sopra a proposito degli attributi).

(22)

LIMITI

Anche i limiti sono delle relazioni tra gli elementi del frame, ma esse riguardano, piuttosto che elementi costanti e quasi normativi, la variabilità sistematica dei valori, che sono spesso interdipendenti e per questo si condizionano a vicenda.

- limiti degli attributi: sono leggi generali che possono rispecchiare verità empiriche o logiche ma anche solo verità statistiche. Ad esempio, all’interno di un frame per

“vacanza”, riguardo all’attributo del “trasporto” utilizzato, due suoi attributi, la

“velocità” e la “durata”, a parità di distanza da percorrere si condizionano in questo senso: “al crescere della velocità, diminuisce la durata del trasporto; e viceversa”.

Se lo scopo è “osservare i paesaggi”, contrariamente alle abitudini di molti, un agente potrebbe costruire un frame dove il valore “lungo” dell’attributo “viaggio”

non porta a determinare il valore “veloce” per l’attributo “mezzo di trasporto”, perché la priorità non è “risparmiare tempo del viaggio rispetto a quello della permanenza nel luogo di vacanza”, come di conseuto.

- limiti dei valori: sono leggi specifiche che legano specifiche serie di valori localmente; “San Diego”, valore dell’attributo “località”, ancora all’interno di un frame per “vacanza”, abilita il valore “surf” dell’attributo “attività”. Valgono le caratteristiche generali dei limiti degli attributi.

Secondo un’ottica diversa e trasversale a quella usata precedentemente, i limiti possono anche essere suddivisi in:

- limiti contestuali: si tratta di tutti i limiti fisici o culturali che condizionano certi valori o certi attributi.

- limiti dovuti all’ottimizzazione: sono dovuti agli scopi dell’agente; in genere, mentre i limiti contestuali necessitano solo che certi valori li soddisfino (“nuotare”

vuole “costume da bagno”, ma uno qualsiasi), i limiti dell’ottimizzazione sono

caratterizzati dal fatto che è richiesto che certi valori eccellano. Uno scopo “viaggio

economico” vuole che l’attributo “costo” del frame “vacanza” abbia come valore

non semplicemente “economico”, bensì “il più economico possibile”. Le

ottimizzazioni vengono in genere in gruppo, per cui i valori accettabili di vari

attributi non sono in genere gli stessi che avrebbero se ottimizzati ognuno per sé.

(23)

La caratteristica dei limiti è che essi si possono propagare, in serie o in parallelo, fino a condizionarsi a grande distanza:

«To optimize cost, the agent first propagates low cost as a goal to low cost for transportation. Next, through the attribute constaint that relates cost and speed, low as the value of cost selects slow as the value of speed. In turn, the attribute constraint between speed and distance from home selects close as the value of distance […]» (Barsalou 1992: 40)

Un esempio classico di applicazione di questa teorizzazione del frame è lo schema per l’evento “vacanza” che riporto qui di seguito da Barsalou (1992):

frame: una lettura parziale per “vacanza”

(Barsalou 1992: 38)

Nella figura è possibile osservare gli attributi, indicati con frecce etichettate

“aspect (of)”, o almeno alcuni degli attributi che è possibile associare all’evento

“vacanza”: “trasporti”; “luogo”; “attività”. Questi hanno ulteriori attributi (si noti

che ogni frame di qualsiasi livello, è racchiuso in un riquadro tratteggiato), e a

questi attributi vengono associati dei valori (“type (of)”). Graficamente i valori

(24)

vengono attribuiti in questo modo solo rispetto agli attributi terminali; un modo di rendere i valori di attributi di livello gerarchico più alto è quello rappresentato dai riquadri di valori sottostanti lo schema, legati da frecce “type (of)” allo schema generale.

Il frame si scrive in genere – può essere implicito, spesso – da un punto di vista; in un caso in cui la categoria rappresentata preveda la partecipazione o l’influenza attiva del referente di questo punto di vista, questo entra nello schema con i suoi specifici attributi: l’agente in alto a sinistra.

Le costanti strutturali non sono riportate (potrebbero essere rappresentate come frecce a loro volta, con indicazione della specifica relazione); le frecce in neretto evidenziano invece alcuni limiti del frame, condizionamenti reciproci tra valori o attributi interni al frame.

44

2. IL FRAME DELLA PSICOTERAPIA SECONDO IL TERAPEUTA

2.1. Il frame della psicoterapia

Prima di analizzare le singole scuole psicoterapeutiche nei loro dettagli, alla ricerca, cioè, degli specifici elementi del frame di ogni psicoterapia, sarà utile elencare i principali attributi che, sia secondo il criterio della necessità concettuale sia secondo quello della sistematicità (almeno a partire dalle scuole terapeutiche approfondite:

sistemica e dei costrutti personali, secondo i testi di riferimento già segnalati supra, cap. 1, § 2.1; § 2.2.1), sembrano definire il frame generale della psicoterapia. È molto probabile, cioè, che le singole scuole non differiscano, nelle

44. Una breve nota per chiudere questo excursus storico prima di applicare il concetto di frame (nella versione di Barsalou) alle pratiche psicoterapeutiche. Tutti i filoni esposti circa le varie versioni del concetto sono vivi e produttivi: nell’intelligenza artificiale, nella sociologia, nella semantica, nella psicologia percettiva, il concetto nelle sue varie versioni continua ad essere applicato e discusso. Molto interessanti anche i tentativi di cogliere le possibilità di incontro e di integrazione delle varie concettualizzazioni che, indiscutibilmente, colgono alcuni aspetti comuni.

Vanno in questa direzione gli studi, già citati, di Deborah Tannen – a proposito dell’interazione in contesti medici – e molti altri esempi in campi anche molto diversi. Solo a titolo di esempio, l’interessante proposta di una “narratologia cognitiva” ad opera di Manfred Jahn (1997), che riprende sia Minsky sia precedenti applicazioni narratologiche del concetto di frame (anche Schank e Abelson si riferivano d’altra parte esplicitamente, con il loro script, alla comprensione dei testi).

(25)

concettualizzazioni della psicoterapia che propongono, che per valori (o attributi non centrali) inseriti in una struttura generale di attributi e relazioni che può considerarsi costante per ogni psicoterapia – fatto che d’altra parte non fa che confermare la comprensibilità del concetto stesso di “psicoterapia” e la relativa marginalità di eventi la cui natura possa indurci a chiedere: “Si tratta di una psicoterapia?” (penso, ad esempio, al recente fenomeno del counseling filosofico).

Gli attributi (che indicherò in maiuscoletto; in maiuscoletto corsivo i valori, che non inserirò sempre nello schema) cui qualsiasi psicoterapia deve assegnare un valore sono dunque i seguenti: come generalmente per ogni evento, secondo le indicazioni di Barsalou, la psicoterapia dovrà essere definita da

LUOGO

e

TEMPI

, tutti elementi che appaiono subito palesemente pertinenti. Come ogni evento, inoltre, la psicoterapia può essere letta da più punti di vista, ognuno dei quali è associato a uno dei ruoli attivi (già stabiliti supra, cap. 1, § 2.1.1; § 2.2.1). Basandomi sulle direttive per il

TERAPEUTA

, il suo sarà il punto di vista attraverso cui leggere il frame; il

PAZIENTE

sarà, in questa ottica, uno degli attributi della psicoterapia oltre all’altro ruolo principale coinvolto. Un altro ruolo che, per quanto forse non emergente da qualsiasi psicoterapia, ma che la terapia sistemica in particolare tiene in grande considerazione e può avere una qualche importanza come attributo anche per altri approcci, è quello dell’

INVIANTE

(supra, cap. 1, § 2.1.1). Ogni ruolo sarà caratterizzato da specifici

SCOPI

. Inoltre, come attributo specifico, la psicoterapia ha ovviamente una

TEORIA

, una “scuola” di riferimento (il paziente può anche ignorare questo dato). Possiamo dunque fissare in questi attributi un primo livello di descrizione del frame della psicoterapia. Ulteriori attributi, costanti strutturali (nello schema frecce punteggiate) e limiti (linee tratteggiate) saranno esposti di seguito.

RUOLI E SCOPI

I due ruoli principali della psicoterapia sono ovviamente

PAZIENTE

e

TERAPEUTA

. Considerarli come due ruoli, anziché come due individui, sarà di aiuto

nel tenere in considerazione il fatto che questi elementi possono in specifiche

psicoterapie essere rappresentati da una pluralità: nella terapia sistemica i terapeuti

(26)

sono un’équipe, e il paziente è rappresentato dall’intera famiglia. Il

NUMERO

, dunque, già si presenta come un attributo pertinente di entrambi questi ruoli.

I terapeuti possono poi avere – anche solo temporaneamente – un diverso

RUOLO

: nella terapia sistemica essi sono

TERAPEUTI

propriamente detti o

SUPERVISORI

. Un’altra tipologizzazione possibile è tra uno

PSICOLOGO PRIVATO

e uno del

SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO

.

Anche il paziente può essere assegnato a tipologie di

RUOLO

diverse: il paziente si definisce in quanto portatore di un disagio. Assegnarlo a una tipologia significa dunque definire il tipo di disagio mentale da cui è affetto (con valori come:

SCHIZOFRENICO

,

ANORESSICO

,

DEPRESSO

, eccetera; non sarà superfluo ricordare che queste etichette hanno un valore ben diverso a seconda della teoria psicologica in cui il paziente è osservato; in terapia sistemica si è soliti parlare di paziente

“designato”, in genere in un’altra terapia; un attributo del problema saranno inoltre i suoi

SINTOMI

).

L’

INVIANTE

ha influenzato la venuta del paziente in terapia, e può essere rappresentato da figure anche molto diverse tra loro. In questo caso, è un attributo importante il suo

RUOLO

, che esprime sostanzialmente il rapporto che ha con il paziente (

AMICHEVOLE

,

FAMILIARE

,

PROFESSIONALE

), influenzandone gli

SCOPI

. I valori possibili di

INVIANTE

sono dunque: la

FAMIGLIA

, un altro

MEDICO

, un

AMICO

che suggerisce il proprio psicologo di fiducia, le

FORZE DELL

ORDINE

che obbligano a un

TSO

, eccetera). Altri attributi pertinenti sono: la

FORZA

della sua influenza (con valori graduabili da un

SUGGERIMENTO

, poniamo, a un

INVITO

, a una

MINACCIA

fino a una

COERCIZIONE

); le sue

CONOSCENZE

(tenute in grande considerazione nella terapia sistemica), che dipendono dal ruolo e possono essere

INTIME

,

MEDICHE

,

PENALI

, eccetera.

45

Gli

SCOPI

dei tre ruoli presenti devono confrontarsi tra loro. Lo

SCOPO

della psicoterapia è ovviamente quello di

CURARE

il

PAZIENTE

grazie alle

CONOSCENZE

del

TERAPEUTA

. Il

TERAPEUTA

avrà degli

SCOPI

professionali che oltre ad essere sussunti

45. I casi di forza estrema dell’inviante sono esclusi da questo studio, ma può non essere semplice porre un confine netto tra una coercizione esplicita del paziente e una spinta comunque forte ad avvertire un problema psicologico e rivolgersi a uno psicoterapeuta. Un limite, almeno teorico, al tipo di conversazioni psicoterapeutiche e anche alla forza possibile per il ruolo dell’inviante è quello assunto anche nella ricerca di Labov, Fanshel (1977: 31): «in mental hospitals and other institutions […] therapeutic interviews are often carried out under compulsion».

(27)

da quelli della psicoterapia, sono anche quello di

GUADAGNARE

grazie a una prestazione retribuita; potrà avere inoltre scopi personali che possono accordarsi, scontrarsi o interferire in qualche modo con quelli (

SETE DI GUADAGNO

,

INIMICIZIA

o

INNAMORAMENTO

verso il paziente, eccetera). Il

PAZIENTE

è definito dallo scopo di

GUARIRE

o

MIGLIORARE

, ma può avere altri scopi personali che interferiscono con questo: economici (

RISPARMIARE

), emotivi (

SFIDARE

il terapeuta,

SEDURLO

, eccetera).

Le

CONOSCENZE

del terapeuta possono essere quelle

TEORICHE

, che gli derivano sia dalla

TEORIA

di riferimento sia dall’esperienza professionale, oppure

CONOSCENZE COMUNI

, che offrono senz’altro un’importante enciclopedia condivisa con il

PAZIENTE

.

Il

PAZIENTE

porta per prima cosa le

CONOSCENZE SU DI SÉ

(

DATI BIOGRAFICI

,

EMOZIONI

,

IDEE

), materiale di prima mano fondamentale al terapeuta per aiutare il paziente nel suo percorso di guarigione. Ma il paziente può portare anche sia conoscenze in senso lato teoriche (non è inusuale trovare nelle sedute delle interpretazioni diagnostiche del paziente basate sulle proprie conoscenze presunte della teoria cui si è affidato; o semplicemente su pregiudizi psicologici d’altro tipo) sia conoscenze dovute all’

ESPERIENZA DI PAZIENTE

, magari proveniente da una lunga serie di terapie precedenti, con medesimo o altro approccio teorico. È importante sottolineare che il paziente aumenta una parte delle proprie conoscenze (che potremmo chiamare

CONOSCENZE IN FIERI

) man mano che la terapia mostra o perfino esplicita le proprie

PRATICHE

: dal ricevere informazioni immediate sugli elementi del setting fino ad apprendere parte dello script e del frame della psicoterapia.

TEORIA

La

TEORIA

di riferimento può avere valori quali:

TEORIA SISTEMICA

,

PCP

,

eccetera. Gli attributi che mi sembrano più diretti sono dati dal fatto che ogni teoria,

offrendo delle “lenti” teoriche attraverso le quali guardare ai fatti psicologici, offre

un sistema di pensiero e dunque dei

PRINCIPI TEORICI

, mentre dall’altro – secondo

una ripartizione sicuramente molto schematica (perché questi in gran parte

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