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L ONTOLOGIA DELLA FORMAZIONE: APRIRE LA PERSONA AI SUOI POSSIBILI

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Academic year: 2022

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CAPITOLO 3

L’ONTOLOGIA DELLA FORMAZIONE: APRIRE LA PERSONA AI SUOI POSSIBILI

1. La pedagogia deve fondersi su altre discipline?

1.1 LA FORMAZIONE RIGUARDA L’ESSERE PERSONALE, NON LA PSICHE…

FORMAZIONE

Come un ingresso nel mondo, cioè come un aprirsi dell’esistenza alle proprie autentiche possibilità d’azione, cioè a

quelle che ci sono destinate.

Si evince che..

PROCESSI EDUCATIVI IN SENSO PROPRIO AVVENGONO SOLO NELLA SOCIETA’ UMANA. Gli esseri umani sono realtà complesse, l’uomo è un corpo materiale, fatto di materia vivente

AUTOCOSCIENTE che comprende se stesso come temporale, tale che il futuro lo interriga:

“CHI VUOI ESSERE?” “CHE USO VUOI FARE DEL TEMPO CHE SEI?”

In questo senso, la questione dell’AUTOCOSCIENZA si intreccia con quella dell’AUTODETERMINAZIONE.

L’educazione forma la persona in quanto la apre alla comprensione dell’essere temporale, e questa comprensione è la condizione di un’autocoscienza pratica che determina chi si vuole essere a partire dal proprio ESSERE GIA’ in un contesto di possibilità e in un progetto.

Di conseguenza emerge il problema di determinare che relazioni sussistono tra questi strati e a

quale livello si collochi l’educazione o formazione, cioè a quale strato dell’uomo si rivolga la formazione in senso specifico.

1.2 LA FORMAZIONE HERBARTIANA DELLA PEDAGOGIA: PSICOLOGIA ED ETICA Può sorgere l’idea secondo cui la comprensione di questa stratificazione coincide con la

riconduzione degli strati superiori a quelli inferiori, e dunque che scienze come la pedagogia debbano essere ricondotte a scienze più fondamentali.

HERBART sosteneva che: la scienza che si interroga sull’educazione può costituirsi solo nella misura in cui tutte le altre scienze hanno raggiunto la loro piena maturità e che ogni livello

superiore può essere ricondotto e spiegato riconducendolo a conoscenze più basilari.

Per Herbart, la FONDAZIONE TEORETICA DELLA PEDAGOGIA doveva derivare da due specifiche scienze filosofiche:

• etica: che doveva fornire gli scopi e i fini dell’educazione;

• psicologia: che doveva indicare la determinazione dei mezzi e delle vie dell’educazione.

BREZINKA notava che: “una scienza dell’educazione, per risolvere i suoi problemi, deve ricorrere in gran parte all’uso di conoscenze che vengono conseguite in altre discipline”

1.3 La pedagogia consiste in una sintesi dei risultati di altre discipline???

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Si tratta di un’idea che costantemente ritorna nella riflessione pedagogica, e fa sì che questa cerchi la propria legittimazione dei propri asserti, delle proprie proposte educative e dello stesso agire educativo, in quelle che appaiono le scienze e gli orientamenti di ricerca più promettenti e

maggiormente affidabili.

Senza dubbio, attingere ai risultati di tutte le discipline che, in vario modo ci permettono di

comprendere meglio determinati aspetti dell’uomo, è un compito importante e allo stesso tempo un dialogo irrinunciabile.

Es. avere una chiara nozione dello sviluppo e della maturazione delle aree celebrali è una condizione necessaria per impostare i livelli di apprendimento.

2.

L’ontologia del pedagogico

2.1 LA FORMAZIONE COME RAPPORTO AL PROPRIO DOVER-ESSERE IN NATORP PAUL NATORP: già nei primi anni del 900, notava che il problema della pedagogia come scienza non è comprendere come è fatto l’uomo, ma che significa diventare uomini, poiché “formazione”

significa: configurare o portare alla sua peculiare perfezione, cioè far si che un uomo diventi autocosciente, aperto alla verità di sé e del mondo, consapevole del proprio essere nel mondo.

La pedagogia come scienza, pertanto secondo Natorp, implica una TEOLOGIA. Essa si pone la

questione: CHE COSA è CHIAMATO A DIVENTARE L’UOMO??

Di conseguenza, nella formazione non possiamo rapportarci a noi stessi e agli altri come a degli

OGGETTI NATURALI da modellare e plasmare, ma come a dei SOGGETTI che sono tali in quanto si rapportano ad un ideale, cioè al DOVER ESSERE, ad una verità di sé che devono scoprire

determinando se stessi.

2.2 A QUALI CONDIZIONI SAREMMO DISPOSTI A PARLARE DI EDUCAZIONE??

La Pedagogia, in quanto ha per oggetto l’educazione stessa, deve dapprima delimitare il proprio ambito ontologico. Dobbiamo quindi far emergere l’oggetto specifico della scienza

dell’educazione, le sue condizioni e i modi di esecuzione.

Solo avendo chiara la delimitazione di questo ambito è possibile cogliere i CARATTERI DIFETTIVI DELL’EDUCAZIONE → cioè quando cessa di essere educazione e diviene qualcosa che sembra educazione, ma che in realtà ha perso il suo carattere genuino.

Saremmo disposti a parlare di educazione anche nel caso dell’ammaestramento di un animale o nel caso dell’addestramento di un cane? Saremmo disposti a dire che sia in questo caso sia in quello

dell’educazione di una persona umana possiamo usare la parola “educazione”.

Il punto è che se non cogliamo la caratteristica specifica dell’educazione non commettiamo solo un errore teorico, ma finiamo per produrre un tipo di prassi educativa difettiva.

Da questo punto di vista, parlare di pedagogia fenomenologica non significa che la pedagogia debba fondarsi su una particolare filosofia e su una particolare concezione dell’uomo. La fenomenologia è semplicemente il tentativo di esplicitare il senso di un fenomeno.

La pedagogia fenomenologica non si presenta, dunque, come una filosofia speculativa che fissa i fini e gli obiettivi dell’educazione. Si richiama invece, all’esperienza in un altro senso. Si tratta di analizzare se gli asserti ricavati siano originari, cioè se esprimono fedelmente l’esperienza

dell’educazione, o se siano difettivi, cioè trattati da altri campi del sapere.

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2.3 UNA DEFINIZIONE FENOMENOLOGICA DI EDUCAZIONE Come abbiamo visto, l’essere umano si muove all’interno di un mondo, cioè ad un arco di

possibilità d’azione che lo interpellano e rispetto a cui deve prendere posizione.

Se la sua caratteristica è di essere aperto verso un orizzonte di significati che definiscono ciò che può fare, che può essere, che cosa po' pensare, allora entrare in questo orizzonte di significati è la

via per diventare una PERSONA

. ↓ cioè un essere che è sollecitato ad agire diventando soggetto di libertà, . responsabile delle proprie azioni.

MA… in questo orizzonte di possibilità non ci si cade, ma, vi si viene condotti, e questo è il senso dell’educazione.

EDUCAZIONE: è un processo attraverso il quale un essere umano apre un altro essere umano alle proprie possibilità, aprendo l’orizzonte del possibile alla comprensione del mondo e di se stesso,

affinchè egli possa esercitare la propria libertà.

In questo senso, ogni professione educativa è una professione di cura, ma lo è in quanto apre o riapre il soggetto al possibile.

2.4 NECESSITA’ DI DECOSTRUIRE LA PEDAGOGIA COME ARTE DEL “PLASMARE

Importante è una DECOSTRUZIONE DEL PENSIERO PEDAGOGICO (smontare un sapere) nel momento in cui questo si sia delimitato ponendo alla propria base la nozione di PLASTICITA’ (forgiare, plasmare, modellare). In tale modo, la pedagogia si è sviluppata ponendo alla sua base un’esperienza DIFETTIVA della relazione educativa.

Questo sviluppo difettivo è determinato dalla confusione tra lo strato psichico e psicofisico da una parte e lo strato personale dall’altro.

Ciò sta a significare che mentre la persona è in relazione con il mondo circostante che la interpella e a cui si rapporta sulla base di motivazioni, lo strato psichico e psico-fisico fa si che l’essere umano sia soggetto a influssi fisici.

Es. può essere che io soffra di claustrofobia sulla base di una costrizione psichica e di una

conformazione neurologica, ma il senso in cui la vivo questa costrizione, che mi impedisce di essere quello che vorrei essere, appartiene all’essere personale.

Dunque, mentre la costrizione può essere “trattata”, il senso in cui la vivo tende ad interpellare la mia persona e richiede un’interpretazione, un qualcosa attraverso cui farla mia, la accolgo e ne ho cura INTERPRETATIVAMENTE.

3.

La relazione educativa e l’atteggiamento personalistico

3.1 LA METAFORA DEL “PLASMARE”

BREZINKA: definisce gli atti (o azioni) educative come quegli atti attraverso i quali l’uomo cerca di migliorare l’insieme delle disposizioni psichiche di altri uomini o di mantenere quelle

componenti che considera pregevoli, oppure di impedire l’insorgere di disposizioni che considera negative.

DEWEY: “per educazione intende una attività che modella, che forma, che plasma”.

GARDNER: “l’educazione mira a plasmare un certo tipo di individui, il tipo di persone che i giovani devono diventare”.

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3.2 DAL “FORGIARE” AL “FAR VEDERE”

Il presupposto ontologico è che: l’educazione consista nel plasmare, forgiare, alterare, tuttavia ci si

sta avvicinando all’idea secondo cui L’EDUCAZIONE è L’ESPERIENZA DEL “FAR VEDERE”.

. ↓

. per cui non si tratta di alterare il soggetto, ma di . condurlo davanti alle proprie possibilità.

Nell’impostazione di Brezinka la relazione educativa assume una forma difettiva già solo perché questa si configura come relazione tra un soggetto in questo caso (l’educatore) e un oggetto

(l’educando), per cui viene meno l’aspetto personalistico della relazione.

Non ci rivolgiamo più all’allievo in un atteggiamento personalistico che lo considera un soggetto, ma in un atteggiamento naturalistico che lo rende oggetto.

3.3 UNA RELAZIONE EDUCATIVA ESIGE UN ATTEGGIAMENTO PERSONALISTICO

• Assumere un ATTEGGIAMENTO NATURALISTICO significa che:

un buon insegnante deve essere formato fornendogli conoscenze di neuroscienze, neuropsicologia,

ecc, in modo da poter capire che cosa sta accadendo dentro il cervello dell’allievo.

• Assumere un ATTEGGIAMENTO PERSONALISTICO o relazione personale significa che: l’insegnante deve “irradiare” un’atmosfera emotiva, fare entrare l’allievo in essa, in modo da far vedere un ambito di possibilità.

Ha notato HATTIE che il maestro non è un “professionista”, come sempre più si tende a credere e a formare. “Il maestro è colui che impegna gli studenti, ne converte lo sguardo verso l’oggetto, li ispira e comunica loro una passione per l’apprendimento”.

HUSSERL: ha notato che nell’atteggiamento naturalistico le persone, al pari di tutte le altre cose, vengono considerate come oggetti della natura.

Mentre quello personalistico, è quell’atteggiamento in cui noi siamo sempre quando viviamo insieme, quando ci parliamo, nell’amore, ecc. Qui, non miriamo ad alterare l’altro: lo

comprendiamo. Non lo studiamo come un oggetto.

L’atteggiamento personalistico è la condizione di possibilità delle relazioni di cura. Queste non presuppongono necessariamente un legame affettivo, “si può avere cura nel senso di volere il bene dell’altro senza necessariamente volere bene all’altro”.

L’ALTRO SI MANIFESTA COME UN ESSERE COME ME MA ALTRO DA ME, CIOè COME UN ALTRO IO.

↓ Proprio tale atteggiamento personalistico, fa si che si possa distinguere la cura educativa da altre forme di cura come l’accudimento e l’addestramento, che non presentano in sé le caratteristiche dell’educazione in quanto mancano di intenzionalità consapevole, di attenzione e preoccupazione da parte di chi cura, di assumersi la responsabilità della singolarità dell’altro che si trova di fronte.

3.4 L’ATTEGGIAMENTO OGGETTIVANTE COME RELAZIONE EDUCATIVA DIFETTIVA

• Con l’utilizzo da parte dell’insegnante o dell’educatore, dell’atteggiamento naturalistico, questo cercherà di approntare delle tecniche in modo da modificare le sue disposizioni, più o meno come fa un meccanico. In questo caso si sviluppa una relazione difettiva.

• Diversamente avviene quando l’educatore entra con l’educando in una relazione personale.

La differenza è semplice:

- In un caso SPIEGA l’atteggiamento dell’altro, nell’altro lo COMPRENDE.

- Nel primo caso l’altro è un oggetto che ci sta difronte, nel secondo è un TU con cui stiamo in relazione.

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Così è possibile entrare in dialogo con quell’altro mondo, e a partire da questa relazione, far vedere altre possibilità, inclinare il suo sguardo sulle possibilità che lui non vede. In questo caso, non miro a modificare la sua psiche, ma ad aprirlo alle sue proprie possibilità.

3.5 L’EQUIVOCO NATURALISTA SI RADICA NELL’INCOMPRENSIONE DELLA STRATIFICAZIONE

DELL’ESSERE PERSONALE

• Se assumiamo un atteggiamento naturalistico, l’altro è un oggetto sottoposto alle leggi della fisica, un mero essere psico-fisico.

• Se assumiamo un atteggiamento personalistico, l’altro diviene un soggetto di volontà, che ha

vissuti, pensieri e che agisce sulla base di motivazioni e non di cause.

. ↓ Solo in questo caso appare come persona che deve essere educata alla libertà, dunque a rapportarsi a se stessa come a un poter essere, e non come un essere da modificare e plasmare in modo che sappia

“ben comportarsi” in certe situazioni.

Solo all’interno di questo atteggiamento personalistico si apre una RELAZIONE EDUCATIVA GENUINA.

Questa, non modifica “l’oggetto”, ma lo apre ai suoi possibili, senza annullare le sue caratteristiche, come può accadere invece quando l’educatore tenta di inculcare le proprie idee.

4. Psiche e persona nella formazione. Motivazione-cause-ragioni

4.1 LA PERSONA E L’INTRECCIO PSICO-FISICO: CASUALITA’ E MOTIVAZIONE Per impostare bene tale rapporto bisogna tener conto che l’educazione riguarda la persona e che questa ha anche una BASE PSICHICA.

Es. chi crede alle streghe, per esempio un bambino, intrattiene una relazione con questo oggetto intenzionale ed è motivato ad agire in un certo modo, anche se non vi è alcuna relazione causale con un oggetto. In questo caso il comportamento va compreso.

Dunque, posso essere colpito da oggetti che non esistono, ma essere comunque spinti da una motivazione poiché “la relazione reale viene meno quando la cosa non esiste, la relazione intenzionale invece sussiste”.

4.2 LA MOTIVAZIONE è UNA RELAZIONE DI SENSO La mancanza reale dell’oggetto non impedisce che esso sia un oggetto del mondo circostante

personale. Il quale “NON è IL MONDO IN SE’, MA UN MONDO PER ME”.

Così, questo mondo mi motiva in quanto è un mondo di significati, è il mio mondo circostante solo in quanto io “so’” di esso.

Es. la luna mi motiva diversamente da come motiva un essere umano per il quale essa è una dea.

Eppure l’influsso fisico-casuale che ha su entrambi non è molto diverso, non è cambiato. Ma è cambiato il SENSO, ciò che essa è per me e per lui, ed è proprio il senso a costituire le cose del

mondo circostante.

Il nostro rapporto al mondo è di natura intenzionale e non casuale, e il sé personale non è soggetto a influssi casuali, ma è inserito in una trama di motivazioni.

Es. nel caso in cui cado a terra colpito da un colpo di bastone e quello in cui, raggiunto dalla telefonata di un amico che mi chiede aiuto, mi alzo e corro da lui.. si capisce come nel primo caso non posso fare diversamente, mentre nel secondo sono soggetto a una costrizione, che interpella la mia libertà e mi interroga come persona.

Ha notato EDITH STEIN che: “definiamo motivazione il legame di atti”.

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4.3 L’ARTICOLAZIONE INTENZIONALE DELLA MOTIVAZIONE Nel secondo caso, ciò che agisce su di me non è un effetto fisico sul mio corpo materiale, ma un

SIGNIFICATO che mi interpella e mi chiede di prendere posizione.

Solo in questo caso ha senso parlare di volontà e di sé dell’azione, cioè davanti a un dovere che mi

OBBLIGA SENZA COSTRINGERMI. È governato dalla legge della motivazione piuttosto che da quella di casualità.

4.4 LA RELAZIONE INTENZIONALE TRA PERSONA E MONDO CIRCOSTANTE

Veniamo dunque motivati da significati. Scrive HUSSERL: questo mondo circostante non contiene mere cose, ma anche oggetti d’uso (utensili, armi, strumenti, opere d’arte, sigilli, distintivi, ecc, e non contiene soltanto persone singole, le persone sono piuttosto membri di comunità.

Dunque, un sigillo o un distintivo non determinano il nostro comportamento. Questo mondo di significati rende possibile l’apparire della volontà e del soggetto personale, cioè un atto motivato da significati e non da cause.

La motivazione è una causa in senso specifico: è una ragione per agire.

4.5 LA CONDIZIONALITA’ PSICO-FISICA, COME LIMITE ALLE POSSIBILITA’ DELL’IO UNA SPIEGAZIONE CASUALE delle azioni si ha quando diciamo:

“sono dovuto uscire perché sono stato colto da un attacco di claustrofobia”. Con tale affermazione si deduce che: non sarei voluto uscire, ma non ho potuto farne a meno.

Cioè, la mia non è stata un’azione volontaria, ma SUBITA. → a motivarla non sono state ragioni, ma

CAUSE. A determinare il mio agire è soltanto una costrizione psichica che la persona avverte come estranea, ed è rispetto a questa componente che l’educazione può e deve assumere un atteggiamento

naturalistico.

Spesso diciamo: “non ho agito perché riconoscevo una ragione per agire, ma perché non potevo fare diversamente, perché c’era una causa che mi spingeva ad agire”. Qui la persona tende a svanire, e la cura e la formazione hanno il compito di metterla in condizione di agire sulla base di ragioni, come essere autonomo.

5. Le condizioni dell’educazione morale

5.1 L’AZIONE VOLONTARIA è QUELLA A CUI LA PERSONA ADERISCE: IL POSSIBILE DOVUTO.

IO in quanto ho un corpo vivo sono inserito in un contesto casuale e in quanto ho una psiche sono

condizionato dal mio carattere empirico = dunque sono condizionato in maniera psico-fisica.

. ↓ . quando siamo condizionati in maniera . psico-fisica le nostre azioni NON sgorgano . da noi, non esprimono il nostro sé.

Tali azioni sono determinate da una costrizione interna (psichica), e tuttavia esterna al nostro essere personale. La condizione psico-fisica viene a LIMITARE la mia volontà, non esprime il volere della persona. quindi, la psiche non è la persona.

Es. se dico “sono andato dal mio amico perché ero preoccupato per lui” siamo in presenza di una

SPIEGAZIONE RAZIONALE, non vi è una condizionalità psico-fisica, ma vi è un’adesione a qualcosa che riconosco come una ragione per agire, come un volere, un dovere verso l’amico.

Dunque, faccio qualcosa di dovuto, ma senza nessuna costrizione, è invece un’azione che sgorga da mio essere personale, che manifesta il tipo di persona che sono. HO FATTO QUELLO CHE AVREI VOLUTO FARE.

Solo in questo caso parliamo di volontà e dell’azione come di un’espressione della persona.

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5.2 DOVE VOLONTA’ E AZIONE DIVERGONO EMERGE UN SE’ SCISSO In questo caso, il giudizio, il volere e l’azione non si contrastano ma sono il susseguirsi l’uno

dell’altro.

- L’azione prosegue e manifesta il volere.

- Il volere diventa un problema nel momento in cui l’azione differisce dall’intenzione e dal giudizio.

Quando ciò avviene, vuol dire che qualcosa si è introdotto nella coscienza. Tende così a crearsi una SCISSIONE (separazione) all’interno stesso della persona, in quanto vi è una DIVARICAZIONE (apertura) tra lo scopo che si intendeva e voleva perseguire e quello realmente perseguito.

Alla divaricazione tra gli scopi, corrisponde poi una DIVARICAZIONE dal punto di vista del soggetto.

- da un lato si viene a trovare l’io del giudizio e del volere;

- dall’altro l’io dell’azione.

Questa divaricazione è ciò che la persona prova come COLPA, cioè come una FRANTUMAZIONE DELLA PROPRIA IDENTITA’, come un tradimento di ciò che si vuole essere.

5.3 LA FORMAZIONE DELLA VOLONTA’ RICHIEDE L’APERTURA DELL’ORIZZONTE DEL FUTURO

Vi sono Azione e Persona solo dove vi è un ANTICIPAZIONE DEL FUTURO. Infatti, non posso identificare un progetto senza menzionare l’azione che farò. Si ha così un’azione vera e propria, un atto accompagnato dall’io, il quale aderisce a un qualcosa che si manifesta come degno di essere perseguito.

Solo dove vi è un aderire all’azione vi è, dunque, anche un atto di volontà.

NATORP ha notato che: il volere significa posizione dell’oggetto. → ma l’oggetto che viene posto dalla volontà non è esterno all’io, nell’atto di volontà si pone se stessi, chi si vuole essere.

Quando si pone se stessi vi è un accentuamento delle pulsioni, ma non è che le pulsioni determinano la volontà. Al contrario, è la volontà a determinare le pulsioni, in quanto tende a riorganizzare l’intero sistema pulsionale.

Quindi, l’educazione come apertura a sé significa aprire la persona al proprio poter essere, al futuro, perché quando il bambino si apre al futuro questo lo interpella chiedendogli che USO VUOLE FARE DI QUEL TEMPO CHE EGLI E’, e quando ciò avviene egli diviene SOGGETTO DI VOLONTA’.

IL BAMBINO DIVENTA UN SOGGETTO CAPACE DI PROMETTERE, CIOE’ UNA PERSONA.

Notava HERMANN COHERN che: “se non ci fosse il dover-essere, non ci sarebbe il volere, ma solo il desiderio”

Dove non vi è scopo, dove non si pone chi si vuole essere, vi sono soltanto stimoli e pulsioni in lotta tra loro, che spingono il soggetto da una direzione all’altra.

Per NATORP: la volontà è pulsione concentrata, concentrata attraverso la forza della coscienza, la stessa che fonda la posizione dell’oggetto del volere.

6.

Educazione e cura dell’anima.

6.1 AL DI LA’ DI NATURA E CULTURA: LA PERSONA COME RIFERIMENTO ALLA VERITA’. Proporre una pedagogia fenomenologica vuol dire che la persona è soggetta sia alla natura che alla cultura, poiché l’uomo è persona in quanto, nel suo vivere, ne va di sé, cioè della propria verità.

6.2 EDUCARE SIGNIFICA RICONDURRE LA PERSONA A SE STESSA L’educazione deve permettere di prendere posizione, deve mettere in condizione di definire CHI la persona vuole essere, non definire CHE COSA la persona è, perché se si tende a modellare l’essere personale ci si imbatte in una situazione difettiva in cui invece di formare persone si mira a

costruire automi.

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IMPORTANTE è evitare di cadere in una teoria o in una prassi pedagogica che pretende di definire la persona modellandola.

L’educazione è il lavoro attraverso cui la persona viene portata davanti a sé stessa. La persona esiste solo in quanto vi è un soggetto che, prima di porre domande vive nel mondo come una domanda e che si chiede come possa trasformarsi per accedere alla verità di sé.

L’educazione non può che essere AUTOEDUCAZIONE, educazione si sé, una educazione che richiede la presa di posizione attiva del soggetto: la persona emerge attraverso “l’autoformazione” e la “buona formazione” e quella nella quale il soggetto pone chi vuole essere, assumendolo come il proprio stesso DOVER-ESSERE, ciò che deve diventare.

6.3 LA CURA DELL’ANIMA COME ONTOLOGIA DELLA FORMAZIONE In questo senso, la pedagogia fenomenologica ha il suo nucleo, nella cura dell’anima, e anziché

doversi cercare una base in altre discipline, diventa la base della psicologia e delle altre scienze umane, per cui bisogna pensare la pedagogia come un’APPLICAZIONE delle leggi che la psicologia o altre scienze elaborano.

La pedagogia diviene difettiva quando pensa che sia possibile formare un soggetto senza porlo difronte alla verità.

6.4 LA CURA DELL’ANIMA COME ONTOLOGIA DELLA FORMAZIONE Il nostro essere personale non lo incontriamo quando lo cerchiamo come una cosa tra le cose, bensì quando dobbiamo determinare chi vogliamo essere, cioè rapportandoci al futuro e al nostro poter essere.

L’esperienza originaria di sé non emerge attraverso uno sguardo riflessivo su se stessi, ma agendo e dovendo agire, dovendo avere cura di sé.

L’essere umano, essendo un essere razionale, può trovare pura soddisfazione soltanto governando e coltivando sé stesso.

6.5 LA PERSONA NON SI RAPPORTA A SE’ STESSA NELLA RIFLESSIONE, MA NELL’ATTUAZIONE DELLA

CURA DI SE’

Noi esprimiamo il nostro essere personale nella misura in cui ci prendiamo attivamente cura della nostra esistenza, per cui “prendersi cura di sé” è il compito più proprio del nostro ex-sistere e farsi consapevoli attori di un progetto di vita.

6.6 L’INCONTRO CON IL SE’ RICHIEDE UNA TRASFORMAZIONE DI SE’

• La Pedagogia Moderna: pensa che il soggetto possa comprendere se stesso, formarsi e cogliere la verità di sé stesso senza trasformare se stesso, quindi senza avere cura della propria esistenza.

• La Pedagogia Fenomenologica invece, sostiene l’idea secondo cui la verità del soggetto è sempre a venire, significa disporsi alla trasformazione di sé. In quanto l’educazione forma la persona e le insegna ad aver cura di quel tempo che essa è.

6.7 L’EDUCAZIONE è UN RIPRENDERSI DAL ROVINIO IN CUI LA VITA CI PORTA FOUCAULT nota che in Seneca: “l’instructio non rappresenta per nulla una formazione che porta ad un fine professionale determinato, ma piuttosto, un’armatura che l’individuo utilizza per proteggersi di fronte agli eventi”.

ISTRUIRE significa: rendere capace la persona di avere cura di sé. L’obiettivo è quello di scrollarsi di dosso le cattive abitudini.

PATOCKA ha notato che: la formazione è il risollevarsi da una decadenza, è questa è una struttura originaria.

La cura di sé è sempre una ripresa.

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