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Tutela ex art. 446 cod. civ. in materia di alimenti e modello procedimentale applicabile - Judicium

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IGNAZIO ZINGALES

Tutela ex art. 446 cod. civ. in materia di alimenti e modello procedimentale applicabile*

Con un decreto datato 9 gennaio 2012, il giudice delegato dal presidente del Tribunale di Trani ha affrontato la problematica attinente all’individuazione dell’ambito di operatività degli istituti del reclamo, della revoca/modifica e della riproposizione della domanda in caso di rigetto dell’istanza volta ad ottenere, in materia di alimenti, il pagamento di un assegno provvisorio;

problematica, questa, figlia della assoluta inadeguatezza dell’art. 446 cod. civ. (dato normativo di riferimento), il quale, con una disarmante laconicità, si limita a stabilire che, “finché non sono determinati definitivamente il modo e la misura degli alimenti, il presidente del tribunale può, sentita l'altra parte, ordinare un assegno in via provvisoria ponendolo, nel caso di concorso di più obbligati, a carico anche di uno solo di essi, salvo il regresso verso gli altri”.

Questa la vicenda sfociata nel citato decreto.

Tizio - affermando di essere afflitto da una malattia invalidante, di essere disoccupato e di non poter provvedere ai bisogni suoi e di moglie e figlia, anch’esse disoccupate - conveniva in giudizio i propri genitori al fine di ottenere la condanna degli stessi al pagamento degli alimenti.

In attesa della pronunzia definitiva, Tizio chiedeva al presidente del Tribunale di disporre la corresponsione di un assegno provvisorio.

Sulla base di una erronea nota informativa dell’assistente sociale in merito alle condizioni economiche di Tizio, l’istanza veniva, però, rigettata.

Evidenziando l’errore in cui era caduto l’assistente sociale, Tizio ripresentava al presidente la domanda per l’assegno provvisorio; domanda che, con il menzionato decreto del 9 gennaio, veniva dichiarata inammissibile, sulla base delle seguenti scarne considerazioni: a) “una volta ritenuta la natura cautelare del provvedimento ex art. 446 c.c., deve giocoforza ritenersi che

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l’istanza riproposta…al Presidente del Tribunale sia inammissibile, in quanto il Presidente si è già pronunciato con provvedimento di rigetto”; b) anche se si qualificasse l’istanza proposta come richiesta di modifica del provvedimento (per “fatto nuovo, rappresentato dall’errore dell’assistente sociale”), il Presidente non potrebbe statuire, tenuto conto che, pendendo il giudizio di merito, la competenza spetterebbe al giudice di quest’ultimo; c) rispetto al provvedimento presidenziale emesso, “l’unica revisione possibile era il reclamo, nella specie non esperito”.

La rilevanza della questione e lo stringato percorso argomentativo delineato dall’organo giudicante inducono ad alcune considerazioni.

Poco o nulla dicendo l’art. 446 cod. civ. circa il regime che governa questa fase processuale destinata a sfociare in una pronunzia di carattere condannatorio (ordine di prestazione di alimenti), il giudice, al fine di individuare la disciplina procedimentale applicabile nella fattispecie dedotta, si è interrogato sulla natura di detta pronunzia, giungendo a considerarla - in adesione ad un diffuso orientamento dottrinale e giurisprudenziale - estrinsecazione di potestà cautelare1.

La soluzione appare condivisibile tenuto conto sia della funzione della misura (di carattere

“tipico”) de qua2, che è quella di impedire che la permanenza di uno stato di bisogno provochi

1 La natura cautelare del provvedimento de quo è riconosciuta, in dottrina, da CONSOLO C., in CONSOLO C. – LUISO F.P. – SASSANI B., La riforma del processo civile, Milano, 1991, 548; PROTO PISANI A., Lezioni di Diritto processuale civile, Napoli, 1999, 674 e 714; CECCHELLA C., in VACCARELLA R. – CAPPONI B. – CECCHELLA C., Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, 351; OBERTO G., Il nuovo processo cautelare, Milano, 1992, 138;

DINI E. A. – MAMMONE G., I provvedimenti d’urgenza. Nel diritto processuale civile e nel diritto del lavoro, Milano, 1993, 103. Per questa soluzione, in giurisprudenza, cfr. Trib. Catania, sez. I, ord. 22 marzo 2005, in Giur. merito, 2005, 1511, Trib. Pistoia, sez. dist. di Pescia, ord. 21 febbraio 2000, in www.altalex.com ed in www.tribunale.org, e Trib.

Firenze, ord. 7 novembre 1994, in Foro it., 1995, I, 1360. Di diverso avviso VERDE G., in VERDE G. – DI NANNI L.

F., Codice di procedura civile. Legge 26 novembre 1990, n. 353, UTET, 1991, 243; Trib. Venezia, ord. 28 luglio 2004, in Giur. merito, 2005, I, 250, con nota adesiva di BUSETTO F., L’assegno provvisorio ex art. 446 c.c. non può essere chiesto prima del giudizio di merito.

2 Per il principio di residualità della tutela ex art. 700 c.p.c., la presenza nel sistema della misura tipica di cui all’art. 446 cod. civ. dovrebbe escludere, in materia, l’operatività di detto art. 700 e, dunque, la possibilità che la corresponsione di un assegno alimentare sia disposta attraverso lo strumento del provvedimento d’urgenza previsto nel codice di rito.

Sulla questione così si esprime Trib. Catania, sez. I, ord. 22 marzo 2005, cit: “Come autorevolmente sostenuto, l’ambito operativo ritagliato dall’ordinamento ai provvedimenti di cui all’art. 700 c.p.c. è un ambito residuale, nel senso che non c’è spazio per i provvedimenti d’urgenza ogni qual volta il legislatore abbia puntualmente previsto, nell’ambito di una certa materia, appositi rimedi aventi, o non (v. art. 708 c.p.c. o art. 148 c.c.), struttura e funzione cautelare, idonei a fornire tutela, lato sensu, anticipatoria. Così è pure nell’ambito dei giudizi il cui petitum sia l’obbligo di prestare gli alimenti. In tale materia, infatti, il legislatore ha, in vario modo, disciplinato il rischio che lo stato di bisogno affermato dall’attore possa compromettere la tutela di bisogni essenziali, quali sono quelli sottesi alla richiesta di alimenti, prevedendo, a tal fine, una serie di misure tipiche, volte a garantire che, nelle more del giudizio, al soggetto istante sia assicurata la corresponsione di un assegno provvisorio: così è per le misure di cui agli art. 443 comma 3 e 446 c.c..

Pertanto, non può farsi ricorso ai provvedimenti d’urgenza per la concessione di un assegno alimentare provvisorio in

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all’istante un pregiudizio irreparabile, sia del fatto che l’art. 446 cod. civ. non presenta elementi di incompatibilità con la normativa regolante il processo cautelare uniforme tali da impedire a quest’ultima di disciplinare quei segmenti procedimentali non espressamente regolamentati dalla lacunosa disposizione contenuta nel codice civile3.

A tale riguardo, può invero osservarsi come la circostanza che l’art. 446 cod. civ. indichi, quale giudice competente per l’adozione del provvedimento de quo, il presidente del Tribunale - e, dunque, contenga una disposizione (sul cui ambito di operatività si può, peraltro, discutere4) non in linea con le direttive contenute negli articoli 669 ter c.p.c. e 669 quater c.p.c. – non costituisca dato inconciliabile con la riconosciuta funzione cautelare né impedisca, quantomeno relativamente agli altri profili processuali, l’applicabilità del rito cautelare uniforme.

E l’applicabilità, nella materia de qua, del rito cautelare uniforme non può, a mio avviso, neanche essere esclusa dalla circostanza che, ammettendo l’operatività di tale rito, si giunge ad

presenza dello specifico provvedimento previsto dall’art. 446 c.c.: l’operatività dell’art. 700 c.p.c. è preclusa dalla previsione normativa che, completando lo spettro di tutela concessa dall’ordinamento, impedisce che si dia lacuna legis e, dunque, che si dia ingresso al rimedio di cui all’art. 700 c.p.c.”. In dottrina, cfr. PROTO PISANI A., op. cit., 674.

3 Sulla possibilità di riempire, “mercé il rinvio alle disposizioni generali…introdotte in materia cautelare”, gli “spazi vuoti, rinvenibili nel modello differenziato rispetto al (più articolato) contenuto del modello unitario”, cfr., per tutti, ANDOLINA I., Profili della nuova disciplina dei provvedimenti cautelari in generale, in Foro it., 1993, V, 81-82.

4 Secondo Trib. Catania, sez. I, ord. 22 marzo 2005, cit., Trib. Firenze, ord. 7 novembre 1994, cit., e Trib. Pistoia, sez.

dist. di Pescia, ord. 21 febbraio 2000, cit., la competenza a provvedere su una istanza ex art. 446 cod. civ. presentata, come nella specie, in corso di causa sarebbe non del presidente, ma del giudice istruttore; e ciò, in applicazione delle disposizioni regolanti il rito cautelare uniforme. Utile, sul punto, appare riportare la motivazione contenuta nella citata pronunzia del Trib. Pistoia, sez. dist. di Pescia: “deve rilevarsi come l'art. 446 c.c. non offra alcuna disciplina positiva di carattere procedurale, ma si limiti ad attribuire la competenza ad ordinare l'assegno provvisorio al presidente del tribunale (il riferimento al pretore è stato espunto…a seguito della entrata in vigore del D. Lgs. 51/98). Non sembra tuttavia che la competenza presidenziale possa ritenersi fondata su particolari esigenze di tutela del diritto, ad esempio in ragione della delicatezza delle questioni trattate, giacché altrimenti non si comprenderebbe come mai il testo originario della norma ripartisse la competenza tra il presidente del tribunale ed "il pretore", e non il capo dell'ufficio di pretura (cfr. Trib. Firenze 7 novembre 1994, cit.); peraltro, la materia non rientra, e non è mai rientrata, tra quelle riservate, a seguito della introduzione del giudice unico, alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, a conferma che il legislatore non ha ritenuto di riservare ad essa alcun trattamento particolare. Né la tutela giurisdizionale del diritto agli alimenti apparirebbe meglio garantita dalla distinzione tra giudice competente a conoscere della causa di merito, e giudice del cautelare, ed anzi, in contrario militano evidenti motivi di opportunità, legati - soprattutto nell'ipotesi di domanda proposta in corso di causa - alla migliore conoscenza della vicenda controversa. Pertanto, in assenza di ragioni di tutela del diritto che impongano di riservare, nella specie, la competenza cautelare al presidente del tribunale, al procedimento debbono ritenersi applicabili le norme procedimentali degli artt. 669-bis e segg. c.p.c., e, per quanto qui interessa, l'art. 669-quater; mentre, sulla scorta dei rilievi che precedono, pare doversi imputare ad un difetto di coordinamento, da parte del legislatore del 1998, il persistente riferimento al presidente del tribunale, piuttosto che al giudice”.

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attribuire al giudice istruttore il potere di revocare o modificare un eventuale provvedimento presidenziale5.

Non mi pare, infatti, che l’attribuzione di detto potere in capo al giudice istruttore costituisca una inaccettabile disarmonia sistematica; e ciò, ove si consideri che la revoca e la modifica, da parte del giudice istruttore, del provvedimento presidenziale de quo non sono rimesse al mero arbitrio, ma devono sempre fondarsi, ex art. 669 decies c.p.c., su mutamenti delle circostanze o sull’allegazione di fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento stesso.

E peraltro non va neanche dimenticato che, in una materia altrettanto delicata quale quella della separazione dei coniugi, il sistema (art. 709, comma 4, c.p.c.) ammette addirittura la possibilità che il giudice istruttore revochi o modifichi provvedimenti presidenziali (e precisamente quelli “temporanei e urgenti”, adottati - ai sensi dell’art. 708, comma 3, c.p.c. - “nell’interesse della prole e dei coniugi”) pur in assenza di sopravvenienze o di nuove allegazioni e, dunque, semplicemente sulla base di una differente valutazione degli originari dati di fatto o di diritto già scrutinati dal presidente67.

Argomenti a favore della tesi dell’inapplicabilità del rito cautelare uniforme non possono, infine, essere tratti dall’inciso iniziale dell’art. 446 cod. civ. (“finché non sono determinati definitivamente il modo e la misura degli alimenti”), tenuto conto che tale inciso, a mio avviso, non impedisce di ammettere la possibilità anche di una tutela ante causam8 9, e, quand’anche lo impedisse, ciò non sarebbe comunque ostativo alla sussumibilità del provvedimento de quo nel

5 Secondo BUSETTO F., op. cit., 252, “in merito al potere di modifica del provvedimento emesso ex art. 446 c.c. dal Presidente pare logico non concedere al giudice istruttore della causa di merito la possibilità di modificare il provvedimento del presidente”.

6 Come è noto, il vecchio quarto comma dell’art. 708 - secondo cui, “se si verificano mutamenti nelle circostanze, l'ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma dell'articolo 177” - è stato, con la legge 14 maggio 2005, n. 80, abrogato e sostituito dal quarto comma dell’art. 709, il quale, eliminando ogni riferimento ai “mutamenti nelle circostanze”, stabilisce che: “I provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l'ordinanza di cui al terzo comma dell'articolo 708 possono essere revocati o modificati dal giudice istruttore”.

7 Sul punto mi permetto di rinviare a ZINGALES I., Riflessioni sulla reclamabilità delle ordinanze ex art. 709, comma 4, c.p.c. del giudice istruttore, in Dir. fam. pers., 2011, 1798 e 1808-1809.

8 Di diverso avviso Trib. Venezia, ord. 28 luglio 2004, cit., secondo cui: “la stessa lettera dell'art. 446 c.c., là dove prevede la possibilità di far luogo da parte del Presidente ad un assegno provvisorio fino a quando non interviene una determinazione definitiva, lascia pensare che il chiesto provvedimento presuppone la pendenza di un giudizio di merito, mentre in caso contrario sarebbe sufficiente dire «prima del giudizio di merito»”.

9 Per l’ammissibilità, nella materia de qua, di una tutela ante causam, cfr. CECCHELLA C., op. cit., 351.

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genus delle misure cautelari ed alla applicabilità di detto rito relativamente agli altri profili procedimentali.

Ritornando, adesso, alla vicenda processuale da cui traggono spunto le presenti riflessioni, va evidenziato come l’organo decidente, sussunto il provvedimento ex art. 446 cod. civ. nella categoria delle misure cautelari, abbia quindi individuato nel reclamo lo strumento appropriato per (ri)verificare la fondatezza della domanda di assegno provvisorio già respinta.

Pur non riuscendo l’apparato motivazionale ad esplicitare in maniera chiara la ragione di fondo che dovrebbe, a mio avviso, giustificare la soluzione adottata, va detto che anche questo approdo ermeneutico appare condivisibile.

L’esattezza dell’opzione scelta dal giudice discende dal fatto che, nella vicenda in esame, si trattava di contestare l’errore (indotto dall’inesatta nota informativa dell’assistente sociale) in cui era caduto il presidente e, dunque, di contestare la mancata concessione di un provvedimento già originariamente concedibile.

Una volta ricondotta la tutela ex art. 446 cod. civ. in materia di alimenti al genus della tutela cautelare, con la conseguente applicabilità, ai sensi dell’art. 669 quaterdecies c.p.c. e nei limiti della compatibilità, delle disposizioni sul procedimento cautelare uniforme contenute nel codice di rito, tale errore poteva, invero, essere fatto valere solo attraverso l’esperimento del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c..

Lo sbaglio dell’assistente sociale non rappresenta, infatti, un mutamento delle circostanze o una nuova ragione di fatto o di diritto idonei a consentire, ex art. 669 septies c.p.c., la riproposizione dell’istanza (riproposizione che, in disaccordo con quanto sembra emergere dalla pronunzia de qua, va, peraltro, ritenuta, pure nella materia in esame, astrattamente possibile anche in caso di rigetto per ragioni di “merito”, purché, ovviamente, si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto), non costituendo (detto sbaglio) né un elemento sopravvenuto (inesistente al momento dell’emanazione del provvedimento di rigetto) o non conosciuto in precedenza, né un elemento omesso, ma un dato fattuale ritualmente entrato nel

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giudizio cautelare di prime cure10 e pienamente trasfuso ed assorbito nel provvedimento di rigetto emesso; un dato che vizia la pronunzia negativa rendendola ingiusta.

Men che meno poteva poi venire in rilievo, nella vicenda in esame, l’istituto della revoca/modifica ex art. 669 decies c.p.c., tenuto conto che tale istituto può trovare applicazione solo in presenza di provvedimenti positivi che dispongono misure cautelari11, e non certo di provvedimenti integralmente negativi.

Prima di concludere, una considerazione sulla forma del provvedimento reso dal Tribunale di Trani.

Il giudice ha emanato, nel contraddittorio tra le parti, un provvedimento avente la forma del decreto.

La soluzione non mi pare condivisibile.

Una volta affermata la natura cautelare del provvedimento ex art. 446 cod. civ. e, conseguentemente, la tendenziale applicabilità del rito cautelare uniforme, il procedimento de quo, svoltosi, come detto, nel pieno rispetto del contraddittorio tra le parti, doveva, in assenza di esplicite disposizioni di segno contrario, concludersi, a mente dell’art. 669 sexies c.p.c., con una ordinanza.

Non che la circostanza possa presentare un qualche rilievo pratico o possa determinare conseguenze in ordine all’individuazione del regime processuale che governa il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 446 cod. civ..

Certo è, però, che, nell’eventualità che non si sia dinanzi ad una mera svista del giudice, il fatto stesso di dover discutere in merito alla forma del provvedimento da rendere al termine della fase processuale de qua dovrebbe indurre (non solo gli interpreti, ma soprattutto il legislatore) a riflettere sulla necessità di un intervento normativo che colmi (quantomeno con l’indicazione del

10 Dal decreto non emergono, invero, elementi per desumere il contrario.

11 Sul punto cfr. CONSOLO C. – RECCHIONI S., sub art. 669 decies c.p.c., in CONSOLO C., Codice di procedura civile commentato, IPSOA, 2010, 416.

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modello cautelare uniforme quale modulo procedimentale da seguire) le lacune dell’art. 446 cod.

civ.

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