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LE SINDROMI GERIATRICHE E L’IMMOBILITÀ: EZIOLOGIA, EPIDEMIOLOGIA, CLINICA E VALUTAZIONI MEDICO LEGALI. LA PROBLEMATICA DELL’ANZIANO FRAGILE E DELLA COESISTENZA DI COMORBILITÀ.

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LE SINDROMI GERIATRICHE E L’IMMOBILITÀ:

EZIOLOGIA, EPIDEMIOLOGIA, CLINICA E VALUTAZIONI MEDICO LEGALI.

LA PROBLEMATICA DELL’ANZIANO FRAGILE E DELLA COESISTENZA DI COMORBILITÀ.

The geriatric syndromes and immobility:

etiology, epidemiology, clinical and forensic evaluations. The problems of the frail elderly and

the coexistence of comorbidities

Angelo Porrone 1

ABSTRACT

Il presente lavoro scientifico vuole essere un contributo di conoscenza sul problema, molto attuale, relativo allo sindrome di immobilità, termine nel quale vengono racchiuse tutte le patologie in grado di dare, in esito, una immobilità permanente ovvero la perdita della deambulazione.

Il problema in essere riguarda soprattutto la popolazione degli anziani che a causa di patologie note e di altre sopravvenute possono andare incontro a questo grave tipo di complicanza, con severe ripercussioni anche sulla loro autonomia personale e motivo di notevole disabilità di tipo motorio.

Si tratta spesso di un problema di tipo multifattoriale, legato alla presenza di vari tipi di comorbilità associate.

Pertanto il tema in argomento si occupa, quindi, in buona misura, delle patologie più frequenti e spesso coesistenti nell’anziano, tali da comprometterne sia la deambulazione che l’autonomia, spesso con la perdita di entrambe.

INTRODUZIONE

1 Angelo Porrone - Coordinatore Medico Centrale – Responsabile U.O.C. Area Studi, Ricerca e Procedure Medico Legali – Coordinamento Generale Medico Legale INPS - Roma

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La geriatria si occupa a vario titolo delle entità morbose più frequenti che colpiscono la popolazione degli anziani.

Esistono, quindi, gruppi di malattie che per la loro frequenza e rilevanza occupano un posto di assoluto rilievo nell’ambito dell’approccio e del trattamento della persona anziana.

La fragilità, intesa come maggiore vulnerabilità, rappresenta una condizione caratterizzata, nella popolazione degli anziani, dalla presenza costante di patologie tipiche della terza età, che incidono notevolmente sull’incremento del rischio di disabilità e di mortalità, con notevoli riflessi sia sulla qualità della vita che sulla possibile perdita di autonomia.

Tutto ciò comporta notevoli costi sociali e assistenziali in una popolazione generale che tende progressivamente ad invecchiare, per una maggiore attesa di vita nel tempo.

Lo studio e la prevenzione delle situazioni patologiche a maggiori rischio di perdita dell’autonomia nell’anziano rappresentano, quindi, capitoli sempre più importanti della conoscenza e della ricerca scientifica di settore.

Discussione

Da un articolo dal titolo “Immobility and pharmacotherapy” di H. Burkhardt, tratto dal Libro “Drug therapy for the Elderly”, Sprìnger-Verlag Wìcn 2013, si possono trarre spunti generali relativi alla sindrome da immobilità e al relativo trattamento terapeutico della stessa.

Si tratta di una sindrome geriatrica molto rilevante e frequente.

E’ associata, nella gran parte dei casi, ad una perdita dell’autonomia personale.

La stessa, peraltro, si associa a cambiamenti irreversibili nell’ambito della fisiologia dell’anziano.

L’immobilizzazione cronica va distinta da quella acuta sia sul piano eziologico che su quello fisio – patologico.

Anche se si tratta, in questi casi di meccanismi patogenetici diversi, esistono diverse caratteristiche comuni fra le due sindromi.

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Le più significative di queste similitudini riguardano i cambiamenti funzionali e strutturali muscoloscheletrici, specialmente quelli dei muscoli estensori del tronco che sono i più importanti al di fuori dei muscoli deputati alla deambulazione.

La perdita dell’autonomia personale dell’anziano, la necessità di ricovero conseguente, i gravi squilibri correlati, sono tutti fattori di mobilità e mortalità dell’anziano.

Il soggetto anziano con preesistente riduzione della massa muscolare va più facilmente incontro a gravi eventi avversi, con problemi acuti associati come sepsi, delirio e insufficienze d’organo.

In genere, tanto per dare un’idea, circa il 50 % delle donne con età > di 70 anni ha una perdita associata del 15 % della massa muscolare, con una progressione della perdita maggiore man mano maggiore, in rapporto alla perdita funzionale, fino all’allettamento, perdita legata spesso all’attivazione dell’asse ipotalamo – ipofisi surrene.

Le fasi della perdita della massa muscolare seguono, in genere questa cascata di eventi:

• preesistente limitazione della locomozione;

• attivazione dell’asse ipotalamo – ipofisi surrene;

• malnutrizione;

• limitazioni neurologiche e cognitive.

Tutte queste fasi dell’immobilità sono accelerate nel paziente anziano, trattandosi di una popolazione nettamente più a rischio, sotto tale punto di vista.

Si associano spesso malattie acute in questi casi, con una stima del 20 % nei pazienti anziani ospedalizzati negli USA.

Incentrata sulla problematica più generale dell’anziano fragile è invece una review dal titolo “Frailty in older adults: Insights and interventions”, di S. Espinoza et al., Cleveland Clinic Journal of Medicine, Volume 72, Number 12, December 2005, pag.

1105 – 1112.

La fragilità è uno stato di vulnerabilità che comporta un aumento del rischio di esiti patologici negativi nei soggetti più anziani.

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Segni e sintomi più comuni sono dati da faticabilità, perdita di peso, debolezza muscolare, e progressivo declino delle funzioni cognitive e organiche.

I soggetti anziani fragili sono da considerarsi tra i pazienti più impegnativi sotto il profilo della gestione sanitaria.

Tuttavia, la consapevolezza dell’esistenza di questa sindrome e dei relativi rischi possono essere di aiuto nella cura di questi pazienti, confortando una maggiore fiducia e una riduzione consensuale del rischio di eventi ed esiti avversi.

La valutazione geriatrica si avvale di un modello multidisciplinare.

Scopo della cura dei pazienti anziani è ridurre o limitare il declino delle funzioni e la relativa perdita di autonomia.

Molti soggetti anziani sono fragili, ossia vulnerabili agli esiti di malattie incidentali intercorrenti.

La maggiore comprensione delle caratteristiche cliniche e biologiche della vulnerabilità dovrebbe permettere una migliore strategia di intervento, con una ottimizzazione dei risultati finali.

La fragilità rappresenta un progressivo calo fisiologico dei sistemi ed apparati del corpo, contrassegnata dalla perdita di funzione e dalla riduzione o perdita della riserva fisiologica, con una netta maggiore vulnerabilità verso la malattia e la morte.

In tal senso, la fragilità incrementa la suscettibilità alla malattia acuta, al rischio di cadute, alla disabilità, alla necessità di istituzionalizzazione e, quindi, alla morte.

La cura di questi pazienti è complessa ed impegnativa, con un maggiore impegno sia economico che sociale correlato.

La preparazione e l’impegno preliminare dei medici, oltre alla consapevolezza delle difficoltà, possono sortire migliori risultati terapeutici.

La fragilità, intesa come sindrome dell’anziano già da tempo ben individuata e classificata, è condizione ben nota agli geriatri impegnati quotidianamente a combatterla e a limitarne gli effetti.

Tale sindrome è associata a varie condizioni morbose coesistenti, come debolezza, immobilità e scarsa tolleranza agli stressors fisiologici o psicologici.

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Spiccata in tal senso è una maggiore vulnerabilità ad esiti avversi di patologie intercorrenti, con associate disabilità, isolamento sociale e necessità di istituzionalizzazione.

La fragilità, come delineata in precedenza, è un connotato che si riferisce a svariate condizioni mediche, ma con una maggiore prevalenza nell’età anziana, rappresentando, di per sé, una situazione morbosa complessiva indipendente, in ogni caso, dall’età, dalla disabilità e dalla malattia medesima, con un calo associato delle funzioni fisiologiche che coinvolge più sistemi o apparati contemporaneamente.

Non esiste molto accordo nella definizione stessa di fragilità, ma la maggior parte delle definizioni descrivono una situazione sindromica caratterizzata da perdita di funzione, di forza e delle riserve fisiologiche, con un incremento della vulnerabilità verso la malattia e la morte.

Le stesse definizioni più ricorrenti parlano di una combinazione di declino della motilità, ossia della capacità di muoversi e della forza utilizzabile, della resistenza, della nutrizione e dell'attività fisica che si può svolgere, quali parametri clinici e funzionali utilizzabili, mentre altri includono nella definizione anche il deterioramento cognitivo e la depressione.

Alcune scale utilizzano come parametri di misura la velocità dell’andatura, la capacità di alzarsi da una sedia, e il bilancio complessivo delle competenze relative all’autonomia e al declino previsto nelle varie funzioni, in base all’età, l'ospedalizzazione o meno, e il deficit globale in termini di salute complessiva nei confronti di pazienti anziani osservati in regime di cure primarie.

In altre scale, l’inattività e la perdita di peso si sono dimostrati i maggiori fattori predittivi di declino funzionale e di morte.

Di cinque parametri indagati in uno studio, soggetti con che avevano avuto tre delle cinque condizioni considerate, quali, andatura lenta, riduzione della velocità di esecuzione dei movimenti, astenia, perdita di peso, e basso consumo energetico erano significativamente a più alto rischio di cadute, disabilità, ospedalizzazione e morte.

In particolare, Rockwood et al. hanno compilato un indice di fragilità basato sulla disabilità relativa allo stato cognitivo, all'umore, alla motivazione, alla comunicazione, alla mobilità, all’equilibrio, alle funzioni intestinale e vescicale, alle attività vita di tutti i giorni, sia strumentali che di vita quotidiana, alla nutrizione e alle risorse sociali, così come associate ad un certo numero di comorbidità, riscontrando

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che questo indice è altamente predittivo di morte o istituzionalizzazione.

Riduzione della forza fisica e aumentata faticabilità si trovano praticamente in tutte le definizioni di fragilità.

La perdita della massa muscolare è in gran parte coinvolta nella patogenesi dei due disturbi riferiti.

Ciò è, in buona parte correlato con la riduzione di analoghi del testosterone nel sangue.

Cambiamenti metabolici di vario genere sono ancora da considerare alla base del declino fisico e muscolare del paziente fragile.

Si reputa fondamentale nell’anziano fragile un approccio multidisciplinare diagnostico e terapeutico, ovvero relativo alle migliori strategie da adottare.

I rischi maggiori riguardano il declino funzionale di organi e sistemi, la depressione e l’aumentato rischio di ospedalizzazione.

Anche la conoscenza delle malattie croniche dell’anziano e l’esigenza di un reparto specializzato ospedaliero per i suoi problemi acuti rappresentano altrettanti tipi di priorità esistenti.

La moderata fragilità dell’anziano va ben inquadrata e si associa spesso alla presenza di ipertensione e malattia cerebrovascolare iniziale.

Buoni risultati può ottenere in tali pazienti la terapia riabilitativa.

In tutti i casi va discussa con i familiari l’esigenza di ospedalizzazione o meno dell’anziano fragile.

La maggiore disabilità e la mancanza di sostegno sociale presenti nei pazienti anziani fragili rappresentano i problemi assistenziali maggiori e la sfida principale riguarda il loro trattamento, per cui un approccio interdisciplinare appare spesso necessario per soddisfare le loro esigenze.

Il rischio dei soggetti più anziani di diventare più fragili e sviluppare più gravi malattie e disabilità, pongono in luce la necessità di un piano di assistenza medica che sia adeguato per le esigenze di questi pazienti vulnerabili, contribuendo a conservare la dignità e la qualità della loro vita.

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Più specifico, relativamente al problema della disabilità motoria appare un articolo dal titolo “Geriatric syndromes in elderly patients with rheumatoid arthritis” di Yi - Ming Chen et al., Rheumatology 2009;48:1261–1264.

Le sindromi geriatriche (GSS), date in gran parte dall’aumentato rischio di caduta, dal declino intellettivo fino alla demenza, dall’immobilità, dalla malnutrizione, dall’incontinenza, ecc, nella loro definizione e nomenclatura vengono ampiamente utilizzate per evidenziare la natura multi - fattoriale di problemi di salute inerenti i pazienti anziani fragili.

Le sindromi geriatriche rappresentano, soprattutto, un aumentato fattore di rischio di eventi avversi clinici, con comparsa di malattie e di accresciuta comorbilità.

Alcune condizioni croniche come le artriti sono associate a limitazione funzionale accresciuta e comparsa di sindromi geriatriche.

Le artriti, in particolare, rappresentano una maggiore fonte di disabilità motoria, con un’incidenza relativa di circa il 60 % di disabilità nei pazienti anziani colpiti da artrite.

Circa il 10 % dei soggetti anziani con artrite ha un’importante compromissione delle ADL.

Una compromissione delle ADL si associa con un notevole incremento del tasso di ospedalizzazione per eventi acuti di questi pazienti, ovvero di ospedalizzazione e mortalità degli stessi.

L’artrite reumatoide è una condizione morbosa infiammatoria che colpisce in modo grave le articolazioni simmetricamente con un forte impatto negativo sui pazienti e un rischio di disabilità incrementato di 7 volte rispetto a quelli che non ne sono affetti.

Qualche autore ha associato tale malattia con un aumento della depressione, della riduzione del livello cognitivo e del deficit dello stato nutrizionale.

Di fatto l’artrite reumatoide appare fondamentale per la comparsa e il notevole incremento di sindromi geriatriche e di riduzione funzionale di organi ed apparati.

Lo studio si interessa quindi dei rapporti che intercorrono fra l’artrite reumatoide e lo sviluppo di sindromi geriatriche.

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Vengono usati il Mini Mental test, MMSE, e il test della scala di depressione, GDS, per testare i pazienti afferenti allo studio.

Viene anche riportato il numero delle cadute verificatesi nell’anno antecedente e viene verificata l’esistenza di malnutrizione e di incontinenza urinaria.

Con il termine sindromi geriatriche si intendono, in tal caso, la caduta, l’incontinenza urinaria, il, delirio, la demenza, l’osteoporosi, le ulcere da pressione la malnutrizione ecc, , ciò che rappresenta la gran parte delle problematiche cliniche dei pazienti anziani.

Lo studio in particolare dimostra una stretta correlazione fra AR e deficit cognitivi, mentre la depressione compare solo nei quadri clinici più severi di AR.

Peraltro, in conclusione, si dimostra che un’ elevata attività della AR, insieme a bassi livelli di emoglobina, sono in grado, da sole e indipendentemente, di incrementare lo sviluppo di sindromi geriatriche, deficit cognitivi, depressione, caduta, incontinenza urinaria e malnutrizione.

Da un articolo di carattere generale dal titolo ”The immobility of the elderly in the perception of nursing academics.”, Internet, Unifra, 15.05.2012, http://www.unifra.br/eventos/jornadadeenfermagem/Trabalhos/4141.pdf, è possibile trarre spunti di riflessione circa le patologie che sono in prevalenza alla base della sindrome di immobilità.

Si è assistito nel tempo ad un incremento della popolazione degli ultra60enni nelle società occidentali.

La sindrome di immobilizzazione è caratterizzata da cambiamenti organici e funzionali che sono fonte permanente di perdita di autonomia e comportano una maggiore incidenza di altre malattie, trattandosi di un problema enorme della Geriatria moderna.

In questo contesto si caratterizza come una sindrome complessa di segni e sintomi derivanti dalla abolizione di tutti o gran parte dei movimenti articolari e quindi l'impossibilità del cambiamento posturale.

Ciò rende bene l’idea dell’importanza delle difficoltà insite, ossia delle cause e delle conseguenze della immobilità degli anziani.

Le cinque principali sindromi geriatriche sono date dall’immobilità, all’instabilità, dal deficit cognitivo, dalle malattie iatrogene e dall'incontinenza urinaria.

Si conferma che con l’avanzare dell’età si incrementa il rischio di vulnerabilità, di prevalenza di malattie croniche e di disabilità.

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L’immobilità e le malattie cronico – degenerative associate determinano un netto peggioramento della qualità della vita del soggetto anziano, includendo le cause di immobilità:

• le malattie osteoarticolari,

• quelle cardio - respiratorie,

• quelle vascolari,

• quelle muscolari,

• quelle neurologiche,

• quelle psicologiche,

• quelle iatrogeniche,

• quelle dei piedi e i deficit neurosensoriali.

Da un ulteriore articolo dal titolo “Geriatric assessment”, di C. Bouwens, CME Nov/Dec 2004 Vol.22 No.11, pag. 617 – 618, è possibile meglio inquadrare e definire talune caratteristiche delle sindromi geriatriche.

La valutazione multidimensionale geriatrica interessa la valutazione e la gestione contemporanea di più disturbi nell’anziano, la differenza tra la malattia e lo stato funzionale e la visione interdisciplinare, indispensabile per gestire l'anziano con problemi fisici e / o deterioramento cognitivo.

Le sindromi geriatriche riguardano, nell’ordine:

• immobilità

• instabilità

• l'incontinenza urinaria

• la malattia mentale

• la malnutrizione

• l’uso contemporaneo di più farmaci ed eventuali effetti collaterali

• la riduzione del valore della vista e / o dell'udito.

Le domande da porre ai familiari e al soggetto in esame sono quelle relative ad un questionario standard che riguarda i seguenti “item”:

• i farmaci assunti in rapporto alle patologie sofferte;

• un eventuale calo ponderale > 10 % negli ultimi 6 mesi;

• presenza di difficoltà nella marcia;

• presenza di riduzioni del visus;

• presenza di riduzioni dell’udito;

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• presenza di incontinenza urinaria o completa;

• evidenza di cadute negli ultimi 6 mesi;

• capacità di andare al bagno da solo e di lavarsi autonomamente;

• capacità di vestirsi da solo e abbottonarsi gli abiti;

• capacità di uscire da solo di casa;

• capacità di prepararsi i cibi da solo e di attendere ad altre necessità domestiche;

• capacità di svolgere le pulizie di casa;

• capacità di acquistare beni di prima necessità fuori di casa, di recarsi ad un ufficio postale, ad una banca, ecc.;

• lunghezza del percorso di autonomia di marcia;

• capacità di intrattenere relazioni interpersonali con familiari ed amici;

• presenza di stato depressivo e di eventuale storia precedente di depressione;

• presenza di eventuali deficit cognitivi e loro entità;

• MMSE < o > 21, evidenza di depressione nella scala utilizzata;

• deficit eventuali della memoria a breve e a lungo termine;

• conservata abilità ed efficacia verbale;

• utilizzo eventuale di farmaci antidepressivi, in modo efficace, presenza o assenza di delirio con l’uso degli stessi,

• presenza eventuale di ulcere da decubito, se il paziente è allettato.

Un calo ponderale fra il 20 e il 60 % comporta l’ospedalizzazione dell’anziano, un calo ponderale fra il 60 e l’85 % mette a rischio la vita del paziente.

Incentrato sul problema della malnutrizione e dei suoi rapporti con le sindromi geriatriche è una pubblicazione dal titolo “Malnutrition in the elderly and its relationship with other geriatric syndromes”, di B. Saka et al., Clinical Nutrition n. 29 (2010), 745 -748.

L’assunzione di cibo nel declino correlato all’età dipende da vari fattori fisiologici, psicologici, culturali e sociali.

I risultati dello studio dimostrano che nel campione osservato il 44 % dei soggetti indagati era affetto da malnutrizione.

Si è, peraltro, verificato che il tasso di ospedalizzazione, in caso di malnutrizione, è molto elevato.

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I pazienti con scadente stato nutrizionale dimostravano un calo del tasso di emoglobina nel sangue, riduzione delle proteine ematiche, presenza associata di numerose condizioni patologiche croniche e sindromi geriatriche.

Viceversa i pazienti con depressione, incontinenza fecale, riduzione della

funzione cognitiva e dipendenza funzionale

hanno mostrato scarso stato nutrizionale in base ai risultati dei test MNA, ciò a dimostrazione della interdipendenza della malnutrizione con gli altri parametri patologici indagati.

I risultati dello studio indicano che il tasso di malnutrizione dei pazienti indagati era comparabile con i dati precedenti esistenti in letteratura.

Pertanto si dimostra che il rischio di malnutrizione ha una correlazione positiva con la gran parte delle sindromi geriatriche esistenti.

La depressione, la demenza, la

dipendenza funzionale e le multiple comorbidità appaiono associate, in base ai risultati dello studio, con uno scarso stato nutrizionale.

L’invecchiamento provoca alterazioni strutturali corporee, calo delle funzioni d’organo, compromissione di un adeguato apporto di energia e della capacità di alimentarsi con regolarità o anche l'accesso al cibo.

L’obesità o la perdita di peso, legato al diminuito apporto di cibi carnei è causa di immobilità, disturbi nutrizionali e funzionali scheletrici, insulino – resistenza, ipertensione, aterosclerosi e disturbi del metabolismo del glucosio e diabete, dislipidemia.

Le malattie croniche, ossia malattie che interferiscono con la capacità della persona di introdurre alimenti, come l’ictus e problemi dentali, le sindromi da malassorbimento, la ridotta funzione cardiaca di pompa, malattie ostruttive croniche polmonari, i tumori maligni, lo stato ipermetabolico, i disturbi neurologici, la demenza l’uso di farmaci anche anti – neoplastici, insieme ai, disturbi psicologici e a problemi sociali di vario genere, possono provocare una diminuzione dell’introduzione e dell’assimilazione del cibo.

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Pertanto, la diagnosi precoce di malnutrizione dovrebbe essere un elemento chiave della valutazione geriatrica, per fermare questo circolo vizioso.

Il Mini Nutritional Assessment, MNA, è stato sviluppato come un test di screening affidabile per rilevare la malnutrizione in persone anziane, in base all’ età.

Anche senza l’ausilio di dati di laboratorio, lo stato nutrizionale dei pazienti può essere facilmente prevedibile con domande anamnestiche e adeguate misure antropometriche.

Nel caso del MNA si tratta di un valido strumento utilizzabile nella valutazione globale geriatrica.

Lo studio riguardava 413 pazienti, maschi e femmine, di età 75 + o – 7 anni, ossia soggetti abbastanza anziani, prevalentemente ospedalizzati, di cui si riscontrava che il 31 % era a rischio di malnutrizione e il 13 % affetti da malnutrizione conclamata, indagati con la scala e il punteggio relativo MNA.

Si è verificata una correlazione stabile fra i valori del test MNA e le sindromi geriatriche, con presenza di 4 sindromi geriatriche in soggetti, con risultato del test intorno al 62 %, e 6 sindromi geriatriche con valori percentuali maggiori, fra 82 e 90 % nei risultati del test.

Il deterioramento cognitivo negli anziani si è dimostrato in grado di inficiare lo stato funzionale e le attività strumentali quotidiane, dando altresì luogo a disabilità e a dipendenza nell’assunzione del cibo, con una riduzione significativa dell’appetito in questi pazienti.

Alcuni studi, come riferito, hanno trovato un’associazione indipendente fra deficit nutrizionale e depressione nelle persone anziane, onde la rilevanza dell’individuazione precoce della depressione negli anziani.

Anche negli ospedalizzati anziani si è verificata la correlazione fra depressione e malnutrizione.

In tal senso vanno adeguatamente individuati i gruppi a rischio, con inziale depressione.

In pratica, una disabilità funzionale nelle persone anziane è correlata positivamente ad una dieta insufficiente e ad un calo ponderale, che sottendono anche l’incremento delle sindromi geriatriche.

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Il problema altrettanto grave delle cadute nell’anziano è affrontato efficacemente in un articolo dal titolo “Falls as a Geriatric Syndrome: How to Prevent Them? How to Treat Them?”, di M. Montero – Odasso, Osteoporosis in Older Persons, 2009, pp 110-125.

Nonostante l'enorme sforzo dei ricercatori e clinici per capire la natura della sindrome delle cadute, c'è ancora una differenza significativa tra le conoscenze acquisite in questo campo impegnativo e l'applicazione clinica per gli interventi disponibili ipotetici che si possono mettere in atto.

Il problema delle cadute e delle fratture nell’anziano trova lo sfondo nell’osteoporosi che è problema frequente non solo della terza età.

Le cadute e le lesioni e menomazioni associate nell’anziano rappresentano un problema reale di sanità pubblica.

Le cadute e l’osteoporosi sono problemi entrambi associati con l'avanzare dell'età e comportano un maggiore rischio di disabilità, di dipendenza, di assistenza infermieristica domiciliare precoce e di mortalità.

Descritta per la prima volta quasi 40 anni fa, come la sindrome geriatrica di

"Instabilità", la stessa definisce una particolare predisposizione alle cadute verificata nei soggetti anziani.

Tale sindrome è diventata sempre più importante negli ultimi anni.

Una caduta viene definita come "un cambiamento involontario di posizione derivante da un passaggio verso un livello inferiore o per terra”.

Un malore derivante da una perdita di coscienza o da ictus o da crisi convulsiva epilettica non è contemplato nella definizione di instabilità.

In genere le cause dell’instabilità sono multifattoriali e derivano da difetti di multipli sistemi.

Nel caso dell’instabilità, caduta ricorrente, si parla di comune sindrome geriatrica fra quelle conosciute.

Si tratta di un circolo vizioso che coinvolge l’osteoporosi, la riduzione della massa muscolare, il deficit di forza conseguente, la facilità di cadere e la maggiore predisposizione alle cadute, legata anche ai concomitanti deficit neuromuscolari.

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Con l’accrescersi dell’età media della popolazione si è assistito ad un incremento delle cadute e delle fratture negli anziani.

In effetti la cadute e le fratture rappresentano due autentici giganti della geriatria moderna, in un circolo vizioso che lega strettamente instabilità e immobilità, secondo aspetto di cui il primo rappresenta la causa principale.

Una volta innescatasi la sindrome da immobilità, conseguenza di fratture, la riduzione della massa e della forza muscolare, unite all’osteoporosi, incrementano l’instabilità e il conseguente rischio di cadute, favorendo, così, l’immobilità definitiva.

L’incidenza delle cadute è più alta nei soggetti di età superiore a 80 anni.

Frequente è la presenza di comorbilità associate, preesistente e concorrente.

Nel caso dell’osteoporosi è più concreto il rischio di maggiori conseguenze di una frattura anche per traumi lievi.

Non rara è l’eventualità di una frattura del femore anche in assenza apparente di traumi in soggetti con severa osteoporosi.

In effetti l’incidenza annuale delle fratture è di circa il 30 % nei soggetti di 65 anni e oltre, e di ben 45 – 50 % in quelli di oltre 80 anni, stando ai trial clinici condotti.

Le fratture hanno serie conseguenze cliniche, fisiologiche e sociali specie nei soggetti anziani.

Le complicanze delle fratture nei soggetti intorno ai 65 anni di età sono date da menomazioni e morte, anche se il 20 % degli anziani sviluppa la “paura di cadere”, il 15

% degli anziani si reca al Pronto Soccorso per dolori, ematomi, vertigini e il 10 % riporta conseguenza più gravi, come ematomi cerebrali, traumi commotivi, traumi toracici, ma non fratture, mentre il 5 % dei soggetti caduti va incontro a fratture e solo 1 % riporta fratture dell’anca.

Da tempo si è compreso che il modo in cui un persona cade è in grado di determinare il tipo di infortunio che ne consegue.

Accade così che le fratture del polso si verificano più di frequente quando si cade su una mano, le fratture dell'anca tipicamente sono determinate da cadute su un lato, mentre cadute all'indietro tendono ad avere il tasso più basso di frattura.

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Si è verificato che adulti più anziani, di età compresa tra i 65 e 75, tendono ad avere più fratture del polso, mentre quelli oltre i 75 anni soffrono più di fratture dell'anca.

Diverse ipotesi sono state formulate per cercare di spiegare questa apparente passaggio da fratture di polso a fratture dell'anca, ciò dipendendo dal fatto che le fratture dell’anca sono il risultato di un rallentamento dei riflessi difensivi che si verifica nei soggetti oltre i 75 anni di età.

Non meno importanti, anche perché molto frequenti, sono le conseguenze sociali e psicologiche di cadute e di come esse possono influenzare sugli aspetti funzionali.

La paura di cadere è stata descritta come un problema molto serio, con una prevalenza del 25 - 55% fra gli anziani.

Infatti la paura di cadere può influenzare fortemente l'individuo anziano incidendo sulla qualità della vita in quanto può portare all'isolamento e a diminuire le gratificazioni che alimentano la voglia di vivere.

Inoltre, la paura di cadere stessa ha dimostrato di essere un fattore predittivo di effettiva caduta.

Esiste un largo consenso sul fatto che gli individui che sviluppano la paura di cadere e una depressione secondaria siano più soggetti a cadute ricorrenti.

Le cause generatrici di cadute negli anziani sono molteplici ed eterogenee, comprendendo l’età stessa, i disturbi sensoriali, la debolezza muscolare, la presenza di comorbilità, problemi cardiovascolari, uso di più farmaci e gli ambienti logistici a maggiore rischio.

Le cause scatenanti vengono divise in intrinseche ed estrinseche.

Nell’80 % delle cadute sono implicati fattori estrinseci e problemi clinici di vario ordine e grado.

Si distinguono, secondo taluni studiosi, 4 categorie principali di fattori precipitanti legati a problemi neuromuscolari, problemi medici, problemi cardiovascolari e problemi ambientali.

Problemi di vista, di vertigine, di neuropatie periferiche, di deformità articolari e problemi legati a deficit cognitivi e depressione sono riconosciuti fra i fattori medici più importanti.

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I fattori ambientali risultano nel rapporto fra problemi intrinseci e situazione personale nel contesto, ovvero in un’intrinseca incapacità di adattamento all’ambiente.

Numerosi si possono ritenere i disordini collegati al maggior rischio di caduta, come problemi di vista, riduzione della massa muscolare, difetti sensoriali propriocettivi, riduzione della forza muscolare, dolore cronico, ridotta mobilità articolare, ecc..

Anche l’uso di farmaci psicotropi può facilitare le cadute.

Il parkinsonismo e altre malattie cerebrali rappresentano ancora importanti fattori predisponenti.

Problemi neurologici come emiparesi ed emiplegia, ovvero artrite o artrosi importante mostrano rischi severi di caduta.

Esiste poi circa un 10 – 20 % di soggetti anziani con problemi neurologici idiopatici.

In uno studio su soggetti di età compresa fra 80 e 97 anni si è verificato che il 20

% aveva una normale deambulazione, il 69 % aveva disturbo con causa accertata e circa l’11 %, come riferito, riportava cause sconosciute o idiopatiche.

Sicuramente i problemi cardiovascolari contribuiscono in maniera rilevante a ridurre la capacità deambulatoria e a rendere instabile il paziente, facilitando le cadute.

In un esame preliminare della persona anziana, finalizzato al problema delle cadute, risulta fondamentale l’anamnesi, specie se positiva per le cadute, con un’attenzione particolare ai problemi visivi e alla situazione generale clinica.

Inizialmente il problema delle cadute nell’anziano era visto solo come soluzione delle eventuali conseguenze, senza attivare una reale prevenzione.

Da quando la Geriatria rappresenta una scienza a parte ci si è occupati, in modo specifico, del problema della sindrome di instabilità, meritevole di approfondimenti in ambito individuale, di adeguata prevenzione e nei limiti del possibile di correzione delle eventuali cause scatenanti.

A sua vola si è compreso come la sindrome di immobilità da cadute inneschi a sua volta una riduzione della massa muscolare secondaria, una riduzione della forza

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muscolare medesima, quindi una maggiore inattività e un superiore rischio ulteriore di cadute, innescando un circolo vizioso.

Solo un approccio multidisciplinare al problema dell’instabilità nell’anziano può realmente prevenire le cadute.

In definitiva, le cadute estrinseche sono di solito legate ai pericoli ambientali che causano nell’individuo un maggior rischio di scivolare, inciampare, o provocare un dislocamento suscitato verso l’esterno, mentre le cadute da cause intrinseche sono generalmente legate a problemi di mobilità o a disordini dell’equilibrio, a debolezza muscolare, a problemi di natura ortopedica, a disturbi sensoriali, o a una sindrome cardiovascolare, con compromissione neuronale intercorsa, quale, ad es., l’ipotensione ortostatica o associata a disturbi organici cardiaci o di altro genere, con difetto di pompa.

Secondo Tinetti e collaboratori, il rischio di cadere è proporzionale all’aumento dei fattori di rischio, in generale, nell’anziano.

In pratica, malattie croniche, deficit visivi, problemi dell’andatura e del portamento, la perdita dei riflessi di difesa, problemi degenerativi neurologici, ecc., sono alla base, specie nel grande anziano, delle cause intrinseche di caduta.

Uso di farmaci psicotropi ed ostoartriti facilitano ulteriormente il rischio di caduta.

Problemi legati alla postura sono assai frequenti nell’anziano, colpendo a vario titolo circa il 70 – 80 % della popolazione della terza età.

Emiparesi e Parkinson sono fra le prime cause dei disordini della postura e dell’andatura nell’anziano.

Come riferito, solo il 20 % dei grandi anziani conserva un portamento normale, mentre a vario titolo circa il 70 % ha turbe del portamento e dell’andatura da cause note, mentre nel 11 % dei soggetti affetti non è possibile riscontrare una causa precisata.

I problemi cardiovascolari associati possono spiegare una gran parte di tali disturbi di postura.

I deficit posturali e dell’andatura possono essere di tipo quantitativo e qualitativo e vanno valutati attentamente nel corso della visita medica.

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Esistono vari tipi di prove e di test specifici atti a valutare il portamento e l’andatura dell’anziano, ai fini della quantizzazione del rischio di caduta.

Una delle variabili testate è la velocità dell’andatura che rappresenta una variabile importante per esaminare il rischio di cadute e accertare la presenza di una sindrome da instabilità.

Equilibrio e andatura sono i fattori principali allegati alla corretta capacità di deambulare che è già possibile indagare attraverso la prova della velocità dell’andatura.

La presenza in anamnesi dell’osteoporosi può indicare già un maggiore rischio di fratture in caso di caduta.

La somministrazione di vitamina D non agisce solo a livello preventivo per possibili fratture da osteoporosi ma è in grado di innescare sia processi rigenerativi ossei che combattere il deficit di forza muscolare, anche con meccanismi indiretti.

Molti studi hanno indicato l’effetto positivo della vitamina D nel prevenire le cadute e i loro effetti negativi.

Si è postulato che la vitamina D3 migliori sia la struttura ossea che la fibra muscolare, con un incremento della massa e della forza muscolare.

In ultima analisi l’approccio preferibile nell’anziano instabile è quello multifattoriale sistematico, con un apporto fondamentale della terapia a base di vitamina D.

Il test della velocità dell’andatura e una buona raccolta anamnestica possono garantire una valutazione congrua della possibile presenza della sindrome da instabilità nell’anziano e favorirne la prevenzione.

Incentrato, poi, sulla problematica dei rapporti fra le malattie croniche e le sindromi geriatriche è una monografia dal titolo “From Chronic Diseases to Geriatric Syndromes: Managing Complexity in K4CARE”, di F. Campana, Internet, www.k4care.net, febbraio 2008.

Si evidenzia come le malattie costituiscano un rilevante problema sociale, per la necessità di cura e di assistenza permanente nel tempo.

Il soggetto anziano da considerare è quello con malattie croniche che abbia necessità di assistenza, con obiettivo prioritario di evitare la sua ospedalizzazione e/o

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istituzionalizzazione, onde limitare il carico sociale e mantenere l’anziano nel proprio ambiente familiare.

In tal senso occorre venire incontro alle esigenze emergenti dell’anziano.

Accade così che la speranza di vita media nell'UE sia una delle più elevate nel mondo e stia continuando a crescere.

Nel 2000 era di 74.7 anni per uomini e 81.1 anni per le donne; nel 2050 , secondo lo scenario proposto da Eurostat, questa diventerà rispettivamente di 79.7 e 85.1 anni.

La popolazione di ultra65enni in Europa viene stimata con un aumento che passa dal 16.1% nel 2000 al 22% per il 2025 e il 27.5% per il 2050, con una popolazione di soggetti ultra80enni che passerebbe dal 6 % circa nel 2025 al 10 % circa nel 2050 della popolazione totale, con un chiaro incremento della stessa nel tempo.

Ciò pone l’accento su evidenti problemi sociali e di assistenza che vanno ad incrementarsi nel tempo.

Nel Regno Unito oltre il 50 % dei degenti ha problemi di demenza o di malattie neurodegenerative.

Diabete, asma e cardiopatia ischemica costituiscono gravi emergenze di tipo assistenziale ospedaliero negli USA e nei paesi occidentali.

Le malattie croniche si evidenziano, nella popolazione, in termini di patologie non solo multifattoriali ma per lo più coesistenti, in termini di comorbilità.

Il trattamento è di tipo complesso e pluridisciplinare.

In USA circa 120 milioni di persone sono affette da malattie croniche, nel 24 % dei casi con 2 – 3 infermità di tipo cronico.

Tutto ciò rende l’idea della necessità costante di terapie mediche per i malati cronici, con costi sociali enormi e disabilità correlata di elevata entità.

L’aumento dei costi è proporzionale al numero delle infermità croniche sofferte.

Demenza e deficit cognitivi danno luogo ai costi più elevati per la loro assistenza.

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In genere tali condizioni pur gravi si associano a vari quadri morbosi coesistenti con un ulteriore lievitare dei costi di gestione medica conseguenti.

Si è, ad esempio, riscontrato che il diabete si associa più spesso con l’asma e con la demenza, nel 28 % dei casi, mostrando anche un’associazione positiva con lo scompenso cardiaco congestizio cronico, nel 27 % dei casi, con la malattia cronica ostruttiva polmonare, nel 22 % dei casi, e con i tumori, nel 20 % dei casi.

Ciò rende bene l’idea dell’impatto delle vari condizioni morbose croniche in termini di comorbilità, accrescendo i problemi di tipo assistenziale.

Le conseguenze principali sono date dalla disabilità e dalla morte, in alta incidenza entrambe.

Per quanto non si sia ancora ben percepito l’impatto delle multiple morbilità sullo stato funzionale, appare evidente la loro incidenza in termini di disfunzionalità e disabilità conseguenti.

Soprattutto non sono state ancora ben comprese le modalità di interdipendenza delle varie condizioni morbose e le loro ricadute sulla funzionalità globale individuale.

L’immobilità in ogni caso, cagiona nel Regno Unito il ricorso alle strutture residenziali, con una istituzionalizzazione resasi necessaria nel 76 % dei casi.

In tal senso la demenza ha un indice di istituzionalizzazione del 78 % e l’incontinenza del 27 %, con la presenza contestuale delle due situazioni nel 71 % dei casi.

Le indagini diagnostiche e i trattamenti nei pazienti anziani comlessi dovrebbero tenere nel debito conto la presenza di comorbilità.

Il concetto di sindrome geriatrica è quindi fortemente legata ai sintomi.

Nei pazienti anziani fragili, un gran numero di malattie si presentano con sintomi atipici ed altri estremamente comuni.

Tutte e due le categorie dei sintomi sono trattate dalla medicina geriatrica ed internistica, come facenti parte insieme delle sindromi geriatriche.

Mentre classicamente tale termine è usato per raggruppare sintomi insieme multipli con una comune patogenesi, riferendosi la sindrome geriatrica primariamente si riferisce ad un sintomo o un complesso di sintomi con alta incidenza in geriatria, come conseguenza delle malattie multiple e dii fattori di rischio multipli.

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In tutti i casi le sindromi geriatriche, pur eterogenee, condividano molte caratteristiche comuni.

Si tratta di condizioni estremamente comuni negli adulti più anziane, specie quelle definite fragili, per la oro vulnerabilità elevata alle malattie e per l’effetto conseguente sulla qualità della vita e sulla incapacità funzionale globale che ne deriva.

Gli studi hanno messo in evidenza la diretta correlazione che lega le sindromi geriatriche con la compromissione delle ADL.

Ad esempio il deficit cognitivo ha dei riflessi sulla capacità di vestirsi e di lavarsi autonomamente.

La sindrome da immobilità derivante da caduta interferisce con la capacità di spostamento individuale, tanto per comprendere l’impatto della sindrome sull’autonomia del soggetto considerato.

Le sindromi geriatriche rappresentano delle situazioni patologiche ricorrenti che, sotto il profilo della nomenclatura, servono per inquadrare correttamente delle condizioni morbose che non possono essere etichettate con le malattie comuni, sotto il profilo nosografico.

Esse includono, fra le altre, l’immobilità, il delirio, le cadute, o sindrome di instabilità, la fragilità, le vertigini, la sincope e l’incontinenza urinaria.

Altri evidenziano la presenza di 13 sindromi comuni geriatriche rappresentate da demenza, prescrizioni mediche inadeguate e danni iatrogeni conseguenti, incontinenza, depressione, delirio, problemi medici generali, cadute e sindrome di instabilità, osteoporosi, deficit sensoriali, che comprendono l’udito e l’acutezza visiva, deficit nutrizionali, immobilità e disturbi di portamento ed andatura, ulcere da pressione, e disturbi del sonno.

Deficit cognitivo, cadute, calo ponderale e incontinenza sono reputate da taluno autore fra le principali sindromi geriatriche.

In ogni caso l’incidenza di tali sindromi si accresce con l’età.

Si tratta sempre di una classe di problemi che non avendo una causa ben determinata da combattere rappresentano un’autentica sfida per il clinico.

Il problema principale risiede nel fatto che si tratta di una moltitudine di situazioni cliniche coincidenti, per cui il relativo problema clinico va individuato caso per caso per porvi rimedio, con una scaletta di priorità.

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L’accorpamento in sindromi geriatriche ha soprattutto un significato clinico per classificare i problemi e inviare verso servizi adeguati di assistenza i pazienti.

Ciò potrà soprattutto favorire le migliori strategie multiple di intervento.

Nel Regno Unito circa il 18,3 % dei pazienti con età maggiore di 75 anni è colpita da deficit cognitivi.

Linee Guida e piani di orientamento appaiono indispensabili per basare gli interventi su una piattaforma comune.

Comunque i deficit cognitivi e l’immobilità rappresentano i due giganti della geriatria moderna e quindi i principali problemi da affrontare sotto il profilo della cura e della disabilità conseguente.

Di carattere pratico appare un articolo dal titolo “A Guide to Geriatric Syndromes:Common and Often Related Medical Conditions in Older Adults”, Health in Aging Foundation, settembre 2012.

Vengono qui trattati in maniera sintetica i principali problemi riguardanti l’anziano, in ambito geriatrico.

Una sindrome geriatrica comporta la compromissione contemporanea di varie funzioni, organi e/o apparati.

Il primo aspetto considerato nella review è quello delle difficoltà nella deglutizione che possono dipendere dall’età, dall’uso di farmaci, dalla demenza, quale causa principale e da eventuali altri problemi associati.

Un secondo comune fattore negativo può essere rappresentato dalla malnutrizione, come calo dell’introduzione di alimenti e di apporto calorico, deficit di vitamine, problema associato a varie malattie, carenza vitaminica.

Può anche determinarsi un eccesso calorico con sopraggiunta obesità.

Altro aspetto assai rilevante riguarda la possibile incontinenza urinaria, per disturbi minzionali secondari, infezioni del tratto urinario, stipsi, delirio, cardiopatia, diabete, demenza, abuso di farmaci, ecc..

Non meno frequenti possono essere i disturbi del sonno che peggiorano la qualità della vita.

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Numerosi sono i fattori determinanti coinvolti comprendenti stress, ansia, depressione, delirio, demenza, abuso di farmaci, alcol, e problemi medici generali, come artrite, neuropatie, difficoltà di respirazione, bruciore di stomaco, disuria, ecc..

Più eclatante e severo appare il problema del delirio, fra le sindromi geriatriche, con necessità di ricovero nei reparti di emergenza.

Stato confusionale, deficit visivi, disidratazione, possibili infezioni, scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria, rappresentano tutti sintomi associati e cause scatenanti al tempo stesso.

La demenza vascolare è più frequente nelle persone anziane, con, talvolta, improvvisi segni di scompenso, turbe comportamentali, migliore conservazione della memoria a lungo termine rispetto a q uella a breve termine.

I problemi di visione comuni tra gli anziani comprendono miopia, glaucoma, cataratta, retinopatia diabetica, presbiopia, e la degenerazione maculare, il cui danno si localizza al centro dell'occhio e che può risultare in una perdita di visione centrale.

La perdita di udito, poi, rappresenta il deficit più comune negli anziani prevalentemente legato alla presbiacusia ma anche di natura neurosensoriale secondaria.

Nel termine vertigini, altra problematica di frequente riscontro nell’anziano, confluiscono problemi pressori, visivi, neurologici, vascolari o di altro genere che alimentano il rischio di caduta ovvero la paura di cadere, con equilibrio ormai incerto.

I disturbi della postura e della marcia si riferiscono a una combinazione di problemi o malattie di salute collegate all’età come le artropatie, la perdita della massa e della forza muscolare, il morbo di Parkinson, l’insufficienza cardiovascolare, le vertigini, gli esiti di ictus, i problemi della visione, e la paura di cadere o le vertigini medesime.

Un’attenzione specifica viene poi posta alle sindromi geriatriche più note.

La sindrome di instabilità con le cadute origina da una serie di problemi legati alle artropatie, alle vertigini, ai deficit visivi, alle malattie neurodegenerative, ai problemi cardiovascolari e respiratori, ai deficit di forza e massa muscolare, alla malnutrizione, tutto ciò che accresce il rischio di cadute.

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L’osteoporosi che riduce la resistenza delle ossa ingenera un maggiore rischio di frattura da caduta, favorisce l’immobilità e incide negativamente sul metabolismo dell’anziano.

Le ulcere trofiche da pressione sono tipiche dell’immobilità e dell’allettamento precoce dell’anziano, acuendo gli altri problemi della persona anziana e richiedendo trattamenti specifici come materassi ad acqua e terapie topiche.

La malnutrizione, il diabete, l’insufficienza renale cronica, le cardiopatie, i problemi vescicali possono tutti favorirne l’insorgenza, assieme all’immobilità.

Una ennesima rassegna sulle sindromi geriatriche è data da un articolo dal titolo

“Geriatric syndromes: medical misnomer or progress in geriatrics?” di M.G.M. Olde Rikkert et al., The Netherlands Journal of Medicine, March 2 0 0 3 , Vol . 6 1 , N°. 3, , pp 83 – 87.

Le sindromi geriatriche rappresentano un termine per raggruppare diversi sintomi ad origine multifattoriale.

Si tratta spesso di situazioni fra loro combinate e non sempre facili da affrontare sul piano della cura.

Il punto di partenza è l’eterogeneità dei pazienti coinvolti nelle definizioni.

L’eziologia è spesso diversificata o sconosciuta.

Il termine si riferisce ad una serie di stati sindromici dell’anziano a maggiore prevalenza epidemiologica.

I fattori eziologici possono riguardare diversi organi e/o apparati.

Cadute, incontinenza e vertigini, anche se si tratta di condizioni composte da un solo sintomo di presentazione, e anche insufficienza cardiaca, delirio e demenza, costituite invece da un complesso di sintomi, sono tutte situazioni spesso chiamate sindromi geriatriche.

La confusione acuta come sindrome geriatrica è meno spesso causata da lesioni cerebrali acute rispetto ai pazienti più giovani.

La depressione come sindrome geriatrica

di solito non è solo una conseguenza di un disturbo psichiatrico.

Infatti cause somatiche svolgono un ruolo importante nella patogenesi della depressione in età avanzata.

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Analogamente, l’incontinenza come sindrome geriatrica non è dovuta solo alla disfunzione della vescica, ma piuttosto legata ad esiti di neuropatie di vario genere, mentre anche la sincope non può essere associata ad una singola malattia o condizione morbosa.

In una ricerca sistematica della letteratura di settore, il termine sindrome geriatrica sembra essere associato principalmente con delirio, cadute, incontinenza urinaria e vertigine.

Di frequente accade che sintomi atipici non trovino una collocazione adeguata in sindromi geriatriche codificate, ciò che riassume la difficoltà esistente di inquadramento delle medesime sindromi geriatriche.

In altri termini è possibile dire che, al momento:

• non esistono criteri univoci di definizione delle sindromi geriatriche;

• l’eziologia e la patogenesi della gran parte delle stesse è diversificata;

• devono ancora essere condotti studi adeguati per valutare l’approccio terapeutico in termini di costo beneficio.

Più univoche appaiono le definizioni di sindromi geriatriche relative a vertigini, cadute, delirio, e incontinenza.

Specifico rispetto al problema dell’immobilità, anche se datato, sembra un articolo dal titolo “Immobility in the aged”, di P. Rousseau, Arch. Fam. Med. Vol. 2, febbraio 1993.

La review parte dall’analisi dei principali problemi di salute che si possono riscontrare nell’anziano, riferibili soprattutto a malattie cardiovascolari, circolatorie, muscolo – scheletriche, del metabolismo del calcio, ovvero l’osteoporosi, genitourinarie, dismetaboliche, compreso il diabete, gastrointestinali, neurosensoriali, dermatologiche, degli equilibri idroelettrolitici, ecc..

Importanti deficit funzionali e ricoveri si associano alla sindrome di immobilità.

Nelle strutture residenziali ben 85 % dei pazienti sono afflitte da sindrome di immobilità e nel 29 % di questi ne deve essere accertata la natura.

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L’immobilità determina debolezza e perdita della massa muscolare oltre a squilibri metabolici importanti.

Si associano spesso, all’immobilità, contratture muscolari.

Oltre ad una riduzione della forza e della massa muscolare, l’immobilità determina anche un declino delle funzioni cardiovascolari.

Si possono determinare ipotensione posturale e disidratazione.

Anche le trombosi venose sono favorite dall’immobilità.

Il sistema respiratorio risente a sua volta dell’immobilità con problemi di stasi polmonare e infezioni subentranti, desaturazione dell’ossigeno e atelectasie.

Intolleranza al glucosio, ipotiroidismo, ridotto apporto di cortisolo, aumento del paratormone, con turbe metaboliche ossee e del bilancio del calcio, sono fra i più comuni problemi ormonali associati all’immobilità.

Ritenzione urinaria o incontinenza, con un aumento delle infezioni del tratto genitourinario, sono altrettanto associati all’immobilità.

Riduzione dell’appetito, della peristalsi, con stipsi e fecalomi sono comuni complicanze dell’immobilità.

In definitiva numerose malattie croniche predispongono all’immobilità, che, a sua volta, condiziona il declino di molte funzioni di organi ed apparati, ciò che predispone ulteriormente alla disabilità.

Di buon impatto appare, poi, un lavoro scientifico dal titolo “Behavioral Treatment for Geriatric Syndrome” di H. Kim, Internet, www.intechopen.com, 2012, vol.

6 pp 85 – 105.

La condizione di fragilità si riferisce ad una perdita di peso non voluta, debolezza, astenia, deambulazione rallentata, scarsa attività fisica, ciò che favorisce gli esiti invalidanti, l’immobilità, la disabilità e la morte, con un’accentuata vulnerabilità, quindi, alle altre condizioni morbose e una netta incidenza sulle ADL relative all’indipendenza del soggetto nelle attività quotidiane.

Le cadute rappresentano un serio problema negli anziani, con un’incidenza del 30 % negli ultra65enni.

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Molti studi hanno dimostrato che le sindromi geriatriche sono multifattoriali e condividono diversi fattori di rischio, tra cui l'età avanzata, il deterioramento cognitivo, la compromissione funzionale e la ridotta mobilità, tutte condizioni che sono spesso associate a sindromi geriatriche comuni come la fragilità, le cadute, e l’incontinenza delle vie urinarie.

L'identificazione e il trattamento dei fattori di rischio che contribuiscono alla sindromi geriatriche sono stati al centro di ricerche recenti e passate.

La fragilità presenta un’alta frequenza fra le persone anziane.

Essa spesso si sovrappone con la presenza di comorbilità e disabilità, ed è associata con diversi importanti patologie croniche come le malattie cardiovascolari, le malattie polmonari e il diabete, pur senza essere sinonimo delle stesse.

Interazioni fra le patologie plurime e controindicazioni a specifici trattamenti rendono complessa la cura in caso di fragilità.

Peraltro la sedentarietà e altri fattori concorrenti determinano la perdita della massa e della forza muscolare.

Le cause delle cadute, ancora una volta, sono state distinte in intrinseche, estrinseche e ambientali.

Debolezza muscolare, deficit visivi, deficit cognitivi e funzionali sono stati reputati i principali fattori di rischio intrinseci di caduta, mentre abuso di farmaci e uso di lenti bifocali, sono indicati fra i fattori estrinseci, a cui vanno aggiunti quelli ambientali, come la scarsa illuminazione, presenza di tappeti e di barriere architettoniche, mancanza di attrezzature di sicurezza nei bagni, ecc..

Deficit muscolari, storia positiva per cadute, deficit visivi, compromissione della ADL, artropatie, deficit cognitivi e depressione, insieme all’età, sono considerati tutti fattori molto rilevanti, atti ad accrescere il rischio di cadute.

Danni neurologici gravi e vescicali sono alla base dell’incontinenza urinaria.

La deficienza muscolare e la malnutrizione eventuale sono i principali fattori da correggere per limitare la fragilità.

Un apporto nutrizionale supplementare appare fondamentale per il recupero funzionale nell’anziano fragile.

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Un esercizio fisico adeguato può consentire un recupero della massa e della forza muscolare compromesse.

Un strategia di prevenzione delle cadute devi mirare a correggere i fattori di rischio, con una limitazione dell’apporto dei farmaci, se eccessivo.

L’uso supplementare della vitamina D appare assai utile a migliorare lo stato dell’apparato muscolo – scheletrico.

Gli esercizi fisici devono tendere ad un miglioramento della statica e della dinamica, ovvero dell’assetto della deambulazione.

I trattamenti indicati per l’incontinenza urinaria possono essere medici e chirurgici, secondo la natura del disturbo.

Molti studi hanno riportato che l’obesità e un alterato indica di massa corporea sono spesso alla base dell’incontinenza urinaria, onde la necessità della loro correzione.

Età, sesso, tipo di incontinenza urinaria, frequenza e durata della stessa, condizioni morbose associate, ecc., condizionano la prognosi e il trattamento.

In conclusione le sindromi geriatriche appaiono altamente prevalenti, condizionando disabilità e mortalità nell’anziano.

Di buon interesse appare poi un articolo dal titolo “Immobility syndrome and pressure sores: management of geriatric giants” di A. Moreno Guerin – Banos et al., Internet,

http://ewma.org/fileadmin/user_upload/EWMA/pdf/conference_abstracts/2008/pos ter/P213.pdf, stampato 2014.

La motricità negli anziani di norma dipende sull'interazione tra fattori diversi come quelli individuali, legati al paziente stesso, all’abilità intrinseca di muoversi, alle capacità conoscitive e a quelle e percettive sensoriali, alle condizioni di salute e sociali e, ancora, alle risorse esterne e ambientali personali.

La riduzione di queste capacità può condurre alla nota sindrome di immobilità che ha conseguenze importanti, come le ulcere trofiche pressorie dolenti, che necessitano di cure specifiche.

Deficit cognitivi importanti, della deglutizione e l’incontinenza si associano frequentemente con la sindrome di immobilità.

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L’importanza dell’argomento relativo alle sindromi geriatriche si desume anche da un articolo dal titolo “Prevention of Hospital-Acquired Geriatric Syndromes: Applying Lessons Learned from Infection Control”, JAGS 60:364–366, 2012, Journal compilation 2012, The American Geriatrics Society.

Si conferma che le sindromi geriatriche sono di origine multifattoriale e colpiscono gli anziani fragili che sono diventati vulnerabili per deficit di multipli sistemi ed organi.

In effetti molte sindromi geriatriche, comprese le ulcere trofiche da pressione, le cadute, il delirio e i deficit funzionali declinare, si verificano con frequenza elevata in soggetti ospedalizzati , causando una significativa morbilità, mortalità, e costi elevati di trattamento e riabilitazione.

Importante appare la prevenzione delle infezioni ospedaliere sovrapposte in pazienti vulnerabili ospedalizzati, legate, in prevalenza, all’uso di cateteri e a complicanze di interventi chirurgici.

Le sindromi geriatriche più frequenti riscontrabili in ambito ospedaliero sono costituite dalle cadute e dalle ulcere trofiche da pressione.

Un ulteriore possibile problema nosocomiale è costituito dalle trombosi venose.

Si tratta, quindi, di sindromi geriatriche acquisite legate all’ospedalizzazione che occorre prevenire adeguatamente.

L’uso di cautele adeguate e il ricorso a linee guida specifiche sembra in grado di contenerle, nell’ambito di una sorveglianza sanitaria rigorosa specie nei pazienti a maggiore rischio.

In questa carrellata di situazioni cliniche che sono state tracciate in precedenza non poteva mancare una parte riservata anche ai trattamenti oncologici.

Di ciò si occupa un articolo dal titolo “Comprehensive Geriatric assessment and its clinical impact in oncology” di Huub A.A.M. Maas et al., European Journal of Cancer 43 (2007) 2161 – 2169.

La valutazione globale multidimensionale di un paziente oncologico anziano appare necessaria per un trattamento personalizzato dei tumori.

Vengono individuate e riportate, ai fini del trattamento, le più note sindromi geriatriche da cui può essere affetto il paziente anziano, come ulcere da decubito, deficit cognitivi, incontinenza, cadute, debolezza con instabilità, ecc..

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La ricognizione dei problemi è necessaria per valutare la tossicità e la tolleranza ai farmaci antiblastici.

Importante ai fini del trattamento appaiono anche le ADL e le IADL la cui compromissione appare spesso evidente nella popolazione degli anziani.

Ad esempio, uno studio francese ha dimostrato in una popolazione piuttosto anziana, con età media di 78 anni, che, sebbene la maggior parte cioè l’83% avesse un indice di Karnofsky superiore a 60, si associavano comunque molti problemi di salute e solo il 44% di questo gruppo era pienamente ADL – indipendente, mentre il 13% era IADL – indipendente.

Disordini cognitivi, depressivi, malnutrizione e uso di polifarmaci apparivano i problemi di maggiore impatto.

Ai fini della sopravvivenza nei pazienti oncologici influivano sia le ADL che le IADL.

La presenza di deficit cognitivi e di depressione interferiva con la tolleranza ai farmaci antiblastici.

La presenza di comorbilità e il performance status influiscono a loro volta sulla tolleranza ai farmaci e sulla sopravvivenza globale.

La fragilità pare collegata ad un alto tasso di eventi avversi.

Si è studiata, in particolare, l’impatto dell’associazione di carboplatino e taxolo, utilizzati ad esempio, nella cura del tumore polmonare, trovandola implicata, circa la tolleranza con le ADL e le IADL.

Tutto ciò va da interferire con le scelte terapeutiche e con la sopravvivenza del paziente oncologico anziano.

In conclusione le sindromi geriatriche, come indagate con metodo CGA, Comprehensive Geriatric Assessement, paiono avere un ruolo di fondamentale importanza ai fini della tolleranza e del buon esito dei trattamenti chemioterapici oncologici, e, quindi, della sopravvivenza globale.

La valutazione geriatrica complessiva o CGA sembrerebbe il metodo discelta ai fini del migliore approccio al paziente oncologico anziano.

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