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PARROCO DON PIETRO SILVESTRINI - cellulare

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Academic year: 2022

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B B B

B B O L L E T T I N O O L L E T T I N O O L L E T T I N O O L L E T T I N O O L L E T T I N O P P P P P A S T O R A L E A S T O R A L E A S T O R A L E A S T O R A L E A S T O R A L E

Anno XXVIII - Numero 49

P

ARROCCHIA DI

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ILVESTRINI - cellulare 334-9257113

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IOCESIDI

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ITTORIO

V

ENETO

II

ADOMENICADIAVVENTO

-

ANNO

B

Messa del giorno: 1a lett.: Isaia 40, 1-5.9-11– Salmo: 84- 2a lett.: S.Pietro apostolo 3,8-14- Vangelo: Marco 1,1-8

Liturgia della Settimana

D

OMENICA

6 D

ICEMBRE

2020

Scaricabile dal sito Web Unità Pastorale Gaiarine https://www.upgaiarine.it (sezione: Bollettino di Gaiarine)

n nn

nn Domenica 6 Dicembre - II^ di Avvento ore 08.00 S. Messa festiva

In suffragio: def.to Rosolen Pietro, Elena e Carmen;

def.ti Feletto Giacomo e Rosa. Alla Madonna per persona devota; alla Madonna per famiglia Dolfo ore 11.00 S. Messa festiva - Per la parrocchia

ore 19.00 S. Messa festiva ore 20.00 Novena dell’Immacolata

n nn n

n Lunedì 7 Dicembre -

ore 19.00 S. Messa festiva - In suffragio: Riva Maria e Da Ros Luigi; def.ti Brescacin Maria, Fantuz Francesco e nipote Enio; per tutti i defunti di Fantuz Valerio;

def.ti Brescacin Aladino, Caterina e Franco; def.ti Bortoluzzi Caterina, Morandin Levi e Giuseppe ore 20.00 Novena dell’Immacolata

n n n n

n Martedì

8 Dicembre

- Solennità dell’Immacolata ore 08.00 S. Messa festiva

In suffragio: def.ta Fresch Monica; def.to Piai Lucio e parenti; def.ti Alpago Enrico e Maria; def:ti Carnelos Domenico e Rosolen Maria; def.ta Trevisiol Teresa Moras; def.ti Rosolen Luigi e Teresa, Bozzo Valentino e Marcella; def.to Zorzetto Giuseppe; def.ti Baggio Agostino e Maria. In rin- graziamento alla Madonna per il 50° anniv.di ma- trimonio; alla Madonna per famiglia devota

ore 11.00 S. Messa solenne - Per la parrocchia ore 19.00 S. Messa festiva

In suffragio: def.to Farina Antonio ore 20.00 Rosario all’Immacolata per tutti i malati

n n n n

n Mercoledì 9 Dicembre

ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.to Bolzan Giuseppe;

def.to Feltrin Vittorino

n n n n

n Giovedì 10 Dicembre - Nostra Signora di Loreto ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.to Chiaradia Angelo;

def.to padre Gino Burresi

n n n n

n Venerdì 11 Dicembre

ore 9.00 S. Messa - In suffragio: def.to Favero Giovanni;

def.ti Morandin Alberto, Levi e Bortoluzzi Caterina

n n n n

nSabato 12 Dicembre - ore 19.00 S. Messa festiva

In suffragio: def.ta Luisotto Paola (ord. amici); def.ti Piai Rino e Carnelos Antonietta; def.ta Uliana Caterina; def.ta Favero Gemma (ord.sorella Ma- ria); def.ti Maset Giuseppe e Casagrande Rosanna; def.ti Fantuz Antonio, Segatto Agnese, genitori e fratelli; def.to Campagner Maurizio e genitori; def.to Fantuz Walter (ord.classe 1960)

n n n n

n Domenica 13 Dicembre - III^ di Avvento ore 08.00 S. Messa festiva

In suffragio: def.ti Pessotto Lucia e Fantuz Aurelio ore 11.00 S. Messa festiva e benedizione delle statuine

di Gesù Bambino- Per la parrocchia ore 19.00 S. Messa festiva

Corona di Avvento:

Rito di accensione della 2a candela in famiglia

-

Il Cero della Conversione

( Il momento più adatto è prima del pranzo domenicale. Porre la corona di Avvento al centro della tavola ) Genitore: La seconda candela che accendiamo vuole essere segno del nostro impegno a dare una svolta significativa alla nostra vita: vogliamo mettere Cristo e la sua Parola al centro della nostra famiglia e di ogni nostra azione.

Invocazione (Figlio): Signore, noi ti attendiamo: tu sei la strada della vita!

(Insieme): Signore, tu sei la strada della vita. Vieni, Signore Gesù!

Genitore: Signore, ti chiediamo la grazia di una sincera conversione per la nostra famiglia e per tutta la nostra comunità. Fa che in questo tempo di Avvento sentiamo forte la nostalgia del tuo amore e il desiderio di tornare a vivere nell'obbedienza alla tua Parola. Apri i nostri occhi e il nostro cuore perché sappiamo riconoscere i segni della tua presenza e accogliere i segnali di aiuto e le richieste di amore che ci vengono dai nostri fratelli.

Per Cristo nostro Signore. Amen

Si invitano i bambini, che partecipano alla S.

Messa delle 11, a portare in chiesa la statuina di Gesù Bambino, per la benedizione.

(2)

OGGI, D

OMENICA

6

DICEMBRE

, V

EGLIA

ASSOCIATIVADIOCESANA Nella Chiesa nuova di Codognè,

alle ore 16.30

Azione Cattolica - Veglia Associativa Martedì 8 dicembre, festa dell'Immacolata Concezione, in Azione Cattolica è anche la festa dell'adesione, di adulti, giovani e ragazzi.

La straordinarietà del momento che stiamo vivendo non con- sente di "muoverci" come al solito anche riguardo il tesseramento per il 2021.

Nelle prossime domeniche cercheremo di essere presenti (Stefano) prima della S.Messa delle 11 per raccogliere la quota di chi vorrà rinnovare l’adesione o di chi desidera aderire al- l’associazione.

Per chi è già iscritto nel 2020 non serve altro; per chi aderi- sce per la prima volta serve compilare un apposito modulo che si trova nei banchetti presso le due uscite della chiesa.

Ogni gruppo può fare riferimento anche ai vari animatori, che hanno il modulo in formato digitale e possono dare ulteriori informazioni.

Presidente ed educatori di A.C.

Azione Cattolica - Tesseramento 2021

in preparazione alla solennità dell’Immacolata.

Nella preghiera guarderemo alla nostra vita quotidiana insieme a Maria, donna di Speranza. La veglia ci aiuterà a sentirci in cammino e a prendere ancora una volta il largo sostenuti e orientati da colei che viene invocata fin dall’antichità come Stella del mare.

Invito dei vescovi alla preghiera comunitaria Le parrocchie di Albina, Campomolino e Gaiarine, seguendo le

attenzioni indicate dal vescovo Corrado nella sua lettera pastorale, invitano i fedeli a testimoniare la carità fraterna attraverso scelte e gesti quotidiani di ascolto e vicinanza verso tutti coloro che incontriamo e che in questo periodo di isolamento possono essere più fragili e bisognosi di attenzione e cura.

Inoltre raccomandano, come gesto comunitario, di aderire alla raccolta alimentare a favore di Caritas che capillarmente riesce ad avvicinare le famiglie più bisognose attraverso le borse della spesa con generi alimentari di prima necessità.

Purtroppo il perdurare dell’emergenza sanitaria ha aumentato le difficoltà anche di nuove famiglie e il contributo di tutti è necessario per alleviare tali situazioni solo pochi mesi fa impensabili.

I generi alimentari a lunga scadenza di cui c’e’ più bisogno sono: olio d’oliva, tonno in scatola, latte UHT, zucchero, barattoli di piselli, fagioli, pelati e la pasta, ma sono ben accetti anche altri prodotti: per l’igiene personale, per la pulizia della casa o del bucato, per l’infanzia (pannolini, omogeneizzati…).

Chi desidera aderire all’iniziativa potrà lasciare le borse con la spesa in CHIESA, prima delle sante messe festive, agli incaricati in ingresso o durante la settimana presso i confessionali durante tutto il mese di dicembre e oltre.

Confidiamo nella vostra consueta generosità.

CARITAS dell’U.P.: Raccolta Alimentare

Ogni comunità cristiana dev’essere un’oasi di carità e calore nel deserto della solitudine e dell’indifferenza.

(papa Francesco)

Con la prima domenica di Avvento, come da tradizione, i ragazzi di Azione Cattolica hanno acceso il loro albero in chiesa.

Nonostante le difficoltà e la lontananza i ragazzi, soprattutto quest’anno, hanno voluto partecipare al percorso comunitario dell’Avvento decorando l’albero in modo particolare: ogni domenica uno spicchio verrà abbellito con un simbolo rappresentativo del Vangelo della settimana.

Durante la prima domenica d’Avvento i bambini di tutti i gruppi hanno appeso una lanterna creata da loro come simbolo del desiderio e dell’impegno di essere vigilanti (Mc. 13, 37 “Quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate!”). Così nelle prossime settimane fino ad arrivare a Natale.

L’idea è stata suggerita dall’ufficio catechistico diocesano, in un opuscolo per l’avvento, che vi consigliamo di consultare sul sito della nostra parrocchia: ww.upgaiarine.it

Buon Natale a tutti voi con la speranza di rincontrarci al più presto.

La responsabile parrocchiale di Azione Cattolica Ragazzi Marta Baggio A.C.R. - L’Albero dell’Avvento

Congratulazioni al neo dottore Giuseppe

Desideriamo congratularci, a nome dei gruppi parrocchiali di Azione Cattolica e della comunità, con

Giuseppe Andreetta

che ha conseguito con profitto la LAUREA triennale in FISICA presso l’Università di Padova Con l’augurio che tu possa proseguire sempre con soddisfazione la tua carriera universitaria.

Martedì 8 dicembre, nella solennità dell’Immacolata Conce- zione, sarà trasmessa in diretta, alle ore 21, da Tv2000 la preghiera del Santo Rosario, da una chiesa di Roma.

Come già avvenuto durante il lockdown, questo sarà un mo- mento di preghiera comunitaria, da vivere insieme in prepara- zione al Natale. In un tempo segnato in modo evidente dagli effetti della pandemia, la comunità italiana chiederà l’in- tercessione della Vergine Maria, Colei che ha custodito nel suo cuore ogni cosa e ha saputo abbandonarsi con fiducia all’abbraccio del Padre.

Per la parrocchia: Nn • 30 - Nn • 20 Offerte della Settimana

Per la Caritas parrocchiale: Nn • 100 - Nn • 130 Per l’Oratorio: Nn • 200

Giornata del Seminario: • 700

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La Parola in Famiglia - IIIA Domenica di Avvento - 13 Dicembre 2020 - anno B

Mettiamoci attorno alla Parola di Dio come discepoli del Signore. Genitori e figli sono tutti ascoltatori di questa parola che è Gesù. Ci si sente uniti e incamminati sulla stessa strada verso un’unica meta: la perfezione nell’amore. In un mondo di tanta confusione, Gesù è la luce che illumina la strada.

Allora dedicate 10-15 minuti spesso, se non ogni giorno, ad ascoltare insieme la Parola di Dio, utilizzando questo piccolo strumento che ci propone la lettura e la riflessione su Gesù e sulla nostra vita secondo il vangelo di Giovanni 1,6-8.19-28 Le altre letture della Messa: 1a lett.: Prof. Isaia 61,1-2.10-11– Salmo: Lc.1,46-54- 2a lett.: lettera ai Tessalonicesi 5, 16-24

P

REGHIAMO

Il mondo è nelle tenebre della Pandemia, dell’odio e della violenza. Signore, rendici testimoni di luce con il nostro comportamento d’amore e di pace. Quando il buio cancella la speranza e la gioia, fa’ che portiamo serenità e amicizia, per rendere migliore la vita degli altri e incoraggiare chi è sfiduciato.

Tanti uomini e donne sono per noi come Giovanni Battista: esempi e portatori di luce vera. Fa’ che li sappiamo scoprire, accogliere, ammirare, e soprattutto imitare nella nostra vita. Amen.

M

ESSAGGIODELLA

P

AROLADI

D

IO

Testimoni della gioia

La 3a domenica di Avvento è tradizionalmente nota come domenica ‘Gaudete’, o domenica della gioia: dall’antifona d’ingresso alla seconda lettura, infatti essa è pervasa da un costante invito a rallegrarci nel Signore, sempre!

La prima lettura motiva questa gioia piena con l’immagine delle vesti della salvezza con cui il Signore cinge il suo profeta e il suo eletto. E’ la presenza del Signore, infatti, a fondare una gioia che non può essere turbata dalle incertezze dalle nostre storie personali e collettive, giacché in esse, come canteremo nel Magnificat (che nella domenica odierna sostituisce il salmo responsoriale), possiamo vedere all’opera il braccio potente di Dio. Così vide e annunciò anche Giovanni il Battista, che oggi ci viene presentato nel racconto del quarto evangelista. Come leggiamo nel Vangelo, egli è testimone della luce che apertamente confessa il proprio ruolo profetico. Per preparare la strada a colui che battezzerà in Spirito Santo e porterà la salvezza nel mondo.

Introduzione alla Parola di Dio

La lingua ebraica è piuttosto povera di sinonimi, eppure, per esprimere la gioia, nella Bibbia sono impiegati ben ventisette vocaboli. Nelle sacre Scritture ci sono le grida disperate di chi non trova risposta al mistero del dolore, ma più spesso risuonano i “canti di gioia di una moltitudine in festa” (salmo 43,5) e gli inni di riconoscenza a Dio: “Gioisca il mio cuore nella tua salvezza e canti al Signore che mi ha beneficato” (Salmo 13,6).

Nei vangeli c’imbattiamo in persone dal volto triste: il giovane ricco che non ha il coraggio di staccare il cuore dai beni (Mt 19,22), i due discepoli in cammino verso Emmaus (Lc 24,17). In certi momenti si rabbuia anche il volto di Gesù (Mc 3,5; Mt 26,38). Ma un clima di gioia pervade tutte le pagine evangeliche, dalla promessa di un figlio a Zaccaria “Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita” (Lc 1,14), alla “grande gioia” annunciata ai pastori (Lc 2,10-11), alla gioia di Zaccheo che accoglie il Signore nella sua casa (Lc 19,6), fino alla gioia incontenibile dei discepoli nel giorno di pasqua (Gv 20,20).

C’è però un personaggio che ci riesce diffìcile immaginare col volto ilare: è Giovanni, figlio di Zaccaria, il predicatore incaricato di prepararci all’avvento del Signore. Viveva nel deserto e, quando usciva, pare lo facesse solo per incutere paura, minacciando fuoco dal cielo, scure alla radice degli alberi, tremendi castighi (Mt 3,7-12). Eppure anch’egli, una volta, si è rallegrato. Quando riconobbe la voce dello sposo che stava per arrivare esclamò: “L’amico dello sposo esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è giunta al colmo” (Gv 3,29).

La venuta di Gesù è sempre accompagnata dalla gioia e nessun volto -nemmeno quello del Battista -può rimanere triste.

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo: “Rallegriamoci ed esultiamo, perché sono giunte le nozze dell’Agnello”

Prima Prima Lettura: Isaia 61,1-2.10-11

Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore. Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli. Poiché come la terra produce la vegetazione e come un giardino fa germogliare i semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutti i popoli.

Riflessione su questa Parola di Dio

Nella prima lettura della scorsa domenica abbiamo ascoltato l’invito accorato del profeta anonimo che, a Babilonia, invitava gli esuli a preparare la via al Signore che stava per venire a liberarli, a ricondurli nella terra dei loro padri. Prometteva prodigi: fiumi d’acqua fresca sgorgati nel deserto, grida di gioia e canti di festa avrebbero accompagnato il ritorno a Gerusalemme.

Passarono pochi anni e gli eventi politici gli diedero ragione: nel 538 a.C. Ciro entrò trionfante in Babilonia ed emanò l’editto di libertà per tutti i deportati (Esdra 6,3-5).

Fiduciosi nelle parole del profeta, un gruppo di israeliti, l’anno seguente, intraprese la via del ritorno. Fu un viaggio difficoltoso, pieno di asprezze e pericoli, che si concluse con la più sgradita delle sorprese: l’accoglienza fredda, anzi, ostile, da parte

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degli israeliti rimasti in patria.

Sorretti dall’entusiasmo e dalla speranza, i rimpatriati riuscirono comunque a superare le prime difficoltà, ma poi le delusioni si susseguirono a ritmo incalzante, sempre più amare: la città era indifesa e senza mura, le case cadenti, i terreni dei loro padri tutti occupati; ci furono anche alcuni anni di siccità che ridussero all’indigenza numerose famiglie. I nuovi arrivati finirono per caricarsi di debiti e divennero schiavi di proprietari terrieri senza scrupoli e approfittatori. Erano dunque ingannevoli le promesse udite a Babilonia?

In questa situazione difficile ecco sorgere un altro profeta. La lettura di oggi riporta le parole con cui si presenta a questi israeliti scoraggiati e affranti. Sono stato inviato - dichiara - per infondere coraggio e speranza in chi è deluso, per curare chi ha il cuore spezzato, per portare una lieta notizia a coloro che soffrono, per annunciare la libertà agli schiavi e promulgare, da parte del Signore, un anno di grazia (vv. 1-2).

Non ha armi, non denaro, non potere politico per imporsi; possiede solo la parola, è latore di una promessa, sicura, perché formulata da Dìo: è giunto l’anno giubilare, quello in cui “ognuno tornerà in possesso della sua proprietà” (Lv 25,10). Nessuno deve più rassegnarsi a vivere nella miseria e nella schiavitù, per i poveri è il momento di alzare il capo e di recuperare la propria dignità.

Si realizzarono queste promesse? Ci fu, sì, qualche leggero miglioramento, ma le ingiustizie, la corruzione, le angherie andarono avanti come prima.

Difficile continuare a credere e a sperare di fronte a delusioni così cocenti. C’erano tutte le ragioni per abbandonare la fede, invece il popolo non si perse d’animo, convinto che non sarebbe stato tradito dal suo Signore e che, anche se non immediatamente, certo la parola di Dio si sarebbe poi adempiuta.

Nella sinagoga di Nazaret, all’inizio della sua vita pubblica, dopo aver letto le promesse consolanti di questo profeta, Gesù proclamò solennemente: “Oggi si è compiuta la parola della Scrittura che avete appena udito” (Le 4,21). Era l’annuncio che era giunto il giorno atteso da secoli, quello che segnava la fine di ogni schiavitù, miseria e dolore.

Eppure, neanche con Cristo si è adempiuta pienamente la profezia, come non si era realizzata, cinquecento anni prima, al tempo del ritorno dall’esilio.

Chi non entra nell’ottica dei profeti è indotto a pensare che essi scambino i miraggi con la realtà e prendano per certezze quelle che sono solo velleità o speranze. Non è così. I profeti erano dotati di uno sguardo nuovo, vedevano il mondo in modo diverso e sapevano scorgere, già nello spuntare dell’aurora, lo splendore del giorno pieno. Come i profeti, anche Gesù guardava lontano e contemplava il mondo nuovo, già pienamente realizzato, dove “non ci sarà più né lutto né lamento” (Apoc. 21,4).

Solo chi ha occhi come i suoi non si scoraggia di fronte alla realtà, a volte assurda e crudele, crede nella realizzazione delle promesse di Dio e offre il suo contributo affinchè il seme del regno dei cieli, posto nella terra da Cristo, si sviluppi e giunga presto a maturazione.

Nella seconda parte della lettura (vv. 10-11) il profeta intona un canto di lode: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta”. Sono le parole che troviamo anche sulla bocca di Maria (Lc 1,46).

Come mai questi israeliti che si trovano in mezzo ad afflizioni, sono colpiti da sventure, si muovono in mezzo a tante difficoltà, innalzano a Dio un inno di lode? Perché possiedono sguardo del credente. Sono così certi della fedeltà del loro Dio, sono così sicuri che egli libererà i poveri, consolerà gli afflitti, medicherà i cuori affranti, che vedono già realizzate le sue promesse. Il profeta prende la parola a nome di Gerusalemme e pone sulla bocca della città, ancora in rovina, il canto di gioia della sposa.

Deposto l’abbigliamento triste della vedova, essa è rivestita dal Signore con un abito dalle stoffe pregiate: le “vesti di salvezza”

coprono le ferite della violenza, “il manto della giustizia” ha preso il posto degli stracci logori dei soprusi e delle vessazioni, “i gioielli” hanno sostituito le catene della schiavitù.

Non è ancora accaduto nulla, eppure lo sguardo del profeta spazia lontano, oltre gli orizzonti angusti delle meschinità umane.

Invita a coltivare, anche nelle situazioni più drammatiche, l’ottimismo e la speranza, fondati sulla certezza che Dio porterà a compimento il suo progetto sul mondo.

L’immagine del seme che spunta e cresce fino a divenire un grande albero chiude la visione: tutti i popoli contempleranno Gerusalemme, divenuta un giardino in cui germoglia e da cui si diffonde la giustizia (v. 11).

Seconda Lettura: Prima lettera di san Paolo ai Tessalonicesi 5,16-24

Fratelli, siate sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono.

Astenetevi da ogni specie di male. II Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo!

Riflessione sullla lettera di san Paolo

Siamo alla fine della Lettera ai tessalonicesi e Paolo, prima dei saluti, introduce alcune esortazioni conclusive riguardanti la vita comunitaria.

Raccomanda: “Siate sempre lieti!”. La gioia è uno dei segni caratteristici della presenza dello Spirito di Dio nel cuore dell’uomo.

È facile confonderla con il piacere, il piacere dell’alcool, della droga, della vita immorale. Paolo indica ai tessalonicesi la sorgente della vera gioia. Essa nasce dalla preghiera: “Pregate incessantemente, rendete grazie” .

La gioia è il frutto dell’apertura del cuore agli impulsi dello Spirito che arricchisce dei suoi doni la comunità ed è accordata da Dio a chi conduce una vita irreprensibile.

Una comunità che tiene presente queste esortazioni dell’Apostolo diviene “santa”, cioè completamente differente da altri gruppi, associazioni e sette. Questa santificazione è opera di Dio.

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Vangelo secondo Giovanni 1,6-8.19-28

6 Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. 7 Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8 Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. 19 E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Chi sei tu?”. 20 Egli confessò e non negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”. 21 Allora gli chiesero: “Che cosa dunque? Sei Elia?”. Rispose:

“Non lo sono”. “Sei tu il profeta?”. Rispose: “No”. 22 Gli dissero dunque: “Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”. 23 Rispose: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia”.24 Essi erano stati mandati da parte dei farisei. 25 Lo interrogarono e gli dissero:

“Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”. 26 Giovanni rispose loro: “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27 uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo”.

28 Questo avvenne in Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Riflessione sul brano del vangelo

“Dolce è la luce e agli occhi piace vedere il sole” (Qoelet 11,7). Alla luce sono associate risonanze positive ed emozioni piacevoli; “venire alla luce” è sinonimo di nascere (Giobbe 3,16), “vedere la luce” equivale a “essere vivo” Questo simbolismo, presente in tutta la Bibbia, è ripreso, nel Nuovo Testamento, soprattutto dall’evangelista Giovanni. Fin dal prologo egli presenta la venuta di Cristo nel mondo come l’apparire della luce: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1,4-5).

Anche la figura del Battista è introdotta con la stessa immagine. Nella prima parte del brano di oggi (vv. 6-8) egli è identificato come l’uomo mandato da Dio per rendere testimonianza alla luce. Ha una missione così importante che, in soli due versetti, è richiamata per ben tre volte.

Alla fine del I secolo d.C., quando Giovanni scrive il suo vangelo, erano ancora molti coloro che si professavano discepoli del Battista e si rifacevano a lui come al sommo modello di vita, addirittura in opposizione a Gesù. È per questo che all’evangelista preme mettere in chiaro la posizione del precursore rispetto a Cristo. Non era il Battista la luce del mondo, egli fu solo il primo che riconobbe “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Non si lasciò ingannare dalle lusinghe di chi, stupito dai suoi insegnamenti e ammirato per la sua rettitudine, era convinto che fosse lui il messia. Rimase al suo posto, si mantenne fedele alla sua missione.

Durante l’Avvento ci viene proposta la sua testimonianza. Come ha fatto con i suoi contemporanei, egli addita oggi ad ogni uomo la luce del mondo, Cristo: chi segue lui non cammina nelle tenebre, ma avrà la vita (Gv 8,12). È opportuno questo suo richiamo perché gli sfavillii delle proposte di vita ingannevole sono innumerevoli e seducenti, ma sono bagliori che presto si affievoliscono e si rivelano lucignoli di morte. Solo la luce di Cristo indica i valori autentici, quelli su cui non ci si rammaricherà mai di avere puntato la vita.

Nella seconda parte del brano (vv. 19-23) viene introdotta una commissione, composta da sacerdoti e leviti, inviata dall’autorità religiosa per avere spiegazioni dal Battista riguardo alla sua identità e al suo comportamento. A Gerusalemme si cominciava ad essere preoccupati per il suo crescente prestigio, per le emozioni che suscitava e le speranze che risvegliava con la sua predicazione. Per tre volte le guide spirituali del popolo gli rivolgono ansiose la stessa domanda: “Chi sei?”. Sul suo conto si stanno diffondendo molte voci: c’è chi lo considera il messia, chi lo ritiene “il profeta” che, secondo la promessa di Mosè, Dio avrebbe suscitato per guidare Israele (Dt 18,1-5), c’è anche chi sostiene che egli sia Elia redivivo.

Il Battista è leale, non accetta identificazioni, onori, titoli che non gli spettano; dichiara di non essere né il Cristo, né Elia, né il grande profeta, si definisce semplicemente voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore.

Difficile immaginare qualcosa di più labile e caduco della voce che, non appena ha comunicato il messaggio, si dissolve senza lasciare traccia. Il Battista non vuole che gli occhi siano puntati su di lui, ma su Cristo: “Egli deve crescere, io invece diminuire”

- dirà in seguito (Gv 3,30). Svolta la sua missione è lieto di farsi da parte, fa in modo che non nascano equivoci, rifugge da ogni forma di “culto della personalità”.

Per riconoscere Cristo-luce è necessaria la testimonianza di qualcuno che, come il Battista, sia riuscito a scoprirne l’identità.

La fede non nasce da ragionamenti o da pseudo rivelazioni, ma dall’ascolto: “Come potranno credere -si chiede Paolo - senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? La fede dipende dunque dalla predicazione”

(Rm 10,14-17).

Anche il Battista ha compiuto un cammino di fede. Riconosce di essere arrivato progressivamente alla scoperta di Cristo: “Io non lo conoscevo”, ma dopo averlo visto cominciai a rendergli testimonianza e a indicarlo come il figlio di Dio (Gv 1,29-34).

Questo cammino spirituale si ripete nella vita dì ogni credente: si comincia dalla scoperta della vera identità di Cristo, poi si giunge alla convinzione che merita piena fiducia e infine si diviene testimoni della propria fede, come affermava Paolo: “Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo” (2 Cor 4,13).

Nella terza parte (w. 26-28) c’è anzitutto il richiamo del Battista: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”. Questo disconoscimento appare inspiegabile.

Da secoli Israele attendeva il messia, eppure quando lo vide arrivare non lo riconobbe. Un velo impediva agli occhi di questo popolo di cogliere la vera identità di Gesù di Nazaret. Una fitta nebbia, costituita dalle convinzioni religiose inculcate dalle guide spirituali, offuscava le menti e appesantiva i cuori. Israele era persuaso di costituire una comunità santa, viveva separato e disprezzava gli altri popoli, considerava l’elezione un privilegio, non una vocazione al servizio, attendeva un messia che si sarebbe schierato al suo fianco, non per portare la salvezza ai pagani, ma per annientarli.

Il Battista è riuscito ad aprire gli occhi ad alcuni suoi contemporanei e, in questo tempo di Avvento, rivolge ad ognuno di noi l’invito a riconoscere in Gesù l’unica luce e ad evitare “la via degli empi, che è nebbia fitta” (Pr 6,23).

L’ultima affermazione del precursore: “Viene uno, dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo”

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(v. 27) è comunemente intesa come una dichiarazione di umiltà. Si tratta invece di un’immagine, un po’ enigmatica per noi, ma chiara per gli interlocutori del Battista che conoscevano la legge e le tradizioni. Togliere il sandalo era un gesto contemplato dalla legislazione matrimoniale d’Israele: significava appropriarsi del diritto di sposare una donna che spettava ad un altro (Dt 25,5-10; Rt 4,7). Dichiarando di non poter sciogliere il legaccio dei sandali, il Battista afferma di non avere alcun diritto di sottrarre la sposa a Cristo. È lui il Messia, è lui il Dio-con-noi venuto per celebrare le nozze con l’umanità. In seguito il precursore si esprimerà con chiarezza, senza più ricorrere a metafore: “Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta” (Gv 3,28-29).

L’Avvento è il tempo in cui la sposa (l’umanità, la chiesa) si prepara ad accogliere lo sposo e il Battista è l’amico dello sposo, incaricato di favorire questo incontro d’amore.

Per molti israeliti Gesù è stato un personaggio insignificante, è passato senza che si rendessero conto che egli era venuto per portare loro la gioia, per dare inizio alla festa. Il pericolo di accorgersi in ritardo della sua presenza incombe anche oggi.

P

ERL

ATTUALIZZAZIONE

“In mezzo a voi sta uno che non conoscete”. È un po’ inquietante questa espressione di Giovanni Battista, perché il pericolo c’è ancora oggi. Ancora oggi, in mezzo a noi, ci può essere uno che non conosciamo

Gesù stesso fa trapelare questa possibilità: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”(Mt 22, 14). Per questo è così importante evangelizzare, annunciare: noi dobbiamo far conoscere Gesù Cristo . Il problema è che oggi l’evangelizzazione viene scambiata per una sorta di propaganda.

Il vangelo di Matteo termina con il testamento di Gesù: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20).

La salvezza è nel nome del nostro Signore Gesù Cristo: dobbiamo pronunciarlo questo nome, dobbiamo annunciare, con grande coraggio e grande franchezza, che si può essere salvati solo in questo nome.

Giovanni Battista ripete: “Io non sono“. Alla richiesta di sapere quale fosse il suo nome, Dio risponde a Mosè: “Io sono”.

Quindi noi, senza Dio, non siamo niente. Ecco perché è così importante la preghiera fatta davanti al volto di Gesù: “Signore Gesù, fammi essere, donami il tuo spirito perchè io sia, perchè senza questa intimità con Gesù noi non siamo niente.

Questo brano ci fa capire che la nostra intimità con Gesù è indispensabile.

Eppure Gesù aveva detto: “ Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili.

Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10).

Ma come si fa ad essere nello stesso tempo inutili e indispensabili? Sono apparenti contraddizioni: siamo servi inutili ma siamo anche strumenti eletti. Solo se mettiamo insieme queste due cose noi capiamo la grande dignità di questa parola

‘servo’. Nella Bibbia i profeti sono i servi di Dìo. Isaia chiamava il Messia “il servo di Jahvè”. Ma anche nel Nuovo Testamento, nell’annunciazione, Maria dice: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1, 38).

Dunque siamo inutili, ma siamo anche indispensabili per il suo progetto.

Perché tutti credessero. Il vangelo di Giovanni ha proprio questo scopo, come lui stesso esprime verso la fine del suo vangelo:

“Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv. 20,30-31).

La chiave è la fede, la fiducia, senza le quali noi non possiamo conoscere il progetto di Dio.

Quando S. Paolo predica ad Atene, parla di un Dio ignoto. Ebbene, se non abbiamo fiducia in Lui, il nostro Dio rimane un Dio ignoto. Dobbiamo avere la fiducia dei bambini, che si fidano più del papà e della mamma che di se stessi. Questa è la fiducia che vuole il Signore per noi.

A Giovanni Battista chiedono: “chi sei?”.

Nel vangelo tutto si riferisce a noi. Questa domanda si riferisce ad ognuno di noi: “chi sei?”.Se siamo sinceri dobbiamo riconoscere che non sappiamo chi siamo. Solo Dio sa chi siamo, perché è lui che ci ha creati. Ecco perché dobbiamo metterci davanti a Gesù e chiedergli: chi sono io per te? E lui ce lo dirà, lo farà sentire dentro di noi, che siamo figli di Dio.

Allora la nostra è una identità donata. Per questo non siamo nessuno se non ci mettiamo davanti a Gesù.

Ci arrabbiamo perché gli altri non ci capiscono. Ma neanche noi ci capiamo. Solo Gesù ci capisce.

Giovanni Battista ci dice anche oggi: vuoi conoscerti? Vuoi sapere chi sei? Ebbene: ecco l’agnello di Dio, te lo dice lui chi sei veramente. Nella Genesi Dio dice ad Adamo: “dove sei?”. E come Adamo, quando pecchiamo noi» abbiamo paura.

Solo se guardiamo negli occhi Gesù, finalmente sappiamo chi siamo, dove siamo e dove andiamo.

La parola del Battista è una delle più ruvide che si possano mai ascoltare. Con la sua vita tragica, testimonia che il senso di un uomo sta nel tendere a qualcosa che lo supera. Vallo, oggi, a raccontare in giro. Tempi di narcisismo, i nostri, dove tutti sono invece dilaniati, in maniera ossessiva, dalla recita del proprio «io». Dice una battuta di Woody Allen: «Come nascita sono di confessione ebraica, ma poi mi sono convertito al narcisismo». È la religione di oggi: l’egolatria.

La professiamo in continuazione: «Lei non sa chi sono io!», esclama il signore del parco cui ci siamo permessi di fare una gentilissima osservazione. L’unico dogma per cui la gente è ancora disposta a lasciarsi martirizzare è il proprio piccolissimo io.

Così, se tornasse oggi in mezzo a noi, il Battista ripeterebbe una frase che suona come un’eresia: «Io non sono niente, io non sono nessuno, sono solo un povero uomo che avverte, nascosto nella più remota parte di sé, il bisogno di Dio».

C’è bisogno oggi di testimonianze del genere. Qualche psicologo sospetta che buona parte dell’infelicità contemporanea dipenda dall’eccessiva presenza del pronome «io». Privati di un senso per cui vivere, morte le ideologie di un tempo, caduti i progetti che hanno trascinato intere generazioni di giovani, agli uomini non resta che accontentarsi delle briciole: dare lustro

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alla propria modestissima persona. Una scelta logica, quando muoiono gli ideali. Ma anche una scelta tossica come poche:

perché l’idolatria di sé è il peggior totem cui consacrare la propria esistenza. La paga di questo dio minore è anzitutto la vergogna e poi la disperazione. Perché non c’è gloria umana che poi non svapori, e finisca in niente. Come disse un famoso politico francese: «I cimiteri sono pieni di persone indispensabili».

Giovanni Battista è anche voce per noi, gente del nostro tempo. E invita anche noi a essere testimoni, banditori, battistrada del Signore che viene. Perché si prepari la strada al Signore che viene e l’uomo del nostro tempo viva il vero Natale, senza fermarsi ai suoi segni di festa folcloristici.

«Chi sei?», domandano gli inviati dei farisei al Battista. Egli non nasconde la propria identità, non si monta la testa - «Non sono io il messia», dice - ma ha semplicemente la vocazione di preparargli la strada, disponendo quelli che vanno a farsi battezzare ad attenderlo. «Più che di maestri, abbiamo bisogno di testimoni», dice la Evangelii nuntiandi di Paolo VI.

«Chi sei?», dovremmo chiederci anche noi, stimolati dalle letture di questa domenica. E domandarci come ci collochiamo di fronte al messia che viene. Dovremmo trovare il tempo di guardarci dentro senza paura e senza timore di perdere qualcosa.

Perché c’è chi pensa che entrando in rapporto con Dio, con Cristo, perderà, verrà privato di qualcosa, non sarà più libero, dovrà rinunciare a realizzarsi.

Invece Dio si fa uomo perché io comprenda fino m fondo qual è il mio destino, la mia identità profonda e per aiutarmi a realizzarla. Per rendermi felice. Solo i malvagi, e quanti rifiutano di prendere la vita a occhi aperti, hanno motivo di temere.

Conclusione

Due anziani coniugi, abituati ad una vita di stenti, decidono di acquistare, coi primi soldi che hanno ricevuto dal figlio emigrato in America, un oggetto a lungo desiderato: una luccicante «napoletana», che si portano a casa con emozione. Per festeggiare l’avvenimento, i due comprano un po’ di confetti come nel giorno lontano delle nozze. Ma poi temono di sciupare la caffettiera. Così, essa, avvolta nella carta, in un angolo della casa, tra i tovaglioli di bucato, dopo molti anni aspetta ancora di essere adoperata (Novella «La caffettiera» di Tullio Colsalvatico).

Nella nostra società del consumismo dissipatore la novella è emblematica. Dì fronte a un mondo che conosce, per un verso, il peso sconcertante della morte per denutrizione e, per altro verso, che consuma champagne e panettone nel periodo natalizio, incalza la domanda degli spiriti disincantati: che senso ha la celebrazione liturgica del Natale? La risposta consiste nel far prendere coscienza che la religione cristiana non è qualcosa, ma Qualcuno. È il «Personaggio» circostanziato, nato da Maria a Betlemme, di cui riferiscono gli Evangelisti. Agli interrogativi dell’uomo sfiduciato Dio ha risposto con i fatti, mandando il Figlio suo a condividere ‘ il nostro destino mortale. «Da ricco che era, si è fatto povero, perché noi potessimo diventare ricchi grazie alla sua povertà» (2 Cor 8,9).

Ci ha resi ricchi della sua grazia, dandoci occhi nuovi per vedere le necessità dei poveri e trasformandoci il cuore perché potessimo vivere in sintonia con chi piange e con chi è nella prova.

Giovanni urla: «Cambiate vita e preparate la via al Signore», e noi stiamo lì a fargli le domandine di approfondimento o meglio ancora una seduta di psicanalisi sulla sua identità. Quanta pazienza deve portare Dio nostro Padre.

È vero, il mondo e la storia (anche al tempo di Gesù) sono pieni di profeti, messia, annunciatori, predicatori presunti. Quindi un po’ di confusione e qualche domanda sono umanamente accettabili. Ma davanti al respiro divino, alla totale coerenza di quest’uomo Giovanni mandato da Dio, i dubbi e i sospetti sono più frutto di malvagia ostinazione che di fervorosa ricerca.

Il grido di Dio nella voce dì Giovanni è: «Cambiate vita». I casi sono due: o fai finta di niente, fingi che non sia per te e continui il circo e il teatro quotidiano, oppure ti dai da fare e cambi vita, come puoi, con tutti i limiti che hai, ma cambi la tua vita. Non c’è niente, proprio niente su cui discutere e domandare. Cosa c’entra sapere chi è Giovanni? «Ma se non sei Cristo perché fai questo e quello...?»

Be’! Il Cristo tra l’altro, era già lì tra loro e nessuno lo aveva ancora visto. Quando poi Gesù in persona ha ripetuto l’invito di Dio a cambiare vita, non si sono lasciati comunque né convincere né commuovere.

È tutta una farsa, una bugia colossale: il nostro interessamento per la verità, per capire, per sapere, è finto, è tutto finto e vuoto più dell’aria fritta. È come se un popolo assetato da lunga carestia, non bevesse l’acqua donata dal cielo in una giornata di pioggia fino a che non ne avesse contato precisamente il numero delle gocce.

Dio grida all’umanità: «Cambiate vita», e questa è la voce più alta. Non c’è altro da capire, non c’è una corte più alta che si deve esprimere.

Ma il vero dramma non è non voler cambiare vita, no! Il dramma è voler far credere a tutti e a noi stessi che la nostra ricerca umana, quello che chiamiamo progresso, sia una ricerca protesa a voler cambiare vita e a migliorarla. Per questo vogliamo saperne di più, avere altri dettagli, andare sulla Luna e su Marte, quando invece tutti sappiamo benissimo che non ce ne importa niente e non vogliamo proprio cambiare nulla delle nostre anime, delle nostre strade, della nostra economia ingiusta, della nostra mentalità, dei nostri vizi e manie.

È l’amore che muove la gente, che muove il mondo. È l’amore che mitre le persone. Per risvegliare il cuore di un uomo non c’è bisogno di lotte, di discussioni, di offese, c’è bisogno di amore.

L’invito di Dio rimane: «Cambiate vita». Chi ha orecchie e cuore collegati insieme, cerchi di capire.

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Papa Francesco all’Angelus di domenica 29 novembre 2020

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, prima domenica di Avvento, comincia un nuovo anno liturgico. In esso la Chiesa scandisce il corso del tempo con la celebrazione dei principali eventi della vita di Gesù e della storia della salvezza. Così facendo, come Madre, illumina il cammino della nostra esistenza, ci sostiene nelle occupazioni quotidiane e ci orienta verso l’incontro finale con Cristo. L’odierna liturgia ci invita a vivere il primo “tempo forte” che è questo dell’Avvento, il primo dell’anno liturgico, l’Avvento, che ci prepara al Natale, e per questa preparazione è un tempo di attesa, è un tempo di speranza. Attesa e speranza.

San Paolo (cfr 1 Cor 1,3-9) indica l’oggetto dell’attesa. Qual è? La «manifestazione del Signore» (v. 7). L’Apostolo invita i cristiani di Corinto, e anche noi, a concentrare l’attenzione sull’incontro con la persona di Gesù. Per un cristiano la cosa più importante è l’incontro continuo con il Signore, stare con il Signore. E così, abituati a stare con il Signore della vita, ci prepariamo all’incontro, a stare con il Signore nell’eternità. E questo incontro definitivo verrà alla fine del mondo. Ma il Signore viene ogni giorno, perché, con la sua grazia, possiamo compiere il bene nella nostra vita e in quella degli altri. Il nostro Dio è un Dio-che-viene - non dimenticatevi questo: Dio è un Dio che viene, continuamente viene - : Egli non delude la nostra attesa! Mai delude il Signore. Ci farà aspettare forse, ci farà aspettare qualche momento nel buio per far maturare la nostra speranza, ma mai delude. Il Signore sempre viene, sempre è accanto a noi. Alle volte non si fa vedere, ma sempre viene. È venuto in un preciso momento storico e si è fatto uomo per prendere su di sé i nostri peccati – la festività del Natale commemora questa prima venuta di Gesù nel momento storico - ; verrà alla fine dei tempi come giudice universale; e viene anche una terza volta, in una terza modalità: viene ogni giorno a visitare il suo popolo, a visitare ogni uomo e donna che lo accoglie nella Parola, nei Sacramenti, nei fratelli e nelle sorelle. Gesù, ci dice la Bibbia, è alla porta e bussa. Ogni giorno. È alla porta del nostro cuore.

Bussa. Tu sai ascoltare il Signore che bussa, che è venuto oggi per visitarti, che bussa al tuo cuore con una inquietudine, con un’idea, con un’ispirazione? È venuto a Betlemme, verrà alla fine del mondo, ma ogni giorno viene da noi. State attenti, guardate cosa sentite nel cuore quando il Signore bussa.

Sappiamo bene che la vita è fatta di alti e bassi, di luci e ombre. Ognuno di noi sperimenta momenti di delusione, di insuccesso e di smarrimento. Inoltre, la situazione che stiamo vivendo, segnata dalla pandemia, genera in molti preoccupazione, paura e sconforto; si corre il rischio di cadere nel pessimismo, il rischio di cadere in quella chiusura e nell’apatia. Come dobbiamo reagire di fronte a tutto ciò? Ce lo suggerisce il Salmo di oggi: «L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. È in lui che gioisce il nostro cuore» (Sal 32,20-21). Cioè l’anima in attesa, un’attesa fiduciosa del Signore fa trovare conforto e coraggio nei momenti bui dell’esistenza. E da cosa nasce questo coraggio e questa scommessa fiduciosa? Da dove nasce? Nasce dalla speranza. E la speranza non delude, quella virtù che ci porta avanti guardando all’incontro con il Signore.

L’Avvento è un incessante richiamo alla speranza: ci ricorda che Dio è presente nella storia per condurla al suo fine ultimo per condurla alla sua pienezza, che è il Signore, il Signore Gesù Cristo. Dio è presente nella storia dell’umanità, è il «Dio con noi», Dio non è lontano, sempre è con noi, al punto che tante volte bussa alle porte del nostro cuore. Dio cammina al nostro fianco per sostenerci. Il Signore non ci abbandona; ci accompagna nelle nostre vicende esistenziali per aiutarci a scoprire il senso del cammino, il significato del quotidiano, per infonderci coraggio nelle prove e nel dolore. In mezzo alle tempeste della vita, Dio ci tende sempre la mano e ci libera dalle minacce. Questo è bello! Nel libro del Deuteronomio c’è un passo molto bello, che il profeta dice al popolo: “Pensate, quale popolo ha i suoi dèi vicini a sé come tu hai vicino me?”. Nessuno, soltanto noi abbiamo questa grazia di avere Dio vicino a noi. Noi attendiamo Dio, speriamo che si manifesti, ma anche Lui spera che noi ci manife- stiamo a Lui!

Maria Santissima, donna dell’attesa, accompagni i nostri passi in questo nuovo anno liturgico che iniziamo, e ci aiuti a realizzare il compito dei discepoli di Gesù, indicato dall’apostolo Pietro. E qual è questo compito? Rendere ragione della speranza che è in noi (cfr1 Pt 3,15).

Dopo l'Angelus

Desidero esprimere nuovamente la mia vicinanza alle popolazioni dell’America Centrale colpite da forti uragani, in particolare ricordo le Isole di San Andrés, Providencia e Santa Catalina, come pure la costa pacifica del nord della Colombia. Prego per tutti i Paesi che soffrono a causa di queste calamità.

Auguro a tutti voi una buona domenica e un buon cammino di Avvento. Cerchiamo di ricavare del bene anche dalla situazione difficile che la pandemia ci impone: maggiore sobrietà, attenzione discreta e rispettosa ai vicini che possono avere bisogno, qualche momento di preghiera fatto in famiglia con semplicità. Queste tre cose ci aiuteranno tanto: maggiore sobrietà, attenzio- ne discreta e rispettosa ai vicini che possono avere bisogno e poi, tanto importante, qualche momento di preghiera fatto in famiglia con semplicità.

Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.

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