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Promozione del conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 37 L. n. 87 dell'11 marzo 1957.

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Promozione del conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 37 L. n. 87 dell'11 marzo 1957.

(Risoluzione dell’8 febbraio 2017)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta dell’8 febbraio 2017, ha adottato la seguente delibera:

“1. Con nota del 2 novembre 2016 il cons. Aldo Morgigni segnalava che l’art. 5 del decreto legge 31 agosto 2016, n. 168, recante “Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l’efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa”, convertito, con modificazioni, nella legge 25 ottobre 2016, n. 197, ha disciplinato la proroga di un anno, dal 31 dicembre 2016 al 30 dicembre 2017, del trattenimento in servizio dei magistrati che, alla prima di quelle date, non abbiano compiuto il settantaduesimo anno di età, che ricoprano funzioni apicali direttive superiori e direttive presso la Suprema Corte di cassazione e la Procura generale; e che, per effetto dell’applicazione di tale disposizione, tutti gli altri magistrati in servizio presso uffici di merito ovvero presso gli uffici di legittimità senza ricoprire gli anzidetti incarichi apicali, alla data del 31 dicembre 2016, se abbiano compiuto i settantadue anni, cesseranno dal servizio.

Evidenziava il cons. Morgigni come tale disposizione presenti molteplici profili di illegittimità costituzionale, per avere previsto un diverso trattamento giuridico ed economico per i magistrati di merito e di legittimità, ovvero tra coloro che ricoprano o che non ricoprano funzioni apicali di legittimità, in violazione del principio sancito dell’art. 107 Cost.; per avere garantito il trattenimento in servizio di poche decine di magistrati, contraddicendo le finalità dell’intervento legislativo e, dunque, in violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.; per avere il Governo adottato un provvedimento di modifica di norme dell’Ordinamento giudiziario, in violazione della riserva di legge fissata dall’art. 108 Cost.; ed ancora, per avere disatteso, in violazione dell’art. 117 Cost., i principi fissati in materia dal diritto dell’Unione europea, come chiariti da una sentenza del 2012 della Corte di giustizia di Lussemburgo.

Aggiungeva l’esponente come la norma in esame abbia comportato una lesione delle attribuzioni costituzionali del Consiglio superiore della magistratura, in particolare del potere di nomina dei propri due componenti di diritto, a norma degli artt. 104 Cost. e 13 D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160: lesione idonea a giustificare la presentazione dinanzi alla Corte costituzionale di un ricorso con il quale sollevare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato allo scopo di ottenere l’annullamento della suddetta disposizione. Ciò senza che sia di ostacolo la natura legislativa dell’atto genetico della prospettata lesione, né l’astratta possibilità di sollevare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale nel corso di un giudizio comune, posto che il Consiglio superiore della magistratura non è legittimato ad instaurare un giudizio principale di merito e non avrebbe, comunque, la possibilità di formulare una siffatta eccezione nel corso di un giudizio comune instaurato da altri soggetti, giudizio non ‘attivabile’ dai magistrati che hanno beneficiato della proroga, in quanto non interessati, né da quelli pregiudicati da tale modifica legislativa.

L’esame della pratica è stato assegnato alla Sesta Commissione giusta deliberazione del Comitato di Presidenza del 21 dicembre 2016.

2. Come noto, nel date attuazione all’art. 134 Cost. – che prevede, in generale, che la Corte costituzionale giudica sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato – l’art. 37 della citata legge n. 87 del 1953 chiarisce la Consulta risolve tali conflitti c.d. ‘interorganici’ laddove gli stessi insorgano tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui

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appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata dalle norme costituzionali.

E’ pacifico, per il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, che tra gli organi legittimati a sollevare un conflitto tra poteri dello Stato vi sia anche il Consiglio superiore della magistratura, “trattandosi di organo di rilevo costituzionale, direttamente investito di determinate questioni dalla Costituzione, con competenza ad esercitarle in via definitiva ed in posizione di indipendenza da altri poteri” (così, da ultimo, C. cost., ord. 7 luglio 2016, n. 166; conf. C. cost., sent. 15 luglio 2005, n. 284; C. cost., sent. 30 dicembre 2003, n. 380; C. cost., sent. 2002, n. 270); altrettanto pacifico è oramai che, tra gli atti in relazione ai quali è possibile investire la Consulta del considerato conflitto interorganico, vi possano essere anche gli atti legislativi (v. C. cost., ord. 25 novembre 2003, n. 343; C. cost., sent. 29 maggio 2002, n. 221; C. cost., sent. 23 dicembre 1999, n. 457).

Tuttavia, con riferimento a tale tipologia di atti la Corte costituzionale ha puntualizzato quali siano i presupposti di ammissibilità del ricorso: dapprima chiarendo che “il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (è) configurabile anche in relazione ad atti di rango legislativo, ove da essi possano derivare lesioni dirette all'ordine costituzionale delle competenze, ma solo nel caso in cui non esista un giudizio nel quale questi debbano trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione di legittimità costituzionale in via incidentale” (così, ex multis, C. cost., n. 343 del 2003, cit.); in seguito, proprio con riferimento ad un ricorso avanzato dal Consiglio superiore della magistratura”, sottolineando che “il conflitto avverso atto legislativo è sollevabile, di norma, da un potere dello Stato solo a condizione che non sussista la possibilità, almeno in astratto, di attivare il rimedio della proposizione della questione di legittimità costituzionale nell’ambito di un giudizio comune”

(così C. cost., n. 284 del 2005, cit.).

La ratio di tale soluzione risiede nel fatto che, nel sistema generale di giustizia costituzionale, il giudizio di costituzionalità in via incidentale costituisce lo ‘strumento’ tipico per attivare il controllo della Corte sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge, mentre il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, in relazione all’adozione di atti di siffatta natura, rappresenta un rimedio ‘residuale’, utilizzabile solamente quando tali atti non siano denunciabili con il primo strumento, dunque in quelle situazioni nelle quali non sarebbero tollerabili “zone franche” di incostituzionalità. Ciò anche per evitare che alcuni “soggetti istituzionali”, quali quelli legittimati alla presentazione del ricorso ai sensi dell’art. 37 della menzionata legge n. 87 del 1953, possano trovarsi in una posizione “privilegiata” rispetto a quella dei comuni cittadini, che possono solo sollecitare un giudice a valutare se sollevare, in via incidentale, la questione di legittimità costituzionale di una norma di legge.

3. Alla luce dell’esposto indirizzo privilegiato dalla Consulta, è di tutta evidenza come un ricorso ex art. 37 legge n. 58 del 1953, qual è quello di cui nella fattispecie è stata sollecitata la proposizione da parte del Consiglio superiore della magistratura, sarebbe destinato ad essere dichiarato inammissibile.

Ed infatti, la richiamata norma contenuta nell’art. 5 del D.L. n. 168 del 2016, convertito nella L. n. 197 del 2016, è di certo disposizione che si presta ad essere applicata di fronte ad un giudice comune, con l’instaurazione di un giudizio nell’ambito del quale il Consiglio superiore della magistratura, chiamato in causa, ben potrebbe eccepire la prospettata questione di legittimità costituzionale. Trattasi, infatti, di norma in base alla quale il Consiglio ha già adottato un provvedimento, quello di revoca della pubblicazione dei posti direttivi apicali della Corte di cassazione e della Procura generale per i quali è stata disposta la citata proroga, impugnabile da soggetti controinteressati, quali i magistrati che avevano già presentato la domanda per partecipare alla procedura concorsuale a suo tempo avviata. Ovvero norma in base alla quale il Consiglio ha adottato, e sarà ancora chiamato ad emettere, altri

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provvedimenti, quelli di collocamento a riposo dei magistrati non rientranti nel novero dei beneficiati dal suddetto art. 5, i quali ben potrebbero impugnare dinanzi al giudice amministrativo le rispettive delibere: con la conseguenza della costituzione del Consiglio in un giudizio nel corso del quale ben potrebbero essere fatte valere le proprie ragioni, anche in ordine agli ipotizzati profili di illegittimità costituzionale.

Ipotesi, quest’ultima, tutt’altro che astratta, laddove si pensi all’esistenza di venti casi giudiziari nei quali i magistrati destinatari dei provvedimenti del C.S.M. di collocamento a riposo, adottati sulla base della prima norma di legge di modifica della età per la cessazione dal servizio (di cui all’art. 1, comma 3 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114), hanno impugnato le rispettive deliberazioni amministrative, con l’avvio di altrettanti giudizi pendenti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, nei quali risultano già prospettate in via incidentale varie questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la disposizione legislativa in argomento. Peraltro, la documentazione acquisita dalla Sesta Commissione ha consentito di verificare che, in uno di tali procedimenti, con ordinanza del 9 novembre 2016 (dep. il 3 gennaio 2017) il T.A.R. Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la disposizione di cui alla predetta legge, sia pure in relazione ad aspetti diversi da quelli innanzi considerati. Analoga iniziativa è stata promossa, con riferimento al considerato art. 5 del d.l. n. 168 del 2016, da altri magistrati i quali – come evidenziato dall’Ufficio Studi e Documentazione nel parere tecnico n. 329/2016 – “titolari di incarichi direttivi di merito (…) esclusi dalla proroga, hanno agito avanti al giudice amministrativo denunciando la illegittimità costituzionale della norma per il contenuto ingiustamente discriminatorio, mediante impugnazione dei provvedimenti con cui il C.S.M. ha bandito i loro posti per la nuova assegnazione, revocando in seguito i bandi approvati per il ricambio degli incarichi direttivi, direttivi superiori ed apicali presso la Corte di cassazione”. Procedimenti che risultano ancora pendenti, ma nei quali la questione di legittimità costituzionale proposta dai ricorrenti è stata esaminata e, invero, già dichiarata manifestamente infondata dal giudice amministrativo.

Tanto premesso, il Consiglio

delibera

il non luogo a provvedere sulla richiesta indicata in premessa.”

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