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I rapporti tra tutela civile e tutela penale dell’effettività della giurisdizione in materia di famiglia. - Judicium

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Luciano Imperiali

I rapporti tra tutela civile e tutela penale

dell’effettività della giurisdizione in materia di famiglia.

La delicata materia dei “provvedimenti riguardo ai figli” dei coniugi separati è stata radicalmente innovata dalla legge n. 54 del 2006, che ha inteso fornire una disciplina della materia improntata alla tutela del diritto del minore alla c.d. “bigenitorialità”, così riconoscendo, tra i diritti soggettivi del minore, quel diritto che già era consacrato nella Convenzione sui diritto del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con legge n. 176 del 1991 e che, però, sino al 2006 ancora non aveva avuto concreta attuazione nel nostro ordinamento giuridico.

La nuova disciplina ha, così, voluto garantire il diritto del minore a poter contare, anche dopo la disgregazione del nucleo familiare, sulla figura e sul concreto appoggio di entrambi i genitori e, pertanto, non si è limitata a garantire una continuità e stabilità di rapporti del minore con entrambe le figure genitoriali, ma ha anche posto l’affidamento “condiviso” del minore (comportante l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore) non più come evenienza residuale (come nel precedente sistema) bensì come regola, rispetto alla quale costituisce, invece, ora eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo.

Il capovolgimento di prospettiva, lungi dal giungere inaspettato, è maturato lentamente e con ritardo rispetto ad altri paesi, ben diciassette anni dopo la Convenzione di New York del 1989 e quindici anni dopo la ratifica di tale convenzione da parte dell’Italia, eppure dovrebbe far riflettere che l’introduzione di un simile principio di civiltà sia stata seguita da un incessante incrementarsi delle doglianze per vere o presunte elusioni dei provvedimenti dei giudici civili in ordine all’affido dei minori, tanto da indurre a ritenere che qualcosa possa non aver funzionato: per quanto non siano note verifiche statistiche che possano confermare quanto, su scala nazionale, dal 2006 siano aumentate le querele concernenti fatti rilevanti ex art. 388 c.p., tuttavia c’è sicuramente da chiedersi se gli uffici giudiziari, i difensori e, prima di tutti, gli stessi cittadini coinvolti in crisi familiari abbiano adeguatamente recepito quei diritti dei minori ad una crescita serena ed armoniosa - così come configurata per loro dall’attuale sistema normativo - che, a parole, pressoché tutti dichiarano di voler perseguire e che, invece, nelle aule giudiziarie può constatarsi essere quotidianamente esposta a rischio dai più diversi comportamenti degli adulti.

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In realtà, è agevole comprendere che gli stessi dissidi che hanno portato alla disgregazione del nucleo familiare, o comunque eventuali conflittualità tra i separandi, possono rivelarsi anche dopo la separazione un ostacolo alla concreta realizzazione della bigenitorialità, tanto che da diverse parti si sarebbe voluto subordinare la possibilità di un affido condiviso all’esistenza di un accordo sugli obiettivi educativi, se non perfino al carattere più o meno pacifico dei rapporti tra i genitori, pur separati: si tratta, però, di posizioni che dinanzi ad un conflitto rischiano di confondere semplicisticamente aggredito ed aggressore e, per quel che più rileva, appaiono in qualche misura anacronistiche, se valutate alla luce dei principi posti sin dalla già menzionata convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, anche perché ormai pacificamente disattese dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che ha inequivocabilmente chiarito che “l’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi comunque precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi, poiché avrebbe altrimenti una applicazione, evidentemente, solo residuale, finendo di fatto con il coincidere con il vecchio affidamento congiunto. Occorre viceversa, perché possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore..” (1)

Se, pertanto, l’affidamento condiviso di uno o più minori può essere negato esclusivamente per oggettive carenze di uno dei due genitori e non per un’esasperata conflittualità tra gli stessi, sarebbe però irrealistico ignorare che ogni forma di conflittualità si pone, comunque, come un problema da superare o, almeno, di cui occorre tener adeguatamente conto nel perseguire la concreta attuazione dei principi e delle finalità proprie della nuova disciplina: proprio a tal fine il legislatore del 2006, pur lasciando inalterata la tutela penale posta dall’art. 388 co. 2 c.p. all’effettiva attuazione dei provvedimenti giudiziari concernenti l’affidamento dei minori, ha individuato nello stesso giudice della separazione il primo garante dell’attuazione dei suoi provvedimenti in materia, attribuendogli la pluralità di strumenti sanzionatori di cui all’art. 709 ter c.p.c. (ammonizione, risarcimento danni in favore del minore e/o dell’altro genitore, sanzione amministrativa), agevolmente modulabili – su richiesta di parte - secondo le concrete esigenze dei singoli casi, per reprimere inadempienze e violazioni e così garantire l’effettività dei suoi provvedimenti.

Quale che possa essere il temperamento dei due genitori e la conflittualità in atto tra questi, infatti, è innegabile che talvolta possono essere sufficienti la sola autorevole e tempestiva parola (ammonizione) del giudice della separazione, oppure una delle sanzioni, anche pecuniarie, di cui all’art. 709 ter c.p.c., per far comprendere alle parti l’inderogabile necessità del rispetto dei provvedimenti adottati nell’interesse del minore e per garantirne, così, l’effettività, scongiurando

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erronei convincimenti di impunità e così prevenendo ulteriori violazioni in modo da evitare la degenerazione del conflitto, che ancor maggior danno arrecherebbe ai minori medesimi.

Giacché, però, come si è già ricordato, la previsione di tale sistema di interventi sanzionatori non ha inciso in alcun modo sull’eventuale rilevanza anche penale ex art. 388 co. 2 c.p. delle violazioni concernenti l’affidamento dei minori, continua a rivelarsi frequente l’invocazione dell’intervento del giudice penale anche quando non sia stato attivato il sistema di sanzioni civili posto dall’art. 709 ter c.p.c : si tratta di querele proposte dal genitore non affidatario o dal genitore coaffidatario ma non domiciliatario del minore che lamentano, ad esempio, una violazione del diritto di visita comunque riconosciuto dal provvedimento giudiziario, e talvolta perfino dal genitore presso il quale è il domicilio prevalente del minore o al quale questo è affidato in via esclusiva, giacchè il problema dell’effettività dei provvedimenti del giudice civile in tema di separazione e divorzio ha una portata più ampia delle sole prescrizioni volte a tutelare i rapporti del minore con il genitore più lontano.

Possono emergere, infatti, consapevoli e volute omissioni o ritardi del genitore non allocatario nel riportare il minore presso il suo domicilio, al termine degli incontri previsti nel provvedimento di separazione o divorzio, o anche, al contrario, l’assenteismo di tale genitore, che talvolta si astiene dagli incontri e dalle frequentazioni con il minore previsti dal provvedimento del giudice civile, incontri e frequentazioni che sono pacificamente da ritenersi non già una mera facoltà, bensì un dovere nei confronti dello stesso minore ed un obbligo anche nei confronti dell’altro genitore, quale espressione della solidarietà negli oneri nei confronti dei figli che è dovuta da tutti i componenti del gruppo familiare, anche se separati o divorziati (2): l’inadempienza di un genitore nei confronti dei figli minori e del coniuge – anche se separato - circa gli obblighi di assistenza morale connessi alla sua qualità di padre e di coniuge, pertanto, ben può integrare anche il reato di cui all’art. 570 co. 1 c.p., non esaurendosi certo nella somministrazione dei mezzi materiali di sussistenza gli obblighi scaturenti dalle predette qualità (3).

In questo contesto, però, sono sempre meno rari i casi in cui uno dei due genitori lamenti con una querela una presunta violazione dell’art. 388 c.p. pur dopo essersi rivolto al giudice civile con ricorso ex art. 709 ter c.p.c., evidentemente perché non appagato della risposta giudiziaria ottenuta in quella sede e, così, non è affatto raro che vengano sanzionati ex art. 388 c.p. comportamenti in relazione ai quali erano stati negati i pur richiesti provvedimenti sanzionatori ex art. 709 ter c.p.c.

Di per sé, tutto ciò appare compatibile con i principi dell’ordinamento giuridico, atteso che laddove non sia stato attivato o, per qualsiasi motivo, non abbia funzionato il sistema di garanzie dell’effettività dei provvedimenti del giudice della separazione posto dall’art. 709 ter c.p.c., nulla consente di ritenere che sia precluso l’intervento del giudice penale: sono diversi infatti, e sotto

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diversi profili, i piani su cui operano le diverse autorità giudiziarie, e diversi sono anche gli strumenti di indagine di cui dispone il pubblico ministero rispetto ai mezzi di prova usualmente utilizzati in sede civile.

Inoltre, giova ricordare che i poteri sanzionatori attribuiti al giudice civile dall’art. 709 ter c.p.c.

sono direttamente finalizzati alla tutela del minore e, in particolare, di una sua armoniosa crescita, mentre il codice penale appare porsi in una diversa prospettiva, laddove inquadra il reato di cui all’art. 388 c.p. tra i “delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie”, nel capo II del titolo relativo ai delitti contro l’amministrazione della giustizia. A tal proposito, peraltro, giova ricordare che le sezioni unite della Suprema Corte hanno efficacemente evidenziato che “l’interesse tutelato dal secondo come dal primo comma dell’art. 388 c.p. non è l’autorità in sé delle decisioni giudiziarie, bensì l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione” (4).

La norma, però, subordina la punibilità alla querela della persona offesa, sicché viene a configurare il reato come plurioffensivo, intendendo evidentemente l’art. 388 c.p. tutelare non solo – ed in via prevalente – l’autorevolezza e l’effettività di alcuni provvedimenti giudiziari, ma anche gli interessi sottostanti del privato che invoca il rispetto dei provvedimenti medesimi (e, nel caso di specie, è evidente che il genitore che lamenta la violazione del provvedimento concernente l’affidamento del figlio – quali che siano le motivazioni ultime che lo hanno indotto a proporre querela - viene ad invocare la tutela del diritto di questo alla bigenitorialità): deve, allora, ritenersi che dinanzi a violazioni dei provvedimenti in tema di affidamento dei minori l’intervento del giudice civile e quello del giudice penale siano in qualche modo speculari, giacché entrambi, pur partendo da angolazioni diverse, sono rivolti a garantire sia l’effettività del provvedimento emesso a tutela del minore che gli interessi del minore che da tale provvedimento sono tutelati.

Anche alla luce di tali considerazioni, però, una condanna all’esito di un giudizio penale – o anche soltanto la stessa celebrazione di un dibattimento penale – in un caso nel quale è stata negata una sanzione civile non è di agevole comprensione per il cittadino (peraltro, in una materia nella quale, proprio per il coinvolgimento di minori, ai cittadini sarebbe necessaria forse ancor più che altrove una chiarezza in ordine alle conseguenze dei propri comportamenti), giacché appare comunque una disarmonia del sistema, che mal si concilia con il principio di non contraddizione: basti considerare che il delitto di cui all’art. 388 c.p. punisce unicamente le condotte dolose, mentre l’art. 709 ter c.p.c. , sanzionando illeciti civili, abbraccia ipotesi più ampie e punisce anche le condotte meramente colpose. Più in generale, poi, deve rilevarsi che il procedimento incidentale ex art. 709 ter c.p.c. si inserisce nei giudizi di separazione o comunque concernenti l’affidamento dei minori, dove va valutata qualsiasi circostanza significativa di una minore o maggiore capacità genitoriale,

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tanto che lo stesso art. 709 ter c.p.c. prevede che il giudice investito della questione, oltre ad applicare eventuali sanzioni, può anche “modificare i provvedimenti in vigore”, mentre il principio di legalità posto dall’art. 1 c.p. (e dall’art. 25 Cost.) consente l’applicazione di una sanzione penale solo nel caso di perfetta corrispondenza tra la condotta dell’agente e la fattispecie prevista dalla legge come reato.

I due tipi di interventi sanzionatori che possono venire ad incidere sulle stesse situazioni per finalità tra loro speculari, pertanto, si pongono su piani diversi e presentano connotati diversi, ma presentano anche più di una caratteristica comune, sicché il sistema normativo adottato dal legislatore appare sostanzialmente armonico, tanto da rendere ancor più vistose le disarmonie riscontrate, invece, nella prassi: basti pensare, in primo luogo, che in entrambi i casi l’intervento del giudice è subordinato all’impulso di parte, essendo il procedimento per il reato di cui all’art. 388 c.p.

subordinato – come si è ricordato - alla querela della persona offesa, ed il procedimento ex art. 709 ter c.p.c. al ricorso dell’interessato, almeno secondo l’orientamento dominante, fondato sul tenore letterale della norma (“A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti ..”) (5).

In entrambi i casi, inoltre, è sufficiente anche un unico episodio a legittimare l’intervento del giudice: nel caso dell’art. 709 ter, infatti, si ha riguardo non al numero, bensì alla gravità delle inadempienze, oppure al fatto che “arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento” (così considerando di per sé grave l’inadempienza che

arrechi pregiudizio al minore od ostacoli le modalità dell’affidamento disposte), mentre è pacifico che il delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice concernente l’affidamento di minori o altre persone incapaci è reato istantaneo, che può realizzarsi anche con un solo atto elusivo degli obblighi imposti al genitore (6).

In questa prospettiva, è evidente che il comportamento del genitore che non concordi con l’altro coniuge una delle decisioni di maggior interesse per la prole, da effettuare tenendo conto della capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli, ponendo invece l’altro genitore dinanzi al fatto compiuto senza nemmeno rivolgersi al giudice per la soluzione della specifica controversia (come previsto dal primo comma dello stesso art. 709 ter c.p.c.) può essere sanzionato sia in sede civile ai sensi del secondo comma dello stesso art. 709 ter c.p.c., che in sede penale ex art. 388 c.p.: così, sarà sanzionabile sia dal giudice civile che da quello penale il comportamento del genitore coaffidatario che provveda unilateralmente – all’insaputa dell’altro coaffidatario o, perfino, contro l’espressa volontà di questo - ad iscrivere il figlio in una scuola diversa da quella sino ad allora frequentata dal minore (7), oppure con analoghe modalità intraprenda scelte attinenti la salute

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di questo (quali possono essere interventi chirurgici o anche soltanto visite mediche di rilievo effettuate all’insaputa del coaffidatario – salvo l’applicazione di scriminanti nei casi di assoluta necessità ed urgenza - oppure un mutamento del pediatra di base, etc.).

La massima parte dei casi nei quali viene proposta querela ex art. 388 co. 2 c.p. in relazione a singole violazioni, però, riguardano casi in cui viene impedito ad uno dei genitori di trascorrere con il figlio il periodo di vacanza stabilito (8) o, più semplicemente, venga in qualche modo precluso il cd. diritto di visita dell’altro genitore con il figlio anche soltanto in una singola occasione (9).

Per quanto i principi sopra esposti siano pacifici in punto di diritto, però, deve constatarsi che nella pratica accade molto frequentemente che, nonostante la proposizione della querela, i casi in cui è stato sacrificato in una sola occasione il diritto di visita di uno dei due genitori nemmeno giungono al dibattimento, perché il procedimento si chiude con una mera archiviazione: ciò non deve far pensare, però, ad una trasformazione giurisprudenziale in reato abituale di quello che è pacificamente un reato istantaneo, né può ritenersi che nelle situazioni conflittuali vada tollerata una sorta di “modica quantità” di elusione dei provvedimenti giudiziari, e nemmeno si vuole introdurre surrettiziamente in questa materia la disciplina della “irrilevanza del fatto” per

“l’occasionalità del comportamento” prevista per gli imputati minorenni dall’art. 27 D.P.R.

22.9.1988 n. 448, oppure l’analoga figura della esclusione della procedibilità prevista per le ipotesi di particolare tenuità del fatto, dovuta anche alla sua occasionalità, prevista dall’art. 34 della L.

24.11.1999 n. 468 per i reati di competenza del giudice di pace. E’ evidente, infatti, che non è consentito al giudice estendere a casi diversi simili discipline, da ritenersi ancora eccezionali in un ordinamento giuridico retto dal principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost.

Il rilevante numero di archiviazioni in simili casi discende, invece, dalla constatazione che, quando la violazione del diritto di visita si presenta come assolutamente episodica in relazione ad eventi che, invece, si presentano periodicamente (come il diritto di visita con le frequenze determinate dal giudice), è agevole per la difesa dell’indagato sostenere la buona fede di questo, adducendo che lo stesso abbia equivocato su qualche circostanza di fatto; per converso, per quanto il conflitto tra le parti possa lasciar dubitare di tale buona fede, l’occasionalità della violazione, spesso relativa ad un solo pomeriggio, lascia ben pochi strumenti alla pubblica accusa per dimostrare la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, pur dovendosi questo individuare nel semplice dolo generico (10).

E’ frequente anche, in tali casi, l’opposizione del querelante alla richiesta di archiviazione avanzata dal P.M., e nell’atto di opposizione o nel corso dell’udienza camerale vengono spesso addotti dinieghi, da parte del giudice civile, dei provvedimenti invocati per simili episodi ex art. 709 ter

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c.p.c., in un procedimento nel quale avrebbe rilevanza anche l’eventuale errore o fraintendimento dovuto a colpa: vere o presunte inerzie del giudice civile (il cui intervento, peraltro, comunque richiede l’esistenza di violazioni gravi o di pregiudizi al minore o di concreto ostacolo al corretto svolgimento delle modalità di affidamento), se non possono costituire alcuna preclusione per l’intervento del giudice penale, però, nemmeno possono consentire alcuna forma di indebita supplenza da parte di questo, comunque ancorato ai consueti criteri di valutazione della prova in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Anche la Suprema Corte, del resto, ha riconosciuto che il carattere occasionale della violazione mal si concilia con il concetto di “elusione”: così, in un caso in cui si giustificava l’omesso incontro di una bambina con il padre, a causa di un malessere della nottata precedente, perdurante all’arrivo del genitore, la Corte ha ritenuto – diversamente dai giudici di merito – che, anche in assenza di certificazione medica, l’occasionalità del fatto e le circostanze del caso non consentissero di ritenere infondata la giustificazione addotta e di ritenere, invece, l’episodio dovuto ad una ripicca di un coniuge nei confronti dell’altro. (11)

Appare condivisibile, pertanto, la tendenza ad archiviare i procedimenti relativi ad un’unica violazione del diritto di visita di uno dei genitori in tutti quei casi nei quali difettino elementi ulteriori o circostanze del caso che consentano di riconoscere al P.M. la possibilità di dimostrare nell’eventuale giudizio la coscienza e volontà dell’agente di violare il provvedimento del giudice (come invece talvolta accade, ad esempio, nel caso di e-mail o altra corrispondenza chiarificatrice scambiata nell’occasione dai due genitori). Si tratta, infatti, di tendenza che è coerente con il dettato dall’art. 125 disp. att. c.p.p. e consente, comunque, anche di rivalutare il caso ex art. 414 c.p.p, nell’eventualità in cui dovessero ripetersi analoghi episodi in forma tale da offrire la possibilità di diverse letture dell’accaduto.

Si tratti di violazioni ripetute o meramente occasionali, però, va comunque rilevato che una pluralità pronunzie anche della Suprema Corte, con orientamento pressoché costante, negano che possa escludere la responsabilità del genitore ex art. 388 co. 2 c.p. il rifiuto, da parte del minore, del rapporto con l’altro genitore, o anche del semplice incontro con questo. Sembra anche trasparire, da tali pronunzie, una ponderata diffidenza in ordine alla spontaneità e genuinità del rifiuto del minore di incontrare il genitore più lontano, fondata sul dato di comune esperienza secondo cui spesso si tratta solo di manifestazioni di una sorta di “arruolamento” del minore, da parte del genitore domiciliatario, nel conflitto intrapreso con l’altro genitore, sicché deve considerarsi verosimile che il rifiuto possa essere stato in qualche modo indotto più o meno consapevolmente dal genitore presso il quale il minore vive, o comunque sia condizionato dal desiderio di compiacere questo o, in

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genere, dal contesto in cui il bambino vive (12).

Quale che possa essere la causa del rifiuto di incontrare il genitore assente, però, quel che è certo è che lo stesso da una parte comporta una privazione importante per lo stesso minore e, dall’altra – sempre che non ricorrano gravi ed obiettivi motivi – è anche agevolmente superabile con la collaborazione del genitore domiciliatario realmente interessato al benessere della prole: partendo da questa considerazione, numerose pronunzie fondano proprio sulla mancanza di tale collaborazione il riconoscimento della penale responsabilità del genitore allocatario, ritenendosi che i provvedimenti in materia di affidamento richiedano a ciascuno dei genitori – sia sul piano materiale che su quello dei rapporti con i figli – “quell’apporto minimo in termini di coordinamento e cooperazione che è sempre necessario per garantire l’esecuzione secondo buona fede (id est: la non elusione) dei provvedimenti del giudice civile concernenti i minori” (13).

Del resto, si è più volte rilevato che l’elusione del provvedimento del giudice civile che concerna l’affidamento di minori può connettersi ad un qualunque comportamento da cui derivi la frustrazione delle legittime pretese altrui, compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo:

nasce da qui la rilevanza penale della condotta del genitore affidatario che non si attivi affinché il minore maturi un atteggiamento psicologico favorevole allo sviluppo di un equilibrato rapporto con l’altro genitore e si limiti, invece, ad un comportamento improntato al solo formale rispetto delle prescrizioni giudiziali (14).

Forse ancor più esplicitamente, in altra occasione, ribadendosi che “eludere significa frustrare, rendere vane le legittime pretese altrui e ciò anche attraverso una mera omissione”, si è evidenziato che “rientra nei doveri del genitore affidatario quello di favorire, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, il rapporto del figlio con l’altro genitore, e ciò proprio perché entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore.

L’ostacolare gli incontri tra il padre ed il figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi può avere effetti deleteri sull’equilibrio psicologico e sulla personalità del secondo” (15).

Anche le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto che il concetto di “elusione” in questa materia debba essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi comportamento, positivo o negativo, che non esige nemmeno scaltrezza o condotta subdola per evitare l’esecuzione del provvedimento in questione, essendo sufficiente anche la mera inerzia quando “la natura personale delle prestazioni imposte …(omissis) .. escludano che l’esecuzione possa prescindere dal contributo dell’obbligato. In questi casi, infatti, l’inadempimento dell’obbligato contraddice di per sé la decisione giudiziale e ne pregiudica l’eseguibilità” (16).

Fermo restando il dovere del genitore domiciliatario di non indurre il minore a rifiutare contatti con

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l’altro genitore, e comunque di favorire i rapporti con l’altro genitore, però, occorre anche evidenziare che possono verificarsi situazioni di particolare difficoltà per il genitore affidatario a causa di una resistenza del minore dovuta ad effettive difficoltà o disagi di tipo psico-fisico connesse a situazioni di particolare gravità: solo per citare qualche caso limite, basti ricordare il caso in cui si è constatato un disagio psichico cagionato al minore da un’azione di disconoscimento della paternità promossa dal padre (17), oppure si consideri il caso del minore che rifiuti di vedere il genitore perché timoroso dell’aggressività, o perfino della violenza, da questo effettivamente manifestata in altre precedenti occasioni ( e non solo pretestuosamente attribuita allo stesso genitore dal coniuge conflittuale).

Tali casi ben possono configurare quelle “contrarie indicazioni di particolare gravità” ipotizzate anche dalla pur attenta giurisprudenza dinanzi citata, situazioni che occorre necessariamente considerare, essendo il genitore affidatario comunque tenuto a garantire la crescita serena ed equilibrata del minore a norma dell’art. 155, comma terzo, cod. civ., sicchè lo stesso ha in ogni momento il diritto-dovere di garantire la massima tutela all’interesse preminente del minore anche qualora, per la naturale fluidità di ogni situazione umana, non sia stato possibile portare tempestivamente tale interesse alla valutazione del giudice civile: per questo, quantomeno ai fini del dolo, occorre che il giudice penale verifichi se il genitore affidatario, nell’impedire al genitore non domiciliatario il diritto di visita ricusato dal minore, sia stato eventualmente mosso dalla necessità di tutelare l’interesse morale e materiale del minore medesimo, soggetto di diritti e non mero oggetto di finalità esecutive perseguite da altri (18).

Ciò può verificarsi anche nei casi in cui il rifiuto di visita o di consegna del figlio si fondino su motivi di salute del bambino, asseritamente malato. A tal proposito, oltre al caso già in precedenza ricordato, anche in altre occasioni la Suprema Corte ha rilevato che in presenza di malattia del bambino, il giudice deve necessariamente valutare l’effettiva sussistenza dell’elemento psicologico del genitore domiciliatario, che si sia dichiarato preoccupato soltanto di tutelare la salute del minore, per verificare il configurarsi o meno di eventuali situazioni suscettibili di ricondurre il comportamento antigiuridico nell’area di uno stato di necessità, anche solo presunto (19).

E’ vero che in occasione di separazioni conflittuali si assiste ad un inquietante prolificare di prospettazioni di malattie dei bambini proprio nei giorni in cui questi dovrebbero incontrarsi con i genitori presso cui non domiciliano, ma anche con questa consapevolezza il giudice penale non può sottrarsi ai consueti criteri di valutazione della sussistenza, nello specifico caso, del dolo richiesto dalla fattispecie incriminatrice.

Anche in tali situazioni, però, non può tacersi che, ai fini di una tutela del diritto del minore a

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rapporti continuativi e non contrastati con entrambi i genitori, ben più efficaci sono i poteri di intervento del giudice civile, al quale non difettano strumenti, anche diversi da quelli di cui all’art.

709 ter c.p.c., per garantire che l’effettività dei suoi provvedimenti non sia elusa dalla prospettazione di situazioni di non agevole interpretazione (ad esempio, prevedendo espressamente quei recuperi dei contatti del minore con il genitore assente che siano mancati per gravi motivi, così come nelle situazioni meno conflittuali i genitori sono adusi a concordare spontaneamente).

La pur breve e parziale casistica esaminata è, forse, sufficiente ad evidenziare quanto siano variegati gli ostacoli che possono essere frapposti alla regolarità e serenità dei rapporti del minore con l’uno o con l’altro genitore e, nel contempo, ad evidenziare anche come siano inappropriate le aspettative che spesso le parti appaiono riporre in impraticabili forme di supplenza del giudice penale in relazione a situazioni che, invece, trovano la loro propria e migliore soluzione nel giudizio civile.

I due tipi di interventi sanzionatori, infatti, per quanto in qualche modo speculari, non sono in alcun modo fungibili tra loro: in primo luogo, va ribadito che la varietà di strumenti affidati dall’art. 709 ter c.p.c. al giudice civile consente a questo di meglio valutare quale possa essere di volta in volta – tra l’ammonizione, il risarcimento danni in favore dell’altro genitore o anche dello stesso minore, o la sanzione amministrativa – la misura più proporzionata alla violazione riscontrata e più adeguata alle esigenze di prevenire il ripetersi di episodi che possano pregiudicare l’effettività dei provvedimenti emessi nell’interesse dei minori. Il giudice penale, invece, dispone solo dell’alternativa tra pena detentiva e pena pecuniaria.

Soprattutto, però, non ci si può nascondere che, a causa dei tempi necessari perché si giunga ad una sentenza definitiva nel processo penale, anche un’eventuale condanna per il reato di cui all’art. 388 co. 2 c.p. interverrà inevitabilmente diversi anni dopo il fatto, quando il minore nel cui interesse erano stati emessi i provvedimenti violati potrebbe anche non essere più tale, ma ormai un adulto o quasi, per di più formatosi in un contesto conflittuale e non armonico perché condizionato dalle violazioni di quell’assetto di rapporti che, invece, era stato ritenuto fosse il più adeguato alle sue esigenze; né la pena edittale prevista per tale reato (reclusione fino a tre anni o multa da 103 a 1.032 euro) consente, nelle more del giudizio, l’applicazione di misure cautelari finalizzate alla prevenzione di ulteriori violazioni dei provvedimenti in tema di affidamento.

Deve realisticamente prendersi atto, allora, che quelle esigenze personali (del minore e del genitore querelante) sottese alla proposizione della querela da cui aveva avuto origine il procedimento per il reato di cui all’art. 388 c.p. potranno ricevere una ben modesta tutela da un’eventuale sentenza penale di condanna, ed anche l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione - nella quale si è visto che la Suprema Corte a sezioni unite ha individuato l’interesse protetto dalla norma –

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potrà ricevere forse una tutela sotto il profilo della prevenzione generale, ma ben difficilmente sarà garantita l’effettività della giurisdizione in relazione a quella singola vicenda familiare nella quale si inseriva la violazione riconosciuta in sentenza solo dopo alcuni anni.

Per contro, il procedimento incidentale instaurato con il ricorso ex art. 709 ter c.p.c., di pronta soluzione, consente al giudice civile di garantire l’effettività dei suoi provvedimenti con immediatezza e tempestività: essendo chiamato il giudice civile ad intervenire in tutela del minore in situazioni che toccano profondamente le persone, e da cui può scaturire un’imprevedibile varietà dei comportamenti umani, pertanto, gli strumenti offerti dall’art. 709 ter c.p.c. sono da ritenersi indispensabili per consentire alle parti di trovare al più presto quel punto di equilibrio che sarebbe inevitabilmente precluso dal convincimento di uno dei genitori di poter tranquillamente eludere i provvedimenti che altri hanno dettato nell’interesse della prole e che, per qualsiasi motivo, potrebbe non condividere.

E’ evidente che spesso si rivela anche utile – quantomeno nella parte iniziale del conflitto giudiziale tra i due genitori – una sorta di decantazione nel conflitto, nell’attesa di quella che si ritiene una forma di elaborazione del lutto della separazione anche da parte del genitore più conflittuale, ma sarebbe pericoloso ritenere che, intanto, possano tollerarsi violazioni delle prescrizioni poste nell’interesse del minore, quasi che, nel frattempo, le violazioni delle nuove regole possano essere considerate un’accettabile “comportamentalità” a corollario della separazione dall’altro.

Al contrario, le vicende che giungono all’attenzione del giudice penale mostrano che ad un’iniziale ostacolo posto ai rapporti del minore con l’uno o l’altro dei genitori segue spesso la contestazione di una pluralità di ulteriori vere o presunte violazioni delle regole della separazione poste dal giudice e, più in generale, un’esasperarsi della conflittualità tra le parti, con successivi scambi di querele e contenziosi civili e/o penali poi difficilmente componibili, tanto che vien da domandarsi se per prevenire anche il successivo moltiplicarsi del contenzioso – poi sempre più difficilmente gestibile - non sarebbe stato sufficiente invocare una sanzione civile con un ricorso ex art. 709 ter c.p.c.

(spesso una mera ammonizione, poco afflittiva ma idonea a far comprendere la necessità del rispetto del nuovo assetto) piuttosto che sporgere querela, oppure applicare tale sanzione, se invocata fondatamente dalla parte, anziché confidare in una spontanea remissione del conflitto.

Si tratta di domande che, ovviamente, non possono ricevere risposte certe (come suol dirsi, “la storia non si fa con i “se””), ma non può tacersi che ben difficilmente si riscontrano procedimenti penali ex art. 388 c.p. iniziati in relazione a vicende nelle quali il giudice civile aveva già applicato ad uno dei coniugi una delle sanzioni di cui all’art. 709 ter c.p.p.: ciò non consente certo di attribuire al procedimento incidentale previsto da tale norma alcuna efficacia miracolistica, ma

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quantomeno appare confermare come un corretto esercizio della funzione attribuita da tale norma al giudice della separazione sia troppo spesso irrinunciabile per far comprendere al genitore belligerante che l’autorità (meglio: l’autorevolezza) dell’ordinamento giuridico esige quantomeno il rispetto del minore e delle statuizioni poste nel suo interesse.

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(1) Così Cass. Civ. 18.6.2008 n. 16593, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2009, fasc. 1, p. 1, pag. 68. Molti commentatori hanno ritenuto che si sia discostata da questo orientamento Cass.

Civ. 11.8.2011 n. 17191, Guida al diritto Il Sole 24 ore, 2011, fasc. 37, pag. 38 (tanto che perfino l’Associazione Matrimonialisti Italiani ha commentato sul sito www.jusforas.it che “finalmente si sancisce il principio per cui due genitori in aspro conflitto tra loro non siano degni di esercitare congiuntamente il proprio ruolo”), ma tale valutazione risulta smentita da un attento esame del contenuto della sentenza e delle stesse parole utilizzate dalla Suprema Corte che, nell’occasione, ha rigettato le doglianze del ricorrente affermando che correttamente la Corte di merito (la Corte di appello di Brescia), “nell’interesse del minore” aveva valutato “in positivo” la capacità genitoriale della madre ed “in negativo … … il comportamento gravemente denigratorio” assunto dal padre nei confronti della prima, ritenuto pregiudizievole per lo sviluppo della figlia. Pertanto, lungi dal discostarsi dai principi posti dalla sentenza 16593/2008, permanentemente richiamata per respingere la tesi che la mera conflittualità possa essere motivo per negare l’affido condiviso, anche in questa occasione, invece, la Suprema Corte, nel confermare la sentenza impugnata, ha espressamente riconosciuto che questa “non si è dunque limitata ad un generico riferimento ad una mera conflittualità tra i coniugi, ma ha esposto un percorso argomentativo conforme all’orientamento di questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 16593/2008; n. 1201/2006) e congruamente sostenuto dalla indicazione delle fonti sulle quali si basa, cioè delle risultanze degli accertamenti in atti, la cui valutazione non può in questa sede di legittimità essere oggetto di riesame nel merito”

(2) Cass. civ. 8.2.2000 n. 1365, Il diritto di famiglia e delle persone, 2000, fasc. 3, p. 1, pag. 1036 (3) Cass. pen. sez. VI 24.7.2007 n. 30151.

(4) Cass. Pen. Sez. Un. 27.9.2007 n. 36692, Cassazione penale 2008, fasc. 2., sez. 2, pag. 500

(5) un’interessante ordinanza del Tribunale di Napoli in data 1.3.2008 ha, però, ritenuto che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 709 ter c.p.c. deve portare a ritenere che, al fine di soddisfare l’esigenza di tutelare il preminente interesse della prole, costituzionalmente garantito, il giudice possa disporre anche d’ufficio i provvedimenti di ammonimento e condanna a sanzione amministrativa di cui ai numeri 1 e 4 dell’art. 709 ter c.p.c.. Il caso (ricordato da Rovacchi, Il diritto di visita del genitore, p. 19) riguardava una madre che il Tribunale aveva accertato non avere ottemperato alle statuizioni contenute nell’ordinanza presidenziale disposte in sede di

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www.judicium.it separazione, ed in particolare non aveva adempiuto all’obbligo di accompagnare i figli presso il Centro Servizi Sociali una volta la settimana per due ore consecutive onde consentire la visita del padre prevista nel provvedimento: rilevando che per realizzare l’interesse del minore a crescere con entrambi i genitori di riferimento non è sufficiente che l’affidatario o il collocatario non ostacoli gli incontri con l’altro genitore, richiedendosi invece la sua attiva collaborazione sia sul piano materiale che su quello del rapporto con il figlio, il Tribunale nell’occasione ha ritenuto che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 709 ter cpc consentisse un intervento di ufficio ed ha ammonito la madre ad astenersi dal frapporre ostacoli al diritto di visita del padre con i figli minori.

(6) Cass. Pen. sez. VI 25.2.2009 n. 13101: “il secondo comma dell’art. 388 c.p. prevede un reato istantaneo, per la cui configurazione non si richiede il compimento di un’attività, e che perciò si realizza anche con un solo atto elusivo del provvedimento del giudice concernente l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, sicchè il riferimento all’episodicità della condotta risulta incongruo a fronte della definizione normativa della fattispecie”. Conforme anche Cass. pen. sez.

VI, 18.7.2009 n. 27995, Famiglia e diritto, 2010, fasc. 2, pag. 143.

(7) Con ordinanza 3.11.2011 – inedita - nel proc. n. 43401/10 RGNR il GIP del Tribunale di Roma ha ritenuto in tal caso configurabili gli estremi del reato di cui all’art. 388 co. 2 c.p.. In tale provvedimento, peraltro, si dava atto che il querelante aveva anche invocato, nel giudizio di separazione, l’applicazione di sanzioni ex art. 709 ter c.p.c., ma il G.I. aveva rigettato il ricorso perché aveva ritenuto che nel caso specifico non fosse possibile “…verificare le scelte operate dalla madre per la migliore organizzazione di vita (scolastica e non) delle bambine..”: nel giudizio civile, pertanto, l’asserita impossibilità di verificare il concreto pregiudizio arrecato al minore dalla violazione lamentata è stata ritenuta assorbente rispetto all’esigenza di valutare anche la gravità in sé di una violazione che veniva, di fatto, a svuotare di contenuto la condivisione dell’affido in uno degli aspetti più rilevanti delle funzioni di indirizzo ed educazione dei figli proprie dei genitori.

(8) E’ il caso contemplato da Cass. Sez. VI, 5.3.2009 n. 27995, Famiglia e diritto, 2010, fasc. 2, pag.

143.

(9) cfr. sul tema, Cass. Pen. sez. VI 1.9.2010 n. 32562; Cass. Pen. sez. VI 11.3.2010 n. 10701.

(10) Cass. Pen. sez. VI, 25.2.2009 n. 13101; Cass. Pen. sez. VI 11.3.2010 n. 10701; Cass. Pen.

sez VI, 6.10.1998 n. 12978.

(11) Cass. Pen. sez. VI, 11.3.2010 n. 10701. La Corte osservava anche che “corrisponde a massima di comune esperienza l’assunto che normalmente l’assolutamente occasionale inosservanza delle modalità – temporali, logistiche o afferenti altro aspetto del genere – indicate nei provvedimenti giudiziari afferenti la disciplina di affidamento dei figli minori non sia idonea, per sé, a concretizzare l’elusione del provvedimento, salvo che si tratti di inosservanza che, per le specifiche peculiari ed invasive sue caratteristiche concrete – oggetto di specifica e non illogica

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www.judicium.it motivazione – sia ritenuta per sé idonea a determinare l’alterazione di quell’equilibrio e frustrare le legittime pretese del destinatario”. In tal modo, in realtà, la Corte sembrerebbe ipotizzare che difetti anche l’elemento materiale dell’elusione del provvedimento, quando per l’occasionalità e la tenue entità della violazione questa non incida “in maniera sensibile sulla qualità della prosecuzione dei rapporti tra il genitore non affidatario ed il figlio minore” (qualità di cui, però, si riconosceva essere “componenti anche la qualità e le modalità della frequentazione”): si tratta, peraltro, di una prospettazione minoritaria, superata dalle pronunzie anche successive della stessa Corte (cfr. anche Cass. 1.9.2010 n. 32562) che riconoscono l’elemento materiale del reato anche in presenza di una singola violazione del diritto di visita, sicché la sentenza appare ben più convincente e condivisibile nella parte in cui mostra di considerare l’occasionalità e la tenue entità della violazione significative nella valutazione dell’elemento soggettivo del reato, in quanto mal si conciliano con la coscienza e volontà di eludere il provvedimento.

(12) Le problematiche connesse al coinvolgimento del bambino nel conflitto tra i genitori sono ben evidenziate da Giorgio Vaccaro, nella recente monografia pratica di Guida al diritto Il Sole 24 ore - “Separazione e Divorzio” - del dicembre 2011, laddove (pag. 24) rileva che “l’evento della negazione dell’una o dell’altra delle due figure viene ricordato come generatore di un’angoscia che va al di là della mancanza fisica: questa sofferenza è, infatti, da ricercare nell’impossibilità di riconoscersi in quella parte di sé che è rappresentata dal genitore reso inaccessibile…”. Nella stessa opera viene anche evidenziato come forme di “arruolamento” del minore, da parte del genitore domiciliatario, successivamente, lo esporrebbero a “conflitti di lealtà”, quando si troverà ad avvicinarsi all’altro genitore. Si è osservato, così, che “quando il comportamento di una mamma o di un papà impedisca al figlio – con scuse, con coinvolgimenti adultizzanti, con l’installare la paura o il disprezzo dell’altro – di frequentare l’altro genitore, il figlio vive questo impedimento non come una cattiveria tra adulti (perché per ogni figlio, e spesso anche ad età ormai adolescenziali, l’idea stessa di un genitore cattivo o inadeguato non riesce a farsi strada) ma lo vive come un depotenziamento per il genitore che gli viene negato. Il minore in questione ….

omissis … verrà silenziosamente arruolato nel campo del vincente, ovvero di quel genitore che con successo gli sta impedendo di vedere l’altro. Per giustificare a se stesso questa mancanza, deve far proprie le “ragioni” del genitore ablativo; deve, quindi, inconsciamente condividere la scelta del genitore ablativo”, cosicché, anche quando i rapporti con il genitore non domiciliatario verranno normalizzati, “il figlio privato del rapporto equilibrato con mamma o con papà si sentirà da una parte preoccupato di ricostruire il rapporto con il genitore che gli è stato vietato e, dall’altra, se dimostrerà contentezza, sentirà inconsciamente di “tradire il genitore” che lo ha arruolato vittoriosamente, sino ad allora, nella sua guerra personale tra adulti”. Se questo è il contesto in cui può trovarsi un minorenne in una separazione conflittuale, ben si comprende che la Suprema Corte utilizzi l’accezione del concetto di “elusione” dei provvedimenti giudiziali concernenti

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www.judicium.it l’affidamento dei minori più aderente al vissuto quotidiano ed al preminente interesse dei minori, laddove riconosce sia il dovere del genitore allocatario di astenersi da comportamenti esplicitamente interdittivi di frequentazioni del minore con l’altro genitore, sia quello di attivarsi e collaborare al rispetto del provvedimento giudiziale.

(13) così, testualmente, Cass. sez. feriale, 4.10.2003 n. 37814.

(14) così Cass. Pen. sez. VI, 22.9.2004 n. 37118, in un caso in cui la Corte ha ritenuto che il rifiuto del minore dipendesse dalla forte conflittualità espressa dal genitore affidatario nei confronti del coniuge.

(15) Cass. Pen. sez. VI, 18.7.2009 n. 27995, in Famiglia e diritto, 2010, fasc. 2 pag. 143.

(16) Cass. Pen. SS.UU. 27.9.2007 n. 36692, Cassazione penale 2008, fasc. 2, sez. 2, pag. 500. La pronunzia, invero, intervenendo in occasione di un’ipotesi – ben diversa da quelle ora in esame – di violazione di un’ordinanza possessoria con la quale il giudice civile aveva ingiunto la restituzione di un’area, ha negato, in linea di principio, che possano equipararsi i concetti di

“inosservanza” ed “elusione”, ed ha evidenziato che, di regola, “il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall’art. 388 comma 2 c.p. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante”. La stessa pronunzia, però, ha fatto salve proprio le ipotesi nelle quali “la natura personale delle prestazioni imposte ovvero la natura interdittiva dello stesso provvedimento esigano per l’esecuzione il contributo dell’obbligato”, sicché correttamente le diverse pronunzie in commento, che evidenziano la necessità di una collaborazione del genitore allocatario – e, pertanto, la natura personale delle prestazioni a questo imposte – attribuiscono rilevanza penale anche alla mera inerzia di questo (cfr. anche Cass. Pen. sez. VI, 18.7.2009 n.

27995 cit.; Cass. Sezione feriale 4.10.2003 n. 37814)

(17) E’ il caso affrontato da Cass. Sez. VI 16.3.1999 n. 7077.

(18) così Cass. Pen. sez. VI 11.3.2010, n. 10701; cfr. anche Cass. Sez. VI, 16.3.1999 n. 7077;

Cass. Sez. VI, 19.1.2004 n. 17691; Cass. Sez. VI, 19.6.2006 n. 27613.

(19) Cass. Pen. sez. VI, 11.1.2010 n. 736.

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