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Criminalità organizzata transnazionale nell'Europa orientale postcomunista. Politiche europee per la tutela della legalità.

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Indice

Introduzione

Capitolo 1.

Criminalità organizzata transnazionale: un’analisi teorica p. 7

1. Approcci teorici p. 7

2. Il ruolo dello Stato p. 12

3. Definizioni: mafia, criminalità organizzata e criminalità organizzata

transnazionale p. 14

3.1Criminalità organizzata transnazionale (TOC) p. 18

4. Attività criminali p. 21

4.1 Schiavitù e traffico di esseri umani p. 23

4.2 Traffico di droga e armi p. 25

4.3 Cyber Crime e frodi finanziarie p. 28

4.4 Crimini ambientali p. 30

5. Cause dell’organizzazione criminale p. 31

5.1 Cause esogene p. 34

Capitolo 2.

Politiche europee per la tutela della legalità p. 36

1. Mobilitazione internazionale sul tema della criminalità organizzata p. 38 1.1La Conferenza di Napoli e la Convenzione di Palermo p. 41 2. Percorso europeo nella creazione di un’area di legalità e giustizia p. 43

2.1Il trattato di Lisbona e la CSDP p. 48

2.2Iniziative più recenti p. 50

2.3Il ruolo del Parlamento europeo p. 52

3. Agenzie europee per la lotta al crimine p. 54

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5. Prospettive future p. 59

Capitolo 3.

Criminalità organizzata nell’Est Europa: origini, sviluppi e attualità p. 62

1. Le Mafie dell’Est p. 62

2. La Mafia russa: dalle origini ai giorni nostri p. 65 2.1 Dall’Urss alla Russia di oggi p.71 2.2 Putin e la criminalizzazione di Stato p.75

3. Crimine Organizzato in Repubblica Ceca p. 80

4. La Mafia polacca p. 84

5. Criminalità in Ucraina p. 87

6. La Transnistria p. 90

Capitolo 4.

Criminalità organizzata transnazionale nell’area balcanica p. 94

1. La Mafia balcanica p. 94

1.1La Rotta Balcanica p. 96

1.2Darko Šarić e i Guerrieri Balcanici p. 98

2. Il caso serbo: dalla Jugoslavia di Tito a quella di Milošević p. 100

3. La Serbia di oggi, uno Stato-mafia p. 104

3.1 La rivolta dei Berretti Rossi e l’omicidio di Đinđić p. 107

3.2 Una Serbia Europea p. 109

4. Montenegro p. 112

5. La Mafia albanese p. 116

5.1 Strutture e attività del crimine organizzato albanese dagli anni

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3

Capitolo 5.

Criminalità organizzata transnazionale e Globalizzazione p. 123

1. Una Mafia globalizzata p. 123

1.1L’importanza della cooperazione nel Villaggio Globale p. 126

2. L’Europeizzazione contro la Mafia p. 128

Conclusioni

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4 “La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”

Paolo Borsellino

“La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.”

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Introduzione

La criminalità organizzata nasce nella società contemporanea e con essa si evolve. Il modello mafioso, oggi, non ha più carattere locale, ma si è evoluto in paradigma globale, tanto da diventare, a tutti gli effetti, un competitore nell’arena politica internazionale. Pietro Grasso ha definito le organizzazioni criminali «Attori della scena internazionale che interpretano e assecondano le dinamiche geopolitiche locali e transnazionali e producono effetti di portata globale1».

La gravità di questo fenomeno è stata a lungo tempo sottovalutata dagli Stati, tanto da minare, e in alcuni casi sostituire, la stessa autorità legittima. La criminalità organizzata è riuscita a innestarsi profondamente nel tessuto economico, politico e sociale degli Stati, fornendo dei servizi in momenti in cui questi non erano in grado di farlo. E’ stato, in particolare, il crollo della Cortina di Ferro a cambiare la percezione del problema della criminalità organizzata. Lentamente l’argomento si è insinuato nei dibattiti sulla sicurezza nazionale e globale. La natura imprevedibile di questo fenomeno lo ha reso il simbolo ideale per esprimere un crescente senso di insicurezza, causato dall’improvviso crollo del mondo bipolare e dal sovvertimento del sistema internazionale.

Nell’ultimo ventennio si è assistito a una progressiva evoluzione della criminalità organizzata in chiave transnanzionale. Oggi essa è considerata una delle più gravi minacce all’ordine, alla sicurezza e alla democrazia degli Stati. Un fenomeno complesso e variegato, che non può essere compreso se non con un approccio multidisciplinare. Questa tesi si pone proprio l’obiettivo di analizzare il crimine organizzato transnazionale attraverso diverse chiavi di lettura, al fine di penetrare all’interno delle dinamiche della realtà criminale di oggi.

La prima parte della trattazione, di natura politologica, affronta il tema da un punto di vista teorico, tentando di fornire definizioni che possano essere utili a distinguere il crimine organizzato transnazionale nel confuso panorama della globalizzazione. Verranno analizzate le cause politiche, economiche e sociali che hanno favorito lo sviluppo dei fenomeni criminali e il ruolo dello Stato. Saranno esaminate alcune teorie sociologiche, che possano aiutare nell’analisi delle complesse dinamiche

1 L. Caracciolo e F. Maronta, Intervista a Petro Grasso, Alla riconquista delle terre di mafia, in “Limes”,

(6)

6 relazionali che stanno alla base delle associazioni mafiose e dell’adesione sociale che si genera attorno alle pratiche illegali.

La seconda parte della tesi affronta il tema da un punto di vista giuridico. Conoscere gli strumenti legali internazionali, ma soprattutto europei, disponibili nella lotta al crimine organizzato transnazionale può rappresentare un aiuto concreto nella valutazione di ciò che può e deve ancora essere fatto.

Una volta acquisiti gli strumenti teorici necessari, si affronterà un’indagine concreta e attuale del fenomeno. La terza parte di questo lavoro, infatti, racconta alcune realtà criminali particolari, che oggi sembrano ricoprire un ruolo determinante in Europa e nel mondo. Attraverso reportage, articoli e riviste politiche d’attualità si offrirà un panorama delle associazioni mafiose presenti nell’Europa dell’Est e nei Balcani, e delle reti che queste hanno creato in ogni parte del mondo. L’esperienza comunista e il crollo che ha investito questi paesi alla fine del Novecento, hanno lasciato società ricche di conflitti e reso la criminalità dell’Europa orientale un fenomeno dall’identità particolare. Ad oggi le mafie dell’Est sono tra le più forti del mondo, e rappresentano una sfida quotidiana per le istituzioni europee.

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Capitolo 1

Criminalità organizzata transnazionale: un’analisi teorica

Organized crime is a phenomenon that has emerged in different cultures, societies and countries all over the world. It has become global in scale and is no longer exclusive to certain geographical areas, to singular ethnic group or to particular social systems. Organized crime is ubiquitous.2

1. Approcci teorici

Il crimine organizzato è una materia spinosa e gli studi sul tema sono relativamente recenti. Questo perché il mondo del crimine è circondato dal silenzio, non solo da parte degli stessi criminali, ma degli Stati che, talvolta vittime, talvolta complici, hanno per lungo tempo negato l’esistenza del fenomeno o quantomeno la sua reale pericolosità. Un approccio teorico è fondamentale per capire un argomento tanto multisfaccettato come è il crimine, specie quando questo viene trattato in una prospettiva transnazionale, di per sé non di facile definizione.

Il crimine organizzato esiste sia come fenomeno oggettivo, e quindi misurabile sulla base di dati, sia come costruzione soggettiva3, quindi percepita diversamente da Stato a Stato, da regione a regione, da persona a persona. Il concetto non è scientifico e il termine stesso, “crimine”, è relativo, in quanto si tratta di una nozione convenzionale, un costrutto sociale4. Infatti, quello che per una determinata legislazione nazionale costituisce reato, non è detto che anche per altre lo sia. Anche il livello di penetrazione

2 A. Schloenhardt, Organized crime and the business of migrant trafficking, The Netherlands, Kluwer

Academic Publishers, 2000, p. 203.

3 F. Allum, S. Gilmour, Routledge handbook of Transnational Organised Crime, New York, Springer

Science, 2012, p. 4.

4 C. Fijnaut, L. Paoli, Organised Crime in Europe, concepts, patterns and control policies in the

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8 dei gruppi criminali all’interno dell’apparato politico, economico e sociale può avere gradi differenti e di conseguenza stimolare azioni repressive più o meno intense. Inoltre, la percezione individuale può essere molto diversa, come il grado di accettazione, e quindi legittimazione, del fenomeno. Le stesse organizzazioni criminali hanno diverse caratteristiche in base a collocazione geografica, obiettivi perseguiti e modalità operative. Infine, ogni attività criminosa intenzionale a determinati livelli può dirsi organizzata5. Tutti questi fattori testimoniano quanto difficoltoso sia lo studio di una materia tanto variegata e complessa.

Secondo Armao6 il crimine organizzato può essere considerato come un genere all’interno del quale convivono diverse specie, in base agli svariati contesti geografici e storici. Ma la maggiore difficoltà con cui fare i conti è trovare dei dati attendibili sulle attività illecite: reperirli direttamente dalla fonte primaria, quando non impossibile, è sicuramente rischioso. Per quanto riguarda invece le documentazioni ufficiali, bisogna dire che gli Stati non sempre offrono pubblicamente i dati delle loro investigazioni e, quando lo fanno, non c’è certezza che essi non siano stati manipolati. Nonostante gli sforzi in ambito accademico questa rimane quindi un’area piuttosto grigia nella comunità di ricerca internazionale.

I primi studi sistematici sull’argomento risalgono agli anni ’60. In quegli anni l’approccio tipico nello studio dei gruppi criminali prevedeva di considerarli come sindacati mafiosi7, gerarchizzati e funzionali8. Nel 1967 il criminologo Donald Cressey ha ben spiegato nel libro Theft of the Nation quella che secondo lui è la caratteristica più importante del crimine organizzato, cioè appunto la rigida organizzazione interna. Cressey analizzò la struttura del crimine italo-americano e vide che negli Stati Uniti esso era organizzato intorno a 24 famiglie criminali strettamente connesse fra loro, con rigide gerarchie interne, specifici riti di iniziazione per i nuovi membri e codici di condotta. Il suo modello di riferimento era Cosa Nostra9, dato che questa gerarchia così rigida difficilmente si ritrovava in altre organizzazioni criminali. Lo stesso Cressey affermò che quello che lui definiva “corporate crime”, con riferimento alla mafia

5

Ibidem.

6

F. Allum, S. Gilmour, Routledge handbook of Transnational Organised Crime, op. cit., p. 5.

7 D. Cressey, Theft of the Nation, the Structure and Operations of Organized Crime in America, New

York, Transaction Publishers, 1969, p. 187.

8

T. Spapens, Macro Networks, Collectives, and Business Processes: An Integrated Approach to

Organized Crime, in “European Journal of Crime, Criminal law and Criminal Justice”, n. 18, 2010, p.

185.

9 Gli studi di Cressey si basavano sulle testimonianze di Joe Valachi, che era stato membro di Cosa

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9 americana, era una forma avanzata di organizzazione criminale, ammettendo l’esistenza di forme di associazione mafiosa meno stabili e formalizzate.

Molti criminologi, che per primi tentarono di teorizzare il concetto, si scagliarono contro questa visione fin troppo riduttiva e che rischiava di influenzare non solo l’opinione pubblica e i governi, ma i criminali stessi, che in alcuni casi la adottarono come modello di comportamento. Joseph Albini10 nel 1970 concluse che i gruppi criminali sono per lo più fluidamente strutturati e non strettamente organizzati11. I membri di queste organizzazione mantengono questi rapporti in quanto perseguono obiettivi di guadagno personale e non per l’organizzazione in sé. Anche Mary McIntosh, nello stesso periodo, affermò che i gruppi criminali da lei osservati risultavano temporanei e non ben strutturati, definendoli come «informal or project organizations created for the purpose of committing specific robberies»12. Questi ultimi studi mostravano come l’approccio alla materia stesse cambiando, spostandosi da una visione “mafia-centrica” verso definizioni che si adattassero anche a diversi e nuovi tipi di organizzazioni criminali, che pian piano emergevano.

Questo percorso aprì la strada ad un nuovo e innovativo approccio che gli economisti cominciarono a sviluppare dal 1970. Secondo questi nuovi studi il crimine veniva definito sulla base della sua funzione di rifornimento di beni e servizi illegali. Questo portava inevitabilmente a studiare i gruppi criminali come imprese e a equiparare le attività criminali a puro business. Pino Arlacchi ha definito un mercato illegale come il posto o la situazione in cui si verifica un costante scambio di beni e servizi il cui consumo, produzione e distribuzione sono legalmente proibiti da parte della maggioranza degli Stati, oltre che socialmente e istituzionalmente condannati13. Anche l’approccio tenuto da Petrus van Duyne nel suo libro Organized Crime in Europe coglie l’aspetto imprenditoriale del crimine e lo assurge a sua caratteristica portante. L’autore preferisce il termine “Crime – enterprise” a quello più comune di organizzazione criminale o mafia, spiegando come esso sia, appunto, meno carico dal punto di vista emozionale e come invece rifletta il carattere imprenditoriale e dinamico

10 J. Albini, The American Mafia: Genesis of a Legend, New York, Appleton Century Crofts, 1971. 11 T. Spapens, Macro Networks, Collectives, and Business Processes: An Integrated Approach to

Organized Crime, op. cit., p. 188.

12 Ibidem.

13 P. Arlacchi, “Large Scale Crime and World Illegal Markets”, in Organized Crime: International

Strategies, Report of the International Seminar on Policies and Strategies to Combat Organized Crime,

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10 di queste organizzazioni14. Gambetta15, uno dei principali sostenitori della scuola di pensiero economico-razionale o property-right theory, considera le organizzazioni criminali particolari imprese economiche che vendono beni di proprietà privata, sostituendosi allo Stato che, evidentemente, non stimola la fiducia nei cittadini. L’approccio di Gambetta si focalizza in particolare sulla funzione utilitaristica della criminalità e le vittime di questo sistema, che per Gambetta vittime non sono, razionalmente e volontariamente accettano di farne parte. Non c’è spazio per le variabili culturali. In un mondo come quello di oggi, dove l’economia è il fulcro dell’iniziativa e dell’azione umana, non è difficile immaginare come il profitto sia alla base anche della motivazione criminale. Dopotutto, come ha sostenuto l’economista Bruno Amoroso, «economia e criminalità sono due fenomeni distinti che, tuttavia, spesso si intersecano nella storia dell'umanità»16.

Se l’approccio economico sembra cogliere l’essenza e la motivazione centrale dell’esistenza della criminalità organizzata, tuttavia tralascia alcuni importanti aspetti della stessa, ad esempio la sua dimensione predatoria. A questo proposito Spapens ha scritto: «Systematic extortion, for instance, is obviously one of the classic types of organized crimes, but it is difficult to define this activity in terms of supply and demand»17, e nessuno volontariamente accetta di subire estorsione, neanche in cambio di protezione, visto che, molto probabilmente, la minaccia alla sicurezza è dovuta alla presenza della stessa attività criminale.

Nel 1990 è emersa una terza scuola di pensiero che considera il crimine organizzato come un social network, caratterizzato da relazioni interne fluide, flessibili, non gerarchiche18. In questa prospettiva i gruppi criminali vengono visti come collettività più che come formali organizzazioni rigidamente strutturate. Secondo questa linea di pensiero l’incorporazione del crimine nella società è ancora più intensa e meno visibile. Malcolm Sparrow é stato uno dei primi a puntare sull’importanza dei networks nelle organizzazioni criminali. Questo taglio risulta interessante, ma è di certo ancora acerbo. Tanto per cominciare non viene fornita una chiara definizione di network, che sembra riferirsi più ad una rete indefinita di individui che a strutture “organizzate”.

14 P. C. Van Duyne, Organized Crime in Europe, New York, Nova Science publishers, 1996, pp. 76-77. 15 F. Allum, S. Gilmour, Routledge handbook of Transnational Organized Crime, op. cit.

16

M. Pavone, La definizione del crimine transnazionale, 16 maggio 2006, articolo reperibile sul sito www.altalex.com.

17T. Spapens, Macro Networks, Collectives, and Business Processes: An Integrated Approach to

Organized Crime, op. cit., p. 190.

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11 Ancora, quali sono i confini di questi networks? Chiunque potrebbe essere parte di una rete di connessioni senza chiari limiti e questo rende ancora più complesso separare il lecito dall’illecito. Anche Scott, tentando di definire i diversi tipi di associazioni criminali, ha posto l’accento sulla componente sociologica del crimine organizzato19. Sulla base di questo approccio identifichiamo le organizzazioni criminali come sistemi sociali, di tre tipologie: sistemi sociali razionali, ossia organizzazioni altamente gerarchizzate e con una struttura, un riparto delle competenze e norme per il raggiungimento dell’obiettivo (massimizzazione del profitto) formalizzati e rigidi. Sistemi sociali naturali, dove l’organizzazione stessa costituisce di per sé un fine, alla stregua di una grande famiglia. Prioritari sono i valori di fratellanza tra i membri del gruppo e la violenza spesso costituisce un metodo per instaurare la credibilità dell’organizzazione più che per la massimizzazione del profitto. Sistemi sociali aperti, basati su una stretta interdipendenza non solo tra i membri, ma anche con l’ambiente esterno. Sono strutture flessibili, senza una rigida gerarchia e questo le rende particolarmente adattabili alle varie circostanze in cui operano, una vera e propria azienda con l’intenzione di profitti a lungo termine. Molte organizzazioni, poi, possono presentare caratteristiche variegate di tutte e tre le tipologie.

Sebbene questi approcci sembrino differenti fra loro, sono tutti necessari e validi per avere un quadro generale del problema, che di fatto contiene tutti gli elementi sopra elencati. Vi sono però altri interessanti approcci, ad esempio Cressey (1969) ha parlato del crimine organizzato anche come di una moderna burocrazia o corporazione. Paoli invece di una fratellanza rituale. Ianni e Reussi20(1972) si focalizzano sulle variabili culturali, storiche e sociali, elementi indispensabili per capire in quale contesto e perchè un particolare fenomeno criminale si sviluppa. Qualcuno ha anche spiegato il crimine come un mezzo politico per perseguire una determinata agenda politica.

19 W. Scott, Organizations. Rational, natural and open systems, Londra, Prentice-Hall, 1992. 20

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2. Il ruolo dello Stato

Abbiamo fin qui visto che alcuni studiosi si concentrano più sulla valenza sociale dell’organizzazione criminale, cioè ribadiscono il fatto che un’organizzazione di tal genere esiste fintantoché è percepita dalla società come potente, pericolosa e in qualche modo legittima. Altri si concentrano sul potere economico del crimine organizzato. Altri ancora sui collegamenti con l’apparato politico. Il comportamento delle autorità legittime nei confronti del crimine organizzato si mostra di volta in volta differente, passando da un più o meno tacito appoggio, tanto da far parlare di criminalizzazione di stato21, ad una violenta repressione, talvolta ancora più deleteria. Con riferimento a quest’ultimo caso, sembra importante citare l’interpretazione con cui il libro Transnational organized crime, business or usual? tratta l’argomento, ovvero che il crimine nasce laddove il potere politico gli lascia spazio. Questo può avvenire secondo vari gradi, da un semplice e sterile proibizionismo, che lascia al crimine intere zone di attività di mercato, ad una vera e propria collusione tra i due. Secondo Luphsa vi sono tre gradi o stage nelle relazioni Stato-crimine organizzato22. La prima fase è quella predatoria, dove la violenza criminale è per lo più in funzione difensiva e si insinua solo laddove l’apparato statale è vulnerabile. La seconda fase è quella parassitaria, dove l’attività criminale comincia ad infiltrarsi e a manipolare il sistema politico attraverso il rifornimento di beni e servizi illegali o alternativi. L’ultima fase è quella simbiotica, dove si crea appunto una mutua dipendenza tra crimine, politica ed economia. Lo Stato, dunque, regge le redini del suo rapporto con il crimine.

Sempre sul tema della collusione tra Stato e Mafia Pavone va oltre, con un’analisi molto dura del nuovo ruolo assunto dallo Stato e dalle istituzione, passate da protettori del mercato e dell’economia contro i criminali, a principali sostenitori di questi ultimi: «Il ruolo dello Stato e delle Istituzioni – egli scrive - è sempre stato quello di proteggere l'economia ed il mercato dalla criminalità. Tuttavia, da qualche decennio, nelle economie del mondo più ricco e sviluppato, dei capitali, dei mercati mondiali e della globalizzazione, in cui l'economia viaggia ormai su internet, non è più così. Questa antica dicotomia si è trasformata in sintonia e lo Stato e le istituzioni ne garantiscono il

21 Ivi, p. 8.

22 M. Berdal, M. Serrano, Transnational Organized Crime and International Security. Business or

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13 funzionamento dando piena libertà alla finanza ed alle nuove tecnologie che sono divenute gli strumenti del nuovo dominio nelle mani di una nuova alleanza tra governi cosidetti "canaglia", mafie transnazionali e banche, specie per quanto concerne il finanziamento del nuovo e rilevante fenomeno del terrorismo internazionale23». Pavone denuncia non solo gli Stati, ma anche le banche mondiali e nazionali che, alla stregua degli stessi criminali, traggono profitti dalle attività illegali, protette dalle giurisdizioni, in un connubio finale esplosivo: «Le grandi banche internazionali, che operano sul mercato dei capitali e delle transazioni mondiali, non si sono mai chieste in alcun modo da dove provengano quei soldi in base al principio, generalmente diffuso a tutti i livelli ed in tutto il mondo, secondo il quale "pecunia non olet ". Le istituzioni nazionali preposte al controllo delle attività delle banche per lungo tempo sono state troppo impegnate a parlare di "etica e finanza" per accorgersi di questi traffici. Lo "stato del mondo" oggi è, quindi, molto grave nella misura in cui occorre porre dei rimedi ad una situazione di crescente sviluppo di una criminalità diversa dal consueto, non percepibile se non agli addetti ai lavori, che sfugge ai modelli tradizionali ma che aspira, tuttavia, a controllare i traffici economici globali indirizzando i lucrosi proventi di tale attività per finanziare altri traffici illeciti in una spirale crescente e negativa per l'economia contemporanea che si avvia alla globalizzazione24».

Il quadro dipinto da Pavone è forse troppo pessimistico, ma focalizza l’attenzione su dati di realtà davvero drammatici. Prospettive di questo genere inducono ad abbandonare ogni preconcetto teorico di rappresentare il mondo del crimine organizzato come contrapposto a quello democratico, dato che il confine tra lecito e illecito nell’esercizio del potere e nelle stesse regole sociali è spesso estremamente permeabile25.

23 M. Pavone, La definizione del crimine transnazionale, op. cit. 24 Ibidem.

25 J. L. Briquet, G. Favarel-Garrigues, Organized Crime and Politics. The hidden face of Politics, New

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3. Definizioni: mafia, criminalità organizzata e criminalità organizzata

transnazionale

Il crimine organizzato è oggi saltato alla ribalta come una delle principali minacce all’ordine nazionale e mondiale. Ma quando si tratta di definire concretamente questa minaccia i punti d’accordo vengono meno. Il quadro si complica ulteriormente quando si parla di crimine organizzato transnazionale (TOC). Il TOC resta un argomento vago, di cui si conosce poco e sulla cui definizione non vi è accordo tra i paesi. Molti accademici, giornalisti, politici e ufficiali militari definiscono il crimine organizzato una minaccia che si espande all’ombra della globalizzazione e che avanza sulla ritirata degli Stati. Ma questo è sicuramente riduttivo.

Il termine criminalità organizzata è piuttosto recente: coniato negli USA tra gli anni ‘60 e ‘70, non è stato usato in Europa fino al 1980. La comunità scientifica, sia in America che in Europa, è divisa tra chi, da un lato, pensa al crimine organizzato come a un insieme di attività criminalizzate, e chi, dall’altro, come a un insieme di individui coinvolti in attività criminose. I primi identificano il crimine organizzato con la nozione di “rifornimento di beni e servizi illegali”, focalizzandosi sullo scopo dell’organizzazione, mentre i secondi si concentrano sulla struttura del gruppo criminale, un’organizzazione primaria identificata in una ben specifica collettività con divisione del lavoro tra i suoi membri e che si occupa in maniera permanente della conduzione di attività criminali26. Fino agli anni Ottanta la Criminalità organizzata si identificava quasi esclusivamente con la mafia italiana prima e italo-americana poi, ma successivamente si capì che questa era solo una delle tante sfaccettature del fenomeno.

Dal 1990 è stata enfatizzata anche la dimensione transnazionale del fenomeno e dal 2001 il concetto è stato spesso sovrapposto e confuso con quello di terrorismo. Per arrivare ad una qualsiasi definizione di TOC, che è quello che ci interessa, non possiamo tralasciare di menzionare quei concetti dai quali ha preso le mosse, e con i quali oggi è spesso accostato, se non confuso.

Il punto di partenza del crimine transnazionale sono le mafie locali. E il punto di partenza per la definizione delle mafie non può che prendere spunto dall’esperienza italiana. Cos’è la mafia? Secondo quanto afferma Pietro Grasso in un’intervista su

26J. L. Briquet, G. Favarel-Garrigues, Organized Crime and Politics. The hidden face of Politics, op. cit.,

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15 Limes, la mafia è «un’associazione criminale che, oltre al profitto, persegue il controllo del territorio» e l’instaurazione di una forma di potere durevole, «mediante l’intimidazione e la collusione con la politica e l’economia»27. L’infiltrazione nel tessuto economico, sociale, politico e istituzionale è totale, tale da rendere superfluo l’uso aperto della violenza. Questa è la definizione più comune, specie in merito all’esperienza mafiosa italiana nel Sud Italia. In generale le mafie possono essere identificate come strutture gerarchiche basate sull’accettazione di determinate regole e sull’adozione di particolari segnali di riconoscimento, le cui azioni sono volte alla massimizzazione del profitto in settori illegali, o anche legali, ma con metodi illegali. Gli strumenti usati sono la coercizione, la corruzione, ma più spesso basta anche solo l’intimidazione. Sono organizzazioni connesse al potere statale, che talvolta le appoggia in cambio di collaborazione28.

Secondo Joseph Albini la mafia è più di una semplice organizzazione di delinquenti, è un sistema di “patron-client relationship” che affonda profondamente le radici nella società in cui si sviluppa, quella siciliana29. E’ una sorta di cultura indigena, che è stata poi esportata in America dai migranti siciliani. «In realtà – continua Pietro Grasso - nel mondo ci sono molte organizzazioni che presentano analogie con le mafie italiane, accomunate da alcuni fattori: ampia disponibilità di denaro, struttura gerarchica e consolidata, pratica della corruzione come metodo di acquisizione del potere»30. Tuttavia, spesso mancano dell’elemento della territorialità. Questa è propriamente la differenza tra mafie e crimine organizzato. Nelle prime l’elemento nazionale è imprescindibile fonte di potere. Nel secondo no, e questo permette ai criminali di spaziare e aprirsi a più ampi scenari internazionali, mossi da maggiori possibilità di profitto31. Ecco come il crimine organizzato si evolve in crimine organizzato transnazionale.

Il crimine organizzato è senza dubbio un serio pericolo per le società. Le criminalità organizzate assumono il controllo di enormi ricchezze, capitali e mantengono stretti legami con il mondo degli affari, dell’economia e, a determinati

27, L. Caracciolo, F. Maronta, Intervista a Pietro Grasso, Alla riconquista delle terre di mafia, in Limes, Il

circuito delle Mafie, op. cit., p. 5.

28

F.Allum, S.Gilmour, Routledge handbook of Transnational Organized Crime, op.cit. p. 4.

29 J. Albini, The American Mafia: Genesis of a Legend, New York, op. cit., p.135.

30 L. Caracciolo, F. Maronta, Intervista a Pietro Grasso, Alla riconquista delle terre di mafia, in “Limes”,

Il circuito delle Mafie, op. cit., p.5.

31

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16 livelli, anche con il mondo della politica32. Secondo Abandisky33 il crimine organizzato si compone di diverse caratteristiche: è non ideologico, gerarchico, usa violenza e corruzione, dimostra una specializzazione o divisione del lavoro, è monopolistico ed è governato da particolari regole e leggi. Esiste un generale consenso su queste caratteristiche, anche se ogni nazione definisce il problema in maniera diversa, secondo la propria storia, cultura ed esperienza. La più comune definizione di criminalità organizzata riflette il dibattito non solo tra vari punti di vista nazionali, ma anche tra criminologi e sociologi, i quali, di volta in volta, riconoscono il crimine organizzato come una forma d’impresa d’affari, o come una serie di attività illecite.

Gli affari criminali si sviluppano ed esistono a certe condizioni34: se esiste una domanda di beni e servizi illegali; se non è pienamente soddisfatta la domanda di beni legali (come nella precedente Unione Sovietica); se esistono un alto livello di disoccupazione e altre fonti di esclusione, tali da fornire le basi per una devianza sociale; se i funzionari burocratici e di polizia non sono adeguatamente formati e retribuiti. A queste condizioni gli autori Cyrille Fijnaut e Letizia Paoli aggiungono altri due elementi perché si possa parlare di criminal business activity: la presenza effettiva di organizzazioni e la capacità di tali organizzazioni di influenzare i processi decisionali del governo. Ecco come Fijnaut e Paoli definiscono il crimine organizzato: «Organised crime is the functioning of stable, hierarchical associations, engaged in crime as a form of business, and setting up a system of protection against public control by means of corruption»35.

Un’interessante differenza è quella tra l’enfasi nella definizione data dall’Unione Europea e quella americana, in particolare dell’FBI36. Il parlamento europeo, in maniera piuttosto formale, definisce il crimine organizzato «una strutturata associazione, stabilita per un certo periodo di tempo, di più di due persone che agiscono in concerto con l’intenzione di commettere crimini che sono punibili con la privazione della libertà o con un ordine detentivo di un minimo di 4 anni o con una pena più severa, per ottenere, direttamente o indirettamente, benefici finanziari o di altra entità materiale»37. La definizione dell’FBI invece è: «qualsiasi gruppo con una struttura in qualsivoglia

32 C. Fijnaut, L. Paoli, Organised Crime in Europe, concepts, patterns and control policies in the

European Union and beyond, op.cit., p. 35.

33

F. Allum, S. Gilmour, Routledge handbook of Transnational Organized Crime, op.cit., p.36

34 Ibidem. 35 Ivi, p. 37. 36 Ibidem. 37

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17 maniera formalizzata, e il cui primario obiettivo è di ottenere denaro attraverso attività illegali. Questi gruppi mantengono la loro posizione attraverso l’uso di attuale o minacciata violenza, corruzione dei pubblici ufficiali, estorsione, ed hanno in genere un impatto significativo sulle popolazioni delle loro località, regioni o dell’intera nazione»38.

Anche le organizzazioni internazionali hanno tentato di definire il concetto, sebbene i risultati spesso non siano stati particolarmente chiarificatori. Nel 2000 le Nazioni Unite hanno elaborato una definizione che appare accettata su scala mondiale: «Organised crime group shall mean a structured group of three or more persons, existing for a period of time and acting in concert with the aim of committing one or more serious crimes or offences established in accordance with this convention, in order to obtain directly or indirectly, financial or other material benefits»39. Questa definzione, che si ritrova nella Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine Organizzato Transnazionale, era piuttosto vaga, in quanto veniva definito un minimo comune denominatore, ma nessun stringente criterio in termini di numero di membri e di caratteristiche della struttura dell’organizzazione. Il termine “structured group” viene inteso in senso ampio, in modo da includere gruppi con differenti strutture, gerarchizzate o meno, dove non necessariamente i ruoli dei vari membri debbano essere formalmente definiti.

Una definizione più scientifica è stata fornita nel Regno Unito dal NCIS (National Criminal Intelligence Service) nel suo report annuale del 200040 . Un gruppo criminale organizzato è un’associazione che soddisfa i seguenti criteri: deve contenere minimo tre persone; essi devono essere coinvolti in attività criminali in maniera prolungata; i membri devono essere motivati da ragioni di profitto o di potere; essi devono commettere serie offese criminali. Quella inglese è una definizione

“market-oriented”, o “enterprenuerial” 41, cioè volta ad analizzare l’aspetto economico del problema. Il NCIS ha concettualizzato il crimine organizzato focalizzandosi sulla sua funzione di fornire beni e servizi illeciti, creando una struttura criminale tale da facilitare la messa in atto di altri crimini seri.

38 F. Allum, S.Gilmour, Routledge handbook of Transnational Organized Crime, op.cit., p. 38. 39

C. Fijnaut, L. Paoli, Organised Crime in Europe, concepts, patterns and control policies in the

European Union and beyond, op.cit., p. 38.

40 C. Fijnaut, L. Paoli, Organised Crime in Europe, concepts, patterns and control policies in the

European Union and beyond, op.cit., pp. 36-37.

41

(18)

18 L’articolo di Shelling, What is the business of organized crime?42, invece

contraddice l’idea che il cuore dell’attività del crimine organizzato sia il rifornimento di beni e servizi illeciti e sposta l’attenzione sul tema dell’estorsione, della protezione e del consolidamento di un’«esclusiva autorità governativa nel mondo sommerso». Costruita sulla tesi di Shelling è la teoria di molti studiosi secondo cui al centro della definizione di crimine organizzato ci sia la protezione e il controllo geografico e funzionale di un determinato territorio.

Cosa però distingue maggiormente la criminalità ordinaria dal crimine organizzato è in primo luogo la minaccia dell’uso della violenza e della corruzione. In secondo luogo è la partecipazione in attività all’interno di mercati illegali, e quindi la costruzione di un “crimine d’impresa”43. Infine abbiamo il problema della coercizione, o protezione, che risulta imprescindibile dagli altri. In definitiva ciò che rende peculiare il crimine organizzato è la simbiotica relazione tra tutti questi elementi, che crea una vera e propria struttura di governance, all’interno della quale convivono fianco a fianco elementi di business legale ed illegale44.

3.1 Criminalità Organizzata Transnazionale (TOC)

Osservando le definizioni fino a qui elencate si nota come non ne esista una legale e specifica. La cosa più evidente è l’enorme distanza tra i toni drammatici dei riferimenti generali e la vaghezza delle definizioni ufficiali fornite dalle organizzazioni internazionali, e questa esiste anche e soprattutto nella definizione di criminalità organizzata transnazionale. Il concetto di crimine organizzato venne ufficialmente riconosciuto negli anni ‘70, ma si deve aspettare oltre vent’anni perché si cominci a parlare di crimine organizzato transnazionale.

Un’importante svolta si è avuta durante la Conferenza ministeriale mondiale sul Crimine Organizzato Transnazionale, tenutasi a Napoli nel novembre 1994, alla quale parteciparono i rappresentanti di 142 nazioni. In questa occasione venne promulgata la

42 T. Shelling, What is the business of organized crime?, in “The American Scholar”, Vol. 40 n. 4, 1971,

The Phi Beta Kappa Society, pp. 643-652.

43 Ibidem. 44

(19)

19 “Dichiarazione politica di Napoli” e il “Piano di azione Globale contro il Crimine Organizzato Transnazionale”, che, per la prima volta, usò espressamente il termine

criminalità organizzata transnazionale45, ma senza darne una spiegazione effettiva. Nel 2000 vi fu la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, secondo le predisposizioni sancite a Napoli nel 1994, che divenne effettiva nel 2003. Anche in questo caso la definizione di TOC era piuttosto vaga. L’Art. 3 della Convenzione ONU di Palermo del 2000 sulla criminalità organizzata transnazionale dichiara che un reato è a carattere transnazionale se è commesso: in più di uno Stato; in uno Stato, ma la parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione e controllo ha luogo in un altro Stato; in uno Stato ma con la partecipazione di un gruppo criminale organizzato che svolge attività criminali in più di uno Stato; in uno Stato ma le sue sostanziali conseguenze hanno effetto in un altro Stato.

Per quanto riguarda l’Unione Europea, il primo documento programmatico che si riferisce al crimine organizzato, nazionale e transnazionale, è il “Piano d’azione per combattere il crimine organizzato”, adottato dal Consiglio dell’Unione Europea il 28 aprile del 1997. In quella occasione il crimine organizzato veniva definito come una nuova minaccia per la società civile, in quanto il comportamento criminale non era più visto come prerogativa degli individui ma di intere organizzazioni: «Organised crime is increasingly becoming a threat to society as we know it and want to preserve it. Criminal behavior no longer is the domain of individuals only, but also of organizations that pervade the various structures of civil society, and indeed society as a whole»46.

Le definizioni ufficiali di crimine transnazionale e reato transnazionale da parte delle istituzioni internazionali sono vaghe e lasciano troppo spazio all’interpretazione. Per aiutarci a capire cosa esso effettivamente sia e quale sia la sua differenza rispetto al comune crimine organizzato potrebbero essere utili le definizioni fornite da alcuni esperti in materia. Interessante è, per esempio, l’esposizione di Savona: «L’elemento che contribuisce a differenziare la criminalità transnazionale da quella nazionale risiede proprio nel fatto che la prima viola le leggi penali di diverse giurisdizioni mentre la seconda si limita a violare la legislazione penale di un singolo Stato. Reati quali il riciclaggio di denaro sporco, il traffico illegale di armi e narcotici, la pirateria marina ed

45C. Fijnaut, L. Paoli, Organised Crime in Europe, concepts, patterns and control policies in the

European Union and beyond, op.cit., p. 38.

46

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20 i reati ambientali costituiscono solo alcuni esempi di attività illecite poste in essere dai gruppi di criminalità transnazionale, mentre il furto e la rapina sono due esempi di reati compiuti da gruppi criminali che operano in un mercato nazionale47». I punti centrali di una simile definizione sono due: la violazione di almeno due giurisdizioni diverse e l’organizzazione del gruppo criminale. I due attributi “transnazionale” e “organizzata” sono strettamente correlati, dal momento che, oltrepassare i confini di uno Stato con l’intento di violarne le leggi e limitare i rischi di essere catturati, necessariamente implica una forma di organizzazione piuttosto strutturata. Quest’organizzazione deve comprendere networks, conoscenze, tecnologie, flessibilità48. Nel suo saggio Savona evidenzia anche un’altra importante differenza, ossia quella tra criminalità transnazionale e imprese legittime. Secondo l’autore si tratta di un confine non sempre ben definito, dato che spesso le attività svolte dall’una e dalle altre non è poi così diversa: «Ad esempio - scrive Savona - sia la Federal Express americana che il cartello colombiano di Medelin sono interessati a stimolare e sviluppare il commercio nei rispettivi paesi investendo risorse umane, capitali e sfruttando le economie di scala. La differenza fondamentale, tuttavia, sta nel giudizio sul modo di agire delle due diverse organizzazioni, poiché un giudizio di illegittimità accresce il rischio che i criminali siano interrotti nelle loro attività dalle operazioni di polizia. In poche parole, i gruppi che commettono dei reati transnazionali si configurano, sotto un certo punto di vista, semplicemente come delle organizzazioni che stanno dalla parte sbagliata della legge»49.

All’interno delle istituzioni internazionali può essere difficile trovare un accordo tra i paesi su argomenti tanto delicati, ma le legislazioni nazionali sono più esaustive nel fornire definizioni accurate. L’Italia definisce "reato transnazionale" quello punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché: sia commesso in più di uno Stato; sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; sia commesso in uno Stato, ma in esso

47

E.U. Savona, Processi di Globalizzazione e Criminalità Organizzata Transnazionale, working paper n. 29, relazione presentata al convegno: "La questione criminale nella società globale " Napoli, 10 - 12 dicembre, 1998, pp. 1-28.

48 Ibidem. 49

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21 sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato50.

4. Attività criminali

Dalle definizioni fornite sembra che crimine organizzato nazionale e transnazionale abbiano parecchi aspetti in comune, tra i quali il medesimo obiettivo di sfruttare opportunità ad alta possibilità lucrativa, ma con pochi rischi di essere puniti. Sembrano essere, in un certo senso, l’uno l’evoluzione dell’altro. Tuttavia le modalità pratiche di svolgimento delle attività illecite si differenziano notevolmente. Diversi sono, in primis, gli attori coinvolti, poi i mezzi usati, più basati sulla coercizione nel caso di crimine organizzato ordinario, più sofisticati nel crimine transnazionale. Differiscono anche le attività criminali portate avanti ed è, per finire, molto più complesso controllare e consegnare alla giustizia chi opera in una dimensione transnazionale rispetto a chi si mantiene all’interno di un unico Stato. Come scrive Adamoli, infatti, i gruppi criminali hanno imparato a sfruttare «le discrepanze legislative presenti in alcune aree geografiche e si sono diffusi nei settori dove il rischio di essere arrestati e pesantemente giudicati è relativamente basso, specialmente comparato alle attrattive economiche in ritorno».51 Sempre a questo proposito, Savona scrive: «di difficile attuazione appare il controllo delle Mafie internazionali che seguono percorsi diversi, dissimulano le proprie attività nei c.d. "paradisi fiscali", riciclano i capitali, acquistano direttamente o indirettamente sul mercato globale beni e servizi ma anche droga ed organi, si trasformano continuamente e così sfuggono a qualsiasi controllo [...]. E' stato pure accertato dalle Polizie internazionali che il grande contrabbando di sigarette e di droga per decine e centinaia di miliardi di dollari viene da

50 Il Parlamento Italiano ha ratificato la Convenzione Onu sul crimine organizzato transnazionale con la

legge n. 146, del 16/03/2006.

51 S. Adamoli, A. Di Nicola, E. U. Savona, P. Zoffi, Organised Crime around the World, Tampere

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22 sempre gestito da un'alleanza tra criminalità transnazionale, mafie internazionali e banche servendosi degli Stati cuscinetto»52.

In generale le operazioni principali delle associazioni criminali possono essere definite come attività di commercio in mercati illegali, le quali necessitano di particolari precondizioni per essere avviate, prima fra tutte la mancanza di una normativa statale al riguardo. In questo modo i “clienti” non hanno la possibilità di potersi rivolgere a corti nazionali o internazionali per la tutela dei loro diritti. L’unico metodo per mantenere l’ordine e risolvere eventuali conflitti tra compratori, “impiegati” e organizzazioni concorrenti è la violenza e l’intimidazione. Un’altra importante condizione perchè si sviluppi un commercio illegale è la presenza di meccanismi efficaci di protezione e difesa dei membri delle associazioni criminali contro il rischio costante di incriminazione e arresto, tramite tecnologie, reti informative e limiti d’accesso alle organizzazioni. O ancora, tramite la corruzione di membri dell’apparato politico o delle forze di polizia. La corruzione è essa stessa un mezzo ricorrente per le associazioni criminali transnazionali, non solo per proteggersi da eventuali rischi, ma per raggiungere obiettivi come l’attraversamento dei confini di beni e persone. I mercati illegali sono in genere monopolistici: la competizione non giova alle organizzazioni criminali in quanto abbassa il prezzo e disperde la domanda. Spesso, tuttavia, accade che le attività illegali siano in competizione con quelle legali. In questi casi, un mezzo frequentemente usato per coprire i disavanzi dovuti ai mancati profitti è l’estorsione. La domanda dei consumatori è però la motivazione più importante dell’esistenza dei mercati illegali, dato che senza di essa non ci sarebbe l’offerta. Il mercato illegale emerge con l’intento di creare profitti a medio e lungo termine, e quindi in quei settori dove vi è una domanda crescente, ma una scarsa o addirittura inesistente offerta.

Nel caso di attività criminali transnazionali, a queste condizioni va aggiunta la presenza di movimenti oltre i confini statali. Tali spostamenti possono riguardare i criminali stessi, i beni che illegalmente commerciano, animali, persone, denaro, o anche informazioni. I movimenti possono essere uni o bi-direzionali. Esistono, quindi, diversi gradi di trans-nazionalità53.

I criminali transnazionali non valicano liberamente i confini nazionali, ma questi, siano essi politici, legali, culturali o linguistici, pongono serie sfide per il crimine. Per prima cosa è difficile raggiungere una certa consapevolezza delle

52 M. Pavone, La definizione del crimine transnazionale, op.cit. 53

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23 opportunità che ci sono al di là del confine. In genere si possono reperire tali informazioni con reti di conoscenze ed è quello che più spesso accade, visto che i criminali si impiantano dove hanno contatti; ma non mancano casi di organizzazioni che hanno superato i limiti linguistici e culturali e hanno esplorato possibilità criminose in territori meno conosciuti. La seconda sfida è quella di superare il confine nazionale e di operare nel contesto di una nazione diversa. Infine la terza è quella di gestire affari dislocati su grandi distanze geografiche. La situazione è tanto più complessa se si pensa a come, in questi ultimi decenni, i confini geografici siano aumentati, a seguito della dissoluzione dell’URSS e della Jugoslavia e della conseguente nascita di 22 stati indipendenti. Inoltre, la permeabilità dei confini è diminuita, specie a seguito dell’esplosione di fenomeni come il terrorismo e la migrazione illegale. I controlli tra l’Unione Europea e i suoi vicini dell’Est si sono rafforzati.

Le Nazioni Unite hanno identificato 18 fattispecie di crimini transnazionali5455. Ma vediamo nel dettaglio quali sono in pratica le attività criminali portate avanti da questi gruppi organizzati in Europa, con particolare riferimento all’area orientale.

4.1 Schiavitù e traffico di esseri umani

Il traffico di esseri umani oggi genera incredibili profitti per i gruppi criminali e, secondo alcuni, ad esempio Moises Naim, è il mercato illegale in più veloce espansione56. Il Protocollo delle Nazioni Unite contro il traffico di migranti via terra, mare e aria, definisce così il traffico umano: «Human smuggling is the procurement, in order to obtain directly or indirectly, a financial or other material benefit, of the illegal entry of a person into a State party of which the person is not a National or permanent resident»57. Le cause principali di questo incremento esponenziale sono dovute

54

Tra queste le più importanti per diffusione e conseguenze economiche, sociali e politiche sono riciclaggio di denaro, traffico illecito di armi, pirateria, cyber crime, crimini ambientali, traffico di esseri umani o di organi, traffico di droga e corruzione. All’interno di questa lista è compreso anche il terrorismo internazionale, anche se, secondo molti studiosi, è un crimine di tutt’altra entità e con scopi ben diversi.

55 M. P. Roth, Global Organized Crime, a Reference Handbook, Santa Barbara (California), ABC Clio,

2010, p. 12.

56 Ivi, p. 18. 57

(24)

24 principalmente al rafforzamento delle misure di sicurezza e controllo ai confini. Questo ha spinto una gran parte di migranti nelle mani dei trafficanti. «For many people – scrive Schloenhardt - traffickers have become the only available avenue to escape persecution, poverty and unemployment. It is a sad reality that potential migrants have come to accept offers by criminal traffickers, even though the price they have to pay for the services can often include long-term debt, liberty or even their lives»58. Sempre second Andreas Schloenhardt esistono tre cause principali alla base del successo di questa attività criminale: la crescente domanda di migrazione internazionale; le restrizioni sulle migrazioni legali imposte da molti paesi industrializzati; il rischio relativamente basso di detenzione rispetto ad altri mercati illegali.

La migrazione illegale non è l’unico risvolto del traffico di esseri umani: le operazioni di polizia hanno spesso portato allo scoperto il fatto che alcune donne erano poi costrette a prostituirsi dai criminali, con la scusa di dover ripagare il viaggio o sotto la minaccia di subire ritorsioni direttamente o di farle subire alle famiglie in patria.

Perché diventi un’attività longeva il traffico di esseri umani richiede una struttura organizzativa molto sviluppata e individui specializzati. Queste operazioni illegali, infatti, non si riferiscono solo alla fase del trasporto, ma ai migranti vengono forniti anche supporto logistico, informazioni dettagliate e, talvolta, documenti di viaggio contraffatti59. Nel caso in cui il traffico evolva in sfruttamento e schiavitù, i criminali forniscono anche vitto e alloggio alle vittime. Questo mercato illegale in Europa ha avuto il suo picco dopo la caduta del muro di Berlino e la conseguente apertura dei confini Est-Ovest. Un'altra ondata migratoria illegale si è avuta dopo lo sfaldamento della Jugoslavia: crisi economica, inflazione e disoccupazione hanno dato il via ad un trend inarrestabile 60.

Nel 2005 è stata adottata a Varsavia la “Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di esseri umani”. Questa opera una chiara distinzione tra human

smuggling e traffiking61, utilizzando come discriminante il livello di coercizione. Nel caso di smuggling l’attività illegale si limita in genere al trasporto dei migranti oltre i confini di uno Stato straniero dietro un compenso, il più delle volte anticipato e che raggiunge cifre esose62. Quindi, non c’è necessità di ulteriori contatti tra utente e

58

A. Schloenhardt, Organized crime and the business of migrant trafficking, op. cit., p. 203.

59 M. P. Roth, Global Organized Crime, a Reference Handbook, op. cit., p. 19. 60 Ivi, p. 358.

61 Ivi, p. 20. 62

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25 fornitore del servizio. Il “traffico”, invece, comprende le attività di sfruttamento successivo all’arrivo dei migranti in terra straniera, ossia lavoro forzato e sfruttamento sessuale.

La definizione delle Nazioni Unite, invece, non fa differenze fra traffico e sfruttamento: «Trafficking in persons shall mean the recruitment, transportation, transfer, harbouring or receipt of persons, by means of the threat or use of force or other forms of coercion, of abduction, of fraud, of deception, of the abuse of power or of a position of vulnerability or of receiving of payments or benefits to achieve the consent of a person having control over another person, for the purpose of exploitation»63.

Questo mercato disumano di schiavi non risparmia neanche i bambini: l’Unicef ha stimato che almeno 2 milioni sono i bambini nel mondo vittime della prostituzione. Una NGO svedese fondata nel 2001 ha calcolato che circa 500 mila donne sono vittime del traffico di persone nei paesi dell’Unione Europea64. Questa schiavitù moderna, che qualcuno ha comparato alla schiavitù dei popoli africani per numeri e crudeltà, è ancora più raccapricciante in un mondo in cui l’evoluzione della democrazia e la cultura dovrebbero aver raggiunto la loro vetta.

4.2 Traffico di droga e armi

La produzione e il consumo di droga sono aumentate in maniera esponenziale dalla fine degli anni ‘60, favoriti da globalizzazione, sviluppo del commercio mondiale e miglioramento di mezzi di trasporto e comunicazione.65 L’aumento della domanda da parte delle nazioni sviluppate e la costante ricerca di fonti di sostentamento economico da parte di quelle meno sviluppate hanno allettato parecchi gruppi criminali, che hanno fatto del traffico di droga la prima e più redditizia delle loro attività. Lo sviluppo di questo mercato è stato la conseguenza diretta del regime proibizionista che ha avuto come input la “War on drugs”, dichiarata nel 1971 da Richard Nixon66. La “Guerra alla Droga”, evidentemente, è stata persa, visto che non ne ha bloccato il consumo, ma

63 Ivi, p. 44. 64 Ibidem.

65 P. C. van Duyne, Organized Crime in Europe, op. cit., p. 24. 66

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26 semmai ha creato un’area grigia in cui i criminali possono spaziare in maniera più agevole di prima. In aggiunta a ciò il dispendio in termini monetari di questa guerra proibizionista è stato enorme.

La prima reazione all’apertura ad Est dei confini dell’Unione Europea è stata di preoccupazione da parte di molti governi, che temevano un più agevole scambio di droga e informazioni tra i gruppi criminali europei. Ma, come sottolinea anche Petrus van Duyne, i trafficanti di droga non sono mai stati limitati dalle barriere geografiche: la storia insegna che l’unica conseguenza di controlli rigidi alle dogane è l’aumento dei prezzi di mercato della droga67.

Relativamente all’Europa il mercato dell’eroina è quello con la domanda più alta e la produzione avviene per lo più in Afghanistan, mentre la distribuzione coinvolge gruppi criminali dell’Albania, della Serbia e della Turchia68. Secondo una statistica dell’Interpol circa il 75% dell’eroina arrivata in Europa durante gli anni del crollo del muro di Berlino era fatta circolare da gruppi criminali turchi attraverso la cosiddetta “Balkan Route”69. Questo è dovuto soprattutto alla collocazione geografica della Turchia, ponte d’accesso per l’Europa dell’Est. Dalla Turchia il carico arrivava in Albania, Grecia e Italia e da lì veniva smistato in tutta Europa. Il sito della Camera dei Deputati italiana riporta alcuni dati particolarmente esplicativi: «Molto spesso l'eroina (con elevatissimo grado di purezza) giunge in Italia direttamente dalla Turchia attraverso paesi dell'Europa orientale ovvero attraverso l'Albania o i paesi dell'ex-Jugoslavia, e poi viene immessa sul mercato italiano dopo la ripartizione tra le diverse consorterie interessate. In genere, l'eroina viene introdotta tramite trasporto su strada se proveniente dai Paesi dell'Europa dell'Est ovvero, attraverso imbarcazioni se proveniente dai Paesi Balcanici. […] Il totale dei sequestri mondiali di oppiacei nel 2005 ha raggiunto la cifra record di 125 tonnellate (+3% rispetto al 2004), il 19% delle quali (equivalenti almeno a 24 tonnellate di eroina) intercettate in Europa, dove le tendenze di consumo dell'eroina appaiono in sostanziale stabilità. Almeno 15 tonnellate di eroina sono state sequestrate nell'Europa sud-orientale e ciò conferma la centralità della Rotta balcanica, raggiunta soprattutto attraverso la Turchia (che continua a

67

P. C. van Duyne, Organized Crime in Europe, op. cit., p.24.

68 H. C. Carrapico, The European Union and Organized crime: the securitization of organized crime and

its embedment in the construction of a risk-based security policy, European University Institute, Firenze,

2010, p. 49.

69

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27 registrare, dal 1987, i più consistenti sequestri) e gli Stati caucasici, nei flussi di narcotico. Il principale destinatario europeo dell'eroina è il Regno Unito70».

Negli ultimi decenni si sono sviluppate nuove rotte per il trasporto dell’eroina, in particolare dalla Polonia. La causa di questo slittamento, e dell’apertura di nuovi ponti d’accesso, è un cambiamento nelle dinamiche interne al mercato della droga e nello stesso scenario del sud-est Europa. Per quanto riguarda il primo punto bisogna considerare l’emergere di gruppi criminali africani, mentre per il secondo basta ricordare che, anche in seguito all’allargamento ad Est dell’Unione Europea, il consumo di droghe è sempre più severamente controllato e punito anche in questi paesi71. Il traffico di cocaina, invece, è garantito per lo più da gruppi criminali colombiani che sfruttano la Spagna e la Turchia come punti d’accesso per il mercato europeo72. Tuttavia la droga più comune e diffusa in Europa è la cannabis. Il motivo per il quale la sua domanda non raggiunge i livelli dell’eroina è dovuto al fatto che si è sviluppata una produzione interna all’Unione Europea. Sulle droghe sintetiche mancano report dettagliati ma l’Europol, nel 2006, ha espresso la sua preoccupazione in merito, avvertendo che dovrebbero diventare una priorità per l’Unione Europea.73

Un’altra attività criminale dalle pericolose conseguenze è il traffico di armi. La causa principale alla base dell’esistenza di questo mercato è l’espansione di conflitti etnici e regionali dalla fine del 198074. Anche questa attività, come le altre, richiede un alto grado di organizzazione e complicità al di fuori dei confini nazionali. Dopo il crollo del muro di Berlino questa forma di commercio è diventata più “enterpreneurial”, guidata non più da schemi ideologici, ma da puri interessi economici. Non appena l’arsenale dell’ex URSS cadde nelle mani delle ex Repubbliche Sovietiche la situazione divenne esplosiva, combinata anche con la porosità dei confini e il crollo dell’economia. L’Ucraina ne approfittò più delle altre e divenne il centro del mercato internazionale di armi75. In Europa questa attività criminale ha riguardato da vicino anche i Balcani, in particolare la Jugoslavia e l’Albania. La firma degli accordi di pace di Dayton nel 1995, che conclusero la guerra tra Serbia e Bosnia, fu seguita da un incremento del traffico di armi, fomentato anche da ex membri dell’esercito che, improvvisamente, si ritrovarono

70

Dati reperibili dal sito della Camera dei Deputati italiana, Commissione parlamentare antimafia, www.camera.it.

71 P. C. van Duyne, Organized Crime in Europe, op. cit., p. 95. 72

H. C. Carrapico, The European Union and Organized crime: the securitization of organized crime and

its embedment in the construction of a risk-based security policy, op. cit., p. 49.

73 Ivi, p. 50.

74 M. P. Roth, Global Organized Crime, a Reference Handbook, op. cit., p. 27. 75

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28 senza occupazione. Il successo di questa attività criminale, tuttavia, non sarebbe stato possibile senza l’intervento di alcune istituzioni nazionali o comunque di individui in grado di influenzare le vicende politiche di questi Stati76. Secondo i report dell’Unione Europea, questo mercato si è effettivamente ridotto negli ultimi quindici anni. Un discorso a parte merita il traffico di armi nucleari, biologiche e chimiche, anche questo proveniente in larga parte dai paesi dell’ex Unione Sovietica e che tutt’ora preoccupa i governi europei.77

4.3 Cyber crime e frodi finanziarie

L’uso quotidiano di tecnologie di comunicazione sempre più evolute è un aspetto molto importante del crimine moderno. La rete di connessione mondiale rende possibili molte attività che prima non esistevano. Questo a riprova del fatto che il crimine organizzato si evolve e si adatta come un camaleonte al nuovo mondo globale. L’espressione cyber crime si riferisce a un particolare gruppo di crimini che, per essere attuati, necessitano dell’uso di computer e networks. Tuttavia può essere riferita anche a tradizionali attività criminali, perpetrate con più facilità grazie ai recenti potenti mezzi di informazione e comunicazione78.

Il Consiglio d’Europa ha definito il cyber crime come «a criminal activity including offences against computer data and systems, computer related offences, content offences and copyright offences»79. All’interno di questo variegato genere convivono quindi tre tipi di crimini: crimini contro gli individui, crimini contro la proprietà e crimini contro lo Stato80. Il cyber crime è ancora poco conosciuto e non è possibile prevedere fino a che punto si possa spingere. Il web non ha confini netti e non c’è limite alle possibilità che offre.

Per crimini finanziari, invece, si intendono tutta una serie di attività criminali connesse con la frode, il riciclaggio di denaro e la contraffazione di banconote. Uno

76 Ivi, p. 358.

77 H. C. Carrapico, The European Union and Organized crime: the securitization of organized crime and

its embedment in the construction of a risk-based security policy, op. cit., p. 54.

78 Ivi, p. 52.

79 Consiglio d’Europa, Organised crime in Europe: the threat of cybercrime, Report 2004.

80 H. C. Carrapico, The European Union and Organized crime: the securitization of organized crime and

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29 degli aspetti più interessanti di questa tipologia di crimini è che spesso sono altamente correlati con i cyber crimes, visto che oggi la maggior parte delle transazioni avviene grazie alle reti informatiche. L’esempio più diretto di questo connubio è la credit card

fraud. Negli ultimi decenni i pagamenti in contanti sono stati lentamente rimpiazzati

con pagamenti tramite carte di credito. Le carte possono essere soggette a svariati tipi di frodi, la più importante delle quali è la contraffazione, che ha raggiunto il suo picco nel 200181, per poi calare lentamente a seguito delle sempre più avanzate misure di protezione delle carte messe in atto dagli Stati.

Per quanto riguarda la contraffazione di banconote in Europa possiamo affermare che, soltanto nel 2004, sono state prodotte almeno un milione di banconote false per un valore di 45 milioni di euro. I principali gruppi criminali che se ne occupavano provenivano da Kosovo, Albania, Bulgaria, Lituania, Polonia e Turchia82.

Un altro tipico crimine finanziario, particolarmente fruttuoso per i gruppi transnazionali, è il riciclaggio di denaro. Per riciclaggio di denaro “sporco” si intende quell’operazione volta appunto a “pulire” quei capitali accumulati a seguito di attività illecite. La pulizia avviene investendo quel denaro in attività lecite, in beni immobili o in attività offshore in giro per il mondo. Questo rende molto più difficile rintracciare, ed eventualmente recuperare, quei capitali. Spesso questa operazione di riciclaggio è possibile grazie alla collaborazione di banche, che si avvalgono del cosiddetto “segreto bancario”. A proposito di questo l’autore Schloenhardt scrive: «That money is mostly transferred to countries which have less stringent banking regulations or which completely lack monitoring and control mechanisms for banking. In many countries of the world the financial market is beyond the control of national law enforcement and monetary agencies»83.

Il riciclaggio di denaro ha pesanti conseguenze sull’economia non solo degli Stati, ma addirittura sull’economia globale: opera una distorsione del mercato e del ciclo economico-finanziario, falsa la concorrenza, aumenta l’instabilità, mina l’efficienza delle politiche economiche, crea squilibri tra privato e pubblico rispetto ai parametri imposti dagli Stati. E, ovviamente, questo ha anche un costo sociale, dato che

81 F. G. Madsen, Transnational organized Crime, op. cit., p. 38.

82 H. C. Carrapico, The European Union and Organized crime: the securitization of organized crime and

its embedment in the construction of a risk-based security policy, op. cit., p. 53.

83

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