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Sulla pesca dei cannelli

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Academic year: 2022

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Questa plaquette è dedicata alla memoria di Sergio Anselmi, professore rigoroso e narratore curioso, osservatore attento

della nostra terra e del nostro mare,

collezionista instancabile delle storie degli uomini e delle donne, cittadino del mondo e marchigiano illustre.

Vito D'Ambrosio

Presidente della Regione Marche

Sergio Anselmi

Sulla pesca dei cannelli

REGIONE MARCHE - RIVISTA “PROPOSTE È RICERCHE”

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Un ringraziamento particolare a Maria, Barbara e Michele Anselmi per avere autorizzato la pubblicazione di queste pagine

dei diari di Sergio.

editing Ada Antonietti

Anselmi e il mare:

un amore totale

Sergio Anselmi, docente di Storia economica e

direttore dell’Istituto di Storia economica e Sociologia dell’Università di Ancona, scomparso un anno fa, fu un infaticabile quanto acuto studioso della realtà economi- ca e sociale dell’Italia centrale: ne analizzò, come è noto, l'agricoltura (mezzadria e policoltura), l’insedia- mento urbano, le risorse della montagna, i problemi ambientali e le trasformazioni di lungo periodo. Seppe, inoltre, essere animatore e organizzatore di prestigiose riviste, come «Quaderni storici» e «Proposte e ricer- che», alla cui fondazione ed affermazione diede contri- buti decisivi.

Un punto alto del suo itinerario culturale lo toccò con la pubblicazione, nel 1987, del volume Le Marche, da lui curato per la collana dedicata alle regioni della einaudiana Storia d’Italia: in quell'occasione seppe rac- cogliere le migliori energie intellettuali marchigiane per offrire ai lettori una vivida immagine della nostra regio- ne nelle molte sfaccettature della sua composita realtà.

Ma a chi sfogli la sua vasta bibliografia non può sfuggi- re quante pagine egli abbia dedicato allo studio di quel- la che amava chiamare la “koinè adriatica”: strutture politiche e morfologiche, pesca, porti e porti-franchi,

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rivalità e scambi commerciali, pirateria e scontri navali sono stati oggetto di saggi talora fondamentali, ma anche di alcune operette narrative che hanno riscosso successo di pubblico, non solo fra i lettori marchigiani.

Queste operette — la prima fu edita da il Mulino nel 1996 con il titolo Storie di Adriatico — non solo sono una piacevolissima lettura, ma, con l’accorta miscela tra cul- tura storica e vicende private di povera gente, testimo- niano di un’attenzione ai “non protagonisti” che pure caratterizzò la personalità di Sergio Anselmi, che mai volle chiudersi nel guscio estraniante dell’erudito. E, come aveva saputo sviluppare in intensi racconti le trac- ce degli umili rinvenute negli archivi italiani e croati, fu anche vicino agli uomini del suo tempo, in particolare ai pescatori, da lui organizzati nella Fratellanza degli

“Amici del Molo” di Senigallia. Ad essi, anzi, aveva saputo dare voce invitandoli a narrare le proprie perso- nali vicende di lavoro e di vita marinara poi raccolte in alcuni preziosi volumetti di “memorie”.

Anche per questa via si ritornava al mare, a quel- l’Adriatico attentamente scrutato con l'occhio dello sto- rico, piacevolmente percorso in barca a vela, gaiamente vissuto nella sua Senigallia con le lunghe nuotate, i tuffi dal “moscone” per la pesca delle cozze, le passeggiate,

con l’acqua a mezza gamba, fissando il fondo sabbioso

in cerca dei “cannelli”.

Proprio a questa esperienza di “pescatore di cannel- li” si riferiscono le pagine qui pubblicate, ricavate dai

“quadernetti” di appunti che Sergio Anselmi usava riempire di fitte annotazioni, con la sua controllata gra-

fia, nelle pause di lavoro. Queste “note”, stilate con

puntigliosa acribia che, talvolta, non è esagerato defini- re “scientifica”, potevano riguardare la riflessione su un avvenimento politico o qualche osservazione su un libro appena letto; le impressioni ricavate dall’incontro con 2 personaggio o lontani ricordi tornati alla memoria.

O, infine, come in questo caso, articolarsi in un vero e proprio “rrattatello sulla pesca dei cannelli”. E da bravo storico che sa che ogni affermazione va corroborata citando la fonte, Sergio Anselmi non manca di ricorda- te i suoi maestri, ed amici: Osvaldo Giacomini, virttuo-

so pescatore “di piede”, e Giorgio Pasquali, che chiama

“dardo” la bacchetta da cannelli, sgarbata intrusione tecnica in una pesca da sempre soltanto contemplativa, praticata nella luce dorata delle mattinate estive, subito dopo l’alba, quando i villeggianti ancora dormono e la spiaggia è immersa nel silenzio.

Senigallia, novembre 2004

Renzo Paci

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Sergio Anselmi Aero fusa

Sulla pesca dei cannelli sulla perco dii canmilia

3 agosto [1980]

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luoghi, modi e nelle solite ore di sempre. E con la stessa tecnica. L'impressione è che anche in questo settore le cose stiano cambiando. L'acqua, sebbene il mare sia calmo da tempo, non si chiarisce bene: verso le 12 è leggermen- te verde e traspare solo intorno ai 50 cm di profondità, cioè dove la gente si trattiene a lungo a saltare, giocare, camminare. Qui, alle 12, di cannelli non c’è quasi traccia.

Sul metro, metro e mezzo di profondità, c'è meno gente, ma per vedere i cannelli occorre scendere oltre la misura del boccaglio, e cioè nuotare a mezz'acqua, con maggiore sforzo fisico. E i cannelli sembrano molto sulla difensiva, pronti a sprofondare nella sabbia. Questa, inoltre, si pre- senta diversa da come era un tempo relativamente prossi- mo. I segni del fondo sono cambiati, mentre una conchi- glia bianca simile alla “pisciotta”, ma molto più piccola di essa, ha invaso questo habitat. Pare si tratti di una cappo- la giapponese che viene via via distruggendo le vecchie conchiglie di casa.

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prendere parecchi cannelli, su acque molto basse, col vec- chio sistema dell’olio sparso a gocce per fare un velo di acqua ferma, attraverso la quale si osserva bene il fondo.

Ricordo perfettamente le bagnine che verso le 5-6 ore del

mattino, vestite, andavano su e giù per gli scanni, a dieci/venti metri dalla battigia, si chinavano in continua- zione, bagnandosi poco, per trarre dal fondo cannelli, cap- pole, calcinelli. Qualche volta riuscivano a prendere una sogliola che avevano involontariamente fermato col piede.

È capitato anche a me.

Tra le conchiglie quasi sparite c'è il “garagòlo”: nelle ulti- me estati non ne ho trovato uno. Venti anni fa si pescava- no fin sotto la costa, ma erano migliori quelli “da largo”.

La pesca dei cannelli può essere fatta nei seguenti modi:

come si continua a farla al mattino presto (con l’olio), guardando verso il basso mentre si cammina, fermando il mollusco con le mani (anzi con le dita: indice e medio a

“V” spinti di lato ad esso nella sabbia, stringendolo nel

suo alveo) e poi tirandolo fuori da esso, adagio, unendo alle dita già impegnate il pollice (una variante è costituita dall’uso del piede in luogo della

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mano, impegnando alluce e indice: ho visto farlo, fino a qualche anno fa, ad Osvaldo Giacomini, ma pochi riesco- no a pescare così i cannelli); nuotando in superficie con maschera, pinne, boccaglio: il resto è identico al modo n.

1. A me piace questo secondo sistema, che costringe il pescatore a misurarsi con il cannello in condizioni meno sfavorevoli per questo. Infatti, se l’altezza dell’acqua supe- ra la lunghezza del boccaglio (40 cm circa), occorre immergersi in apnèa, fermare il cannello, attendere che sgonfi il suo “vomere”, trarlo fuori delicatamente. Se si ha fretta, magari perché è cessata la riserva di aria immagaz- zinata nel torace, si tira sveltamente e il cannello viene fuori “turco”, cioè amputato del “vomere” che è la sua parte più cospicua. Chiaro il perché di “turco”: sta per amputato/castrato del sesso, come i guardiani di arem.

Nella lotta tra la resistenza fisica del pescatore immerso in apnèa e quella del cannello sta, secondo me, quel minimo di competitività operativa che giustifica questa pesca nella

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quale alla velocità iniziale del fermare il mollusco deve seguire la prudenza (spesso l’attesa) del trarlo fuori dal suo lungo, diagonale cunicolo.

Il cannello si presenta con gli “occhi” rasosabbia, così [disegno degli “occhi”]

in effetti si tratta di sifoni per immettere nel ed emettere acqua dal proprio interno. Con essi il cannello filtra i microorganismi dei quali si nutre e compie i movimenti verso l’alto e verso il basso.

[due disegni di cannelli. Didascalia del disegno di sinistra:

livello del fondo sabbioso. Didascalia del disegno di destra:

“vomere” duro, muscoloso fin che il cannello è vivo]

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[disegno di un cannello. Didascalia: 1. sifoni (detti “oc- chi”); 2. guscio; 3. “vomere”]

Appena individuato il cannello, lo si ferma con le dita.

[disegno della mano che ferma il cannello. Didascalia:

mano; 1. pollice; 2. indice; 3. medio; 4, anulare; 5. mignolo]

A questo punto, se il cannello non è riuscito ad affondarsi emettendo acqua dai sifoni, come un razzo, esso, sentitosi fermare, fa di tutto per resistere alla trazione verso l’ester- no, inspirando acqua che riempie il “vomere”. Questo, grande come una pallina, spinge contro i lati del cunicolo.

Se si tira subito, il mollusco si rompe e il cannello viene su quasi

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vuoto, segno di scarsa “professionalità”.

[3 disegni di cannelli]

Bisogna invece attendere, sempre tenendo fermo il can- nello, che questo sia costretto ad emettere acqua dai sifo- ni, sgonfiando così il “vomere”. Se il pescatore ha resistito i 10/25 secondi che vanno dal “fermo” all’emissione di acqua da parte del cannello, è facile tirarlo fuori: questo è

reso vivo, con il “vomere” intatto.

È possibile, in questo genere di pesca, farsi male alle unghie nel momento in cui, in fretta, si infiggono le dita nella sabbia per fermare il mollusco.

[disegno di mano che ferma il cannello. Didascalia: polli- ce, indice, medio]

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23 settlembre 1980]

Torno sulla pesca dei cannelli (rif. 3. ag. 1980). Ieri ho visto pescare i cannolicchi con una bacchetta metallica dalla punta conica costruita in ottone. La lunghezza: em 60; diametro mm 1,5; base del cono della punta: mm 3-4, Si cercano i cannolicchi secondo le solite tecniche. Una volta individuati i due sifoncini (detti “occhi”) si infila la bacchetta (Pasquali dice “dardo”) tra essi, cercando di penetrare dall’“occhio” più piccolo. Il cannello viene per- forato, infilzato, impalato. A questo punto lo si trae fuori con prudenza, sapendo che farà resistenza col suo “vome- re” diventato “palla”. La testa conica della bacchetta impedisce al cannolicchio di sfilarsi.

[disegno di bacchette con punta conica. Didascalia: si avvita]

È una pesca facile, nella quale il cannello muore quasi subito. Poco sportiva ma molto redditizia. Verso il Cesano, tra le scogliere frangiflutto e la costa, dove ho provato l’at-

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trezzo, ho trovato molti cannolicchi, di colore più chiaro dei soliti, come se fossero “decolorati” da qualche agente chimico. Sono più corti dei soliti, ma conservano una di- screta dimensione (larghezza). Qui sotto un disegno for- mato naturale dell’esemplare medio:

[disegno di cannello]

Questi cannelli sono velocissimi nello sfuggire alla cattura manuale, ma nulla (o poco) possono rispetto alla nuova tecnica della bacchetta che, anche in

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caso di loro svelto affondamento nella sabbia può rag- giungerli, inseguendoli nel loro alveo. Ho anche notato che i “cappoloni” (cozze, méscioli) delle scogliere frangi- flutto (tanti ed anche grossi) hanno un po’ di “ruggine” sul guscio. Che si debba pensare ad agenti chimici impiegati nel settore agricolo che, finendo in mare con le piogge, correggono i colori dei cannelli e arrugginiscono le cozze?

[disegno di cozza. Didascalia: puntini di ruggine sulle cozze]

Pare che la “bacchetta” per infilzare i cannelli sia stata inventata a Riccione. I cannelli biancastri veloci dei quali qui s'è parlato sono detti “selvatici”, per distinguerli dagli altri, i soliti, che hanno il guscio più scuro e variegato.

Ho appreso oggi che da qualche anno i “selvatici” sono presenti anche nella zona “Ponte rosso”-Marzocca.

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8. VII. [1993]

Pare che i cannelli salgano all’altezza del fondo sabbioso soprattutto quando passano i treni, specialmente se veloci.

Ciò perché sentono le vibrazioni del suolo. Lo dicono i figli e le figlie dei vecchi pescatori e delle vecchie pescatri- ci, che li prendevano con le mani e coni piedi nelle prime ore del mattino (spiagge deserte), spargendo gocce d’olio sulla superficie marina. Oggi li si pesca con le mani e col ferro (asta con punta conica), usando prevalentemente maschera, boccaglio e pinne.

Negli ultimi giorni di luglio si è avuta una grande morìa di cannelli, poi gettati a riva dalle onde. Dicono che ciò sia avvenuto a causa di un terremoto sottomarino, che a terra

non è stato avvertito.

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13. 8. [1993]

Ieri, rientrando da una passeggiata in barca, a circa miglio dalla spiaggia di Cesanella, ho incrociato due bei delfini che giocosamente volteggiavano, probabilmente mangiando pesce azzurro. Li ho seguiti con lo sguardo per un quarto d’ora, forse 20 minuti, tenendomi a 150-200 metri di distanza. Non vedevo dal tempo di guerra i delfi- ni così prossimi alla battigia. Ma durante il conflitto, spes- so entravano nel canale e nelle darsene: così più di un anziano mi ha detto.

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