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LA PERSONALIZZAZIONE DEL DANNO:

TRA ESIGENZE ETICHE E NECESSITA’ ECONOMICHE

Avv. Renato Ambrosio

Trattando della personalizzazione del danno dividerò in mio discorso in due punti:

A) Aspetto tecnico-giuridico;

B) Realtà quotidiana-aspetto pratico;

A) Sulla carta abbiamo a disposizione dei principi assolutamente condivisibili e che senza equivoci sono tali da permettere sempre un’adeguata personalizzazione del danno.

Negli anni novanta corti e dottrina hanno infatti sviluppato l’insegnamento affermato dalla Corte costituzionale in Repetto c. A.M.T. di Genova (Corte cost.

14.07.86, n.184), che a suo tempo aveva delineato due esigenze fondamentali per la liquidazione del danno biologico: 1) l’esigenza di una uniformità pecuniaria di base, e quindi del ricorso a riferimenti monetari validi per la generalità delle persone; 2) l’esigenza di elasticità e flessibilità delle liquidazioni, con l’adattamento del quantum di base all’effettiva incidenza della menomazione sulla vita quotidiana del danneggiato. In particolare, la Suprema corte, seguita sul punto pedissequamente dai giudici di merito, ha in più occasioni posto come cardine del sistema il principio generale per cui il giudice, nell’ambito di una valutazione comunque equitativa, è tenuto alla «personalizzazione» del danno, e cioè all’adeguamento dei parametri di base alle circostanze del caso concreto.

Oggi, anche in seguito all’entrata in vigore della legge 57/2001, al fine di poter compiutamente quantificare il danno biologico è sempre necessario procedere alla personalizzazione del parametro uniforme di base individuato.

Infatti la liquidazione del danno biologico per la Cassazione deve reggersi su due fasi:

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Ø prima fase → individuazione del parametro uniforme di base ed il ricorso alle tabelle giurisprudenziali costituisce invero la prassi ormai da anni consolidata. Il principio della valutazione equitativa continua comunque a mantenere il suo pieno dominio; inoltre, va debitamente tenuto conto che i valori tabellari e gli altri criteri individuati dalle corti per la quantificazione del danno biologico sono, senza ombra di dubbio, di “carattere indicativo”, e cioè non possono mai precludere l’attuazione della seconda fase;

Ø seconda fase → personalizzazione della somma base, ossia l’adeguamento dei parametri di base alle circostanze del caso concreto. Questo è un passaggio imprescindibile nella quantificazione del danno alla persona, e cioè il giudicante deve considerare tutti i pregiudizi effettivamente subiti dal danneggiato, e, nel fare ciò, non può limitarsi ad un “riferimento assolutamente generico alle «condizioni psicofisiche del soggetto”, poiché questa sarebbe una “motivazione apparente”, “in quanto non permette di individuare il percorso argomentativo che il giudice ha effettuato per giungere a tale liquidazione, sia pure nell’ambito del suo potere di liquidazione equitativa”; la personalizzazione del danno riguarda sia il danno biologico da invalidità permanente che quello da invalidità temporanea.

Succintamente, si può qui ricordare come nella personalizzazione della somma base, volendo ragionare nella prospettiva di un danno biologico comprensivo anche delle alterazioni esistenziali, andrebbero considerati i seguenti profili:

Ø età della vittima (nell’ipotesi di tabelle che non sono strutturate con riferimento anche all’età);

Ø alterazioni di tipo estetico;

Ø riflessi di ordine psichico (essi rilevano per la personalizzazione del danno anche nell’ipotesi in cui abbiano ricevuto una valutazione medico legale);

Ø pregiudizi alla sfera sessuale;

Ø impedimenti alla vita di relazione famigliare ed extra-famigliare;

Ø risvolti delle lesioni in termini di capacità lavorativa e professionalità (incidenza delle lesioni sulla capacità lavorativa, attuale e futura, della vittima;

difficoltà che la vittima incontrerà a concorrere sul mercato del lavoro; maggiore affaticamento ed usura);

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Ø incidenza delle lesioni sulla capacità di praticare attività extra-lavorative (sport, hobby e altre attività ludiche);

Ø situazioni di dipendenza da terzi (da considerarsi nel caso in cui la vittima dovrà dipendere da altre persone, quali ad esempio famigliari);

Ø altri risvolti di tipo esistenziale;

Ø danno esistenziale puro (incidenza sul bene della personalità);

Ø danno biologico futuro (aggravamenti certi o altamente probabili e loro incidenza sulla vita della vittima);

Come la Suprema corte ha posto in luce, il magistrato è tenuto a dare conto del

“percorso argomentativo” effettuato per giungere al quantum finale del danno biologico, il che significa che è quanto mai opportuno che in sentenza si dia conto dei singoli pregiudizi presi in considerazione in sede di personalizzazione, in piena conformità con il modello della valutazione analitica per voci di pregiudizio.

La recente sentenza della Corte di cassazione penale Sezione lavoro del 08.04.02 n.

5012 ha ribadito nuovamente come le tabelle elaborate all’interno degli uffici giudiziari per la liquidazione del danno biologico non rientrano nelle nozioni di fatto di comune esperienza di cui all’art. 115, comma 2°, c.p.c., né sono canonizzate in norme di diritto, appartenenti necessariamente alla conoscenza del giudice. La Cassazione, da queste constatazioni, ha quindi ribadito che il giudice che intenda utilizzare una di queste tabelle deve, per non incorrere nell’errore di omessa motivazione, “prima dare conto dei criteri indicati nelle tabelle (in termini generali e in forma concisa) e poi descriverne l’applicazione alla fattispecie concreta”, in altri termini, il Giudice è tenuto a dare atto di come ha considerato le circostanze del caso concreto, ossia della personalizzazione effettuata.

E’ da rilevarsi come le tabelle non siano tali da limitare in alcun modo il potere discrezionale del giudicante nell’effettuazione della valutazione in via equitativa.

Ciò è stato debitamente posto in luce dalla Suprema corte in due sentenze piuttosto recenti. La Cassazione Penale (sentenza n. 2050/2004) ha rilevato che, “se il sistema tabellare (peraltro diversificato nelle varie sedi giudiziarie: attualmente quello che forse trova maggior consenso è quello c.d. “a punto tabellare”, elaborato dalla giurisprudenza milanese) viene incontro all’esigenza di evitare ingiustificate

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al di fuori dell’ambito delle lesioni di lieve entità nel campo della r.c.a., siffatto sistema “non può essere considerato obbligatorio perché nessuna norma ne impone l’adozione per i danni da responsabilità aquiliana e quindi deve ritenersi ammissibile una liquidazione meramente equitativa purché il giudice abbia dato conto dei criteri equitativi seguiti nella liquidazione, questi criteri non appaiano illogici e la liquidazione non si discosti clamorosamente e immotivatamente (in più o in meno) dai criteri tabellare che costituiscono pur sempre il metodo di liquidazione che il diritto vivente adotta e privilegia”. Sulla stessa linea si è posta la Sezione III della Cassazione in Scoppa c. Clinica Stabia S.p.A. (Cass. Sez.III, 03.10.2003 n.

14767), rilevando che, “per quanto sia fortemente opportuno che [il giudice] faccia riferimento alle tabelle elaborate sulla scorta di precedenti liquidazioni, a quel riferimento non è tuttavia vincolato in difetto di previsioni normative che lo impongano”: “unico possibile parametro di riferimento ai fini del sindacato sulla motivazione è, in tali casi, quello della macroscopica inadeguatezza, per difetto o per eccesso, dell’entità della liquidazione equitativa operata dal giudice del merito”.

In breve, le tabelle sono un utile parametro di riferimento, ma il principio guida rimane quello della valutazione equitativa.

Va infine qui aggiunto che eventuali limitazioni alla personalizzazione del danno stabilite dalle corti a livello di criteri generali non possono che valere quali mere indicazioni guida finalizzate a facilitare il raggiungimento di accordi transattivi fra le parti.

In buona sostanza in tutte queste sentenze – e ne ho menzionate solo alcune - la Cassazione ancora ai giorni nostri è costretta continuamente ad intervenire per ricordare alle Corti di merito come il danno debba obbligatoriamente essere personalizzato, il che significa che spesso i giudici del merito si dimenticano della seconda fase della quantificazione del danno biologico.

B) REALTA’ QUOTIDIANA – ASPETTI PRATICI Veniamo ora agli aspetti pratici.

Come sono stati applicati i principi espressi dalla Cassazione?

L’avvocato della vittima ed il suo medico legale: sono i soggetti, che principalmente contribuiscono alla personalizzazione del danno.

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Il primo, per poter correttamente contribuire all’obbiettivo in questione, necessita di avere dimestichezza con la materia e dunque di praticare il settore con dedizione ed assiduità, in via perlomeno prevalente.

Per il legale del danneggiato, la personalizzazione del danno significa tutelare al meglio gli interessi ed i diritti del proprio assistito e quindi fare bene il proprio mestiere.

Il medico legale di parte, nonostante venga continuamente invitato ad una migliore e più attenta descrizione del danno ed alle sue ripercussioni sulle attività lavorative, extralavorative, ludiche e sportive, non sempre si impegna a fondo e le sue relazioni sono alcune volte troppo vicine a quelle del medico di Compagnia.

I medici legali più bravi sul mercato sono quasi sempre legati alle Compagnie di assicurazioni e molti nella loro qualità di medici di parte attorea oppure di C.T.U.

non sempre riescono a spogliarsi del loro ruolo di fiduciari.

A Torino, ad esempio, mancano moltissimo le figure carismatiche del Prof. Marco Valobra e del Prof. Ennio Pontrelli (fiduciari delle principali Compagnie di assicurazioni) che con animo nobile, serietà, professionalità e correttezza valutavano i danni senza distinzione di parte e senza quindi subire alcuna pressione da chicchessia.

Il Prof. Valobra ed il Prof. Pontrelli ( il Prof. Valobra è mancato qualche anno fa, ed il Prof. Pontelli ha lasciato la libera professione) erano uomini liberi ed anche nella loro veste di C.T.U. non avevano la preoccupazione di scegliere strade (se il caso lo richiedeva) in contrasto con gli interessi dei loro abituali clienti.

La Compagnia di assicurazioni, - certo più che legittimamente – valuta e gestisce il profilo della personalizzazione del danno in considerazione delle proprie esigenze economiche.

Le Compagnie in via generale sono interessate a riconoscere il diritto del danneggiato solo nella misura in cui sanno che questo sarà riconosciuto nell’eventualità di un giudizio. In altri termini, la personalizzazione è riconosciuta dalle Compagnie se e nella misura in cui è riconosciuta dalle Corti.

La personalizzazione viene, cioè, applicata solo se si traduce in un risparmio e soddisfa i calcoli di convenienza effettuati dalle compagnie.

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Se il messaggio delle corti di merito è quello di una personalizzazione a tutto campo, completa e con piena applicazione del criterio equitativo, alle Compagnie conviene considerare attentamente questo profilo.

Oggi, però, la situazione non presenta di certo particolari incentivi per un’adeguata considerazione da parte delle Assicurazioni del profilo della personalizzazione.

Nonostante la legge non impedisca al magistrato di poter procedere ad una valutazione equitativa del danno, ed anzi si hanno numerose sentenze della Cassazione che invitano a personalizzare i risarcimenti, troppo spesso, o per meglio dire quasi sempre, ci troviamo di fronte a sentenze che si limitano alla pura applicazione delle tabelle, malgrado molte volte gli avvocati dei danneggiati abbiano portato nel giudizio tutti quegli elementi necessari per procedere ad una corretta personalizzazione, tale da prendere in considerazione le peculiarità del caso concreto.

In buona sostanza in troppe sentenze non si capisce ove sia andata a finire la valutazione equitativa del magistrato.

Il magistrato che non personalizza il danno, con applicazione dei soli parametri tabellari, va incontro alle esigenze economiche delle assicurazioni.

Peraltro, il magistrato non personalizzando il danno incrementa il contenzioso.

Per la Compagnia di assicurazione, in sede di transazione (fase stragiudiziale), la convenienza della personalizzazione del danno risulterà pari a zero. La Compagnia infatti non ha interesse a personalizzare un danno quando può sperare serenamente che neppure il magistrato segua questa strada. D’altro lato, l’avvocato della vittima, assolvendo al suo mandato e forte dei principi delineati dalla Cassazione, non rinuncerà alla personalizzazione o non accetterà le impostazioni restrittive della seconda fase della liquidazione.

Conseguentemente, è molto più probabile che le trattative non vadano in porto così come è probabile che una sentenza di merito carente in punto personalizzazione sia oggetto d’impugnazione.

E’auspicabile, dunque, che tutte le Corti di merito provvedano quanto prima a dare concreta attuazione agli orientamenti della Cassazione in materia e, dunque, comincino ad attribuire in sentenza il giusto valore alle reali sofferenze patite dai danneggiati. Il che significa in primo luogo comprendere che le tabelle sono solo dei

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parametri di partenza e che il danno alla persona trova la sua concreta valutazione nell’attenzione rivolta alle circostanze del caso concreto, il che significa un approfondito lavoro sia a livello di prove testimoniali e sia di consulenza medico legale.

A quest’ultimo proposito sarebbe, per inciso, auspicabile che in futuro il C.T.U.

medico legale venga scelto al di fuori degli abituali consulenti delle parti e che lo stesso non si limiti alla ricerca di una mera indicazione percentuale dell’invalidità.

Sin qui, peraltro, ho esaminato la questione della personalizzazione con riferimento ai danni non patrimoniali, ma è altresì evidente come la valutazione del danno attenga alle circostanze del singolo caso concreto e pertanto vada riferita anche alle conseguenze patrimoniali, a partire dai riflessi sull’attività lavorativa (troppo spesso affrontati in modo riduttivo o superficiale dai medici legali di estrazione assicurativa) e sia sulle spese future a livello di terapie e cure mediche.

CONCLUSIONI:

ESIGENZE ETICHE

Per concludere, vorrei operare alcune riflessioni di carattere generale.

Etico = riguardante l’attività umana in quanto valutabile col criterio di distinzione tra bene e male.

Ho 52 anni e da almeno 25 mi occupo esclusivamente degli interessi dei danneggiati.

Lo studio ha portato avanti molte battaglie per tutelare gli interessi delle vittime, ultima tra tutte quella relativa al riconoscimento e relativo risarcimento del danno esistenziale, e mai come in questi tempi le controparti ci hanno detto che il nostro comportamento è MALE. Ma se dunque il comportamento dell’avvocato del danneggiato è male, ne consegue che è BENE il comportamento delle Compagnie di assicurazione.

Ma chi si è arrogato il diritto di stabilire dove stanno il bene ed il male? Se il principio fosse invertito e se quindi il bene fosse individuato nell’atteggiamento tenuto dalla vittima ed il male in quello della controparte, allora tutto il sistema attuale andrebbe rivisto.

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Oppure, se si decidesse comunque di non cambiare nulla, allora tutti noi dovremmo fare un passo indietro ed ognuno dovrà cercare solo di fare il proprio lavoro con serietà e professionalità, senza subire pressioni di nessun tipo, e senza quindi arrogarsi il diritto di stabilire da quale parte stanno il bene e il male, non esistendo comunque un ruolo etico in quello che è il legittimo ruolo delle parti: non lo ha il legale del danneggiato e non lo ha neanche quello dell’assicurazione. Semmai il ruolo etico lo hanno il C.T.U. (sotto giuramento) ed il magistrato alla luce della sua funzione.

NECESSITA’ ECONOMICHE

Le necessità economiche sono una prerogativa esclusivamente del danneggiato, che ha interesse ad ottenere il risarcimento integrale dei danni subiti.

Non si può limitare il risarcimento del danno patito dalla vittima per tutelare in modo lobbistico interessi superiori.

Se il giusto risarcimento deve avere come contropartita un eventuale aumento delle polizze, ben venga l’aumento. Ma in ogni caso i sinistri in Italia sono diminuiti, i risarcimenti risultano più contenuti, le Compagnie stanno risparmiando denaro eppure i premi continuano in controtendenza a non diminuire proporzionalmente, anzi!

In conclusione ritengo di poter affermare che il danneggiato merita un maggiore rispetto.

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