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L allarme Pirateria in Somalia

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Academic year: 2022

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L’allarme Pirateria in Somalia

Di Michele AVINO

Un fenomeno che si credeva ormai relegato ai racconti salgariani ed ai film è tornato ad essere una minaccia reale per la libertà della navigazione e degli scambi commerciali via mare.

La pirateria marittima sta occupando negli ultimi tempi una posizione di attenzione per l’opinione pubblica internazionale e le dinamiche degli attacchi che hanno caratterizzato i recenti eventi hanno messo in evidenza le crescenti proporzioni del problema.

Per molti anni l’area di maggiore concentrazione della pirateria è stata quella dell’Indonesia e dello stretto di Malacca ma da qualche tempo i pirati hanno spostato la loro attenzione verso l’Oceano Indiano e Golfo di Aden preso atto che in dette zone transita oltre il 10% delle forniture energetiche mondiali e gran parte del commercio marittimo tra Europa e Asia.

Il 2008 rappresenta il momento di maggiore visibilità della pirateria al largo delle coste somale per la frequenza degli attacchi ma soprattutto per il valore delle unità mercantile sequestrate.

In particolare il mese di ottobre sembra essere stato quello più fruttuoso con il sequestro del cargo di bandiera ucraina “Faina” con a bordo un carico di 33 carri armati T-72, per non parlare dell’eclatante sequestro della superpetroliera “Sirius Star”

con un quantitativo di greggio del valore di 100 milioni di dollari, appartenente alla compagnia saudita ARAMCO avvenuto tra l’altro a 450 miglia dalle coste somale con un intervento durato solo 16 minuti.

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Il sequestro della Sirius Star ha messo drammaticamente in evidenza l’elevato rischio per le forniture di petrolio destinate all’Europa ed il salto di qualità fatto dai pirati colpendo una zona molto sensibile dal punto di vista strategico per l’economia mondiale.

La preoccupante crescita del fenomeno della pirateria al largo delle coste somale ha provocato un aumento sostanziale dei costi di spedizione e dei premi assicurativi ed ha indotto nel contempo le compagnie di navigazione a valutare percorsi alternativi per proteggere le proprie navi.

Il Golfo di Aden è ormai qualificato dalle compagnie di assicurazione come “area di guerra” alla stregua di Iraq ed Afghanistan ed i costi di assicurazione sono contrattati in segreto con le compagnie di navigazione disciplinando casi diversi a seconda della tipologia di carico.

In linea di massima è stato valutato che una polizza assicurativa in grado di coprire tutti i rischi incluso il sequestro da parte dei pirati può costare dai 2000 ai 50 mila dollari al giorno fermo restando un incremento sostanziale nel periodo di transito nel Golfo di Aden.

La Maersk, considerata una delle più grandi compagnie di navigazione del mondo ha reso noto che non intende mettere a rischio le sue petroliere al largo della Somalia annunciando che potrebbe prevedere una variante alle normali direttrici passando dal Capo di Buona Speranza, rotta sicuramente più lunga e costosa.

La vertiginosa crescita del fenomeno ed il sequestro della super petroliera saudita hanno dimostrato come la pirateria marittima, se non adeguatamente contrastata, può provocare una crisi globale dei trasporti marittimi.

Se da un lato quindi contrastare la pirateria ai fini della deterrenza vuol dire riuscire a sorvegliare con l’ausilio di dispositivi navali militari circa 2,5 milioni di chilometri quadrati di mare dall’altro non si può sconfiggerla senza ottenere il controllo delle coste somale laddove i pirati gestiscono i santuari del crimine.

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Le divisioni politiche interne gettano ormai la Somalia nel disordine da oltre 17 anni, il Presidente del Governo transitorio Abdullah Yusuf ha dichiarato che le truppe governative controllano esclusivamente Mogadiscio e l’area centrale del Paese mentre il resto del territorio è in mano alle milizie islamiche che combattono per riacquistare il controllo del Paese dopo essere state escluse dal Governo e cacciate dalla capitale nel 2006.

La Somalia non è mai stato un esempio di democrazia e stabilità ma le fonti riportano che le condizioni di anarchia e disordine erano migliorate sensibilmente quando nel 2006 il controllo del Paese è stato assunto dall’Unione delle Corti Islamiche le stesse che negli ultimi tempi hanno dichiarato che qualora dovessero ritornare al potere si impegneranno affinchè cessi l’emergenza pirateria.

Nel generale disordine ed anarchia sorprende quindi che, i pirati somali siano una organizzazione efficiente, una organizzazione in continua crescita, gli attacchi aumentano ed il raggio di azione si allarga sempre di più.

Cerchiamo di capire allora chi sono i pirati somali.

La pirateria somale nasce da un generale malcontento dei pescatori vessati dalla pesca illegale esercitata da imbarcazioni da pesca di altri Paesi nelle acque somale notoriamente ricche di tonno.

Come se non bastasse, la popolazione costiera nutre un forte risentimento nei confronti di navi mercantili straniere accusate dello scarico di rifiuti in mare.

Lo stato di insoddisfazione e scontento ha indotto i pescatori ad organizzarsi in gruppi ed attaccare in principio i pescherecci stranieri per poi, prendendoci sempre più gusto, passare ad obiettivi più paganti.

Il progetto ha avuto successo e molti pescatori hanno riposto nel cassetto le reti da pesca a favore degli AK-47 ed altre armi sofisticate.

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L’esempio della struttura organizzativa della moderna industria della pirateria lo fornisce la cittadina di Eyl, un piccolo villaggio di pescatori che potremmo rinominare la Tortuga dei giorni nostri.

Si tratta di una vera e propria cittadella del crimine che ruota intorno alla pianificazione ed alla gestione dei singoli attacchi in mare.

Le azioni in mare sono portate a termine da gruppi che vanno da 10 a 50 unità a seconda dell’entità del cargo, la gente a terra bada agli ostaggi, tratta i riscatti e si occupa della vendita della refurtiva.

Ad Eyl c’è un vero e proprio indotto, sono sorte case, punti di ristorazione collettiva e quant’altro utile alla vita quotidiana degli affiliati ai gruppi criminali. In tal senso occorre rilevare che, i pirati appartengono quasi tutti allo stesso clan tribale i Majarteen.

Eyl è una vera e propria roccaforte militare dove non vi è traccia del Governo centrale, crescono i guadagni ma crescono anche gli equipaggiamenti militari dei pirati e si migliora il modus operandi.

Ma come ha reagito la comunità Internazionale di fronte ad un crimine come questo, definito come “crimine di diritto delle genti”? In primo luogo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato due importanti risoluzioni la 1816 del 2 giugno 2008 e la 1838 del 07 ottobre 2008 con le quali si invita la comunità internazionale a reagire adoperandosi affinchè si ponga un freno agli attacchi di pirateria ripristinando la libertà dei traffici marittimi.

Inoltre, la risoluzione 1816 introduce una novità nel diritto del mare autorizzando i Paesi che partecipano alle attività di contrasto della pirateria ad entrare nelle acque territoriali somale. Tale aspetto sebbene accettato all’unanimità è stato oggetto di precisazioni da parte di alcuni Paesi che hanno voluto comunque ribadire che l’ingresso nelle acque territoriali somale deve essere visto come una soluzione contingente e non deve costituire pericoloso precedente per modificare le regole del diritto del mare.

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Nel frattempo l’area del Golfo di Aden e coste somale è diventata molto affollata dalla presenza di vari dispositivi navali militari che concorrono alla predisposizione di corridoi di sicurezza per il libero svolgimento della navigazione.

La NATO ha deciso di inviare in zona il dispositivo denominato Standing Naval Maritime Group 2 (SNMG2) di cui fa parte anche l’unità italiana Durand De la Penne che opera quale flagship del dispositivo con Comando assegnato all’Italia nella figura del Contrammiraglio Giovanni Gumiero.

Le unità della NATO assicurano la scorta ai mercantili del World Food Programme (WFP) che trasportano aiuti umanitari in Somalia.

L’Unione Europea ha deciso di inviare un dispositivo navale per contrastare la pirateria marittima a partire dal mese di dicembre con una operazione navale denominata

“ATALANTA” con comando operativo istituito presso la Marina Militare inglese.

E’ inoltre già presente in zona la Combined Task Force 150 costituita da unità navali appartenenti a Paesi che partecipano alla coalizione per il contrasto al terrorismo internazionale, oltre a presenze singole quali Cina, Russia, India.

Proprio la Marina indiana si è resa protagonista di recente di uno scontro a fuoco nel Golfo di Aden con una imbarcazione di pirati che è stata affondata.

Come se non bastasse, sono scesi in campo anche i contractors privati vere e proprie compagnie di sicurezza private disponibili ad intervenire a difesa delle unità mercantili.

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Prima fra tutte la Blackwater, società americana ha reso noto di essere stata contattata da alcune compagnie di navigazione per una proposta di collaborazione finalizzata alla protezione del naviglio mercantile. Vale la pena evidenziare che, la Blackwater nasce nel 1977 da ex membri delle forze speciali della Marina americana e possiede una propria nave la Mc Arthur adeguatamente equipaggiata per assistere i mercantili nel loro transito nelle aree a rischio.

A questo punto ci si interroga sulla opportunità del ricorso ai contractors privati quale soluzione per liberare l’area dalla pirateria.

Sull’ammissibilità dell’impiego di società di sicurezza private esistono molti dubbi soprattutto di natura giuridica. Infatti, può una compagnia di contractors armare una nave per condurre la lotta alla pirateria? Il diritto del mare conferisce poteri di intervento solo a navi da guerra o a navi in servizio governativo.

Un altro aspetto sul quale è dovuta una ulteriore riflessione è relativo al possibile collegamento tra pirateria marittima e terrorismo. Infatti, sebbene i due fenomeni siano caratterizzati da fini diversi non può essere esclusa a priori una possibilità di osmosi tra i due in particolare laddove è forte e radicata una presenza ideologica e religiosa sulla quale far presa per il coinvolgimento di pirati in azioni violente di natura politica.

La moderna pirateria marittima così come si sta manifestando è sicuramente in grado di fornire alle organizzazioni terroristiche capacità tecnico-operative e conoscenza dell’ambiente operativo utili agli scopi del terrorismo.

Le Monarchie petrolifere del Golfo Persico hanno recentemente denunciato la pirateria quale nuova forma di terrorismo. Se così fosse ci troveremmo di fronte ad un nuovo fenomeno “la pirateria terroristica”.

I Paesi del Gulf Cooperation Council (Consiglio per la Cooperazione tra i Paesi del Golfo Persico) hanno manifestato la propria disponibilità a collaborare per uno sforzo comune per far fronte a quello che definiscono un nuovo pericolo che minaccia la navigazione marittima e la stabilità economica e politica dell’area.

In conclusione potremmo affermare che la presenza di differenti dispositivi navali militari nell’area costituisce un sicuro deterrente per garantire una adeguata cornice di sicurezza ai trasporti via mare ma non sicuramente la soluzione del problema pirateria.

La situazione in Somalia agevola fenomeni come questo laddove non c’è una autorità in grado di interrompere i traffici di armi e porre un serio freno alle organizzazioni criminali e non ultimo l’infiltrazione di organizzazioni terroristiche.

Riferimenti

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