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II. SCOPO DELLA TESI

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Academic year: 2021

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I. INTRODUZIONE

La psicosi rappresenta una dimensione psicopatologica presente in diversi disturbi psichiatrici e si caratterizza per la disgregazione dei rapporti tra l’esperienza reale e la sua assegnazione di significato soggettivo, realizzandosi spesso come un quadro di grave compromissione del funzionamento globale.

Tra tutte le patologie in cui è presente, la schizofrenia e gli altri disturbi di questo spettro risultano preminenti, in quanto la psicosi ne rappresenta un elemento essenziale. La patogenesi e la fisiopatologia di questa non sono state ancora chiarite, ma vi sono diverse ipotesi che, però, se prese singolarmente non riescono a spiegare la complessità del quadro; per cui l’ipotesi maggiormente accreditata è l’interazione dei diversi sistemi monoaminergici che si intersecano in una regolazione complessa, ancora non ben definita. Il ruolo della 5HT sembra rilevante, date le sue implicazioni come bersaglio terapeutico, come modulatore degli sistemi, tra cui quello glutammatergico e quello dopaminergico, come bersaglio per sostanze con attività psicotomimetica e come parte rilevante nei meccanismi regolatori dell’ontogenesi del sistema nervoso centrale. Il trasportatore della 5HT (SERT) rappresenta il mezzo più importante nel controllo della funzionalità sinaptica, dato che regola finemente le quantità di neurotrasmettitore nel vallo sinaptico. In questo studio caso- controllo ci siamo prefissi di andare a valutarne la funzionalità in una coorte di pazienti psicotici, confrontandola a quella di controlli sani; sono stati utilizzati piastrine e linfociti, i quali costituiscono dei modelli periferici di neuroni presinaptici. I risultati evidenziano una riduzione del numero delle proteine del SERT, associata a una diminuzione della velocità del reuptake, che suggerisce una ridotta capacità di ricaptazione della 5HT all’interno della cellula.

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1. L

A PSICOSI

1.1. DEFINIZIONE

Il concetto di psicosi identifica una condizione transnosografica caratterizzata dalla disgregazione dei rapporti tra l’esperienza reale, attuale o passata, del vissuto e l’elaborazione del significato soggettivo di questa, concettuale e affettivo. È imprescindibilmente correlata al sovvertimento della struttura psichica che ne rappresenta, almeno in parte, la base biologica. Da quando il termine è stato coniato da E. von Feuchtersleben nel 1845, viene utilizzato per indicare la malattia mentale grave [da psico-, mente e –osi, suffisso che indica un’affezione medica].

Storicamente il concetto di psicosi veniva contrapposto a quello di nevrosi, in altre parole una condizione di sofferenza psicologica in assenza di un substrato organico. Il primo a distinguere i due concetti fu Platone, considerando una prima tipologia di ammalati, di competenza medica, la cui sofferenza traeva origine da squilibri umorali (riprendendo l’ipotesi ippocratica della genesi delle malattie) e una seconda, di competenza filosofica, in cui erano le passioni a causare il turbamento dell’anima. Questa dicotomia fu ripresa anche dalla scuola stoica di Zenone che definiva i primi come affetti da “insanitas animi” – infermità mentale intesa come malattia del corpo e i secondi da “aegrotatio animi” – considerata un’afflizione dell’anima.

È interessante constatare che già al tempo (secondo-terzo secolo A.C.) si supponesse che le patologie mentali necessitassero di una “morbis proclivitas”- una predisposizione – che favorisse lo sviluppo dell’

“agrimonia”1.

Questo approccio dicotomico si è mantenuto nella storia della psichiatria fino al recente sviluppo delle neuroscienze che ha permesso l’ampliamento e il consolidamento delle conoscenze genetiche, biochimiche e biologiche e la

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scoperta dell’impatto dell’esperienza e dell’apprendimento sulla plasticità neuronale, anche nella vita adulta.2, 3.

.

1.2. LA DIMENSIONE PSICOTICA NEL DSM 5

Nel corso della storia del manuale diagnostico e statistico delle diagnosi psichiatriche (DSM) si sono ripetutamente presentati problemi di legati alla necessità di conciliare la standardizzazione e l’omogeneizzazione delle diagnosi con l’applicabilità nella pratica clinica.

Fino alla precedente versione del manuale, l’approccio era stato strettamente categoriale, come da tradizione kraepeliniana. Questo da un lato implicava la necessità di confini netti tra le diverse patologie e la normalità, dall’altro aveva generato una ridondanza classificativa che esitava invariabilmente nell’impossibilità di una diagnosi unica, spesso inquadrata come“non altrimenti specificata” a causa dei parametri inclusionali decisamente stringenti e all’esteso ricorso alla comorbilità. Inoltre, gli studi sui fattori di rischio genetici e ambientali hanno in effetti dimostrato come non esista un supporto biologico inequivocabile che giustifichi la classificazione strettamente categoriale. Pertanto nella redazione del DSM 5 sono state operate modificazioni stutturali nella classificazione dei diversi disturbi e ciascun ambito è stato assegnato ad un gruppo di esperti, i quali hanno dovuto considerare undici aspetti orientativi: la condivisione di substrati neurali, caratterizzazione familiare, i fattori di rischio genetici e di rischio ambientali, i marker biologici, gli antecedenti temperamentali, le anomalie dell’elaborazione cognitiva e emotiva, la similarità dei sintomi e la complianza alla terapia.

Inoltre è stato eliminato il sistema multiassiale che è stato in parte integrato nella struttura: gli assi I - ovvero i disturbi clinici - e II - le modalità pervasive

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di funzionamento della personalità e della cognitività - sono stati allineati sullo stesso piano, il III – le condizioni mediche generali associate - è stato assemblato all’interno di questi, il IV - l’individuazione dei fattori psicosociali e ambientali influenti sull’andamento e la prognosi - e il V - cioè il giudizio clinico globale sul funzionamento del paziente - sono stati esclusi e per la valutazione dei rispettivi parametri è stato consigliato l’uso degli strumenti forniti dall’organizzazione mondiale della sanità.

Infine è stato introdotto, sempre al fine di identificare fattori patogenetici comuni, un nuova modalità di di raggruppamento dei disturbi in internalizzanti, tra cui i depressivi, gli ansiosi e i somatici, e esternalizzanti, quelli con sintomatologia importante, tendenza all’antisocialità al discontrollo degli impulsi e da uso di sostanze. Questo potrebbe favorire l’approccio dimensionale, diagnostico e terapeutico e l’applicabilità clinica4. L’approccio dimensionale prevede di identificare condizioni transnosografiche che correlino maggiormente col processo psicopatogenetico e con l’eziologia, facilitando la comprensione dei fattori eziologici e di rischio, la patogenesi e un intervento farmacologico più adeguato possibile (auspicando a una tailored therapy).

La dimensione psicotica rappresenta l’elemento caratterizzante per i disturbi dello spettro della schizofrenia, mentre è soltanto una possibilità nel caso dei disturbi affettivi, sia negli episodi depressivi maggiori che nella mania e negli stati misti, e nei disturbi di personalità, in particolare in quelli del cluster A e nel disturbo borderline di personalità.

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1.2.1. CONCETTO DI SPETTRO

Lo spettro è un concetto derivato dalla fisica, dove indica la gamma continua di onde elettromagnetiche che compongono la luce o la capacità di assorbimento atomico, definita per ogni elemento.

Il concetto sottende una duplice natura: un continuum quantitativo perché la distribuzione della lunghezza d’onda è omogeneamente crescente lungo tutto lo spettro, e un elemento qualitativo rappresentato dell’esistenza di “finestre spettrali”, le quali identificano cluster di frequenze che presentano proprietà caratteristiche, ad esempio i sette colori dello spettro visibile, gli ultrasuoni, gli infrarossi e le frequenze radio.

Questi assunti sono completamente trasponibili alla psichiatria, in cui è presente il concetto che le patologie, più che essere suddivisibili per insiemi discreti, che nella pratica clinica debbono essere ampiamente sovrapposti in comorbilità a causa della frammentazione diagnostica, rappresentano la continuazione l’una dell’altra e con la normalità, forse a dimostrare una variabilità d’espressione fenotipica per fattori di suscettibilità comuni5.

1.2.2. DISTURBI DELLO SPETTRO DELLA SCHIZOFRENIA E ALTRI DISTURBI PSICOTICI

Lo spettro della schizofrenia è stato il primo ad essere ipotizzato: infatti, proprio le evidenze negli studi di adozione in Danimarca relative ad un’alta presenza di diagnosi al limite con la schizofrenia nei genitori biologici dei pazienti schizofrenci adottati, permisero di postulare la presenza di un comune denominatore genetico e fattori modulatori che influissero sulla variabilità con cui si presentava nei diversi soggetti.

Nel DSM 5 i diversi disturbi di questo spettro sono organizzati secondo un gradiente crescente di gravità che correla bene con alcuni aspetti importanti,

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quali la cognitività e il funzionamento post-morboso. Vengono ivi compresi anche il disturbo schizoaffettivo, il disturbo psicotico indotto da sostanze o da farmaci e il disturbo psicotico indotto da un’altra condizione medica4. Viene inoltre citato il disturbo schizotipico di personalità considerato a tutti gli effetti parte dello spettro, sia per i fattori di rischio comuni che per gli aspetti clinici peculiari, come il pensiero magico, le idee di riferimento che possono raggiungere un’intensità delirante, che per gli aspetti strettamente cognitivi.

Di questo spettro fanno parte: il disturbo delirante, il disturbo psicotico breve, il disturbo schizofreniforme, la schizofrenia e il distubo schizoaffettivo (Tabella 1).

Il disturbo schizoaffettivo è una condizione in cui sono contemporaneamente presenti sia una componente affettiva, che può essere di tipo maniacale o depressiva (ed in questo ultimo caso di deve trattare di una pervasiva flessione del tono dell’umore distinguibile dai sintomi negativi della schizofrenia), che di manifestazioni tipiche della schizofrenia, generalmente deliri e/o allucinazioni.

Esiste inoltre una condizione definita sindrome psicotica attenuata in cui possono essere presenti deliri, allucinazioni o eloqui disorganizzato con severità clinicamente rilevante, ma con giudizio della realtà relativamente conservato. Generalmente i deliri sono di persecuzione e il paziente presenta sfiducia e circospezione nei confronti del prossimo o di situazioni che non richiederebbero sospettosità. Le allucinazioni possono essere più o meno elaborate ma difficilmente sono strutturate in modo complesso. I deliri e le allucinazioni, inoltre, sono almeno parzialmente passibili di critica. La comunicazione può essere disorganizzata nel contenuto (con costrutti bizzarri), nella forma (tangenzialità, circostanzialità e deragliamento). Il blocco del pensiero e la perdita dei nessi sono rari.

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Tabella 1a: criteri diagnostici del DSM 5 per lo spettro della schizofrenia

7 Disturbo

delirante

Disturbo psicotico breve

Disturbo

schizofreniforme Schizofrenia Disturbo

schizoaffettivo

Criteri o A

Presenza di uno o più deliri con durata di almeno un mese

Presenza di uno più dei sintomi seguenti. Almeno uno di questo deve essere 1, 2 o 3:

1) Deliri 2) Allucinazioni 3) Eloquio disorganizzato 4) Comportamento

grossolanamente disorganizzato o catatonia 5) Sintomi negativi

Presenza di due o più dei seguenti sintomi, ciascuno presente per un tempo significativo durante il periodo di un mese. Almeno uno dei sintomi deve essere 1, 2 o 3:

1) Deliri 2) Allucinazioni 3) Eloquio disorganizzato 4) Comportamento

grossolanamente disorganizzato o catatonia 5) Sintomi negativi

Presenza di due o più dei seguenti sintomi, ciascuno presente per un tempo significativo durante il periodo di un mese. Almeno uno dei sintomi deve essere 1, 2 o 3:

1) Deliri 2) Allucinazioni 3) Eloquio disorganizzato 4) Comportamento grossolanamente

disorganizzato o catatonia 5) Sintomi negativi

Un periodo ininterrotto di malattia durante il quale è presente un episodio dell’umore maggiore (depressivo o maniacale) in concomitanza con il Criterio A della schizofrenia

Nota: se episodio depressivo maggiore deve essere presente umore depresso (Criterio A1)

Criterio B

Il criterio A per la schizofrenia non è mai soddisfatto.

Nota: Le allucinazioni, se presenti non sono preminenti e sono correlate al tema delirante.

La durata dell’episodio è compresa tra un giorno e un mese con successivo pieno ritorno al funzionamento pre morboso.

La durata del singolo episodio è compresa tra uno e sei mesi.

Quando la diagnosi deve essere posta senza attendere il recupero completo doverebbe essere qualificata come “provvisoria”.

Per una sigificativa parte del tempo di prevalenza del disturbo, il funzionamento in una o più aree principali, come il lavoro, le relazioni interpersonali o la cura di sé, è marcatamente al di sotto del livello raggiunto in fase premorbosa o, se l’episodio si realizza nell’età evolutiva, c’è l’incapacità di raggiungere il livello scolastico, di relazione interpersonale o lavorativo atteso.

Deliri o allucinazioni per due settimane o più in assenza di un episodio maggiore dell’umore (depressivo o maniacale) durante la prevalenza lifetime della malattia.

Criterio C

Il funzionamento, a parte l’impatto dei delirio e delle loro ramificazioni, non risulta compromesso in modo marcato e il comportamento non è chiaramente bizzarro o stravagante.

Il disturbo non è meglio spiegato da un disturbo depressivo maggiore o da mania con caratteristiche psicotiche, non è meglio attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a un’altra condizione medica.

Il disturbo schizoaffettivo, il disturbo depressivo e il disturbo bipolare con caratteristiche psicotiche sono stati esclusi perché:

1) non si sono realizzati episodi affettivi maggiori in concomitanza con la fase attiva dei sintomi; 2) gli episodi che si sono manifestati durante la fase attiva dei sintomi hanno avuto una durata minore rispetto al periodo attivo e residuo di malattia.

Segni continuativi del disturbo persistono per almeno sei mesi. Questo periodo deve comprendere almeno un mese di sintomi che soddisfino il criterio A e può comprendere periodi prodromici o residui in cui sono presenti solamente sintomi negatici oppure due o più sintomi del criterio A ma in forma attenuata.

I sintomi che soddisfano i criteri per un episodio maggiore dell’umore sono presenti per la maggior parte della durata totale dei periodi attivi e residui di malattia.

Criterio D

Se si sono verificati episodi maniacali o depressivi maggiori, questi sono stati brevi rispetto ai periodi

deliranti. -

Il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a un’altra condizione medica.

Il disturbo schizoaffettivo, il disturbo depressivo e il disturbo bipolare con caratteristiche psicotiche sono stati esclusi perché: 1) non si sono realizzati episodi affettivi maggiori in concomitanza con la fase attiva dei sintomi; 2) gli episodi che si sono manifestati durante la fase attiva dei sintomi hanno avuto una durata minore rispetto al periodo attivo e residuo di malattia.

Il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a un’altra condizione medica.

Criterio E

Il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o di una condizione medica e non è meglio spiegato da altri disturbi psichiatrici.

- -

Il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a un’altra condizione medica.

-

Criterio F - - -

Se c’è una storia dello spettro dell’autismo o di disturbo della comunicazione a esordio infantile la diagnosi di schizofrenia viene posta soltanto se sono presenti per almeno un mese allucinazioni o deliri preminenti.

-

Specificatori

Specificare il tipo o se bizzarro e la gravità Se primo episodio o episodi multipli e se attualmente in acuto, in remissione parziale o completa; oppure se continuo.

Se presenti marcati fattori di stress (psicosi reattiva breve) Se esordio nel postpartum (entro 4 settimane) Se catatonia Specificare la gravità

Se caratteristiche prognostiche favorevoli o sfavorevoli Se presente catatonia Specificare la gravità dei sintomi

Se primo episodio o episodi multipli e se attualmente in acuto, in remissione parziale o completa;oppure se continuo.

Se presente catatonia Specificare la gravità dei sintomi

Se di tipo bipolare o depressivo

Se presente catatonia Se primo episodio o episodi multipli e se attualmente in acuto, in remissione parziale o completa;oppure se continuo.

Specificare la gravità

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1.2.3. DISTURBI DELLUMORE

Nel DSM 5 è stata operata una divisione tra i disturbi dell’umore, costituendo capitoli separati per il disturbo bipolare e i disturbi depressivi. In particolare il capitolo sul disturbo bipolare è stato inserito tra quello dello spettro della schizofrenia e quello dei disturbi depressivi maggiori proprio con l’intento di sottolineare la posizione a ponte che esso ha nella psicopatologia e nella sintomatologia tra le due classi diagnostiche.

È importante porre l’accento sul fatto che sia il disturbo bipolare che la depressione possono presentare episodi di psicosi, senza peraltro essere suscettibili di diagnosi aggiuntive. Ciò che è importante valutare è la olotimia del contenuto dei deliri e delle allucinazioni in quanto l’incoerenza di questo depone per una psicosi “primitiva” e che generalmente presenta prognosi postmorbosa peggiore.

La presenza di manifestazioni psicotiche in un episodio di elevazione del tono dell’umore lo fa classificare in automatico come episodio maniacale, quindi come disturbo bipolare di tipo I, a prescindere dalla durata o dalla compromissione del funzionamento nelle aree importanti.

Infine è stato osservato mediante studi di associazione che esiste un discreto background genetico di suscettibilità comune tra spettro schizofrenico e disturbo bipolare di tipo I 6, 7.

I cosiddetti stati misti sono stati indicati nel DSM 5 come specificatori per il disturbo bipolare e dove vengono denominati come episodio maniacale o ipomaniacale, con caratteristiche miste oppure episodio depressivo con caratteristiche miste a seconda delle caratteristiche prevalenti (Tabella 2).

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9 Tabella 2: Criteri diagnostici del DSM 5 per i disturbi dell’umore

Episodio maniacale Episodio ipomaniacale Episodio depressivo maggiore

Criterio A

Un periodo definito di umore anormale e persistentemente elevato, espanso o irritabile e di aumento anomalo e persistente dell'attività finalizzata o dell'energia, della durata di almeno 1 settimana e presente per la maggioranza del giorno, quasi tutti i giorni.

Un periodo definito di umore anormale e persistentemente elevato, espanso o irritabile e di aumento anomalo e persistente dell'attività finalizzata o dell'energia della durata di almeno 4 giorni consecutivi e presente per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni.

Cinque (o più) dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento, almeno uno dei sintomi è 1) umore depresso o 2) perdita d’interesse o piacere:

1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, come riportato dall'individuo (per es. si sente triste, vuoto, disperato) o come osservato da altri (per es. Appare lamentoso).

2. Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni.

3. Significativa perdita di peso o aumento di peso oppure diminuzione o aumento dell'appetito quasi tutti i giorni.

4. Insonnia o ipersonnia quasi tutti i giorni 5. Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi tutti i

giorni.

6. Faticabilità o mancanza di energia quasi tutti i giorni.

7. Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati quasi tutti i giorni.

8. Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione.

9. Pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicida senza un piano specifico o un tentativo di suicidio o un piano specifico per commettere suicidio.

Criterio B

Durante il periodo di alterazione dell'umore e di aumento di energia o attività, tre (o più) dei seguenti sintomi (quattro, se l'umore è solo irritabile) sono presenti a un livello significativo e rappresentano un cambiamento evidente rispetto al comportamento abituale.

1) Autostima ipertrofica o grandiosità.

2) Diminuito bisogno di sonno.

3) Maggiore loquacità del solito o spinta continua a parlare.

4) Fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente.

5) Distraibilità.

6) Aumento dell'attività finalizzata (sociale, lavorativa, etc.) agitazione psicomotoria.

7) Eccessivo coinvolgimento in attività che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose.

Un periodo definito di umore anormale e persistentemente elevato, espanso o irritabile e di aumento anomalo e persistente dell'attività finalizzata o dell'energia della durata di almeno 4 giorni consecutivi e presente per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni:

1) Autostima ipertrofica o grandiosità.

2) Diminuito bisogno di sonno.

3) Maggiore loquacità del solito o spinta continua a parlare.

4) Fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente.

5) Distraibilità.

6) Aumento dell'attività finalizzata (sociale, lavorativa, etc.) o agitazione psicomotoria.

7) Eccessivo coinvolgimento in attività che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose.

I sintomi causano un disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

Criterio C

L'alterazione dell'umore è sufficientemente grave da causare una mancata compromissione del funzionamento sociale o lavorativo o da richiedere l'ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazioni psicotiche.

L'episodio è associato a un evidente cambiamento nel funzionamento, che non è caratteristico dell'individuo quando è asintomatico.

L'alterazione dell'umore e il cambiamento nel funzionamento sono osservabili dagli altri.

L'episodio non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a un'altra condizione medica.

Crite-rio D

L'episodio non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o un'altra condizione medica.

L'episodio non è sufficientemente grave da causare una mancata compromissione del funzionamento sociale o lavorativo o da richiedere l'ospedalizzazione. Se sono presenti manifestazioni psicotiche, l'episodio è, per definizione, maniacale.

Crite rio E L'episodio non è attribuibile agli effetti fisiologici di

una sostanza.

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10 Episodio maniacale o ipomaniacale con

caratteristiche miste Episodio depressivo con caratteristiche miste

Criterio A

Sono soddisfatti pienamente i criteri per un episodio maniacale o ipomaniacale e sono presenti almeno 3 di seguenti sintomi durante la maggior parte dei giorni dell'attuale o più recente episodio di mania o ipomania:

1. Disforia rilevante o umore depresso come riportato dall'individuo o dagli altri.

2. Diminuito interesse o piacere in tutte, o quasi tutte le attività 3. Rallentamento psicomotorio quasi tutti i giorni

4. 4 faticabilità o mancanza di energia

5. Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati

6. Pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria con o senza un piano specifico per l'attuazione o un tentativo di suicidio

Sono soddisfatti pienamente i criteri per un episodio depressivo maggiore e sono presenti almeno 3 dei seguenti sintomi maniacali/ipomaniacali durante la maggior parte dei giorni dell'attuale o più recente episodio di depressione:

1. Umore elevato, espanso.

2. Autostima ipertrofica o grandiosità.

3. Maggiore loquacità del solito o spinta continua a parlare 4. Fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano

rapidamente

5. Aumento dell'energia o dell'attività finalizzata.

6. Eccessivo coinvolgimento in attività che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose

7. Diminuito bisogno di sonno

Criterio B

Sintomi misti sono osservabili da altri e rappresentano un cambiamento nel comportamento usuale della persona.

I sintomi misti sono osservabili da altri e rappresentano un cambiamento del comportamento abituale della persona.

Criterio C

Per gli individui cui sintomi soddisfano pienamente i criteri per mania e depressione simultaneamente, la diagnosi dovrebbe essere di episodio maniacale, con caratteristiche miste, dovuto a marcata compromissione e gravità clinica della completa mania.

Per gli individui i cui sintomi soddisfano pienamente i criteri per un episodio sia di mania sia di depressione simultaneamente la diagnosi dovrebbe essere di episodio maniacale con caratteristiche miste.

Criterio D

I sintomi misti non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza. I sintomi misti non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza.

1.2.4. DISTURBI DELLA PERSONALITÀ CON ASPETTI PSICOTICI

Oltre al disturbo schizotipico di personalità anche il disturbo borderline può presentare aspetti al limite della psicosi. Infatti, fino al 75% dei pazienti possono essere presenti, ma generalmente con una temporalità limitata a periodi di forte stress, pseudo-allucinazioni, distorsioni dell’immagine corporea, idee di riferimento, fenomeni di depersonalizzazione e derealizzazione8. Nel 10-30% dei pazienti, in particolare se c’è un’associazione con abuso di sostanze, si possono sviluppare vere e proprie manifestazioni psicotiche, comprendenti le idee deliranti e le allucinazioni uditive.

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1.3. ASPETTI CARATTERISTICI DELLA PSICOSI

Si riconoscono come aspetti chiave dello spettro schizofrenico alcuni elementi psicopatologici che sono variabilmente presenti nei disturbi; essi sono: i deliri, le allucinazioni, il pensiero disorganizzato, grossolana disorganizzazione o anomalia della psicomotricità e i sintomi negativi.

1.3.1. IL DELIRIO

La parola delirio deriva dal latino delirare [de- fuori e lira solco], letteralmente significa “uscire dal solco”. Viene definito delirio una convinzione tenacemente sostenuta e non passibile di critica alla luce di evidenze contrastanti.

Jaspers identificò tre caratteristiche che considerava essenziali: la presenza di una convinzione che assume il valore di certezza, la mancata permeabilità di questa da parte del ragionamento o dell’evidenza e la manifesta assurdità del contenuto.

In realtà l’idea in questione non sempre mostra le suddette caratteristiche, anzi frequentemente presenta contenuti che sono plausibili in senso generale ma che nella situazione specifica sono assolutamente dubitabili.

Caratteristicamente, ciò che invece è sempre assurdo e illogico è la modalità di giustificazione della convinzione sostenuta, nonostante la palese razionalità delle critiche di coloro che tentano di scardinare il costrutto delirante mediante evidenze incontrovertibili. Le spiegazioni addotte dal paziente, se ben indagate, risultano costruite secondariamente sul delirio, che quindi sembrerebbe essere un fenomeno primitivo derivante principalmente da un’alterata coscienza della realtà. Il presunto possesso della verità e l’

incapacità di modificare in maniera critica le proprie credenze rappresentano

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quindi due facce della stessa medaglia e potrebbero essere correlate all’impossibilità cognitiva di un’analisi profonda.

In verità, secondo alcuni autori, si potrebbe identificare anche un delirio di tipo secondario, derivabile a livello psicopatologico da altri eventi, ovvero: le interpretazioni deliranti, cioè la tendenza a conferire significati razionali a esperienze abnormi come le allucinazioni uditive e le elaborazioni deliranti, prolissità ideative intorno a un delirio primario.

Ciò che viene effettivamente distinto nella pratica clinica è la coerenza o meno rispetto allo stato affettivo, infatti, i deliri congrui al tono dell’umore, i cosiddetti olotimici tipici della mania o della depressione, hanno una valenza prognostica molto diversa rispetto agli incogrui. Questi ultimi sono generalmente presenti in pazienti che, una volta risolto l’episodio affettivo, continuano a presentare, a vari livelli, anomalie neurocognitive e manifestazioni psichiatriche maggiormente correlate allo spettro della schizofrenia.

Un’altra distinzione importante riguarda il contenuto. Esistono deliri di persecuzione, veneficio, nocumento e rivendicazione (ovvero di poter essere oggetto di molestie, violenze e danneggiamenti pecuniari o di immagine), di riferimento (in cui gesti e commenti altrui possono essere a lui rivolti), erotomanico, più tipico delle donne, (nel quale il paziente crede essere oggetto d’amore di persone estranee, frequentemente personaggi noti o di elevata estrazione sociale), di gelosia, tipico dei pazienti più giovani (con la presunzione irrazionalmente sostenuta dell’infedeltà del compagno), il delirio nichilistico (cioè la convinzione di non esistere o non essere mai nati), di grandezza e di onnipotenza, tipici della mania (con l’idea di possedere capacità eccezionali tali che possano permettergli qualsiasi azione), il delirio mistico, anche questo peculiare della mania, (in cui si ha l’esperienza di contatto con esseri divini o sovrannaturali), di rovina e povertà, associati a

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stati depressivi (con la convinzione di degrado della propria famiglia e degli oggetti posseduti), di colpa e indegnità, anch’esso frequente nella depressione (in cui c’è la certezza di essere causa di avvenimenti negativi altrui o eventi ambientali), i deliri somatici e ipocondriaci.

Sono definiti deliri bizzarri quelli che presentano un contenuto chiaramente non plausibile e irrazionale, che esula dagli elementi culturali d’appartenenza e che riguarda esperienze straordinarie. Esempi tipici sono il furto e l’inserzione del pensiero, esperienze di sottrazione, introduzione e controllo dei propri pensieri da parte di estranei oppure il delirio di controllo in cui si è convinti che le proprie azione siano sotto l’influenza altrui4, 9.

1.3.2. ALLUCINAZIONI

Sono esperienze percettive, uni o multimodali, che si realizzano in assenza dell’oggetto. Queste percezioni presentano caratteristiche di vividità paragonabili alle reali e possono essere vissute dal paziente in modo più o meno compliante. Presentano frequentemente la base su cui vengono sviluppati i deliri secondari.

Sono suddivise in base alla modalità di presentazione e le uditive rappresentano quelle più caratteristiche della patologia psichiatrica. Il paziente può percepire suoni indistinti, versi di animali, parole isolate ma anche voci dialoganti tra loro oppure a lui rivolte. Il contenuto del messaggio può essere neutro, rassicurante o addirittura minacciante e questo, spesso, condiziona la partecipazione emotiva del paziente. La provenienza può essere uno spazio indefinito in prossimità della superficie esterna del corpo oppure il paziente può riferire di percepire voci che originano nella testa e che soltanto lui riesce a sentire. La capacità di critica sull’oggettività o meno del fenomeno è variabile da caso a caso.

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Le allucinazioni visive sono frequentemente indice di malattia organica, in cui possono spaziare da fotopsie a immagini complesse organizzate in scene animate. Tra queste si ricordano le microzoopsie, cioè la visione di animali microscopici sul proprio corpo (se associata a delirio di infestazione si ha il quadro della sindrome di Ekbom) e le allucinazioni lillipuziane del delirium.

Le allucinazioni gustative e olfattive possono essere presenti sia come manifestazioni di un’epilessia temporale, quindi di una malattia organica, e prendono in tal caso il nome di crisi parziale semplice, che sintomi di patologie psichiatriche. Nella depressione grave il paziente può percepire odori sgradevoli o di putrefazione derivanti dal proprio corpo, nella schizofrenia gli odori percepiti spesso sono parte di un delirio di veneficio.

Le allucinazioni somatiche possono riguardare sia sensibilità somatica superficiale, in tal caso sono tattili, termiche, idriche o percepite come scariche elettriche sulla cute, che la viscerale profonda, allora sono possono essere cenestesiche (sensazioni di trasformazioni corporee abnormi), algiche e chinestesiche (esperienze di movimento passivo, di volo o di dislocazione degli organi). Queste ultime sono alquanto frequenti nella schizofrenia9.

1.3.3. DISORGANIZZAZIONE DEL PENSIERO

La disorganizzazione nella produzione ideica rientra nella classificazione tradizionale come disturbo formale del pensiero. Viene indagata mediante l’eloquio che nella maggior parte dei casi rispecchia i processi mentali del soggetto, con alcune eccezioni come il mutismo in alcune spiccate accelerazioni ideiche (fuga delle idee) nella mania. Nella schizofrenia la disorganizzazione rappresenta una dei primi segni di malattia manifestandosi

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come riduzione della capacità astrattiva e inceppamenti con perdita di fluidità nel processo ideativo.

Si possono distinguere in disturbi positivi e negativi del flusso del pensiero. I primi sono: il deragliamento (condizione in cui si hanno deviazioni più o meno pertinenti rispetto principale), la tangenzialità (ovvero la tendenza a rispondere in modo obliquo alle domande dell’intervistatore risultano scarsamente informativi rispetto al quesito originario), l’incoerenza (cioè la mancanza di un’organizzazione grammaticale e logica nella costruzione delle singole frasi) che può arrivare fino alla schizofasia o insalata di parole (ovvero l’associazione casule di termini), l’illogicità (perdita del senso comune nei rapporti tra cause e conseguenze), la distraibilità. La schizofasia o insalata di parole Se presente un concomitante stato di mania può coesistere anche la logorrea. I secondi sono: l’arresto improvviso del pensiero, associato di frequente a perplessità, la povertà d’eloquio e le stereotipie come l’ecolalia (la ripetizione delle parole dell’interlocutore), e la palilalia e la verbigerazione(iterazione spasmodica di sillabe e parole), e la creazione di neologismi e parafasie9, 10.

1.3.4. PSICOMOTRICITÀ GROSSOLANAMENTE DISORGANIZZATA O ANORMALE

Il paziente può presentare, a carico sia dell’attività motoria che del contatto con l’ambiente esterno, una serie di alterazioni qualitative e quantitative, in eccesso o in difetto.

In particolare, si parla di catatonia se sono presenti tre o più dei seguenti sintomi: stupor, cioè assenza completa di attività motoria o relazione attiva con l’ambiente esterno, catalessia (mantenimento contro la gravità di una postura assunta passivamente), flessibilità cerea (presenza un tono plastico

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che conferisce resistenza leggera e costante alle modifiche di postura indotte dall’esaminatore), mutismo, negativismo (se passivo:marcata opposizione all’esecuzione di comandi logicamente motivati; se attivo: esecuzione del comando opposto), postura fissa (mantenimento stabile e antigravitazionale di una postura assunta attivamente e spontaneamente), manierismo (artificiosità e innaturalezza caricaturale nell’esecuzione di gesti comuni), stereotipie (ripetizione afinalistica di movimenti afinalistici), ecolalie e ecoprassie (imitazione e ripetizione delle parole e dei gesti dell’interlocutore).

Il comportamento può apparire bizzarro, incomprensibile rispetto al contesto e afinalistico e può coesistere perseverazione. Può manifestarsi anche agitazione psicomotoria, generalmente di breve durata e scatenata da eventi normalmente insignificanti9.

1.3.5. SINTOMI NEGATIVI

Sono una componente essenziale del disturbo e forse quella maggiormente onerosa per il funzionamento globale e nella storia naturale del paziente.

Si può avere appiattimento dell’affettività, per cui il paziente presenta una ristretta gamma di emozioni provate e la riduzione della capacità d’espressione delle emozioni; queste si manifestano sia sulla mimica facciale e sul contatto visivo, che sull’eloquio, in particolare si ha aprosodia. Molto comuni sono anche l’apatia, l’abulia e l’anedonia, con la perdita della volitività, e dell’interesse per ciò che accade nell’ambiente esterno, anche quello strettamente vicino. Esse possono accompagnarsi a alogia, ovvero della produzione verbale e ad asocialità4, 9.

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Secondo alcuni autori i sintomi negativi sarebbero parte di due differenti clusters: uno che comprende sintomi correlati alla neurocognizione, più evidenti nelle fasi di attività della malattia, e uno con manifestazioni maggiormente legate all’interazione sociale, le quali sarebbero già presenti in fase prodromica11

1.4. PATOGENESI E FISIOPATOLOGIA

1.4.1. EZIOPATOGENESI

Attualmente il modello patogenetico considerato maggiormente plausibile nella maggior parte dei disturbi psichiatrici e oggetto d’importante interesse scientifico, è l’interazione complessa tra genetica e ambiente.

Tutti gli studi indaganti i fattori genetici non hanno ancora identificato veri e propri loci con valore eziologico, ma piuttosto una serie varianti genotipiche che agirebbero sul neurosviluppo, sia in fase gestazionale che durante la maturazione nell’età evolutiva, e sulla fisiologia dei neuroni e delle connessioni neurali, compreso il metabolismo, i secondi messaggeri e proteine di membrana6, 7.

Su questo milieu predisponente agirebbero quindi dei fattori ambientali che modulerebbero il fenotipo psicotico e che avrebbero, però, una capacità più o meno impattante a seconda del periodo dello sviluppo in cui agiscono. Si pensa che il sistema nervoso centrale presenti due fasi di maggiore suscettibilità a insulti ambientali: la prima che comprende la gestazione e il peripartum, in cui avviene la vera e propria neurogenesi con la crescita assonale, la mielinizzazione e la sinaptogenesi, e una seconda durante l’adolescenza, in cui avviene la maturazione delle reti neurali con lo sfoltimento e il consolidamento delle sinapsi12, 13.

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I fattori pre- e perinatali sarebbero legati all’età avanzata del padre, a infezioni gestazionali comuni (come influenza e toxoplasmosi)14, a deficit alimentari (soprattutto nei microalimenti), all’utilizzo da parte della madre di sostanze farmacologiche durante la gravidanza e a complicanze ostetriche che implichino ipossia fetale13; durante l’infanzia, invece, sarebbe documentata una correlazione tra un polimorfismo del SERT della 5HT (5HTTTLPR_l-type), traumi e maltrattamenti infantili e disfunzioni cognitive nei pazienti psicotici10, 15, 16. Nell’adolescenza un ruolo predominante lo svolgerebbe l’utilizzo di cannabis17, ma anche vivere in ambiente urbano piuttosto che in aree rurali (questo in realtà potrebbe rappresentare un bias per il minor accesso alle diagnosi) e l’isolamento sociale18.

Figura 1: da Horvàth e Mirnics, Biol Psychiatry (2014)

La teoria per cui la schizofrenia sarebbe, almeno in parte, un disturbo del neurosviluppo in cui un danno ippocampale intervenuto precocemente nella vita di un individuo possa provocare un deficit funzionale prefrontale che si evidenzia nel periodo dell’adolescenza o giovinezza, sembra dunque quella maggiormente accreditata19.Tra le evidenze a sostegno di questa ricordiamo alcun alterazioni neuroanatomiche rilevate nel cervello degli schizofrenici.

Infatti, la caratteristica anatomopatologica più evidente è l’atrofia

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asimmetrica maggiormente marcata a livello dell’emisfero dominante e nei lobi temporali, associata a una perdita neuronale in assenza di gliosi, marcatore tipico dei processi neurodegenerativi20. In ogn caso, tutti gli studi neuroanatomici sono stati ampiamente criticati perché effettuati su pazienti trattati da decenni con neurolettici.

Per quanto riguarda la fisiopatologia, l’ipotesi più accreditata riguarda la disfunzione di diversi sistemi neurotrasmettitoriali, quali il dopaminergico, serotoninergico, glutammatergico e GABAergico). Tuttavia non è chiaro in che misura le alterazioni neurochimiche riscontrate rappresentino un evento primario, oppure un’espressione di meccanismi compensatori di alterazione la cui natura rimane ancora oscura.

1.4.2. IPOTESI DOPAMINERGICA

L'ipotesi dopaminergica postula come alterazione primitiva un’iperattività della trasmissione a livello del recettore D2 nelle proiezioni dal mesencefalo a quelle limbiche. Essa, ancora oggi, rimane la teoria preminente nonostante i limiti che negli anni ne sono stati evidenziati.

Sostanzialmente essa si fonda sull'evidenza dell’attività farmacologica degli antipsicotici tipici sul recettore D2, e ha ricevuto supporti dagli studi postmortem e dalle indagini in vivo, condotte con PET, che hanno mostrato un incremento di tali recettori nei cervelli dei pazienti schizofrenici. Che tale up-regulation recettoriale possa, però, essere un effetto del trattamento piuttosto che un’alterazione intrinseca alla schizofrenia, è stato suggerito da studi che non hanno evidenziato differenze nella densità dei D2 recettori tra i cervelli dei controlli sani e quelli dei pazienti prima del trattamento farmacologico. L'ipotesi di un’iperattività dopaminergica nel cervello dei pazienti affetti da schizofrenia ha trovato anche di recente ulteriori sostegni

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nelle evidenze di alterazioni a livello presinaptico che coinvolgono il turnover della dopamina (DA) nello striato ventrale. Se quest’alterazione ritrovata in soggetti farmacologicamente naïve sia primitiva o secondaria a modificazioni in altri sistemi neurotrasmettitoriali non è ancora stabilito, anche se comunque modificazioni della trasmissione dopaminergica sembrano giocare un ruolo cruciale nella fisiopatologia della malattia e spiegano l'efficacia di farmaci attivi prevalentemente sul recettore D2. Accanto all'ipertono dopaminergico nei nuclei sottocorticali, ipoteticamente associato alla sintomatologia delirante e allucinatoria, l'ipotesi dopaminergica postula un’ipofunzione dopaminergica nella corteccia frontale, condizione quest'ultima ritenuta associata alla sintomatologia negativa e ai deficit cognitivi21, 22. Un polimorfismo dell'enzima catecol-0-metil-transferasi (COMT) riportato nel cervello di schizofrenici, è stato ipotizzato alla base dell'ipofunzione dopaminergica. Difatti tale alterazione genica provoca un’iperattività della COMT, enzima importante nella regolazione dei livelli di dopamina corticale23.

1.4.3. IPOTESI GLUTAMMATERGICA

Essa si fonda su numerose osservazioni precliniche e cliniche. Difatti la fenciclidina e la ketamina, antagonisti non competitivi del recettore NMDA, sono in grado di indurre sintomi psicotici in soggetti sani o di peggiorare la sintomatologia di soggetti schizofrenici24. In aggiunta, studi postmortem hanno dimostrato alterazioni degli indici presinaptici e postsinaptici glutammatergici nei cervelli dei pazienti affetti. L'ipofunzione del recettore NMDA è stata ritenuta implicata nella genesi dei disturbi cognitivi e negativi, così come pure negli animali da esperimento la delezione della subunità-1 di tale recettore appare associata a modificazioni comportamentali suggestive

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dei disturbi negativi osservati nei pazienti schizofrenici. In maniera molto interessante questi animali manifestano modificazioni metaboliche nella corteccia prefrontale e in quella del cingolo anteriore molto vicine a quelle esibite dai pazienti schizofrenici. L'esistenza di rapporti anatomici e funzionali tra i sistemi dopaminergici e glutammatergici a livello centrale supporta ulteriormente l'ipotesi di alterazioni glutammatergiche nel processo fisiopatologico dei disturbi schizofrenici. Studi PET sull'uomo hanno dimostrato che la somministrazione acuta di antagonisti del recettore NMDA incrementa il rilascio della DA nei gangli della base, mentre una somministrazione protratta lo riduce nella corteccia prefrontale. Tale antagonismo recettoriale sembra anche avere un diretto effetto sui recettori D2 e 5HT2. Infine un’ipofunzione del recettore NMDA potrebbe partecipare all'espressione di alterazioni della plasticità neuronale responsabili di modificazioni delle connessioni sinaptiche, caratteristiche del processo neuropatologico della schizofrenia25.

1.4.4. IPOTESI GABAERGICA

Negli ultimi anni si sono approfondite le ipotesi che associano i sintomi tipici della schizofrenia a alterazioni nell'elaborazione delle informazioni corticali dirette ai sistemi dopaminergici mesolimbici e serotoninergici ponto- corticali. In tale contesto sono state fornite evidenze di un possibile coinvolgimento del sistema GABAergico corticale consistente in a) una riduzione della densità e del numero degli interneuroni GABAergici nella corteccia dei pazienti schizofrenici; b) un incremento dei recettori GABA nelle regioni prefrontali e nella corteccia anteriore del cingolo nei pazienti schizofrenici26.

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Nonostante queste osservazioni non è stato ancora compreso il legame che associa modificazioni del sistema GABAergico alla fisiopatologia della schizofrenia: tuttavia è molto probabile che squilibri nelle iterazioni corticali tra dopamina, GABA e glutammato siano verosimilmente responsabili dell'alterazione dell'attività dei nuclei sottocorticali26.

1.4.5. IPOTESI SEROTONINERGICA

L’ipotesi serotoninergica, insieme a quella dopaminergica, è la piu importante storicamente è la prima, con le osservazioni sulle proprietà allucinogene dell’LSD, correlate a modulazione del sistema serotoninergico. Attualmente si basa su dati sia farmacologici che di brain imaging. Infatti, gli antipsicotici non convenzionali, o atipici, sono caratterizzati da un peculiare affinità di legame con i recettori 5TH2A Questi farmaci furono definiti atipici per la loro capacità di azione sui sintomi negativi, non modificabili con i neurolettici convenzionali, e la minor capacità di indurre effetti extrapiramidali e iperprolattinemia alle dosi terapeutiche. Il capostipite di questi farmaci è la clozapina, molto utile anche nel ridurre le discinesie tardive da antipsicotici atipici. Questi composti, oltre che ad agire antagonizzando il 5HT2A, legano, bloccandolo, anche il recettore D2, ma con minor affinità, caratteristica che sembra necessaria per un’azione farmacologica utile sui sintomi negativi27. Alcuni di questi possiedono anche attività accessorie su recettori di tipo diverso, tra cui 5HT1A (sembrerebbe un agonismo parziale con attività ansiolitica, riduzione dell’aggressività e miglioramento del tono affettivo), 5HT6, 5HT7 D1, D3. D4., (tutti e tre correlati a effetti antipsicotici), α1 e α2 (con azione sedativa il primo, timostenica il secondo), H1 (particolarmente sedativa), M1 (riducono, per un meccanismo di compensazione, gli effetti extrapiramidali legati al blocco dei D2). Inoltre è stato recentemente

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osservato in studi su topi knock-out per 5HT2A che anche alcuni neurolettici classici, come l’aloperidolo, necessitano di un’attività sui recettori serotoninergici per esplicare la propria azione antipsicotica28.

É utile ricordare anche che la 5HT riveste un ruolo essenziale nel neurosviluppo, presentando una differente azione nelle varie fasi gestazionali, per cui potrebbe essere implicata in alterazioni del neurosviluppo12.

Un’ipotesi affascinante è quella che vedrebbe un’interazione fisica tra diversi recettori, in particolare tra 5HT2A e D2 e 5HT2A e mGluR2.29 L’interazione potrebbe avvenire sia mediante eterodimerizzazione che nella trasduzione del messaggio attraverso un cross-talking delle vie intacitosoliche30.

Figura 2: da De Bartolomeis et al., Psychopharmacology (2013)

Un riscontro aggiuntivo del ruolo della 5HT è dato dalla possibilità si scatenare una sindrome simil-psicotica mediante l’utilizzo di sostanze allucinogene, come la dietilamide dell’acido lisergico (LSD), come già ricordato, ma anche la psilocibina e la mescalina. Tutte queste agiscono

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almeno sul recettore 5HT2A ma alcune evidenze dimostrano che potrebbero essere interessati anche 5HT1, 5HT5, 5HT6 e 5HT731. In queste psicosi indotte però le allucinazioni sono generalmente visive, piuttosto che uditive come nella schizofrenia.

Infine, diversi studi postmortem hanno trovato un’elevata espressione di 5HT1A (con range di 20-90%) nei lobi frontali di pazienti schizofrenici precedentemente trattati con antipsicotici mentre altri hanno avuto gli stessi risultati mediante studi con fRM in pazienti naïve32. Altri studi postmortem hanno, invece, documentato una riduzione di espressione dei 5HT2A nella corteccia prefrontale dei pazienti schizofrenici e di SERT della 5HT20.

In generale, bisogna considerare che le alterazioni neurochimiche ipotizzate sono necessariamente più articolate di quanto si possa derivare da una così schematica analisi. I neurotrasmettitori interagiscono in una maniera più complessa e a più livelli nei circuiti cerebrali. Pertanto alterazioni nei turnover o nella sensibilità recettoriale di un sistema hanno conseguenze funzionali su numerosi altri; inoltre, poiché un circuito coinvolge molteplici segmenti che a loro volta funzionalmente dipendono da molti trasmettitori, è facile capire come un'alterazione anche di una singola sottopopolazione recettoriale si riverberi in una modificazione dell'attività di parecchie aree, anatomicamente e funzionalmente connesse. Alla luce di queste considerazioni appare chiaro come un’ipotesi trasmettitoriale non esclude necessariamente un'altra. Rimane invece da comprendere qual è l'alterazione primaria che avvia l'intero processo patogenetico della schizofrenia.

2. L

A SEROTONINA

2.1. ANATOMIA FUNZIONALE DEL SISTEMA SEROTONINERGICO

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Il sistema serotoninergico è stato inizialmente identificato anatomicamente mediante studi istochimica a fluorescenza 33, definendolo poi in maggior dettaglio a livello cellulare e ultrastrutturale mediante rivelazione istochimica dell’enzima triptofano idrossilasi 34, dei componenti specifici del neurone serotoninergico e della 5HT35 e del SERT della 5HT36-38 Tutte questi studi hanno dimostrato che la maggior parte dei neuroni serotoninergici sono distribuiti rostro-caudalmente lungo l’intera linea mediana del tronco encefalico. Questa componente a localizzazione mediana è ben conservata nell’evoluzione, poiché ampiamente sovrapponibile in tutti i mammiferi in fatto di distribuzione e proiezioni, mentre nei primati questa è affiancata da un’ulteriore porzione di neuroni serotoninergici localizzati più lateralmente.39-45

I neuroni serotoninergici possono essere suddivisi ontogeneticamente,46 anatomicamente e funzionalmente in due clusters: il primo, definito gruppo rostrale, è localizzato nel mesencefalo e ponte rostrale e proietta prevalentemente e diffusamente alla corteccia; il secondo, definito gruppo caudale, si estende posteriormente dal ponte alla porzione intermedia del midollo allungato. Entrambi comprendono più nuclei con proiezioni afferenti ed efferenti altamente specifiche.

Il gruppo rostrale comprende tre nuclei, il nucleo dorsale del rafe (DR), il nucleo mediano del rafe (MnR) e il nucleo del rafe pontino o nucleo lineare (CLi), nei quali si trova l’85% dei neuroni serotoninergici del sistema nervoso centrale.

Il nucleo dorsale del rafe si estende dal livello del nucleo dell’oculomotore alla metà del ponte ed è suddiviso in una parte anteriore, particolarmente ricca di neuroni serotoninergici47, e una parte posteriore in cui si trovano popolazioni diverse.

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La parte anteriore è costituita oltre che da neuroni serotoninergici anche da alcuni sintetizzanti sostanza P (coespressa nel 40%)48, catecolamine, dynorfina, encefalina e angiotensina49. Risulta in continuità con altre aree:

lateralmente con il grigio periacqueduttale ventrale, anteriormente con il nucleo del rafe pontino.

Il nucleo mediano del rafe (centrale) è localizzato tra il limite inferiore della decussazione del peduncolo cerebellare superiore e il nucleo motore del trigemino. È suddiviso in una componente mediana, quello propriamente detto, in cui l’80% dei neuroni è serotoninergico e due estensioni laterali che s'inframmezzano ai neuroni della formazione reticolare laterale, contenenti più popolazioni e solamente in minima parte serotoninergici.

Il nucleo del rafe pontino presenta una concentrazione dieci volte inferiore di neuroni serotoninergici ed è prevalentemente costituito da popolazioni producenti sostanza P e catecolamine.

Le proiezioni afferenti al nucleo dorsale e al nucleo mediano derivano soprattutto da strutture del sistema limbico. Quelle derivanti dall’abenula laterale, nucleo interpeduncolare, nuclei ipotalmici, area tegmentale ventrale, nuclei laterodorsali tegmentali e dalla corteccia del cinglolo sono glutammatergiche50.

Alcune proiezioni non colinergiche derivano dal nucleo del setto mediale e dalla benderella diagonale del Broca, dall’amigdala e dal pallido ventrale50 mentre quelle di origine ipotalamica per il nucleo dorsale sono soprattutto GABAergiche51.

Le proiezioni efferenti inizialmente ascendono in due vie parallele, una derivante dal nucleo del rafe dorsale e una dal nucleo mediano; poi si congiungono per ridistribuirsi in un fascio che si unisce alla capsula interna e va a terminare a livello della corteccia cerebrale laterale, estendendosi

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all’intero emisfero52, 53 e in un altro che va ad innervare l’ipotalamo, il prosencefalo basale e l’amigdala e che poi continua per terminare a livello della corteccia del cingolo, delle aree corticali mediali e dell’ippocampo54, 55. Gli assoni derivanti dal nucleo dorsale rappresentano in senso volumetrico la maggior parte della innervazione corticale sertoninergica e sono quelli maggiormente suscettibili all’effetto istotossico dei preparati anfetaminici56. essi terminano prevalentemente a livello del IV strato della corteccia57.

Gli assoni provenienti dal nucleo mediano, invece, risultano meno numerosi ma costituiscono nel complesso un maggior quantità di sinapsi chimiche, in particolare a livello della corteccia prefrontale, del cingolo e dell’ipotalamo58. A questi livelli è stato osservato che essi formano i cosiddetti baskets, cioè zone dense di sinapsi a livello di interneuroni corticali che esprimono la calbindina. Queste sinapsi sono ricche di recettori 5HT2A e si pensa che siano le maggiormente coinvolte negli effetti allucinogeni indotti da sostanze59. Le proiezioni alla corteccia, in particolare a quella prefrontale potrebbero essere correlate alla patogenesi della schizofrenia.

Il gruppo caudale contiene circa il 15% di tutti i neuroni serotoninergici del sistema nervoso centrale ed è costituito dal nucleo magno del rafe, dal nucleo pallido del rafe e dal nucleo oscuro del rafe, separati dal gruppo rostrale da una sottile banda di neuroni a funzione diversa.

Il nucleo magno del rafe è il nucleo serotoninergico più grande del sistema nervoso centrale, contenendo circa 30000 neuroni che coesprimono inoltre sostanza P e tireotropina60, 61. È connesso con il nucleo gigantocellulare e riveste un ruolo predominante nel controllo centrale del dolore.

Il nucleo oscuro del rafe si estende nella metà dorsale del bulbo e contiene neuroni che producono inoltre sostanza P e galanina62.

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Il nucleo pallido del rafe rappresenta il più piccolo conglomerato di neuroni serotoninergici del sistema nervoso centrale, contenendo solamente 1000 cellule, ed è posto tra le piramidi e al di sopra del lemnisco mediale.

Infine, esiste una discreta popolazione di neuroni serotoninergici nella formazione reticolare laterale, posta tra il nucleo magno e il gigantocellulare e che è maggiormente sviluppata nei primati.

Le proiezioni afferenti che arrivano alla parte anteriore del gruppo caudale, cioè al nucleo magno e alla popolazione della formazione reticolare, originano da diversi nuclei dell’ipotalamo, dal grigio periacqueduttale dorsolaterale, dal nucleo centrale dell’amigdala, dal nucleo della stria terminale e dalla formazione reticolare stessa63. I nuclei oscuro e pallido, insieme al nucleo magno, ricevono le afferenze sensitive viscerali dal midollo e dal grigio periacqueduttale ventrolaterale64.

Le proiezioni efferenti terminano nei nuclei viscerali e somatici motori che si trovano nella formazione reticolare e discendono in due fasci paralleli nel midollo spinale; quello dorso-laterale origina principalmente dal nucleo magno e termina nelle corna dorsali, quello ventrale connette i nuclei oscuro e pallido agli interneuroni della sostanza intermedia e alle corna anteriori65,

66.

Perifericamente la 5HT è prodotta dalle cellule del sistema endocrino diffuso, più recentemente ridefinito come sistema neuroendocrino; nel tratto gastroenteropancreatico queste vengono chiamate enterocromaffini, così battezzate da Heidenhain nel 1870, e sintetizzano circa l’80% della 5- idrossitriptamina del corpo. Queste cellule sono presenti in modo ubiquitario, anche se in quantità minori, soprattutto concentrate nei bronchi, nel sistema urogenitale e nei sistemi escretori di numerose ghiandole67.

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