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Un cardinale con i poveri

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Academic year: 2022

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N. 5 - Settembre-Ottobre 2019 - Anno LXXXX - Bimestrale - Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR. In caso di mancato recapito restituire all’ufficio C.M.P. VR, detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.

Settembre-Ottobre 2019 Settembre-Ottobre 2019 Settembre-Ottobre 2019 Settembre-Ottobre 2019

Un cardinale

con i poveri

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NUMERO DI PERSONE DENUTRITE (MILIONI) NEL MONDO (2005-2018)

2005 2010 2015 2016 2017 2018

MONDO 947,2 822,3 785,4 796,5 811,7 821,6

AFRICA 196,0 199,8 217,9 234,6 248,6 256,1

ASIA 688,6 572,1 518,7 512,3 512,4 513,9

AMERICA LATINA E CARAIBI 51,1 40,7 39,1 40,4 41,7 42,5

OCEANIA 1,8 1,9 2,3 2,4 2,5 2,6

NORD AMERICA ED EUROPA n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.

(3)

«Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,25). Lo sguardo di Dio, all’inizio della Bibbia, si posa dolcemente sulla crea- zione. Dalla terra da abitare alle acque che alimentano la vita, dagli alberi che portano frutto agli animali che po- polano la casa comune, tutto è caro agli occhi di Dio, che offre all’uomo il creato come dono prezioso da custodire.

Tragicamente, la risposta umana al dono è stata segna- ta dal peccato, dalla chiusura nella propria autonomia, dalla cupidigia di possedere e di sfruttare. Egoismi e in- teressi hanno fatto del creato, luogo di incontro e di condivisione, un teatro di rivalità e di scontri. [...] Il de- grado si è accentuato negli ultimi decenni: l’inquina- mento costante, l’uso incessante di combustibili fossili, lo sfruttamento agricolo intensivo, la pratica di radere al suolo le foreste stanno innalzando le temperature globali a livelli di guardia. L’aumento dell’intensità e della frequenza di fenomeni meteorologici estremi e la desertificazione del suolo stanno mettendo a dura pro- va i più vulnerabili tra noi. Lo scioglimento dei ghiacciai, la scarsità d’acqua, l’incuria dei bacini idrici e la consi- derevole presenza di plastica e microplastica negli oceani sono fatti altrettanto preoccupanti, che confer- mano l’urgenza di interventi non più rimandabili. Ab- biamo creato un’emergenza climatica, che minaccia gravemente la natura e la vita, inclusa la nostra.

Alla radice, abbiamo dimenticato chi siamo: creature a immagine di Dio (cfr. Gen 1,27), chiamate ad abitare co- me fratelli e sorelle la stessa casa comune. Non siamo stati creati per essere individui che spadroneggiano, sia- mo stati pensati e voluti al centro di una rete della vita costituita da milioni di specie per noi amorevolmente congiunte dal nostro Creatore. È l’ora di riscoprire la no- stra vocazione di figli di Dio, di fratelli tra noi, di custodi del creato. [...] Perciò invito fortemente i fedeli a dedicarsi alla preghiera in questo tempo, che da un’opportuna iniziativa nata in ambito ecumenico si è configurato come Tempo del creato: un periodo di più intensa orazione e azione a beneficio della ca- sa comune che si apre oggi, 1° set- tembre, Giornata Mondiale di Preghiera per la cura del crea- to, e si concluderà il 4 ottobre, nel ricordo di San Francesco d’Assisi. [...] San Bonaventu- ra, cantore della sapienza francescana, diceva che il creato è il primo “libro” che Dio ha aperto davanti ai nostri occhi, perché ammirandone la va-

rietà ordinata e bella fossimo ricondotti ad amare e lo- dare il Creatore (cfr. Breviloquium, II, 5.11). [...] È que- sto il tempo per riflettere sui nostri stili di vita e su co- me le nostre scelte quotidiane in fatto di cibo, consumi, spostamenti, utilizzo dell’acqua, dell’energia e di tanti beni materiali siano spesso sconsiderate e dannose. [...]

È questo il tempo per intraprendere azioni profetiche.

[...] I giovani ci ricordano che la Terra non è un bene da sciupare, ma un’eredità da trasmettere; che sperare nel domani non è un bel sentimento, ma un compito che ri- chiede azioni concrete oggi. A loro dobbiamo risposte vere, non parole vuote; fatti, non illusioni.

Le nostre preghiere e i nostri appelli sono volti soprat- tutto a sensibilizzare i responsabili politici e civili. [...]

Nel prossimo mese di ottobre, poi, l’Amazzonia, la cui integrità è gravemente minacciata, sarà al centro di un’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi. Coglia- mo queste opportunità per rispondere al grido dei po- veri e della Terra!

[...] Sentiamoci coinvolti e responsabili nel prendere a cuore, con la preghiera e con l’impegno, la cura del creato. Dio, «amante della vita» (Sap 11,26), ci dia il co- raggio di operare il bene sen- za aspettare che siano altri a iniziare, senza aspettare

che sia troppo tardi.

(PaPaFrancesco, Messaggio per la Giornata Mondiale di preghiera per la cura del creato, 19 settembre 2019)

3

LA PAROLA DEL PAPA

La Terra,

la nostra casa La Terra,

la nostra casa La Terra,

la nostra casa

(4)

L’aMico non ha quota di abbonamento

ma vive delle offerte spontanee dei nostri lettori, fidandosi della Provvidenza.

4

Sommario

8

DELEGAZIONE INMACULADA

60 anni di missione in Uruguay

10

DELEGAZIONE MAMÀ MUXIMA

Un sogno meraviglioso realizzato in Angola 6

MONS. EUGENIO DAL CORSO

Un Cardinale di don Calabria

31

MAGUZZANO

Florent e Anna:

sposi ecumenici

Questo periodico è associato all’UNIONESTAMPAPERIODICAITALIANA

«Io non sono che una piccola matita nelle mani di Dio, che sta scrivendo e inviando una lettera d’amore al mondo»

(MADRETERESA DICALCUTTA)

Editoriale

5 Il Vangelo dell’accoglienza La Provvidenza all’Opera 6 CONGREGAZIONE

Un Cardinale di don Calabria 8 DELEGAZIONE INMACULADA

60 anni di missione in Uruguay 10 DELEGAZIONE MAMÀ MUXIMA

Un sogno meraviglioso realizzato in Angola 12 POVERE SERVE

La Provvidenza ci chiama!

14 ROMANIA

Per le strade dei monasteri rumeni 16 COLLE PER LA FAMIGLIA

Mediazione familiare: un percorso possibile Famiglia Calabriana

22 IL MATRIMONIO E IL SERVIZIO

L’amore ai tempi del... Sacro cuore 24 SPAZIO FIORITI MARIANO

Incontri familiari di vita 26 EX ALLIEVI

«Porto con me la gioia nel cuore»

28 NEGRAR

Dieci seminaristi al servizio di anziani e ammalati 30 ARTE E SPIRITUALITÀ

Evangelizzare con l’arte 31 ECUMENISMO

Florent e Anna: sposi “ecumenici” a Maguzzano 32 ENRICA SANGIORGIO

Una vita per Marituba Tempi e luoghi della memoria 33 L’uomo sulla Luna

Altri articoli

2 Bambini nell’ombra 3 La parola del Papa 13 Festa delle Missioni 18 AREA DISABILITÀ

La libertà viziata 19 BAGLIORI AI MARGINI

Vacanze per tutti!

20 COMUNINCONTRO

Le priorità 34 Notizie

38 Amici a colloquio 40 Appuntamenti Direzione - Amministrazione: VIA SAN ZENO IN MONTE, 23 - 37129 VERONA

TEL. 045.80.52.911 - C.C.P. 18543371

Redazione: CENTRO CULTURALE CALABRIANO - tel. 045.80.52.955 Sito Internet: http://www.doncalabria.it• E-mail: lamico@doncalabria.org Direttore: don WALDEMAR LONGO;Responsabile: fr. CARLO TONINELLO Redattori: dr. MATTEO CAVEJARI; dott.ssa ANGELA CHESINI

Archivio fotografico: ALFREDO MALESANI Realizzazione grafica: DAVIDE BELLINI Stampa: UNIDEA srl

Via Casette, 31 - 37024 Negrar di Valpolicella (VR) - tel. 045.81.03.611 - fax 045.045.57.26.98 Collaboratori. La collaborazione è aperta a tutti gli amici dell’Opera.

Indirizzare gli articoli al direttore.

Non contiene pubblicità. Autorizzazione Tribunale Verona n. 19/93 del 15.1.1993.

Periodico iscritto al ROC al numero 25703

L’AMICO N. 5 - SETTEMBRE-OTTOBRE 2019 NUMERO CHIUSO IN REDAZIONE IL 12 SETTEMBRE 2019

(5)

Il Vangelo dell’accoglienza

5 Editoriale

P

arlare di accoglienza nei no- stri giorni, nella nostra Euro- pa, è diventato molto diffici- le. I flussi migratori hanno sco- perto degli aspetti antievangelici presenti nella nostra società. Ep- pure per noi cristiani, che ci van- tiamo di una storia millenaria di familiarità col Vangelo, il tema dell’accoglienza non dovrebbe es- serci estraneo. Vedendo notizie e scene di intolleranza però, mi do- mando come sia possibile che si arrivi ad atteggiamenti così duri di fronte a un problema come l’immigrazione, se il Vangelo è veramente «una risorsa straordi- naria di umanizzazione» – come dice Papa Francesco.

Le immigrazioni che «rappre- sentano a livello mondiale un fe- nomeno strutturale e non un’emergenza transitoria» (CV 91), vanno a toccare il modo in cui immaginiamo il nostro futu- ro. Di fatto, nel nostro quotidia- no, tendiamo a immaginarci il nostro futuro come una continua- zione pacifica del presente; e questo ci dà sicurezza. Il Vangelo invece ci annuncia la grande spe- ranza della possibilità di una traIl sformazione del mondo e della società secondo i valori della pa- ce e della fraternità. In questo senso, i migranti creano «storie di incontro tra persone e tra cul- ture: per le comunità e le società in cui arrivano sono un’opportu- nità di arricchimento e di svilup- po umano integrale di tutti» (CV 93). Per questo è importante creare processi di comunione e di

inclusione. La tentazione di di- fendere gli spazi creando muri, oltre a non essere evangelica, non costruisce storia, non genera speranza e blocca il futuro. Nella nostra storia abbiamo già vissuto altri momenti simili; ricordiamo- ne uno: alla fine del secondo se- colo, quando cominciava a esten- dersi nell’impero romano, il cri- stianesimo era visto come una minaccia. Non era un’immigra- zione fisica di persone, ma di un’idea nuova, il cristianesimo appunto. In un mondo come quello greco-romano dove le per- sone erano distinte in amici o ne- mici, l’idea cristiana di fraternità universale certamente non poteva che essere mal vista. Un filosofo latino di quel periodo, Celso, considerava insensato il fatto

«che gli abitanti dell’Asia, del- l’Europa, della Libia, sia greci sia barbari, distribuiti fino ai confini della terra, si accordas- sero per un’unica legge» (in Ori- gene, Contro Celso, VIII, 72) co- me sostenevano i cristiani. Evi- dentemente la sola idea di una possibilità di intesa tra i popoli, di dialogo ed integrazione, era vista come una minaccia che ve- niva a destabilizzare le fonda- menta di una società chiaramente delimitata da frontiere difese ed allargate a forza di guerre ed in- vasioni. Più tardi, Origene, gran- de filosofo e teologo del III seco- lo, risponde a Celso che quest’in- tesa universale è possibile, «che un giorno il Logos [=la ragione- volezza, ossia Cristo] dominerà

tutta la natura razionale e ri- m o d e l l e r à ogni anima nella sua per- fezione, quan- do ciascun uomo, serven- dosi della semplice li-

bertà, sceglierà ciò che il Logos vuole», ossia il bene. Origene presenta la via del Vangelo come un processo razionale e realizza- bile. Fondamentalmente Origene, presentando la fede cristiana, propone un nuovo modello di so- cietà, basata sul dialogo, sull’in- clusione della diversità, sulla collaborazione. E questo modo di pensare il futuro dell’impero «è forse veramente impossibile per quelli che sono ancora nei corpi [quelli che non credono, dnr.], ma non è certo impossibile per quelli che se ne sono liberati [ I cristiani, per il battesimo, dnr.]».

Se oggi abbiamo un’Europa uni- ta e la nostra generazione non ha conosciuto la guerra, vuol dire che la storia ha dato ragione a Origene.

Don Calabria ripeteva sempre

«essere Vangeli viventi», coscien- te che se noi cristia-

ni viviamo il Van- gelo, questo mondo potrà essere trasfor- mato e un futuro di- verso sarà possibile.

Don Gustavo Lissa

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6

D

on Giovanni Calabria ripeteva spesso che «l’Opera è per i tempi attuali» e che «lo spirito dell’Opera è destinato a diffondersi nel mondo e nella Chiesa». Chissà se il padre don Giovanni, quando diceva così, immaginava che un giorno un suo religioso sarebbe stato creato Cardinale. Probabilmente no, ma di certo dal Cielo anche lui fe- steggerà insieme a tutta la Famiglia calabriana la notizia che monsignor Eugenio Dal Corso, Povero Servo e vescovo emerito di Benguela (Angola), è entrato a far parte del collegio

cardinalizio.

L’annuncio è stato fatto da Papa Francesco al termine dell’Angelus di domenica 1 settembre 2019. Una data “storica” per l’Opera, un riconoscimento missionario di ser- vizio agli ultimi che da sempre caratterizza i religiosi e le religiose di don Calabria, e in particolare monsignor Dal Corso che, una volta terminato il suo servizio da vesco- vo, invece di godersi la meritata pensione ha pensato di ripartire a fare il missiona- rio in un villaggio sperduto, Caiundo, al confine tra Angola e Namibia, dove ave-

vano un gran bisogno di sacerdoti.

Il neo-cardinale è passato da San Zeno in Monte pochi giorni prima della no- mina ufficiale, in programma il 5 ottobre a Roma. Lo abbiamo intervistato...

Caro monsignor Eugenio, se l’aspettava?

Assolutamente no. È stata una grande sorpresa anche per me, davvero non sapevo niente e neanche lo speravo.

Come mai il Papa ha scelto proprio lei?

Penso che il Papa abbia voluto, attraverso la mia nomina e quella degli altri cardinali, dare un messaggio di incoraggiamento ad essere missionari, visto tra l’altro che siamo nell’anno straordinario delle missioni. Inoltre penso che il Santo Padre non abbia voluto tanto ono- rare me quanto riconoscere lo spirito calabriano, che è lo spirito di fi- ducia nella Provvidenza, il non preoccuparsi per le cose materiali, ma soprattutto andare tra i più poveri e i più umili, quelli che hanno più necessità del Santo Vangelo e dell’amore di Dio.

Forse il Santo Padre ha saputo della sua scelta di stare in mezzo ai poveri dopo aver concluso il mandato come vescovo in Angola?

Forse anche questo abbia contribuito. Il Papa ha voluto far conosce- re come un vescovo possa continuare il suo lavoro come missionario in mezzo agli ultimi.

Può parlarci della sua attuale missione?

Dopo che sono diventato vescovo emerito per raggiunti limiti di età, ho pensato proprio con lo spirito di San Giovanni Calabria, che certamente mi ha infuso e rafforzato in questo tempo, di scegliere non di stare a Luanda o tornare in Italia,

ma di andare dove c’è più bisogno, dove ci sono i più poveri, i più umili.

Così mi sono con- sultato con altri vescovi angolani e ho deciso di anda- re nella diocesi di Menongue che è la seconda più grande del Paese e quella

Un Cardinale di don Calabria

CONGREGAZIONE

La Provvidenza all’Opera

(7)

che ha più necessità di sacerdoti. Tale diocesi ha quasi un milione di abitanti, non tanti, però ha un’estensione di 950.000 chilometri quadrati, quasi come il Veneto.

Dove l’ha mandata il vescovo di Menongue?

Io sono stato destinato dal vescovo a un centro mis- sionario nella zona di Caiundo che non è ancora parroc- chia. Fin qui i sacerdoti arrivavano sì e no una volta al mese per celebrare la Messa e dopo tornavano di nuovo in città. Mi hanno offerto un posto buono dove stare e sto là a fare il missionario. Non solo celebro Messa la domenica ma faccio anche catechismo, i battesimi e gli altri sacramenti. La popolazione è fatta per il 60% da cattolici, però sono cattolici solo per il battesimo, sono pochi quelli che hanno la comunione, meno ancora la cresima e il matrimonio.

Perché ha scelto di andare là?

Io sono là proprio per fare il missionario con lo spiri- to che don Calabria ci ha trasmesso e credo continui a trasmetterci.

Cosa cambierà dopo la cerimonia con la consegna del cappello cardinalizio?

Anzitutto ringrazio San Giovanni Calabria e lo Spiri- to Santo che mi hanno aiutato in questi anni di missio- ne. E poi, passato il tempo delle celebrazioni, spero pro- prio di poter tornare là tra i miei poveri, a Caiundo. An- che perché laggiù mi hanno accolto con amore fin dal primo giorno, comprese le autorità, e adesso mi aspetta- no per continuare il lavoro pastorale.

Vuole dire qualcosa alla Famiglia calabriana in que- sti giorni speciali?

Voglio ringraziare tutti per la loro vicinanza e pre- ghiera. Auguro di continuare a vivere lo spirito del no- stro grande San Giovanni Calabria. E se qualcuno vorrà venire a trovarmi, laggiù a Caiundo, lo accoglierò con molta gioia.

Matteo Cavejari

La Provvidenza all’Opera

Le parole del Papa

Ecco le parole con cui Papa Francesco ha annunciato la nomina dei nuovi cardinali lo scorso 1 settembre:

Il prossimo 5 ottobre terrò un Concistoro per la nomina di dieci nuovi Cardinali.

La loro provenienza esprime la vocazione missionaria della Chiesa che continua ad annunciare l’amore misericordioso di Dio a tutti gli uomini della Terra [seguono i nomi di 10 Cardinali, tra i quali anche monsignor Matteo Zuppi vescovo di Bologna che ha conosciuto molto bene la nostra Opera a Roma].

Insieme ad essi, unirò ai membri del Collegio Cardinalizio due Arcivescovi e un Vescovo che si sono distinti per il loro servizio alla Chiesa:

- Mons. Michael Louis Fitzgerald, Arcivescovo emerito di Nepte;

- Mons. Sigitas Tamkevi ius, Arcivescovo emerito di Kaunas;

- Mons. Eugenio Dal Corso, Vescovo emerito di Benguela.

Preghiamo per i nuovi Cardinali affinché, confermando la loro adesione a Cristo, mi aiutino nel mio ministero di Vescovo di Roma per il bene di tutto il santo popolo fedele di Dio.

Breve profilo biografico

Mons. Eugenio Dal Corso, P.S.D.P., vescovo Emerito di Benguela. È nato il 16 maggio 1939 a Lugo, in provincia di Verona, secondo di sei fratelli. È entrato nella Casa dell’Opera Don Calabria di Roncà nel 1949 per poi continuare gli studi a Maguzzano e a Nazareth.

Ha fatto la sua prima professione religiosa nell’Opera l’8 settembre 1959. L’ordinazione sacerdotale è avvenuta a Verona il 17 luglio 1963.

Le sue prime esperienze di vita pastorale le ha fatte a Madonna di Campagna (Verona), a Roma e poi a Napoli. Nel 1975 ha cominciato la sua vita missionaria: la prima destinazione fu l’Argentina, a Laferrere provincia di Buenos Aires. Qui è rimasto undici anni per poi essere chiamato in Africa, precisamente in Angola. Si era in piena guerra civile e don Eugenio trascorse i primi anni angolani nella capitale Luanda. Il 15 dicembre 1995 è stato nominato Vescovo coadiutore di Saurimo fino al 15 gennaio 1997 quando è diventato Vescovo titolare della medesima diocesi. Il 12 febbraio 2008 è nominato vescovo di Benguela fino al 26 marzo 2018, quando Papa Francesco ha accolto la sua rinuncia per raggiunto limite d’età. Dopo la rinuncia, don Eugenio ha deciso di restare in Angola e si è messo a disposizione della Chiesa locale per fare servizio pastorale. Al momento si trova a prestare servizio nella sperduta diocesi di Menongue, dove c’è un grande bisogno di sacerdoti per l’ordinaria attività pastorale. Il 1° settembre 2019 il Papa ha annunciato che mons. Eugenio sarà nominato cardinale il prossimo 5 ottobre.

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E

sattamente 60 anni fa, nel settembre 1959, iniziava la prima missione dell’Opera in Uruguay. I primi re- ligiosi arrivarono a Salto il 12 settembre su invito del vescovo mons. Alfredo Viola, che aveva letto il li- bro di don Calabria “Apostolica Vivendi Forma” e ne era rimasto particolarmente colpito. Quei primi religiosi erano fr. Aldo Farina, fr. Guerrino Lavagnoli, don Fir- mino Gambarini, don Adelio Tomasin, don Luigi Pio- van e don Gino Gatto.

La ricorrenza dei 60 anni è stata celebrata con una grande festa a Salto lo scorso 7 settembre, alla presenza del vescovo mons. Pablo Galimberti e del Casante padre Miguel Tofful. Per l’occasione abbiamo chiesto a padre Juan Finozzi, che è il primo sacerdote dell’Opera prove- niente dalle missioni e che in quel settembre 1959 era un chierichetto a Salto, di aprire il cassetto della memoria e raccontarci i suoi ricordi di quei primi missionari...

Caro padre Juan, quando i Poveri Servi sono arrivati in Uru- guay tu avevi 11 anni.

Qual è il tuo primo ri- cordo dei missionari?

Chi hai incontrato per primo?

Quando sono arrivati i Poveri Servi, un com- pagno mi ha portato e mi ha detto che c’erano dei sacerdoti arrivati che parlavano una lin- gua strana e che aveva- no tanti giochi. Inoltre avevano un baule pieno di caramelle, di ciocco- late. Ci facevano gioca- re, anche se non capiva-

mo molto quello che loro dicevano. Con il loro sguardo, il loro sorriso ci hanno conquistati dal primo momento.

Ricordo che i primi sono stati tanto vicini a noi, in particolare ricordo fr. Aldo Farina e fr. Guerrino Lava- gnoli. C’erano anche i sacerdoti, però ricordo che quelli che stavano di più con noi erano i fratelli.

Com’era la vita quotidiana dei primi missionari?

Il lavoro che svolgevano i missionari era soprattutto in campagna, dove partivano a fare questi percorsi di una quindicina di giorni, e dopo tornavano e qui li aspettava sempre il sacerdote che era rimasto e il fratel- lo, in genere don Piovan... poi facevano per alcuni gior- ni vita comunitaria qui a Salto. Dopo partivano verso la campagna e qui li vedevamo soprattutto i fratelli sem- pre con noi a giocare al pomeriggio. Fr. Aldo si occupa- va della falegnameria, fr. Guerrino stava in cucina e pia- no piano don Piovan ha cominciato a radunare la gen- te... all’inizio poche persone, col tempo le vedevamo sempre più in aumento per la Messa al mattino, per il rosario al pomeriggio. Si sono formate le catechiste, la legione di Maria, le Vincenziane, e così ha cominciato a formarsi la comunità. Dopo nel 1961 è sorta la parroc- chia proprio perché era aumentata moltissimo l’affluen- za della gente. Per noi era un piacere vedere questi sa- cerdoti, questi fratelli, così buoni, così semplici, sempre col sorriso, con una grande creatività, sempre a pro- grammare qualche evento, qualche passeggiata... anda- vamo a camminare verso i piccoli fiumi qui vicino e an- che a visitare le famiglie. Era così la vita quotidiana e per noi era motivo di tanto entusiasmo e di una cono- scenza sempre maggiore.

Com’era il rapporto con la gente?

È stato un rapporto graduale: prima di conoscenza, poi di simpatia ed infine di amicizia. Anche i sacerdoti diocesani venivano, qualcuno a confessarsi e così questi italiani, anche se parlavano a stento la lingua, avevano una capacità di farsi voler bene e di essere accetta- ti/accolti da tutti.

Ricordi qualche episodio triste o qualche diffi- coltà particolare nella vita di quei primi missio- nari?

Una delle difficoltà era la stanchezza. Le strade, i grandi tratti di territorio che dovevano percorrere erano enormi, e anche il cibo della campagna... si mangiava quasi sempre carne... ricordo che fratel

60 anni di Missione in Uruguay

DELEGAZIONE INMACULADA

La Provvidenza all’Opera

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Farina portava con sé sempre un pane e un pezzo di for- maggio per condividere il pranzo, così non doveva mangiare sempre carne di pecora, come

facevano in genere tutti. Non ri- cordo altre difficoltà in partico- lare. Senz’altro per loro non sarà stato facile per via della cultura della gente tanto diverse rispetto all’Italia. Però sapevano sempre raccontarsela, sapevano sorridere e ci sono tanti episodi che “ralle- gravano la vita”.

Cosa ricordi delle visite fatte da don Luigi Pedrollo nelle missio- ni? Lo avevi conosciuto?

Sì, ho conosciuto don Pedrollo.

Ricordo che ero qui a Salto quando

venne la prima volta, mentre la seconda volta ormai ero in Brasile, in seminario. L’immagine, il ricordo di lui è che era un santo che irradiava serenità, tenerezza e tan- ta pace. Dopo ho capito che mi voleva tanto bene per- ché vedeva che in me c’era la prima vocazione delle missioni.

Guardando a questi 60 anni di storia missionaria in Uruguay, qual è secondo te il contributo portato dal- l’Opera a questa terra? E quale il contributo di que- sta terra all’Opera?

Senz’altro, il contributo che hanno lasciato è stata l’immagine di religiosi veramente entusiasti del loro ca- risma, della loro vocazione. Erano religiosi speciali, co- me li voleva don Calabria, soprattutto nello spirito di famiglia, la prossimità con la gente. E ci hanno lasciato il grande insegnamento della Divina Provvidenza, di questo Padre Buono. E da questa terra in Uruguay, pen- so che l’Opera abbia imparato tanto, anche se i risultati non sono grandi, anche se la gente è poca e non ci sono risorse economiche, in un ambiente difficile, dove im- perava il laicismo. In particolare abbiamo visto la Gra- zia di Dio che ha fatto sorgere delle persone che si sono formate accanto ai Poveri Servi con una fede grande, con un eroismo nel portare avanti i sacrifici, che hanno

aiutato tanto e gratuitamente le opere che sono sorte. In quel tempo, ad esempio, per la costruzione della scuole e della chiesa di Santa Cruz, è stato fatto tutto con la collaborazione e l’aiuto della gente che nella sua povertà ha saputo capire e apprezza- re tantissimo il regalo che avevano ricevuto con questi sacerdoti che erano arrivati e con lo spirito dell’Opera che hanno conosciuto e amato.

A distanza di 60 anni la presenza dell’Opera è anco- ra molto significativa in queste zone. Quali sono se- condo te le sfide più grandi oggi per la Chiesa e per l’Opera qui?

Penso che le sfida più grande per la Chiesa e per l’Opera qui in Uruguay sarà quella di irradiare l’entu- siasmo della fede, della evangelizzazione, soprattutto nella missione tra i giovani e vivere la santità in questo servizio ai fratelli, e ai fratelli più poveri, soprattutto con una testimonianza di comunione, di spirito di fami- glia e di povertà gioiosa. I Poveri Servi insegnano e de- vono continuare a insegnare che nonostante la piccolez- za/scarsità di mezzi e anche con la difficoltà e fragilità umana delle persone che senz’altro non sono dei grandi dottori né grandi teologi, riescono a trasmettere questo bellissimo e grandissimo dono che hanno ricevuto che è quello del Carisma.

Intervista a cura di padre Miguel Tofful e Matteo Cavejari

(10)

I

n occasione del mio 50° anniversario di ordinazione presbiterale si è concretizzato un sogno che mi aveva accompagnato per anni: la realizzazione di qualcosa di consistente e significativo per i poveri del mondo.

Questo mio sogno ha preso vita da un invito che a suo tempo avevo fatto alla mia comunità e a tutti gli amici:

«Non regali ma impegni». E, l’impegno scelto è stato quello di contribuire alla realizzazione di un piccolo grande gioiello: il centro di salute São João Calábria ubi- cato nella periferia più disagiata di Luanda, in Angola.

Devo premettere che nella nostra comunità c’è sem- pre stata una grande attenzione ai fratelli poveri vicini e lontani: abbiamo sempre aiutato i bisognosi della peri- feria catanese e contemporaneamente abbiamo adottato una scuola per i Pigmei nel Congo, dove da più di 40 anni è missionario un mio compagno di seminario, pa- dre Laudani.

Ma come sono arrivato a Luanda e alla famiglia ca- labriana? Direi per contagio. Anni fa, cercavo una co- munità credibile che potesse realizzare l’opera e farla

fruttificare nel tempo, così chiesi al mio collaboratore, nonché vicario generale della diocesi, padre Salvatore Genchi, a chi potermi rivolgere. Lui mi rispose senza esitazione “a Verona”: ai Poveri Servi della Divina Provvidenza di don Calabria, dove era stato seminarista per tanti anni.

In poco tempo vidi realizzarsi i primi passi per con- cretizzare questo mio sogno: un primo incontro con fr.

Matteo Rinaldi, presente alla celebrazione giubilare del 29 giugno del 2017 e a seguire altre visite perfino con il superiore generale, padre Miguel Tofful, a cui chiedem- mo, come grazia del Signore, una presenza della fami- glia Calabriana a Catania.

E così lo scorso luglio, accompagnato da fratel Mat- teo, da una missionaria laica della Regalità di Cristo e da tre ragazze volontarie, siamo arrivati di buon mattino nella struttura dell’ospedale della Divina Provvidenza di Luanda e che subito abbiamo visitato.

Ovunque accoglienza calorosa e fraterna. Abbiamo incontrato persone meravigliose della famiglia Cala- briana: i giovani seminaristi, le aspiranti alla vita consacrata, i formatori e le formatrici. Ovunque ab- biamo parlato di Battesimo, di formazione alla vita cristiana e alla vita consacrata, di istituti secolari, di corsi di studio, di filosofia africana e dei tanti problemi che assillano quei territori. Durante que- sto viaggio il momento culminante certamente è stato l’inaugurazione e la benedizione del Centro di Salute, mercoledì 30 luglio 2019.

È stato difficile contenere l’emozione nel vedere realizzato questo piccolo grande sogno, non solo mio ma anche della Parrocchia S.M. di Monserrato di Catania. Un centro di salute che è al servizio dei più bisognosi, centinaia di migliaia di poveri che popolano una periferia priva di strade, fognature e acqua potabile.

Un sogno meraviglioso realizzato in Angola

ANGOLA

La Provvidenza all’Opera

Don Alfio Barbagallo, sacerdote catanese amico dell’Opera,

assieme alla sua comunità parrocchiale ha contribuito alla

ristrutturazione del centro di salute “São João Calábria” di

Luanda. Come segno di profonda riconoscenza, è stato

invitato per l’inaugurazione e benedizione del centro, da anni

punto di riferimento per migliaia di ammalati della periferia

della capitale angolana.

(11)

La domenica successiva abbiamo poi partecipato ad una grande festa nella Parrocchia S. Giovanni Calabria.

Giornate intensissime queste, con tappe in aereo a Huambo, con percorsi in macchina di oltre 5 ore da Luanda a Benguela e ritorno, sempre accompagnati dai carissimi fratel Miranda e padre Timoteo, il delegato.

Ovunque ci siamo sentiti a casa, e proprio in virtù di questo sentirci parte della famiglia, non abbiamo smes- so di chiedere quali fossero le priorità per la povera gente, per gli ammalati e per le strutture della famiglia Calabriana nelle diverse città in cui la congregazione è presente.

Molte opere si possono in- traprendere per dare, come par- rocchia italiana, il nostro con- tributo: edifici bisognosi di ri- strutturazione per coniugare, specie nelle case di formazio- ne, essenzialità e dignità (a Huambo e Benguela), ma an- che strutture sanitarie che ri- chiedono ampliamenti per ga- rantire un buon servizio alle folle di pazienti che accorrono.

Ciò che ci ha sconvolti mag- giormente è il vedere a Luanda milioni e milioni di persone nel degrado più assoluto, in mezzo alla spazzatura. Tutte le perife- rie delle grandi città presentano degrado e miseria, ma sono i numeri che in Angola non ci fanno dormire la notte.

Nonostante questo, salutia- mo questo paese con gioia nel vedere anche i tanti volontari italiani presenti che con impe- gno si spendono per gli altri. A riguardo, ricordiamo con affet- to Monica e Daniele per la pas- sione e la serietà del lavoro che svolgono.

Ma il nostro saluto è un “arrivederci!” perché, consi- derandoci come membri della stessa famiglia, ci sentia- mo in dovere di impegnarci in altri progetti prioritari, sia per l’ospedale, sia per le strutture di comunità.

Infine, spero vivamente di vincere la scommessa fat- ta con padre Beniamino, ossia quella di vedere costruito un seminario al confine con il Congo, così il primo sa- cerdote potremo accoglierlo qui a Catania!

Grazie a tutti coloro che abbiamo incontrato come dono del Signore.

Don Alfio Barbagallo

Il centro di Salute SJC

L’Hospital Divina Providencia, situato nel Municipio del Kilamba Kiaxi, é composto da una rete sanitaria strutturata di 5 centri, São João Calabria, Santa Teresinha, Santa Catarina, Nossa Senhora da Paz e São Marcos, nei quali viene offerta assistenza sanitaria secondo le linee guida stabilite a livello nazionale, che seguono la politica di decentramento dei servizi sanitari.

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Lavinia Bawhan Community - Dhenka-Nal (Odhisha) Da pochi anni noi sorelle Povere Serve abitiamo a Dhenkanal, una piccola città molto bella, in una zona dell’India verdeggiante, rigogliosa, attorniata da piccole colline, situata nello Stato di Odisha. È un luogo nel quale la natura infonde a tutti molta pace e serenità. Proprio qui, in questo ambiente ameno tanto particolare, nel 1969 è sorta una scuola, in English Medium (ICSE), chiamata poi in seguito Montfort School. Per la popolazione di Dhenka- nal è sempre stato un grande sogno quello di poter avere una scuola in inglese, perciò alcune persone istruite e pre- parate per questa iniziativa sono riuscite a realizzarla, ini- ziando con solo 20 studenti e pochi insegnanti anglo-india- ni, provenienti dalla città di Kharagpur (West Bengala).

Con molto sforzo sono riusciti a gestire la scuola fino al 1976, quando fu consegnata alla Diocesi di Sambalpur e fu nominato preside il reverendo Raphael Chinath, apparte- nente alla Congregazione SVD (Divine Word Missionary).

In seguito la Diocesi ha affidato la gestione della scuo- la alla Congregazione dei “Fratelli Montfort di San Ga- briele”, per questo motivo la scuola ha assunto il nome

“Montfort School”. Questa Congregazione è rimasta fino al 1991 e poi la Diocesi si è assunta direttamente la re- sponsabilità, sia da un punto di vista amministrativo che educativo.

Nel 2018 il Vicario Generale della Diocesi di Sambal- pur ci ha chiesto se era possibile per noi assumere questa missione, non solo per un servizio di insegnamento, ma proprio come presenza di Sorelle all’interno della scuola.

Questa richiesta ha suscitato una grande gioia in molte del- le nostre sorelle indiane, visto che la maggior parte di loro proviene proprio dallo stato dell’Odisha; quindi il fatto di

poter iniziare una nuova missione in questo luogo è stato considerato un grande segno della Provvidenza.

Dopo un tempo di discernimento e riflessione, abbiamo pensato di intraprendere questa nuova avventura. Quindi, dopo aver ricevuto la lettera di invito dal Vescovo di Sam- balpur, nel mese di giugno del 2018, tre sorelle sono venu- te qui ad aiutare i padri in questa missione. Due sorelle in- segnano nella scuola e una sorella aiuta nell’amministra- zione. Attualmente nella scuola ci sono circa 1.378 studen- ti, che vanno dalla scuola materna al liceo e quest’anno la Montfort School celebra il suo 50° anno di vita, un giubi- leo molto importante di ringraziamento al Signore.

Per noi tre sorelle di questa comunità l’esperienza che stiamo facendo è molto positiva. Abbiamo un rapporto molto bello sia con i bambini sia con le loro famiglie. Pur appartenendo ad una religione diversa, a loro piace tanto la nostra presenza, e per noi questo è molto significativo.

San Giovanni Calabria ci ha ripetuto tante volte che la cosa più importante è testimoniare che «Siamo tutti figli dello stesso Dio, un Padre che ci ama, ...Apparteniamo tutti ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio... e il cemen- to dell’unità è l’amore».

Ringraziamo Dio per questa opportunità che ci ha offerto, siamo sicure che questo è un piccolo seme del nostro Carisma, che lentamente crescerà e por- terà frutto in questo luogo tanto speciale, nel quale il Signore ci ha chiamate.

Sor. Filicitas, sor. Ancy e sor. Anita

La Provvidenza ci chiama!

POVERE SERVE

La Provvidenza all’Opera

Le sorelle Povere Serve da circa un anno hanno aperto il cuore e le braccia a una nuova missione in India: 3 sorelle si sono trasferite nello stato dell’Odisha per collaborare con i fratelli Poveri Servi nella comunità di Dhenkanal. Qui di seguito ci raccontano brevemente la storia della missione e le ragione che le hanno spinte fino ai confini dell’India.

NuoVA DELhI

Dhenkanal

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L

a visita in Romania ai caratteristici Monasteri della Moldavia e della Bucovina, regioni situate a nord- est del paese, rappresenta una delle migliori occa- sioni per scoprire ed apprezzare la particolare spiritua- lità dei nostri fratelli ortodossi. Certamente più di un lettore della nostra rivista ha già avuto occasione per constatare la veridicità di questa affermazione. Chi in- fatti ha avuto l’opportunità di andarci, vuoi per un viag- gio di piacere, vuoi per un pellegrinaggio o vuoi sem- plicemente in occasione di un invito di amici rumeni, ha potuto vedere e “sentire” come in questi luoghi religiosi si respiri un qualcosa di più di una semplice visita turi- stica. “Turistica” sì, perché tutt’intorno ai monasteri è presente quell’insieme di negozietti di oggettini e sou- venir che ruotano attorno ai luoghi religiosi, ma anche, e vorrei dire soprattutto, “religiosa” perché, una volta entrati nel monastero, si viene subito colpiti dalla sacra- lità di quel luogo e, mentre si cammina, si può percepire nell’animo un sentimento di religiosità profonda.

Già all’ingresso alcune pie monache ortodosse, col loro abito caratteristico rigidamente nero, accolgono i visitatori e i pellegrini consegnando un biglietto per

l’ingresso, il cui valore serve al restauro dei preziosi af- freschi contenuti nel monastero. Ed infatti, circondata da un muro di cinta, in uno spazio più o meno ampio che ne fa risaltare l’intera struttura, ecco apparire la chiesa del monastero, dalle fattezze proprie, caratteri- stiche, uguali a tutte le altre chiese dei monasteri volute dal principe Stefan Cel Mare (Stefano il Grande – il più grande dei principi della Moldavia del Medio Evo, 1433-1504). Dalle fotografie presenti in questo articolo, è possibile farsi un’idea della peculiarità stilistica di questi monasteri rumeni. All’osservatore distratto e so- prattutto “straniero”, queste chiese, all’apparenza tutte uguali come forma e dimensioni, rappresentano solita- mente un luogo pittoresco da visitare, fotografare e da ammirare solamente. Per i visitatori rumeni e, in parti- colare ortodossi, invece non è affatto così! Lo si capisce immediatamente dall’atteggiamento e una volta entrati in chiesa. Prima di guardarsi attorno e contemplare le bellezze artistiche del luogo, i fedeli ortodossi, come prima cosa, si indirizzano verso le due sacre icone poste davanti all’iconostasi (parete che separa le due zone della chiesa), si inchinano, le onorano, fanno i rituali se-

Per le strade dei monasteri rumeni

ROMANIA

La Provvidenza all’Opera

In questo numero Fratel Gian Carlo Conato, missionario dell’Opera da molti anni in Romania, ci fornisce una preziosa descrizione della spiritualità ortodossa attraverso l’arte e l’architettura dei monasteri rumeni e la gestualità dei fedeli.

Stefan Cel Mare (Stefano il Grande) Stefan Cel Mare (Stefano il Grande) Stefan Cel Mare (Stefano il Grande) Stefan Cel Mare (Stefano il Grande) Stefan Cel Mare

(Stefano il Grande) Monastero di Putna

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gni di croce, le baciano più volte e si soffermano alcuni istanti prima di lasciare il posto a chi viene dopo.

Una delle due icone è sempre dedicata alla Vergine Maria. Non può sfuggire al visitatore anche più distrat- to, il modo in cui è posta, adornata e decorata, questa icona! Non si può non soffermarsi e non restare abba- gliati dalla “bellezza spirituale” di queste icone: natura- le dunque è sentir salire dal cuore

una spontanea preghiera a quell’im- magine, anche per coloro che non professano una fede particolare...

Contrariamente a quanto siamo abituati noi cattolici, nel monastero ortodosso non è presente il taberna- colo col Gesù Eucaristico. Al suo po- sto invece c’è l’icona della santa Ver- gine, che gode di una posizione “pri- vilegiata” nella tradizione ortodossa.

Rimango sempre affascinato dal- la gestualità religiosa delle persone, siano esse bambini, giovani o adul- ti; gesti che dimostrano il profondo rispetto per la chiesa e una fede sal- da onorando il luogo non solo con la loro visita, ma anche con la loro preghiera espressa e visibile, prima di dedicarsi ad osservare

la ricca arte fatta di pittu- re, di affreschi e le altre particolarità artistiche co- piosamente presenti in questi monasteri.

Per me, religioso di lunga data, è sempre una lezione assistere a queste espressioni di fede con- creta! E dopo tanti anni vissuti qui, ho da tempo

“imparato” a fare anch’io altrettanto... Solo il mio segno di croce, fatto in modo inverso a quello or- todosso, tradisce il mio essere cattolico e ciò spes- so provoca una domanda, sussurratami all’orecchio:

«lei è italiano?».

Tra le foto qui presenti ce n’è una fatta assieme a don Gianni Bombieri, che è con me qui in Romania. È fatta al monastero di Putna, posto ai confini con l’Ucraina. Alle nostre spalle c’è il sepolcro di Stefan Cel Mare, attorniato dalle tombe dei suoi familiari. È un tomba molto visitata, anche perchè la Chiesa Orto- dossa lo ha canonizzato. Anche qui, prima di ammirare l’architettura di questo luogo molto caro ai rumeni, prima si prega, si venerano le varie icone presenti e solo poi ci si dedica al classico turismo.

Usciti dal monastero, ripren- dendo la macchina verso altri luoghi da visitare, non abbiamo potuto fare a meno di condivi- dere i sentimenti provati duran- te questa speciale visita e di sentirci, così come gli ortodos- si, dei pellegrini e non semplici turisti.

Fratel Gian Carlo Conato ROMANIA

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« N

essuna famiglia è una realtà perfetta e con- fezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare» scrive papa Francesco in Amoris laetitia (n. 325), e di questo ne fa esperienza ogni famiglia che si misura quotidianamente con la complessità della situazione sociale e economica o con la delica- tezza e la pazienza necessaria a costruire legami d’amore. «Tuttavia – continua il Santo Padre, addi- tando alla Sacra Famiglia e alla Comunione dei Santi in cielo – contemplare la bellezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interperso- nali una perfezione, una

purezza di intenzioni e una coerenza che potre- mo trovare solo nel Re- gno definitivo». Come persone che vivono in vari modi, non sempre perfetti, l’esperienza fa- miliare, non possiamo che gioire per queste pa- role: tendiamo a realizza- re dentro le nostre case un autentico spazio di amore e di crescita, ma sappiamo che stiamo percorrendo un cammino mai concluso.

Questo cammino dà il sen- so alla nostra vita, la rende

bella e intensa, ma talvolta, nostro malgrado, si inter- rompe bruscamente. Quante sono oggi le famiglie in crisi! Questi passaggi drammatici, spesso carichi di dolore e di conflitti, non dovrebbero essere affrontati da soli. Esistono, infatti, servizi di aiuto concreto in caso di conflittualità familiare; uno di questi si trova al Colle per la famiglia, nato in seno all’Opera don Calabria, che ha sede presso l’Oasi San Giacomo.

Quando una famiglia sta vivendo una crisi profon- da, che si protrae nel tempo senza trovare soluzioni, che giunge a pesanti conflitti cosa potrebbe fare? Lo chiediamo a Maria Grazia Rodella, psicopedagogista,

mediatrice famigliare, counselor e coordinatrice del Colle per la Famiglia.

«Anzi tutto vorrei fare una premessa, al Colle per la Famiglia ci sono professionisti preparati che ac- colgono coppie in difficoltà e le accompagnano per ritrovare il loro senso di essere coppia, genitori e fa- miglia per poter riprendere un cammino in un clima di unità familiare come dono nonostante le difficol- tà. A volte, purtroppo, succede che le persone deci- dono comunque di separarsi o arrivano già con una richiesta chiara e decisa di questo tipo. A questo punto la scelta del Colle per la Famiglia, seguendo anche capitolo VIII di Amoris Laetitia, è quella di accompagnare la coppia che si se- para con un percorso di Mediazio- ne Familiare».

In pratica – chiediamo allora al- la dott.ssa Rodella – di cosa si tratta quando diciamo media- zione familiare?

Per definizione, “la Mediazio- ne familiare sistemica è un per- corso di aiuto nei casi di cessa- zione di un rapporto di coppia a qualsiasi titolo costituito o di conflitti parentali che implichino aspetti emotivo-relazionali, vo- lontario, sollecitato dalle parti, finalizzato alla riorganizzazione delle relazioni familiari ed in particolare al raggiungimento di accordi concreti e duraturi concernenti l’affidamento e l’edu- cazione dei minori, gli aspetti economici e patrimo- niali, e tutto quanto previsto dalla normativa vigente in tema di separazione e divorzio”. Da ciò si intuisce la complessità delle situazioni da affrontare.

Chi sono le persone che chiedono una mediazione?

La mediazione familiare è un percorso a cui do- vrebbero accedere le persone in fase di separazione, ma molte volte non ne sono informate o c’è ancora confusione su cosa sia effettivamente la mediazione familiare. Il mediatore è un professionista terzo qua-

Mediazione familiare:

un percorso possibile

COLLE PER LA FAMIGLIA

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lificato, imparziale, indipendente dal sistema giuridi- co che accompagna i genitori, non prende decisioni al loro posto ma lascia ai genitori la scelta della solu- zione più utile alla loro situazione.

Quali sono il tipo di decisioni che i genitori sono chiamati a prendere?

Le decisioni più frequenti e importanti riguardano naturalmente i figli: con chi continueranno ad abitare, i tempi da trascorrere con il genitore non collocata- rio, i tempi delle vacanze, le decisioni per la vita dei loro figli, quali la scuola, la religione, lo sport. Si tratta, cioè, di aiutare i genitori a continuare ad essere tali e a dialogare fra loro nonostante la separazione come coniugi.

In definitiva, qual è il focus di una mediazione?

Il focus sono sicuramente i figli e il loro benesse- re, anche quando vengono toccate questioni econo- miche. La mediazione familiare è un percorso che lavora in modo specifico sul salvaguardare la geni- torialità nel conflitto, quindi è uno strumento di pre- venzione al benessere dei figli. Inoltre l’accordo che viene raggiunto dai genitori ha la possibilità di du- rare nel tempo. Tutto questo fa bene ai figli perché ciò che fa maggiormente male a loro durante la se- parazione dei genitori è la conflittualità irrisolta, il loro dover schierarsi, in una parola il conflitto di le- altà.

Abbiamo compreso, ancora una volta, che non si tratta di favorire le se- parazioni ma di accom- pagnare le famiglie a vi- vere quelle situazioni pe- nose che già esistono, af- finché non siano abban- donate a se stesse proprio quando si misurano con l’incapacità di dialogo, l’asprezza dei sentimenti, l’indisponibilità all’in- contro.

«Vorrei concludere – ci informa la dottoressa Ro- della – sul senso e significato anche spirituale della mediazione familiare con le parole di Jacquelin Mo- rineau in “Lo spirito della mediazione”: “... il nostro obiettivo a lungo termine è quello di promuovere una cultura della pace nel mondo... la separazione rima- ne una delle esperienze umane più dolorose... la me- diazione offre uno spazio per accoglierla, affinché esse possa divenire un succedersi di passaggi che non si bloccano più e affinché la morte divenga a sua volta nascita, vita, amore... Non è possibile quindi ri- durre la mediazione a un fenomeno alla moda. Essa si inscrive nel bisogno fondamentale dell’individuo di riconoscere attraverso il conflitto la lotta che ognuno combatte, non soltanto con gli altri ma con se stesso, e di confrontarsi così, con le questioni fon- damentali della vita”».

Maria Teresa Martinelli (Volontaria del Colle per la Famiglia) COLLE PER LA FAMIGLIA

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L’Area Disabilità promuove un ciclo di 8 incontri a cadenza mensile dal titolo “La libertà viziata. Come le dipendenze cambiano la nostra vita e quella delle nostre famiglie”. Vengono approfondite a tutto campo, come appare dal programma, le diverse e gravi tipologie di dipendenza che possono interessare le singole fasi della vita di una persona e coinvolgere non di rado il contesto familiare.

Le tematiche sono affrontate sia attraverso contributi specialistici di ambito educativo, psicologico, peda- gogico e psichiatrico, sia attraverso autorevoli testimoni che hanno vissuto personalmente la problematica o che sono direttamente impegnati nel mondo associativo a contrastarne la diffusione e ad offrire a chi ne è stata vittima nuove opportunità per il futuro.

La partecipazione è libera. Alcuni incontri sono accreditati ai fini ECM.

La libertà viziata

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I

l modello di corpo contemporaneo guarda all’atleta o alla modella in un ideale veicolato massicciamente dai media e nelle forme tipiche della materializzazio- ne e commercializzazione del desiderio.

La fragilità e l’imperfezione naturale, il decadimento del fisico, la deformazione della patologia sono banditi, messi fuori scena. Ecco allora che lo psichiatra e filoso- fo francese Miguel Benasayag definisce provocatoria- mente il disabile come “il barbaro della nostra società”

egocentrica e cultrice del corpo seducente e sessual- mente attraente.

In fondo, la norma sociale non scritta vorrebbe che il corpo con handicap fosse trasparente, senza desideri e non avesse sesso. Ogni volta che appare è un dito nel- l’occhio estetico (ma senza etica) del narcisismo contem- poraneo. Insomma, di frequente quel corpo “imprevi- sto” è tollerato educatamente, con quella patina di insin- cero senso di compassione, ma al medesimo tempo è sottoposto alla repressione dissimulata dell’indifferenza.

Forse nulla più del corpo nei suoi limiti estremi ren- de consapevoli, seppur in modo sconcertante, della po- tente dimensione spirituale dell’esistenza. Ma il corpo accettabile oggi è quello che non evoca la sua fragilità iscritta nella sua stessa carne.

È estate. In un elegante e prestigioso albergo è au- spicabile non avere ospiti portatori d’handicap, anche perché nella maggior parte dei casi non sono minima- mente pensati per ospitare “imprevisti” del genere:

l’orizzonte di senso commerciale, all’insegna della bel- lezza sana e performante, ne viene in qualche misura spiazzata.

Ne sa qualcosa Debora Donati, ravennate: sposata con un uomo malato di SLA, racconta che nel 2017 ha percorso 800 chilometri per offrire al marito uno scorcio di spiaggia marina accessibile. Un lungo

viaggio fino

Vacanze per tutti!

BAGLIORI AI MARGINI in Puglia, in una delle uniche due strutture italiane (l’al- tra è in Sardegna) completamente accessibile ai disabili.

Il nome della struttura è assai significativo: “Io Posso”.

Era quindi tempo di crearne almeno una terza di struttura in Italia. E così Debora dà vita al Lido di Raven- na “Tutti al Mare” e in pochi anni gli ospiti sono arrivati a un centinaio, sono in continua crescita, e questa esta- te le richieste sono raddoppiate. L’irriducibile e provvi- denziale vocazione italiana al volontariato ha portato alla nuova struttura quasi 300 volontari tra medici, ope- ratori specializzati, infermieri e molte cominciano ad essere le richieste anche dall’estero con le più svariate patologie che hanno minato il corpo ma non lo spirito e il desiderio della vacanza al mare.

Solo alcuni esempi: oltre agli appartamenti allestiti con tutte le necessità, le passerelle si spingono fino a pochi centimetri dall’acqua con tutti gli ausili, i mitici pedalò sono attrezzati ad hoc così come le biciclette per spostarsi lungo il lido, cani “terapeuti” addestrati per interagire con gli ospiti, e convenzioni con altri al- berghi e campeggi che iniziano a comprendere che l’ac- coglienza del disabile è soprattutto una sovversione del modo di pensare.

“Molto c’è da fare” è un’altra delle frasi che muovo- no Debora (oggi in memoria del marito) a cercare alle- anze, a pungolare le amministrazioni ad adattare mar- ciapiedi, parcheggi, alloggi e a rendere le strutture sta- bili, soltanto l’inizio di un percorso che deve portare a un cambio di mentalità e di cultura delle relazioni con il mondo sfaccettato della disabilità.

Questa piccola storia non ha una morale, deve inve- ce essere una storia di semplice umanità. Immorale è che in Italia siano solo tre le strutture come “Tutti al Mare”.

Renato Perina

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L a strada era avvolta dalla penombra. Il suo tracciato era immerso in chilometri di bosco fitto, di alberi intisichiti dall’inverno che parevano mescolarsi con il cielo grigio. Ogni tanto una piccola casa rurale spezzava la distesa del bosco. Casa mia era una di quelle.

Quel giorno c’era un gran freddo, più freddo del solito, e stavo aspettando Francesca. Avevo riattizzato il caminetto quando la porta si spalancò di colpo e lei entrò. Era agitatissima.

Non mi lasciò nemmeno salutarla:

«Ascolta, non mi interrompere... insomma, mi è accaduto qualcosa di inusuale venendo qui.

Probabilmente non ci crederai. Magari penserai che mi sia fumata il cervello o qualcosa del genere, ma... le cose sono andate così...».

La guardavo meravigliato, mentre lei continuava irrefrenabile:

«Stavo guidando la mia macchina tranquilla per venire qui, quando, tutto ad un tratto, un uomo è comparso sul sedile accanto a me. Beh, sembrava un uomo, ma non era un semplice uomo. Voglio dire, che razza di uomo è uno salta fuori da nessuna parte?».

Francesca ora parlava imitando una voce bassa:

«Mi ha detto... “È tempo di andare”».

Francesca indietreggiò, la sua voce rantolava:

«Sapevo esattamente quello che voleva dire. Ho detto: “Non posso andare. Non ancora”».

Francesca ripeté il tono lento della voce bassa:

«È tempo di andare».

Francesca singhiozzava:

«No, io non sono pronta!».

Si accasciò sulla poltrona, respirando profondamente:

«Sai, come nei film, quando qualcuno è sul punto

Le priorità

di morire, e in un istante gli passa davanti agli occhi il film di una vita? Bè, a me non è successo così. Quello che mi è passato davanti agli occhi era solo una manciata di cose, cose importanti che ho tralasciato di fare».

La guardai. Lei sembrò leggermi nel pensiero:

«So a cosa stai pensando. Stai pensando che ho paura di morire perché non ho fede. Ma io ho fede. Vado in parrocchia e anche al don Calabria.

Ma so che sto per morire».

Mi afferrò le mani, stringendomele con veemenza:

«Ma non posso morire ora. Ho ancora un conto in sospeso da chiarire, quello con mia mamma.

Lei ed io, abbiamo avuto una bruttissima discussione di un paio di giorni fa. Così ho detto all’angelo, ho detto...

“Non posso morire fino a quando non metto le cose a posto con mia mamma!”».

Francesca di nuovo imitò la lenta, bassa voce:

«È tempo di andare».

«E mio papà? Non

mi ricordo più quando è stata l’ultima volta che gli ho detto “Ti voglio bene”».

«È tempo di andare».

«No, ti prego. E Maurizio? Gli ho chiesto in

prestito dei soldi. Adesso lo sto evitando. Ma ho

i soldi. Non puoi portarmi via senza che glieli

restituisca. Gli servono!».

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più facile chiedere scusa a mamma se avessi lasciato le cose raffreddarsi per un po’. E papà sa già che io gli voglio bene. Che bisogno c’è di dirglielo? E sai perché non restituito quei soldi a Maurizio? Il bancomat era un po’ scomodo, fuori dalla strada che faccio tutti i giorni. E quell’uomo continuava a ripetere ogni volta... “È tempo di andare”».

Francesca sospirò profondamente, dolorosa - mente:

«È il momento. E io non sono pronta ad andare».

Mi fissò intensamente:

«Così, gli ho chiesto una cosa. Ho detto: “Se proprio io devo andare, almeno lasciami

avvertire gli altri...”. Così, eccomi qui».

Guardò verso la porta, gridando:

«Lo so. “È il momento”».

Era già sull’uscio quando si girò e mi disse:

«Senti, io devo andare. Ma lasciatelo dire da qualcuno che ne ha fatto l’esperienza... non tralasciare di fare adesso le cose importanti della tua vita, di manifestare adesso gli affetti, di dire ora le parole importanti della tua vita.

Sennò te ne pentirai quando è il tuo momento di andare. Esci da quell’area di pigrizia e di imbarazzo che ti sei

costruito, e fallo subito.... Ora.

«È tempo!».

Don Luciano Squizzato

Comunincontro

Quando la comunicazione diventa incontro fecondo

«È tempo di andare».

«E smettila con quel “È tempo di andare”!».

Ma lui era completamente irragionevole!

Francesca si adagiò sullo schienale della poltrona, completamente rilassata:

«Poi mi sono resa conto. Noi cristiani siamo chiamati a vivere la nostra vita come se il domani non esistesse. Non avevo il diritto di rimandare a un altro giorno quelle cose così importanti. Perché ho lasciato perdere tutte quelle cose? Perché mi costavano, preferivo restarmene tranquilla».

Le portai un bicchiere d’acqua. Lo bevve di getto:

«Ho pensato che

magari sarebbe

stato

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22

L

a loro è una storia d’amore che il “mordi e fuggi” di oggi definirebbe “da romanzo di altri tempi”. Diffi- cile non pensarlo di fronte agli occhi di Alessandro che si bagnano ancora di commozione raccontando del- la sua Maria Teresa e del momento in cui la ragazza dei suoi sogni, da poco lasciatasi con il precedente fidanza- to, gli ha chiesto un po’ di tempo per riflettere su loro due. «Ti aspetto – le ha risposto – Ti ho perso una volta, non ti perderò mai più». Tre anni dopo il matrimonio.

Era il 1983. Trentasei anni insieme e sullo sfondo fin dall’inizio – altro particolare straordinario di questa sto- ria d’amore – l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Alessandro Rossi e Maria Teresa Perlina erano infatti infermieri della grande struttura sanitaria verone- se. Erano, un verbo al passato che pronunciano solo da poco: Alessandro “ha appeso la divisa al chiodo” nel novembre del 2018, Maria Teresa dall’aprile di que- st’anno; 41 anni di servizio lui e 42 lei.

«Noi dobbiamo tutto all’ospedale di Negrar e per questo ringrazio sempre San Giovanni Calabria» dice Maria Teresa, con il suo aspetto solare e la dolcezza che la contraddistinguono, per i quali è sempre stata amata dai colleghi e dai pazienti. «Dobbiamo ad esso la nostra realizzazione professionale e anche persona- le. L’Ospedale ci ha fatto incontrare e grazie al nostro lavoro abbiamo potuto creare una famiglia meraviglio-

sa» (Alberto e Stefano, i due figli, hanno oggi 31 e 29 anni).

Per Alessandro e Maria Teresa galeotto fu il secondo piano del “Sacro Cuore”, condiviso in quegli anni dalla Medicina e dalla Chirurgia. «Non avrei mai pensato di fare l’infermiera – racconta Maria Teresa –. Io sono fi- glia di emigranti in Svizzera dove rimasi fino alla quin- ta elementare. Tornai in Italia, a Montecchio, in Valpoli- cella, con la famiglia per accudire la nonna materna e uno zio. Ero convinta di voler fare la segretaria di azienda, tanto che mi iscrissi alla scuola. Avevo 13 anni quando a causa di una brutta broncopolmonite la nonna fu ricoverata in Medicina a Negrar, dove mi recavo ogni giorno per assisterla. Qui conobbi suor Prosdocima Bar- biero che mi insegnò come imboccare correttamente la nonna».

Venne poi l’estate dei 15 anni e a quel tempo il “Sa- cro Cuore Don Calabria”, che era un piccolissimo ospe- dale della provincia scaligera, assumeva giovani ragaz- ze per supportare il lavoro infermieristico durante il pe- riodo estivo. Venivano loro affidate mansioni come te- nere in ordine la dispensa, pulire le stanze, rifare i letti...

«Fu in quell’occasione che conobbi, in Medicina dove era caposala, l’indimenticabile suor Carla Antonioli: un faro nella mia vita, alla quale ho chiesto sempre consi- glio per le decisioni personali e professionali. Ci ha la-

L’amore ai tempi del... Sacro Cuore

IL MATRIMONIO E IL SERVIZIO

Famiglia calabriana

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